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3. Meccanismi e funzioni del personaggio duplicato nella Tebaide

3.4. Polinice vs Eteocle

Mentre, grazie alle ricerche di Legras, Ten Kate e Venini,215 non ci sono

dubbi sulla connotazione del carattere di Eteocle, designato come autentico tiranno, la figura di Polinice in Stazio, a differenza del suo prototipo tragico, è un carattere poliedrico e ambiguo. Nel dibattito sulla sua identità Glaesener, Legras, Ten Kate e Schetter216 considerano Polinice per i certi

aspetti più positivo di suo fratello Eteocle in quanto dal punto di vista psicologico il principe esiliato suscita più simpatia che il tiranno sul trono. Di parere contrario è Dominik, secondo cui Polinice può essere carattere più complicato rispetto a Eteocle, ma Stazio intenzionalmente sottolinea come Polinice possa essere tanto crudele quanto suo fratello.217

L’ambiguitas del suo statuto è dovuta al fatto che lui è al tempo stesso esule e fratello, hostis e pretendente al trono, tebano e al tempo stesso argivo. Più

215 L. LEGRAS, Étude sur la Thébaïde de Stace, cit.,pp. 210 ss.; R. TEN KATE, Quo modo heroes

in Statii Thebaide describantur quaeritur, Groningae, J.B. Wolters, 1955, pp. 47 ss.; P. VENINI,

Echi senecani e lucanei nella Tebaide. Tiranni e tirannidi, in «RIL», 99, 1965, pp. 157-167.

216 H. GLAESENER, Les caractères dans la Thébaïde de Stace, p. 100: “Si, dans Etéocle, nous

trouvons la personnification de la ruse et de la perfidie, Polynice, son frère, nous offre un caractère plus sympathique et, sauf les réserves faites tout à l’heure, plus intéressant“; L. LEGRAS, Étude sur la Thébaïde de Stace, cit., pp. 212 ss.; R. TEN KATE, Quomodo heroes in Statii

Thebaide describantur quaeritur, cit., pp. 53 ss.; W. SCHETTER (Untersuchungen zur epischen

Kunst, cit., p. 117): “Also nicht Polynices – wie bei Euripides -, sondern Eteocles führt den

tückischen, den Kampf beendenden Dolchstoß. Es hat gegenüber Euripides ein Rollentausch stattgefunden. Dieser Rollentausch hat, worauf bereits Legras hinwies, seinen tieferen Sinn. Die ganze Thebais hindurch wird Eteocles als der verwerflichere der beiden Brüder dargestellt. So war für ihn, der Tydeus einen Hinterhalt legen ließ und die Immunität des Gesandten verletzte, der hinterhältige Dolchstoß angemessener als für Polynices. Und eben weil dieser der bessere ist – pointiert sagt Statius: cui fortior ira nefasque iustius (541 f.) -, lag es im Sinn der poetischen Gerechtigkeit, ihn im Kampf mit dem schlechteren Eteocles als den Überlegenen zu zeigen“

217 W.J. DOMINIK, The Mythic Voice of Statius: Power and Politics in the Thebaid, cit., p. 80, n.

6: “Not only is the claim of Polynices to the throne just, but he also does not display Eteocles’ qualities as a tyrant. But Polynices is not superior in any sense to his brother or more deserving of sympathy, as Tydeus believes (cf. II, 462-66), since both men are equally capable of abusing monarchal power. [...] Polynices may be a more multi-faceted character than Eteocles, but Statius is intent upon stressing that Polynices possesses the same capacity for cruel leadership as his brother”.

volte il testo accenna al folle desiderio di Polinice di regnare. Come tiranno Polinice viene caratterizzato implicitamente già nel proemio: geminis sceptrum exitiale tyrannis (I, 34). Nel v. 127 a entrambi i fratelli viene attribuito un regendi / saevus amor. Durante il vagabondaggio per l’Aonia Polinice torna a pensare al trono di Tebe: animis male debita regna / concipit (I, 314-315). Non appena sono finiti i festeggiamenti delle nozze con Argia, Polinice è accecato dalla cupidine regni (II, 116) e continua a respicere ad Thebas iamque et sua quaerere regna (II, 308). Al momento della partenza per la guerra contro Tebe il desiderio di riacquistare il potere è sempre al primo posto è solo dopo viene il desiderio di rivedere la madre e le sorelle: iam regnum matrisque sinus fidasque sorores / spe votisque tenet [...] (IV, 88-89).

