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Segue: l’applicazione del criterio di «specialità per progressione di condotte lesive» Le pratiche commerciali aggressive.

DELLA GIURISPRUDENZA INTERNA E COMUNITARIA

6. Il nuovo orientamento espresso nelle Adunanze Plenarie del Consiglio di Stato del

6.1. Segue: l’applicazione del criterio di «specialità per progressione di condotte lesive» Le pratiche commerciali aggressive.

Volendo esaminare più nel dettaglio il contenuto delle sentenze, i casi sottoposti all’attenzione del Consiglio di Stato concernevano provvedimenti con i quali l’A.G.C.M. aveva sanzionato alcuni professionisti per «avere omesso di informare in maniera adeguata gli acquirenti delle SIM dell’esistenza di servizi accessori già attivati, tra i quali, in particolare, la navigazione in internet e il servizio di segreteria telefonica», i cui costi venivano addebitati all’utente, salvo essere disattivati solo a seguito di una sua espressa richiesta.

Siffatta condotta avrebbe potuto, in astratto, integrare tanto un illecito regolatorio, ossia la violazione degli obblighi di informazione prescritti dall’AGCOM, quanto una pratica commerciale «in ogni caso» aggressiva, ex art. 26, comma 1, lett. f) cod. cons.443.

Seguendo l’iter motivazionale del Consiglio di Stato, una pratica commerciale «in ogni caso» aggressiva, se posta a confronto con le attività sanzionate dalla normativa settoriale, presenta sempre un quid pluris444. Tale

quid pluris, secondo la definizione di pratica aggressiva di cui agli artt. 24 e 25

cod. cons., risiederebbe nell’impiego da parte dell’imprenditore di «molestie» o «coercizione», «compreso il ricorso alla forza fisica o l’indebito condizionamento», idonei a limitare, o addirittura escludere del tutto, la libertà di scelta del consumatore445.

441 Così FIANDACA-MUSCO, op. cit., p. 720.

442 Così CAPPAI, op. cit., p. 902, il quale parla, in particolare, di «specialità per aggiunta». 443 Tale norma dispone, per l’appunto, che è considerata «in ogni caso» aggressiva la pratica

commerciale consistente nell’«esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto, salvo quanto previsto dall’articolo 54, comma 2, secondo periodo».

444 Ecco perché CAPPAI, op. cit., p. 902-903, come si anticipava nella nota 442, utilizza la

locuzione «specialità per aggiunta».

445 Una simile considerazione parrebbe, invero, conseguire all’applicazione del principio di

specialità «per fattispecie astratte» e non «per fattispecie concrete». Il che non mi sembra, tuttavia, sufficiente per sostenere che l’affermazione dello schema della specialità «per

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E, allora, a fronte di pratiche commerciali «in ogni caso aggressive» commesse nei settori regolati e, quindi, realizzabili anche mediante la violazione di obblighi informativi posti dall’Autorità di regolazione, si verificherebbe – lo si anticipava nel paragrafo precedente – «una progressione illecita, descrivibile come ipotesi di assorbimento-consunzione». In tale «progressione», la mera «violazione di obblighi informativi», «illecita secondo il corpus normativo presidiato [dal Regolatore]», configurerebbe l’«elemento costitutivo di un più grave e più ampio illecito anticoncorrenziale vietato secondo la normativa di settore presidiata dall’Autorità Antitrust appellante».

Di qui, il principio di diritto, secondo il quale «la competenza ad irrogare la sanzione per “pratica commerciale considerata in ogni caso aggressiva” è sempre individuabile nell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato».

A ben vedere, come la dottrina più attenta ha opportunamente messo in evidenza446, il revirement (parziale) dell’orientamento giurisprudenziale espresso nel 2012447 risulta, quanto meno per alcuni profili, più apparente che reale.

Le Adunanze Plenarie del 2016 hanno, infatti, certamente esteso la competenza dell’Antitrust anche ai mercati regolati, diversamente da quanto in precedenza disposto. Ma tale estensione può realizzarsi solo in presenza di determinati requisiti, a fronte della complessità delle fattispecie concrete coinvolte.

E, invero, già nelle sentenze pregresse, il Consiglio di Stato aveva sì sostenuto la prevalenza della normativa settoriale su quella generale, ma solo qualora fossero compresenti tre specifiche condizioni. Occorreva, in ogni caso, che la disciplina speciale fosse esaustiva e completa, pienamente conforme all’ordinamento comunitario e dotata di un apparato sanzionatorio efficace e dissuasivo, che, nel rispetto sia della normativa nazionale sia di quella europea, scongiurasse ogni rischio di duplicazione di procedimenti e sanzioni.

