2. Il velo dell’indovino: ambiguità linguistica e aberrazione familiare nel
2.2. Vellera: l’identità nascosta sotto il velo
Il sogno di Eteocle comincia dunque con l’apparizione di Laio. Il primo tratto caratteristico di questa apparizione sta nel fatto che “è la prima volta che l’ombra di un morto non si presenta con il suo vero aspetto.”339 Questa
caratteristica assume maggior risalto dal confronto con i modelli virgiliani del passo di Stazio: l’apparizione di Alletto a Turno (Aen., VII, 415-418) per sollecitarlo a iniziare la guerra, e l’apparizione di Ettore a Enea (Aen., II, 270- 278) per suggerirgli la partenza da Troia. Se la trasformazione di Alletto nella sacerdotessa di Giunone340 nel primo caso non provoca nessun effetto di
straniamento,341 data la natura divina della Furia, nel secondo caso Enea
rende noto che il fantasma di Ettore gli era apparso tale e quale l’eroe si presentava nel giorno della morte.342 Anche il paragone con un altro modello
di Stazio, il sogno di Alcione nelle Metamorfosi di Ovidio (XI, 627 ss.), rivela delle anomalie: Ceice, il defunto marito di Alcione, morto in un naufragio, apparendo a sua moglie, insiste sulla propria identità (vv. 658-660):
[…] agnoscis Ceyca, miserrima coniunx? an mea mutata est facies nece? respice: nosces inveniesque tuo pro coniuge coniugis umbram.
Stazio attinge pertanto al modello omerico: lo stratagemma del sogno falso a cui ricorre la divinità per spingere il personaggio all’azione compare già nell’Iliade (II, 1-6):
339A. GRILLONE, Il sogno nell’epica latina. Tecnica e poesia, Palermo, Andò, 1967, p. 142. 340 Verg., Aen., VII, 416-419: […]in voltus sese transformat anilis; / et frontem obscenam rugis
arat, induit albos / cum vitta crinis, tum ramum innectit olivae; / fit Calybe Iunonis anus templique sacerdos.
341 Mi riferisco naturalmente al termine nell’accezione proposta da V. ŠKLOVSKIJ, La
struttura della novella, in T. TODOROV, a cura di, I formalisti russi. Teoria della letteratura e metodo
critico (ed. or. Théorie de la littérature. Textes des formalistes russes réunis, présentés et traduits par T. Todorov, Paris, Seuil, 1965), Torino, Einaudi, 2003, pp. 83-87; 221-222.
342 Verg., Aen., II, 271: visus adesse mihi largosque effundere fletus, / raptatus bigis ut quondam
Ἄλλοι µέν ῥα θεοί τε καὶ ἀνέρες ἱπποκορυσταὶ εὗδον παννύχιοι, Δία δ’οὐκ ἔχε νήδυµος ὕπνος, ἀλλ’ ὅ γε µερµήριζε κατὰ φρένα ὡς Ἀχιλῆα τιµήσῃ, ὀλέσῃ δὲ πολέας ἐπὶ νηυσὶν Ἀχαιῶν. Ἥδε δέ οἱ κατὰ θυµὸν ἀρίστη φαίνετο βουλή, πέµψαι ἐπ’ Ἀτρεΐδῃ’ Ἀγαµέµνονι οὖλον Ὄνειρον·
Il poeta descrive nel dettaglio il momento della metamorfosi del fantasma di Laio in Tiresia. Dal punto di vista del linguaggio, ciò che colpisce nella descrizione è anzitutto il ricorrere dell’aggettivo falsa per ben due volte in cinque versi (vv. 94-99):
tunc senior quae iussus agit, neu falsa videri noctis imago queat, longaevi vatis opacos Tiresiae vultus vocemque et vellera nota induitur. mansere comae propexaque mento canities pallorque suus, sed falsa cucurrit infula per crines, […]
Il motivo dell’ambiguità delle intenzioni del fantasma si sviluppa quando la trasformazione di Laio in Tiresia è stata già completata: l’ombra di Laio, infatti, afferma le sue buone intenzioni dichiarando di essere stata mandata per ordine di Giove: ipse deum genitor tibi me miseratus ab alto / mittit (vv. 115- 116).