Uno dei timori principali del tiranno o aspirante tale è connesso alle sciagure delle guerre civili. Una tirannia nasce infatti di solito da una guerra civile, o sfocia in una guerra civile che scoppia allo scopo di abbatterla. La tradizione storiografica occidentale è unanime nel ribadire con orrore gli eccessi delle guerre (soprattutto di quelle civili), sottolineando come in queste occasioni i delitti e le stragi fra i consanguinei siano provocati da avarities et honorum caeca cupido. Estendendo questo principio, Tacito adotta un approccio psicologico per spiegare il declino dell’Impero romano (Hist., II, 38):

Vetus ac iam pridem insita mortalibus potentiae cupido cum imperii magnitudine adolevit erupitque; nam rebus modicis aequalitas facile habebatur.

Nella filosofia stoica invece l’ambizione e la cupidigia sono l’assoluto negativo, la causa di ogni male, dei singoli e della comunità. In Seneca l’ambitio è invariabilmente un vitium, un animi morbus, come confermano al di là di ogni dubbio le analisi del suo vocabolario filosofico.218 Nelle opere

218 A. PITTET, Vocabulaire philosophique de Sénèque, Paris, Les Belles Lettres, 1937, s.v.

ambitio, pp. 84-85: “recherche, désir de plaire, vanité [...] Spécialement, recherche des

honneurs, ambition, brigue (comme ambitus) [...]. L’ambition est au même titre que la colère, que l’avarice, une passion et une maladie de l’âme”.

filosofiche senecane il termine e l’aggettivo ambitiosus compaiono più di ottanta volte, spesso in nesso con avaritia, audacia e libido.219 Alessandro

Magno, Pompeo, Cesare e Mario sono rappresentati come schiavi di questo insanus amor magnitudinis falsae.220

Motto individua quattordici aspetti dell’ambitio in Seneca.221 Da un esame

comparativo dei passi concernenti questo aspetto, è possibile individuare una triplice caratterizzazione, rilevante anche per la nostra riflessione. Un primo elemento concerne l’universalità dell’ambitio;222 a esso si accompagna

la descrizione dell’ambitio come forza che soggioga e rende schiavo l’uomo.223

A ridurre la portata di questa affermazione, infine, Seneca ricorda come l’ambitio sia tale solo quando stigmatizzata dall’altrui opinione.224

Sulla base di queste premesse, propongo di seguito un’analisi della figura di Polinice, prendendo in considerazione l’influenza della filosofia senecana e del contesto storico e filosofico giulio-claudio e flavio sulla caratterizzazione del personaggio.

Nella preghiera di Polinice, rivolta alle stesse divinità infernali invocate da Edipo che maledice i suoi figli (I, 56 ss.), l’eroe promette di espiare la colpa con il suicidio, ma non prima di aver colpito il fratello e ottenuto lo scettro (XI, 504-508):

219 Cfr., ad. es., De ben., V, 17, 3; De clem., I, 14, 2; Ep., VII, 3; XXII, 10; XLII, 4; XLIV, 17;

LXXI, 37; LXXV, 11: morbi sunt inveterata vitia et dura, ut avaritia, ut ambitio; XCII, 8; XCIV, 59- 67; De ira, II, 10, 7; Marc., XXIII, 3: Nat., 1, praef. 6, ambitio quae te ad dignitatem nisi per indigna

non ducet; Pol., IV, 2; Tranq., XV, 1.

220 Per Alessandro Magno: Ep., XCIV, 62-63; Cesare: Ep., XCIV, 65-66; Pompeo: Ep., XCIV,

64-65; Mario: Ep., XCIV, 66.

221 A.L. MOTTO, Seneca Sourcebook: Guide to the Thought of Lucius Annaeus Seneca. In the

Extant Prose Works - Epistulae Morales, the Dialogi, De Beneficiis, De Clementia, and Quaestiones Naturales, Amsterdam, A.M. Hakkert, 1970, p. 7.