Ebbene, la lettura suggerita nel 2016 sembra integrare, piuttosto che innovare, l’orientamento precedente, nel senso di esigere una sua maggiore conformità ai requisiti appena richiamati448.

In primis, le attività sanzionate nella specie non paiono esaustivamente

previste nel Codice delle comunicazioni elettroniche. Nella ricostruzione del Consiglio di Stato, si assiste, come si è detto, a due casi di «specialità per

fattispecie concrete» sia frutto di una mera svista del Consiglio di Stato. Si rinvia, in proposito, alle riflessioni svolte supra al par. 6 del presente cap. II.

446 V. SILVERIO, op. cit., p. 1159.

447 Sul revirement dell’orientamento espresso nel 2012, con particolare attenzione alla

declinazione del criterio di specialità, quale specialità «per fattispecie concrete», v. supra al par. 6 del presente cap. II.

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progressione di condotte lesive», che, muovendo dalla violazione di obblighi informativi della lex specialis, realizzano, in realtà, una pratica commerciale aggressiva – prevista dalla lex generalis –. Tale pratica è ben più grave per entità e disvalore sociale. Non si configurerebbe, quindi, un conflitto astratto di norme, ma una progressione illecita con conseguente «assorbimento-consunzione», nei termini poc’anzi descritti.

In secundis, le sentenze risultano in linea con i rilievi espressi dalla

Commissione UE nella lettera di messa in mora, che ha dato avvio, come è noto, alla procedura di infrazione contro l’Italia per violazione della direttiva 2005/29/CE nel mercato interno449. Secondo la Commissione e contrariamente alla tesi sostenuta sino a quel momento dalla giurisprudenza amministrativa italiana, in forza del principio di specialità, sancito dall’art. 3, comma 4, dir. (e dall’art. 19, comma 3, cod. cons.), per stabilire la disciplina applicabile, è necessario prendere in debita considerazione gli aspetti specifici rilevanti nel caso concreto. Non è corretto, infatti, sancire la mera prevalenza della disciplina settoriale, purché completa ed esaustiva, su quella generale. Conformemente all’impostazione suggerita a livello comunitario, il Consiglio di Stato afferma che lo schema della specialità «per settori» non vada applicato meccanicisticamente. E anzi, il giudice amministrativo va oltre le indicazioni della Commissione, escludendo del tutto l’applicazione di un simile schema e richiamando, invece, – come si è già rilevato – il controverso principio della specialità «per fattispecie concrete». L’eventuale conflitto di attribuzioni tra A.G.C.M. e AGCOM dovrebbe essere risolto, caso per caso450, tenendo conto delle complessità emerse nella prassi.

Il vero revirement delle pronunce del 2016 parrebbe semmai consistere, oltre che nella nuova formulazione del criterio di specialità ampiamente esaminata nel paragrafo precedente, nella portata oggettiva del principio di diritto statuito in tale sede.

Quest’ultimo, stando almeno al dato testuale, appare circoscritto alle sole pratiche commerciali «in ogni caso» aggressive. Ma le sentenze nn. 3 e 4 non precisano se sia possibile estendere le conclusioni formulate dal Consiglio di Stato anche alle altre fattispecie disciplinate dal codice del consumo451. È opportuno, quindi, soffermarsi su tale dato.

449 Si rinvia supra al par. 5 del presente cap. II.

450 Ricorrendo, per l’appunto, all’invero inappropriato schema della specialità «per fattispecie

concrete».

451 Cfr. CAPPAI, op. cit., p. 904. L’a., inoltre, si domanda opportunamente se la portata oggettiva

del principio di diritto formulato dal giudice amministrativo possa estendersi anche alle violazioni dei diritti contrattuali dei consumatori, sanzionabili oggi dall’A.G.C.M., a norma dell’art. 66, comma 2, cod. cons., così come riformulato dal d.lgs. n. 21/2014. Quest’ultima

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Il principio di diritto enunciato nel 2016 dovrebbe applicarsi senza troppe difficoltà alle pratiche commerciali accertate dall’Antitrust come «aggressive»,

ex artt. 24 e 25 cod. cons. Per queste ultime, a differenza di quanto accade per le

pratiche di per sé aggressive, riportate all’interno della cd. black list, di cui all’art. 26 cod. cons., non vige alcuna presunzione legale in merito alla sussistenza del quid pluris, dato da molestie, coercizione (sino all’eventuale ricorso alla forza fisica), o indebito condizionamento, nonché dall’idoneità delle condotte medesime a limitare considerevolmente la libertà di scelta del consumatore medio452. Per contro, le pratiche «in ogni caso» aggressive implicano un’attività istruttoria semplificata da parte dell’A.G.C.M., la quale, di regola, si limita a sussumere i fatti in giudizio nelle ipotesi puntualmente prescritte dalla legge453, senza dover accertare l’esistenza del quid pluris suddetto. Quest’ultimo, però, a livello di fattispecie astratta, risulterà ben presente454.