Ai lettori è noto che si tratta di un’affermazione falsa,343 e che si trova
inoltre in contrasto con un altro modello virgiliano del passo in questione, ovvero l’apparizione di Anchise a Enea. Anchise, dei cui consigli non si può mettere in dubbio la bontà, ribadisce di essere stato mandato da Giove, il quale ha salvato in precedenza le navi di Enea (Aen., V, 726-727):
343 La vera missione di Laio, consistente nello scatenare l’odio fra Eteocle e Polinice e
incitare Eteocle a rompere il patto concluso con Polinice, in modo tale da essere casus belli, fa parte del piano divino di punire Tebe invisa a Giove (Theb., I, 245-247): hanc etiam poenis
incessere gentem /decretum; neque enim arcano de pectore fallax / Tantalus et saevae periit iniuria mensae’.
imperio Iovis huc venio, qui classibus ignem depulit et caelo tandem miseratus ab alto est.
Anche il fantasma di Ceice nel precursore ovidiano rimarca la credibilità della notizia annunciata (Ov., Met., XI, 666-667):
[…] non haec tibi nuntiat auctor ambiguus, non ista vagis rumoribus audis.
Nella dettagliata descrizione della metamorfosi di Laio la parola vellera (v. 96) funge da spia linguistica dell’ambiguità. Nel contesto del passo in esame vellera significa senz’altro la benda di lana che contraddistingue i vati e i sacerdoti.344 Tuttavia, il significato figurato di vellera è “velo”, cioè un oggetto
che ha la funzione di frapporsi fra le cose e gli occhi di chi le guarda, e, di conseguenza, anche di ostacolare la conoscenza o deformare la verità. Nel caso in questione, è il velo che nasconde il vero aspetto di Laio.
Una controprova di questa duplice valenza dei vellera è fornita da una serie di testimonianze iconografiche nelle quali quanti partecipano a cerimonie sacrificali vengono rappresentati capite velato. Date queste testimonianze, ci si aspetterebbe che anche Tiresia, in quanto sacerdote, presenti una simile velatura. Difatti alcune raffigurazioni lo ritraggono come un vecchio con il viso coperto da una sorta di velo.345
344 Per vellera cfr. inoltre Stat., Theb., IV, 216-217: vatem cultu Parnassia monstrant / vellera:
frondenti crinitur cassis oliva, / albaque puniceas interplicat infula cristas, e Verg., Aen., IV, 459: (templum) velleribus niveis et festa fronde revinctum.