222 Sen., De ben., V, 17, 3-4: Ingrati publice sumus. Se quisque interroget: nemo non aliquem

queritur ingratum. Atqui non potest fieri, ut omnes querantur, nisi querendum est de omnibus: omnes ergo ingrati sunt. <Ingrati sunt tantum?> Et cupidi omnes et maligni omnes et timidi omnes, illi in primis, qui videntur audaces; adice: et ambitiosi omnes sunt et inpii omnes. Sed non est, quod irascaris; ignosce illis, omnes insaniunt.

223 Sen., Ep., XLVII, 17: “Servus est”. Hoc illi nocebit? Ostende, quis non sit; alius libidini servit,

alius avaritiae, alius ambitioni, omnes spei, omnes timori. [...] Nulla servitus turpior est quam voluntaria.

224 Sen., Ep., LXXVIII, 13: Omnia ex opinione suspensa sunt; non ambitio tantum ad illam

‘di, quos effosso non inritus ore rogavit Oedipodes flammare nefas, non improba posco vota: piabo manus et eodem pectora ferro

rescindam, dum me moriens hic sceptra tenentem linquat et hunc secum portet minor umbra dolorem.’

Infatti, dopo aver trafitto a morte il fratello, Polinice dà l’ordine di farsi portare scettro e diadema mentre il fratello è ancora vivo (XI, 559-560): huc aliquis propere sceptrum atque insigne comarum, / dum videt. La presenza di questi segni concreti della regalità nel momento culminante dell’azione (come anche altrove: cfr. v. 227; I, 82 s.; II, 457; XII, 89 s.) è particolarmente significativa in un poema in cui la sete di potere è tema onnipresente.225

Facendo un passo indietro, si osserverà anche la reazione di Polinice nel momento in cui vede le armi del fratello prima del duello (XI, 396-402):

sic hostile tuens fratrem; namque uritur alto corde quod innumeri comites, quod regia cassis instratusque ostro sonipes, quod fulva metallo

parma micet, quamquam haud armis inhonorus et ipse nec palla vulgare nitens: opus ipsa novarat

Maeoniis Argia modis ac pollice docto stamina purpureae sociaverat aurea telae.

Polinice ha parimenti una veste di porpora trapunta d’oro (v. 402), uno scudo pure ornato d’oro (v. 502) e un corteggio di comites; anzi, in qualità del genero di Adrasto, egli è superiore per ricchezza al fratello (vv. 430 ss.), come pure l’armatura di Eteocle non supera la sua (inhonorus et ipse, v. 399). Quindi, le armi del fratello lo toccano come simbolo della regalità.226

Paragonando il passo in esame all’episodio analogo della tragedia senecana in cui si incontrano Atreo e Tieste, emerge come quest’ultimo sia

225 P. VENINI, P. Papini Stati Thebaidos liber XI, cit., ad v. 559. 226 Ivi, ad v. 399.

una figura regale “debole”, segnata da squallore e miseria (vv. 505-507).227 Il

dramma di Tieste, esule come Polinice, consiste nel fatto che Atreo non percepisca come lui sia cambiato e prolunghi quindi il “ritratto nero” di Tieste nel presente, concependo un Tieste sempre identico a se stesso: Tieste è condannato a essere identificato con il suo doppio. Viceversa nella Tebaide la coppia dei fratelli non subisce alcun cambiamento: mentre in Seneca Tieste è divenuto positivo, Eteocle e Polinice sono ugualmente negativi sia nel presente che nel passato.

Un altro paragone con la stessa tragedia di Seneca è suggerito dal parallelo lessicale a partire dall’espressione alternis odiis (vv. 339-340) nel secondo canto corale, che richiama fraternas acies alternaque regna (Theb., I, 1), tratto distintivo della guerra fratricida in Stazio. Nel coro del Tieste228 viene

stigmatizzata l’avidità di potere dei regnanti e il cieco furor che li spinge a compiere delitti di ogni genere pur di soddisfare la loro ambizione; il loro comportamento si trova in contrasto con la buona coscienza di chi può governare tranquillamente e senza paura (vv. 339-352)229.

227 Simile è l’aspetto dell’esule Agamennone: squalidam vestem exue [...] ornatus cape pares

meis, laetusque fraterni imperii capesse partem (vv. 524-527).F. CAVIGLIA, “Thyestes conviva”, in

R. GAZICH, a cura di, Il potere e il furore. Giornate di studio sulla tragedia di Seneca (Brescia,

febbraio, 1998), Milano, Vita e Pensiero, 2000, pp. 61-81; rif. p. 67.