In una sua recente pronuncia, il TAR del Lazio sembra aver avallato implicitamente tale lettura, rigettando la censura di incompetenza sollevata in relazione a un provvedimento sanzionatorio irrogato dall’Antitrust per violazione degli artt. 20, comma 2, 24 e 25 cod. cons.455.

Ben più complessa appare, a mio avviso, l’estensione del principio di diritto formulato nelle più recenti Adunanze Plenarie alle pratiche commerciali

ingannevoli, incluse quelle «in ogni caso» vietate, ex artt. 21-23 cod. cons.

Mi sembra poco condivisibile, infatti, la tesi di chi ritiene l’estensione senz’altro possibile456, argomentando che, a differenza della mera inosservanza

degli obblighi informativi richiesti dal Regolatore, le pratiche commerciali ingannevoli – al pari delle aggressive – presenterebbero (anch’esse) un quid

pluris, consistente nell’attitudine a provocare una «distorsione» nelle scelte

d’acquisto del consumatore. Tale distorsione discenderebbe «da una falsa

ipotesi, per esigenze di sintesi, non verrà trattata in questa sede. Si rinvia, pertanto, proprio alle riflessioni di CAPPAI, op. cit., in part. p. 907 ss.

452 Si vedano le osservazioni svolte nel cap. I, al termine del par. 2.2., sul rapporto tra clausola

generale, nozioni intermedie e nozioni di dettaglio in tema di PCS.

453 V. CATRICALÀ-PIGNALOSA, Manuale del diritto dei consumatori, Roma, 2013, p. 53. 454 Cfr. CAPPAI, op. cit., p. 905.

455 V. TAR del Lazio, 17 maggio 2016, n. 5809, in appello ad A.G.C.M., 7 ottobre 2015, Provv.

n. 25642 (PS/9249), caso Cattolica assicurazioni-Indebito recupero crediti.

456 Tesi che pure parrebbe essere stata accolta (implicitamente) da alcuna giurisprudenza

amministrativa: TAR del Lazio, 8 giugno 2016, n. 6584, pronuncia resa nel giudizio di impugnazione di A.G.C.M., 3 luglio 2013, Provv. n. 24436 (PS/6783), caso Noatel-servizi

premium non richiesti via sms; TAR del Lazio, 3 gennaio 2017, n. 62, che ha confermato

A.G.C.M., 24 luglio 2013, Provv. n. 24461 (PS/8493), caso Happydent-Vivident-Daygum-

Mentos-Chewingum allo xilitolo; Cons. St., 30 settembre 2016, n. 4048, sentenza resa nel corso

del giudizio di impugnazione di A.G.C.M., 29 ottobre 2013, Provv. n. 24586 (PS/7771), caso

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rappresentazione della realtà alla quale il professionista ricorre nel corso della sua attività commerciale»457.

Le pratiche commerciali aggressive costituiscono, invece, illeciti più gravi non solo delle omissioni informative di diritto settoriale, ma anche delle azioni e omissioni ingannevoli previste dalla lex generalis. Come si è osservato, infatti, tra le due tipologie di pratiche commerciali definite nel codice del consumo, sussiste una «differenza non ontologica, ossia derivante dalla struttura delle fattispecie, ma – per così dire – assiologica», data dalla maggiore intensità del disvalore sociale, che è sempre associato alle pratiche commerciali aggressive458.

È vero che talvolta il confine tracciato dal legislatore sembra labile e risulta tutt’altro che agevole comprendere quale criterio lo abbia spinto a definire alcune pratiche commerciali come «in ogni caso» aggressive e non ingannevoli e viceversa459. Simili ambiguità non vanno, tuttavia, sovrastimate, al punto da ritenere assimilabili le due categorie di pratiche commerciali scorrette. E ritenerle tali, al solo fine di estendere un ragionamento che le Adunanze Plenarie – non a caso – hanno sviluppato con riferimento ad una sola, quella delle pratiche aggressive460.Tale categoria, peraltro, nella ricostruzione del Consiglio di Stato,

457 Così PERUGINI, Le pratiche commerciali scorrette, in AA.VV., Diritto dei consumi. Soggetti,

atto, attività, enforcement, a cura di ROSSI CARLEO, Torino, 2015, p. 179.