345 Cfr.: (1) il cratere attico (450 a.C.) conservato al Museo Nazionale di Ferrara (n. inv.
42685), raffigurante Edipo, Creonte e Tiresia; quest’ultimo appare come un vecchio curvo, appoggiato a un bastone, con un mantello che gli copre il viso (K. ZIMMERMANN, Teiresias, in
LIMC, vol. VIII.1, pp. 1188-1191, rif. VIII.2, tav. 10, p. 826, Zürich-Düsseldorf, Artemis, 1997);
(2) l’affresco parietale della seconda camera della tomba dell’Orco a Tarquinia, dove è rappresentata la processione rituale degli eroi omerici: Aiace armato, Agamennone vestito del manto di porpora e fasciato dalle bende funebri, e l’ombra di Tiresia dal caratteristico mantello sacerdotale che gli copre la testa (cfr. R. BIANCHI BANDINELLI, M. TONELLI, Etruria-
Roma. L’arte dell’antichità classica, tav. 150, Torino, UTET, 1976); cfr. inoltre J. CHAMAY, Des
défunts portant bandages, in «BABesch», 52-52, 1977-1978, pp. 247-251; Α.Γ. ΜΑΝΤΗΣ,
Προβλήµατα της εικονογραφίας των ιερείων και των ιερέων στην ελληνική τέχνη, Αθήνα, Έκδοση του ταµείου αρχαιολογικών πορών και απαλλοτριώσεων,1990, pp. 82-96; sull’iconografia delle bende
A vellera è dunque possibile attribuire una duplice valenza: in primo luogo, com’è ovvio, il sostantivo va inteso in senso proprio, cioè come velo indossato da Laio, finto vate. A questa natura fittizia dell’aspetto e della funzione usurpata si ricollega poi direttamente il senso secondario – quello traslato – della parola, che ha la funzione di suggerire con una trasparente segnalazione iconica la natura fallace e mascherata dei contenuti della profezia. Ancora una volta, la situazione linguistica prevede uno sdoppiamento della significazione, funzionale al punto di vista dei due personaggi: nella prospettiva dello spettro di Laio, finto Tiresia, il velo è chiaramente la maschera, la copertura che segnala l’intenzionale occultamento della verità. Dal punto di vista di Eteocle, invece, il velo indica l’annebbiamento, l’ottenebramento del destinatario che non è in grado di scorgere la reale consistenza delle cose e che proietta, su questo schermo opaco e impenetrabile, le proprie paure. In questo senso il velo è una sorta di metonimia pregnante della facoltà profetica del linguaggio, la quale si manifesta appunto come velo, come testo opaco, passibile di ogni proiezione da parte dei destinatari (non è un caso che gli oracoli siano univoci solo post factum: finché sono riferiti al futuro ogni punto di vista può adattarli al proprio specifico orizzonte di attesa).
A questo punto resta da chiedersi per quale ragione Laio si trasformi in Tiresia. Per rispondere, va stabilito il tipo di rapporto che intercorre tra Eteocle e il suo antenato.
Laio appare due volte nella Tebaide di Stazio, nel sogno di Eteocle e nella scena di negromanzia del IV libro (vv. 604-645). In quest’ultima, l’avo non maschera la propria antipatia nei confronti del nipote,346 e dopo aver
predetto la guerra e la vittoria finale di Tebe su Argo, Eteocle in dubbio sull’esito del conflitto che lo vede opposto al fratello (flexa dubios ambage relinquit, v. 645).
cfr. A. KRUG, Binden in der griechischen Kunst. Untersuchung zur Typologie, Diss., Mainz, Hösel,
1967.
346 Theb., IV, 606-609: […] dirumque tuens obliqua nepotem / (noscit enim vultu) non ille aut
Nella Tebaide il carattere di Laio è soltanto abbozzato, ragion per cui può essere utile rivolgersi ai modelli di Stazio alla ricerca di eventuali analogie e differenze nella costruzione dei tratti del personaggio e del suo rapporto con Eteocle.
Già negli antecedenti, Laio risulta una creatura cupa, molto spesso associata al regno dei morti. Egli appare nella vicenda di Edipo come uno spettro vendicativo e minaccioso, una figura che perseguita il proprio figlio ossessionandolo dal mondo dell’oltretomba, sino a portarlo all’autodistruzione. Questa natura di Laio è ben rappresentata da Seneca nell’Edipo. Nella scena di negromanzia, tra l’altro riconosciuta come modello dell’apparizione del Laio staziano,347 Seneca fa emergere l’ombra
insanguinata e demoniaca di Laio che maledice il figlio e gli preannuncia la cecità (vv. 620-659).348 La variante di Seneca, oltre a fare di Laio un essere
infernale (elemento che è stato ripreso da Stazio), gli affida anche – diversamente da quanto accade in Sofocle – il compito di rivelare al figlio la sua colpa: in questo modo il padre compie un’estrema prevaricazione sul figlio, dal momento che sottrae a Edipo la possibilità di indagare sul suo passato e la dignità della ricerca, costringendolo a indossare solo i panni del colpevole. Per riprendere le parole di Paduano sull’Edipo di Seneca:
[…] la peculiarità più spiccata del dramma senecano [è] l’evocazione e l’apparizione dello spettro di Laio, il quale, pur presente solo nel racconto di Creonte, riceve da quest’ultimo una delega a parlare, e attraverso la drammatizzazione di secondo grado diventa un vero e potente personaggio