228 Cfr. N.T. PRATT (The Stoic Base of Senecan Drama, in «TAPA», 79, 1948, pp. 1-11; rif. p.

11): “Stoic dogma concerning evil and the conflict between reason and passion lies beneath the plays in various aspects including choral passages (il corsivo è mio), concept of character, introspecion, and tone, to a degree which amounts to a distinctive concept of the tragic. [...] Stoicism contributed largerly to make Senecan drama a drama of character, full of strong emotions and violence, and marked by intensity of tone: a landmark, in fact, in the development of psychological drama.”

229 Si tratta dunque dei consueti ingredienti filosofici usati con i chiari fini moralistici: il

vero re è non il potente della terra, ma il sapiente che ha il dominio delle proprie passioni e pertanto è imperturbabile dinanzi a qualsiasi accidente della sorte; l’unico male è il male morale (A.A. LONG, The Stoic Concept of Evil, in «Philosohical Quarterly», 18, 1968, pp. 329- 343), il vizio, degradazione e deterioramento della ragione. Nel Seneca tragico c’è molto del Seneca filosofo. Una continuità inscindibile unisce i due aspetti della sua attività coerente. Le caratteristiche essenziali del re buono ricorrono anche nelle Epistole morali: la perfetta coerenza interiore, la piena libertà dalle affezioni e l’immutabilità del volere, aequalitas ac

tenor vitae per omnia consonans sibi (Ep., XXXI, 8; CXX, 19), immota [...] stabilitas (Ep., LXXI, 27), iudicium verum et inmotum (Ep., LXXI, 32), per cui il saggio è idem […] semper et in omni actu par sibi, iam non consilio bonus, sed more eo perductus, ut non tantum recte facere posset, sed nisi recte facere non posset (Ep., CXX, 10), asperis blandisque pariter invictus (Ep., LXVI, 6), certus iudicii, inconcussus, intrepidus (Ep., XLV, 9).

Quis vos exagitat furor, alternis dare sanguinem

et sceptrum scelere aggredi? Nescitis, cupidi arcium, regnum quo iaceat loco. Regem non faciunt opes, non vestis Tyriae color, non frontis nota regiae, non auro nitidae trabes:

rex est qui posuit metus et diri mala pectoris; quem non ambitio impotens et numquam stabilis favor vulgi praecipitis movet, [...].

L’ambizione è dunque il vizio che sta al centro della rete di connotazioni che definiscono la figura del tiranno. Dal confronto con il coro della tragedia senecana emerge che il comportamento di Eteocle e Polinice ricalca le più malsane passioni che animano Atreo e Tieste: gli esempi presi precedentemente in esame mostrano il carattere ambizioso di Polinice, in quanto la sceptri cupido (Theb., XI, 433) è il movente principale delle sue azioni. L’atteggiamento di Polinice, visto alla luce della spiritualità delle Epistole morali o dei temi e motivi che ricorrono frequentemente nel Seneca tragico, rappresenta il paradigma del vizio e dell’insania mentale.

Utile è anche un confronto con l’opera drammatica di Euripide. Nelle Fenicie l’incontro di Eteocle e Polinice che dovrebbe segnare la loro riconciliazione si trasforma in uno scontro tra i personaggi (vv. 469-585).230 Il

230 Nelle Fenicie di Euripide (vv. 261 ss.) Polinice ed Eteocle hanno un incontro in

presenza della madre, durante una tregua, all’interno delle mura di Tebe; nella versione senecana Eteocle e Polinice si incontrano sul campo prima del duello, dove Giocasta, accompagnata da Antigone, interviene supplichevole per una riconciliazione. Un confronto puntuale con questi modelli è stato svolto da D. VESSEY, “Noxia tela”. Some Innovations in

nucleo del discorso dell’Eteocle euripideo è costituito dall’elogio della tirannia. Giocasta lo accusa di ambire al potere (vv. 531-535):

τί
τῆς
κακίστης
δαιµόνων
ἐφίεσαι

 Φιλοτιµίας,
παῖ;
µὴ
σύ
γ᾿·
ἄδικος
ἡ
θεός·

 πολλοὺς
δ᾿
ἐς
οἴκους
καὶ
πόλεις
εὐδαίµονας
 εἰσῆλθε
κἀξῆλθ᾿
ἐπ᾿
ὀλέθρωι
τῶν
χρωµένων·
 ἐφ᾿
ἧι
σὺ
µαίνηι.231

Stazio capovolge i ruoli dei protagonisti. Non è Eteocle a essere posseduto dal vizio dell’ambizione, ma Polinice: nonostante la situazione politica dei giorni di Stazio sia diversa da quella euripidea (le speculazioni del tiranno Crizia e il suo tentativo di impadronirsi sulla città), la forza movente del comportamento del suo personaggio è rimasta la stessa, ovvero l’ambizione.