458 Si è espresso in questi termini BERTANI, nella sua Relazione dal titolo Pratiche commerciali

ingannevoli fra disciplina generale e regolazione di settore, tenuta a Ferrara, il 25 novembre

2017, in occasione della II sessione del Convegno Disciplina generale delle pratiche

commerciali scorrette e regolazioni di settore: il diritto italiano al vaglio della Corte di Giustizia UE. Lo stesso a., in un successivo saggio in cui rielabora la relazione di Ferrara, mette in guardia

sui limiti delle teorizzazioni di una distinzione assiologica tra le pratiche aggressive e quelle ingannevoli. Si tratterebbe, infatti, di «una differenza apprezzabile soltanto mediante un giudizio di valore dai contorni quanto mai arbitrari» (BERTANI, Pratiche commerciali scorrette e

violazione della regolazione settoriale tra concorso apparente di norme e concorso formale di illeciti, in Nuove leggi civ. e comm., 2018, IV, p. 941).

459 Un caso abbastanza eclatante è dato dal punto 31 dell’All. I, dir. 2005/29/CE, recepito nell’art.

26, comma 1, lett. h) cod. cons. sui messaggi promozionali circa la vincita di premi, per il cui ottenimento si richiede, in realtà, al vincitore di sostenere un costo. Tale pratica è astrattamente definita come «in ogni caso» aggressiva. Tuttavia, la Corte di Giustizia CE, nell’analizzare la fattispecie, ha affermato che essa vada più correttamente ricompresa tra le pratiche commerciali ingannevoli, sussistendo un inganno a scapito del consumatore. V. Corte CE, 18 ottobre 2012,

Purely Creative Ltd e altri contro Office of Fair Trading, C-428/11, in Danno e resp., 2013,

VIII-IX, p. 823 ss., con nota di MONTANI, A caval donato non si guarda in bocca? Pratiche

commerciali scorrette al vaglio della Corte di Giustizia. La sentenza è stata menzionata anche

nella sua Relazione da CARONNA, Un tentativo di inquadramento sistematico del divieto delle

pratiche aggressive, ined., tenuta a Ferrara nel Convegno Disciplina generale delle pratiche commerciali scorrette e regolazioni di settore: il diritto italiano al vaglio della Corte di Giustizia UE, cit.

460 D’altra parte, a conferma di simili perplessità, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, nel

disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE sulla questione – rinvio che sarà approfondito nel prossimo par. –, ha previamente osservato che il problema «dell’individuazione dell’Autorità competente ad irrogare la sanzione (…) dipende, a sua volta (quanto meno in parte), dalla risoluzione della questione relativa alla legittimità, o meno, della qualificazione della condotta addebitata alla Società sub specie di “pratica commerciale aggressiva” e di “pratica commerciale in ogni caso aggressiva”».

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comprenderebbe anche comportamenti meramente omissivi, quali il mancato adempimento di obblighi informativi. Il che desta ulteriori perplessità, giacché l’indebita ingerenza nella sfera volitiva del consumatore propria delle pratiche commerciali aggressive sembrerebbe richiedere una condotta necessariamente commissiva. Tanto è che la disciplina sulle PCS prevede espressamente le omissioni ingannevoli, ma nulla dice in merito a ipotetiche omissioni aggressive461.

In conclusione, appare a mio avviso preferibile limitare l’applicazione del principio di diritto sancito nel 2016 alle sole attività promozionali aggressive. Una simile lettura presenta, tuttavia, profili di criticità. Essa sancisce la competenza esclusiva dell’A.G.C.M. ad accertare e sanzionare, all’interno dei mercati regolati, una sola tipologia di illecito, tra quelle previste dagli artt. 18 ss. cod. cons. Circostanza che, da un lato, potrebbe indurre l’Antitrust a qualificare come «aggressive» condotte definibili in termini di mera decettività, solo per evitare contestazioni sull’esercizio dei suoi poteri462; e, dall’altro, potrebbe

favorire la massiva proposizione di difese che chiedano di «de-rubricare» il titolo dell’illecito, per ottenere una declaratoria di incompetenza dell’A.G.C.M.463.

7. Le ordinanze di rinvio pregiudiziale, ex art. 267 TFUE: il diritto

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