347 P. VENINI, Studi sulla Tebaide di Stazio. L’imitazione, cit., p. 385.
348 Sen., Oed., 619-626: Tandem, vocatus saepe, pudibundum extulit / caput atque ab omni
dissidet turba procul / celatque semet (instat et Stygias preces / geminat sacerdos, donec in apertum efferat / vultus opertos) Laius. - Fari horreo: / stetit per artus sanguine effuso horridus, / paedore foedo squalidam obtentus comam, / et ore rabido fatur: ‘O Cadmi effera / cruore semper laeta cognato domus, / vibrate thyrsos, enthea gnatos manu / lacerate potius: maximum Thebis scelus / maternus amor est. Patria, non ira deum, / sed scelere raperis. Non gravi flatu tibi / luctificus Auster nec parum pluvio aethere / satiata tellus halitu sicco nocet, / sed rex cruentus, pretia qui saevae necis / sceptra et nefandos occupat thalamos patris; / invisa proles, sed tamen peior parens / quam gnatus, utero rursus infausto gravis / egitque in ortus semet et matri impios / fetus regessit, quique vix mos est feris, / fratres sibi ipse genuit! - implicitum malum / magisque monstrum Sphinge perplexum sua.
virtuale. […] Rispetto alla voce di Laio, si qualifica con tutt’altra evidenza, con quella capacità di letteralizzazione che si ritrova nei grandi momenti creativi, la perdita da parte di Edipo delle prerogative simboliche che ineriscono alla paternità: ciò che lo rende non più soggetto, ma oggetto di un potere in cui risiedono le supreme facoltà di giudizio e di condanna, è proprio questa filialità, non ribelle (non essendo come sappiamo la sua trasgressione fondata su nessun desiderio o progetto), ma maledetta e reietta. Come così spesso si è visto nella civiltà letteraria del nostro secolo, è il padre a consumare verso il figlio la più autentica aggressione, e la sola cosciente, e ad attuare verso di lui una prevaricazione tanto più feroce dopo la scomparsa e l’apparente sconfitta.
349
Nei Sette contro Tebe350 Eschilo fa di Eteocle l’ultima incarnazione di una
macchia che lo lega inesorabilmente ai suoi antenati e lo costringe a ripercorrere le colpe del padre e del nonno, poiché è erede dello stesso destino di colpa, follia e sciagura. Nel pensiero arcaico greco quest’idea si esprimeva tipicamente attraverso il concetto di contaminazione, per il quale una colpa si trasmette da una generazione all’altra, come una malattia ereditaria.
L’ombra del delitto, che continua a proiettarsi su chi l’ha compiuto, appare in un altro modello dell’episodio staziano, il sogno di Cesare (Phars., VII, 760- 776).351
349 G. PADUANO, Lunga storia di Edipo Re. Freud, Sofocle e il teatro occidentale, Torino,
Einaudi, 1994, pp. 261-262.
350 L. LEGRAS, Étude sur la Thébaïde de Stace, Paris, Société nouvelle de librairie et
d’édition, 1905, p. 39.
351 Luc., Phars., VII, 760-776: decipitur quod castra rapit. capit inpia plebes / caespite patricio
somnos, stratumque cubile / regibus infandus miles premit, inque parentum / inque toris fratrum posuerunt membra nocentes. / quos agitat vaesana quies, somnique furentes / Thessalicam miseris versant in pectore pugnam. / invigilat cunctis saevum scelus, armaque tota / mente agitant, capuloque manus absente moventur. / ingemuisse putem campos, terramque nocentem / inspirasse animas, infectumque aera totum / manibus et superam Stygia formidine noctem. / exigit a meritis tristes victoria poenas, / sibilaque et flammas infert sopor. umbra perempti / civis adest; sua quemque premit terroris imago: / ille senum vultus, iuvenum videt ille figuras, / hunc agitant totis fraterna cadavera somnis, / pectore in hoc pater est, omnes in Caesare manes.