In Euripide, d’altronde, la triade tirannide-ricchezza-felicità è individuata da Eteocle come l’unico scopo cui un uomo di valore possa aspirare (vv. 499- 525, sopr. v. 507).232 Anche in questo caso Stazio capovolge dunque le

dinamiche della coppia fraterna, ed è Polinice ad essere servo del vizio: quel vizio che, ricordiamo, è per Seneca il più potente e al tempo stesso più nascosto (Ep., LVI, 10): Et avaritiam itaque ambitionem et cetera mala mentis humanae tunc perniciosissima scias esse cum simulata sanitate subsidunt.

Nel libro II Polinice è frater inops exul (v. 402); il periodo del suo esilio è caratterizzato come pauperis annum (v. 407). Uno dei motivi per cui Argia chiede l’aiuto di Adrasto nella guerra contro Tebe, è quindi la povertà che

231 Cfr. D.J. MASTRONARDE (Euripides. Phoenissae, cit., ad v. 532) nota che Giocasta intende

Φιλοτιµία come sinonimo della tirannia, in quanto nel v. 561 τυραννεῖν è equivalente al φιλότιµος del v. 567. L’uso di Φιλοτιµία nel senso di ambizione per il potere comincia nel tardo V sec. (Aesch., Su., 658; Eum., 1032; Pind., fr. 210).

232 Sallustio, il cui giudizio storico si basa sulle considerazioni sulla natura umana e

sull’esperienza personale, mette a fuoco il carattere ambivalente dell’ambitio per i Romani. In

Cat., XI, 1-4 l’ambitio pare di essere strettamente apparentata con la virtus in quanto porta al

raggiungimento della gloria: Sed primo magis ambitio quam avaritia animos hominum exercebat,

quod tamen vitium propius virtutem erat. Nam gloriam, honorem, imperium bonus et ignavus aeque sibi exoptant; sed ille vera via nititur, huic quia bonae artes desunt, dolis atque fallaciis contendit. Avaritia pecuniae studium habet, quam nemo sapiens concupivit: ea quasi venenis malis inbuta corpus animumque virilem effeminat, semper infinita, insatiabilis est, neque copia neque inopia minuitur.

tormenta Polinice: aspice res humiles, atque hanc, pater, aspice prolem / exulis; huic olim generis pudor (III, 696-697). Nondimeno la natura avida di Polinice viene rivelata solo indirettamente nelle caratteristiche degli altri personaggi fino al libro XI, in cui Polinice definisce se stesso come exilio rebusque exercita egenis / membra vides (vv. 550-551). I versi lasciano intravvedere l’avaritia che guida le azioni di Polinice assieme con l’ambitio, anche se probabilmente Venini ha ragione nel considerare il verso “una passiva adesione al topos retorico della povertà come elemento caratteristico dell’esilio”.233

L’arroganza o lo sdegno, in latino designati dalla parola tumor (un’altra qualità dei tiranni234) sono posseduti in piena misura da Polinice. Il discorso

di Giove mette a nudo un animo teso ad ambizioni smisurate (I, 299): germanum exilio fretum Argolicique tumentem / hospitiis. Nel libro II Laio, apparso in sogno ad Eteocle, caratterizza Polinice come tumidus (II, 114): Hinc tumor, et longus fratri promitteris exul.235 Anche il mite re Adrasto si rende

conto del difetto dei suoi generi: generisque tumentibus (III, 443). Questa caratteristica riappare di nuovo nel libro XI dove Adrasto usa l’epiteto tumidus per Tideo (XI, 217). Adrasto, personaggio che esprime nel poema la dottrina stoica, utilizza i suoi schemi per giudicare i generi: non si dimentichi a questo proposito che nella filosofia stoica tumens è sinonimo di iratus. Queste caratteristiche presuppongono la presenza in Polinice di un vitium proprio del tyrannus. Il desiderio di potere di Polinice è connotato dunque in senso fortemente negativo. Questo tratto è condiviso anche da Eteocle: I, 188: quanto premit omnia fastu!; II, 346: fama duces tumidum narrat raptoque superbum (come anche Creonte in XI, 756; XII, 174).