Il sonno dei criminali è agitato dagli incubi e dai sensi di colpa, che ancora maggiormente tormentano il riposo di Cesare. La fantasia visionaria di Lucano costruisce una scena “onirica” lugubre e inquietante, di gusto quasi “preromantico”, dove le anime degli uccisi ritornano a sconvolgere le menti degli assassini. Nell’allucinazione del sogno i soldati credono di star ancora combattendo, continuando a muovere le mani come se impugnassero l’elsa.352
È stata più volte notata la somiglianza tra Cesare ed Eteocle, in quanto entrambi rappresentano il tipo del tiranno.353 Il paragone con il precedente
lucaneo rivela che Laio, proiezione di un principio paterno, morto prima che Eteocle potesse conoscerlo, si trasforma in un’ombra incombente e minacciosa, come quelle ombre che Cesare e i suoi soldati sognano, e continua ad apparire al nipote che porta la maledizione familiare.
D’altro canto,
la tentata soppressione del figlio è un modello mitico che accomuna Laio ad altre figure paterne di uomini segnati dal destino. Ciò che le collega è la paura di un fato incombente, oltre che la volontà di detenere il potere all’interno del gruppo oltre il limite lecito, impedendo al successore di prendere legittimamente il posto del predecessore.354
Laio, in questa prospettiva, si mostra incapace di rapportarsi correttamente ai codici di comportamento e ai valori morali della comunità, cosa che determina una rottura delle regole sociali. Infanticida, violento,
352 E. NARDUCCI, Lucano. Un’epica contro l’impero. Interpretazione della “Pharsalia”, Roma-
Bari, Laterza, 202, p. 225.
353 P. VENINI, Echi senecani e lucanei nella Tebaide. Tiranni e tirannidi, in «RIL», 99, 1965, pp.
157 ss.; E. NARDUCCI, La provvidenza crudele. Lucano e la distruzione dei miti augustei, Pisa,
Giardini, 1979, p. 98, L. MICOZZI, Aspetti dell’influenza di Lucano nella Tebaide, in Interpretare
Lucano, Napoli, Arte Tipografica (“Quaderni del Dipartimento di Scienze dell'Antichità”,
Università degli Studi di Salerno), 1999, pp. 343-387; rif. p. 345.
354 G. GUIDORIZZI, Uccidere il padre, in M. BETTINI, G. GUIDORIZZI, a cura di, Il mito di Edipo,
stupratore,355 Laio concentra su di sé le colpe più gravi di cui ci si possa
macchiare nei confronti della propria famiglia.
L’Eteocle staziano vede oggettivarsi in Laio il lato oscuro e intollerabile della sua stessa personalità: l’irascibilità, l’incontenibile violenza, l’istinto distruttivo e autoritario. In rapporto a Eteocle, Laio si identifica con il rimosso, ed è proprio per questo motivo che la sua figura si presenta come schermata dal vellus dell’immagine di Tiresia, figura senz’altro meno problematica.356
In termini psicanalitici, il rapporto di Eteocle con il suo antenato può essere precisato ricorrendo alla definizione junghiana di ombra come inconscio personale, il lato non accettato della personalità:
Ombra – lato oscuro presente in ciascuno di noi, parte inferiore inconscia della personalità. L’Ombra è costituita dalle disposizioni, tendenze, tratti psichici, che, per la incompatibilità con l’orientamento della coscienza, vengono rimossi e formano nell’inconscio una personalità parziale relativamente autonoma compensatoria all’atteggiamento dell’Io. L’Ombra compare nei sogni come immagine dello stesso sesso del sognatore e può manifestare la propria “oscurità” come figura dalla pelle oscura oppure attraverso caratteristiche primitive, volgari, asociali. L’Ombra è più primitiva dell’Io e più vicina al mondo degli istinti. È sentita dall’Io come sgradevole, disgustosa, ripugnante, colpevole, perché contiene tutto quello che il soggetto rifiuta di riconoscere in se stesso.357
355 Una variante del mito attribuisce a Laio il rapimento e la violenza sul giovane
Crisippo, il figlio di Pelope, presso la cui casa Laio fu accolto durante l’esilio. Questa notizia si trova nel Crisippo di Euripide (cfr. fr. 840Kannicht) e nel Laio di Eschilo (cfr. H. LLOYD
JONES, The Justice of Zeus, Berkeley, University of California Press, 1971, pp. 120-121).