Stazio enfatizza l’arroganza mettendola in connessione con il furor e lo spirito invidioso (I, 125-129, 316-323; III, 365-382; VI, 316-326; XI, 97-112). Le costellazioni semantiche di furor e di tumultus abbracciano le diverse sfere del

233 P. VENINI,P. Papini StatiThebaidos Liber XI, cit.,ad v. 550. 234 P. V

ENINI, Echi senecani e lucanei, cit., pp. 159, 163. Tumidus viene anche riferito ai

fenomeni naturali, p. es., Sen., Ag., 469: Agitata ventis unda venturis tumet.

235 H.M. MULDER, Liber secundus, cit., ad v. 114: “Vocabulis a tumendi stirpe ductis apud

reale: dagli sconvolgimenti fisici (il gonfiarsi del mare, l’infuriare del vento, il fragore del fulmine), a quelli psichici (la passione) e politici (la guerra civile).236 I termini tumor, tumultus, tumeo, tumidus erano percepiti dai locutori

latini come affini, e infatti la loro parentela è accertata.237

Una volta che Eteocle è salito sul trono, il desiderio di Polinice di riacquistarlo per sé si trasforma in odio e il fratello diventa il rivale. In effetti, il desiderio di vendetta e l’ira contro Eteocle soffocano in Polinice persino il desiderio del regno (XI, 152-154):

ardet inops animi, nec tam considere regno,

quam scelus et caedem et perfossi in sanguine fratris expirare cupit [...].

Polinice dunque rappresenta la personificazione dell’ira per eccellenza. Il tratto caratteristico di questa passione è quello di non essere permanente: di qui il suo carattere improvviso. Illuminante è a questo proposito un’intuizione di Girard:

La tirannia è anch’essa caratterizzata essenzialmente dall’instabilità. In un attimo, il primo che capita sale in vetta al potere ma ne ruzzola giù con altrettanta velocità per essere sostituito da uno dei suoi avversari. C’è sempre un tiranno e sempre degli oppressi, insomma, ma i ruoli si alternano. Così pure, l’ira c’è sempre, ma quando si scatena uno dei fratelli nemici, l’altro riesce a conservare la calma, e viceversa.238

236 Sen., Thy., 27: (Furia ordina) mentes caecus instiget furor; v. 101: Hunc, hunc furorem

divide in totam domum; vv. 252-254 (Atreo confessa) non satis magno meum / ardet purore pectus, impleri iuvat / maiore monstro; v. 682: Quo postquam furens intravit Atreus; v. 739: (Atreus) oblitus in quem fureret. Peril tumultus: Sen., Thy., 85-86: concute insano ferum / pectus tumultu; v. 260 (Atreo confessa): Tumultus pectora attonitus quatit.

237 A. WALDE, J.B. HOFMANN, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg, Winter,

1938, vol. 2, ad “tumeo”, p. 715. Cfr. Verg., Geo., 1, 463 ss.; Sen., Herc. Fur., 1088-1094; Thy., 960-961; Mart., II, 18, 5-8.

238 R. G

IRARD, La violenza e il sacro (ed. or. La Violencé et le sacré, Paris, Grasset, 1972),

In quest’ottica, si capisce perché l’ira sia il tratto distintivo della figura del tiranno ogniqualvolta essa venga rappresentata sulla scena, in un’opera storica o filosofica. È noto il trattato Περὶ
παθῶν
di Zenone, che fu oggetto di imitazione da parte di Aristone di Chio, Erillo di Cartagine, Posidonio, Crisippo. Le loro idee sulle passioni e sull’ira in particolare vengono sviluppate da Cicerone nelle Tuscolane. Il pensiero senecano è conforme a quattro libri del Περὶ
 παθῶν
 di Crisippo, dedicati all’ira.239 Al centro della

filosofia morale di Seneca si collocano infatti il controllo delle passioni e il raggiungimento dell’equilibrio mentale tramite la ragione e la vita conforme