356 Questa sensazione dell’ ‘oscuro’ e del ‘sinistro’ viene identificata da Freud con “quella
sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”, ma ha cessato di esserlo da un tempo quasi altrettanto lungo poiché “è qualcosa di rimosso che ritorna”: S. FREUD, Il perturbante (ed. or. Das Unheimliche, in «Imago», 5, 5-6, 1919, pp. 297-
324), in Opere, a cura di C.L. MUSATTI, vol. IX, Torino, Boringhieri, 1977, pp. 81-118; rif. p. 81.
357 C.G. JUNG, Psicologia dell’inconscio (ed. or. Über die Psychologie des unbewussten Prozesse,
Zürich, Rascher, 1917) in Opere, a cura di L. AURIGEMMA, vol. VII, Torino, Bollati Boringhieri,
Sotto le sembianze di un indovino tebano cova dunque un cupo nucleo di furor trattenuto, di intolleranza, di aggressività. Così l’ombra nascosta sotto la figura di Laio e ignota all’Io si rivela a Eteocle; l’ammonimento del pericolo da parte del fratello scatena la violenza subitanea e distruttiva del personaggio.
Mario Trevi, l’attento interprete e critico di Jung, circa il rapporto tra il soggetto e la sua ombra, aggiunge che “si stabilisce sempre la paradossale coppia emotiva di sopportazione-insopportazione, odio-accettazione, timore- fiducia, identità-estraneità. […] L’Ombra è strettamente legata al rifiuto, ma non necessariamente al dispiacere e al dolore.”358
La figura di Laio viene dunque sostituita da Tiresia. La personalità di Laio, che contiene una forte tonalità affettiva359 è stata sostituita da una persona
neutrale e dai contorni quantomai evanescenti. A questo punto è lecito chiedersi quale sia lo scopo di questa trasformazione. Eteocle vede nell’ombra di Laio qualcuno che gli somiglia molto, un tiranno, un violatore delle norme sociali, a cui Eteocle è legato da uno stretto legame di parentela. Il sogno di Eteocle dunque contiene “un pensiero doloroso che viene rimosso e respinto.”360 Il sogno deforma il complesso per impedire che venga
riconosciuto. Trasformando Laio in Tiresia, Eteocle rende innocua la situazione.
Freud chiama “censura” questo meccanismo, che impedisce al pensiero rimosso di mostrarsi apertamente. La censura non è altro che la resistenza che anche durante il giorno ci impedisce di seguire fino in fondo un determinato pensiero. La censura lascia passare un pensiero solo quando è così deformato che il sognatore non può riconoscerlo.361
358 M. TREVI, Studi sull’ombra, Venezia, Marsilio, 1975, p. 49.
359 C.G. JUNG, L’analisi dei sogni (ed. or. L’analyse des rêves, in «Année psychologique», 15,
Paris, 1909, pp. 160-167), in Opere, a cura di L. AURIGEMMA, vol. IV, Torino, Bollati
Boringhieri, 1973, pp. 39-49; rif. p. 42: “Ogni emozione produce un complesso di associazioni di una più o meno vasta portata, che io ho definito “complesso a tonalità affettiva.”
360 Ivi, p. 43. 361 Ibidem, p. 44.
2.3. Tiresia: dal rovesciamento del topos alla rivelazione dell’identità