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3. La promozione dei codici di condotta nel contrastare le pratiche commerciali vietate.

3.1. Il ruolo dell’autodisciplina e le ragioni del favor legislativo.

Dalla definizione dei codici di condotta e, in particolare, dai profili contenutistici, è possibile desumere le funzioni a cui sono preordinate tali fonti di soft law e le ragioni per cui i legislatori comunitario e nazionale mostrano – almeno astrattamente – un favore per la loro adozione e promozione.

I codici di condotta consentono di specificare ed esemplificare i concetti normativi previsti in materia di pratiche commerciali scorrette.

Se il testo comunitario e le disposizioni di recepimento nazionale sono piuttosto dettagliati nell’individuare le pratiche lesive del comportamento economico del consumatore medio, l’autodisciplina costituisce uno strumento regolativo più duttile. Ricorrendo ai codici di condotta, infatti, è possibile specificare ulteriormente le prescrizioni legislative, anche in considerazione delle peculiarità dei singoli settori economici. Trattandosi di regole autopoietiche, poste dagli stessi operatori che svolgono le attività promozionali ivi disciplinate, esse appaiono poi più vicine alla realtà dei fenomeni di cui trattano; inoltre, quali fonti di soft law, possono adattarsi più rapidamente ai cambiamenti di un mercato in continua evoluzione.

Nell’ambito delle PCS, il ricorso esclusivo ad una normativa inderogabile esterna che detti i comportamenti leciti e quelli vietati rischierebbe di essere visto con minor favore rispetto ad un sistema integrato di fonti, a cui

179 Cfr. GRAZZINI, L’origine negoziale del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, in AA.VV.,

Commentario al Codice dell’Autodisciplina pubblicitaria, a cura di RUFFOLO, cit., p. 13.

180 L’autodisciplina, in tal modo, può perseguire interessi generali diversi da quello meramente

economico dei consumatori (cd. public policy issues), quali buon gusto, salute e sicurezza dei medesimi.

181 Simili prescrizioni aggiuntive del legislatore nazionale hanno destato dubbi di compatibilità

con la direttiva, che, tuttavia, sono stati risolti in senso positivo dalla dottrina (Si veda, per tutti, FABBIO, I codici di condotta nella disciplina delle pratiche commerciali sleali, cit., p. 711-712). D’altronde, la stessa direttiva nei suoi Considerando autorizza gli Stati membri a vietare pratiche commerciali per ragioni di buon gusto e decenza (Considerando n. 7) e a prescrivere anche nuovi divieti motivati dalla tutela della salute e della sicurezza dei consumatori (Considerando n. 9). L’art. 27 bis cod. cons. risulta, quindi, compatibile con la normativa comunitaria, riflettendo anche l’esperienza nazionale dell’autodisciplina pubblicitaria nella sua ambizione moralizzatrice Si rinvia sul punto a: STELLA, Pratiche commerciali scorrette, in AA.VV., Codice del Consumo, a cura di CUFFARO, cit., Art. 27 bis, p. 274.

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concorrano anche regole emanate dai diretti interessati e volontariamente accettate182.

A ben vedere, i codici di condotta non si limitano a puntualizzare le clausole generali della legislazione consumeristica, ma le connotano anche di contenuti deontologici. L’autodisciplina concorre, infatti, a delineare la nozione di diligenza dell’imprenditore sul mercato183. Nozione di non facile

determinazione, giacché il concetto di pratica «onesta»184, secondo buona fede, rapportata al normale grado di competenza e attenzione che il consumatore ragionevolmente richiede, presuppone il rinvio altresì a standard extra-legali185. Di qui la funzione dei codici di descrivere «dal basso», ossia dal punto di vista degli stessi destinatari delle regole ivi previste, il modello del «buon professionista».

La previsione nei codici di organismi e procedure private di controllo e sanzione consente, peraltro, alla soft law di fungere da strumento deflattivo del contenzioso giudiziario.

Risponde, infine, ad un auspicio espressamente formulato dalla Commissione durante i lavori preparatori della direttiva186, la possibilità che i codici di condotta innalzino, entro i limiti consentiti dalla legge comunitaria e nazionale187, gli standard di tutela del consumatore. Nel perseguire una simile finalità, l’autodisciplina può discostarsi dal contenuto della direttiva. Tuttavia, codici che elevino lecitamente la tutela dei consumatori non potranno vincolare i non aderenti. Il che, a ben vedere, vale per tutti i codici di condotta, quali fonti private ad adesione volontaria, salva l’eventualità in cui tali sistemi di regole possano qualificarsi come usi negoziali o normativi188.

Si è osservato, però, che seppure, per ipotesi, si conferisse generale

182 Il legislatore comunitario, nell’adottare la direttiva del 2005, auspicava, inoltre, che il

coinvolgimento degli stakeholders nei processi normativi potesse ridurre le distanze tra istituzioni europee e cittadini. Si rinvia, sul punto, a FABBIO, I codici di condotta nella disciplina

delle pratiche commerciali sleali, cit., p. 707. Cfr. anche Libro Bianco sulla governance europea,

Bruxelles, 5 agosto 2001, COM (2001) 428 def./2, p. 21-23.

183 Sulla diligenza professionale si tornerà ampiamente infra ai par. 4 ss. del cap. III.

184 L’aggettivo, connotato da un’emblematica sfumatura etica, è impiegato nell’art. 1 del Codice

di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale (su cui infra al par. 3.3 del presente cap. I); presente nel testo originario della direttiva, è poi scomparso in sede di recepimento della stessa da parte del legislatore nazionale. Cfr. DE CRISTOFARO, La nozione generale di pratica

commerciale «scorretta», in AA.VV., Pratiche commerciali scorrette e codice del consumo. Il

recepimento della direttiva 2005/29/Ce nel diritto italiano (decreti legislativi nn. 145 e 146 del 2 agosto 2007), a cura di DE CRISTOFARO, cit., p. 149.

185 V. GENTILI, Pratiche sleali e tutele legali: dal modello economico alla disciplina giuridica,

cit., p. 42.

186 Follow-up Communication to the Green Paper on EU Consumer Protection, Brussels, 11th

June 2002, COM (2002) 289 final, p. 30.

187 Si fa riferimento, in particolare, ai divieti di intese restrittive della concorrenza, in contrasto

con la normativa antitrust.

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vincolatività a codici più favorevoli ai consumatori, non ne deriverebbero necessariamente effetti auspicabili. Potrebbe favorirsi, infatti, la diffusione di fonti diverse da Paese a Paese o persino all’interno del territorio di un medesimo Stato membro, a scapito dell’esigenza generale di certezza del diritto e minando lo stesso obiettivo di armonizzazione completa promosso dalla direttiva; potrebbero, inoltre, addossarsi costi eccessivi alle imprese in contrasto con il principio di proporzionalità perseguito dalla fonte comunitaria189.

Tale opinione, in realtà, sembra esprimere soprattutto il punto di vista delle imprese. Nell’ottica del consumatore, la possibilità di disposizioni più favorevoli rispetto alla direttiva avrebbe sicuramente una sua giustificazione. Mentre i costi potenzialmente elevati verrebbero volontariamente accettati dai professionisti e, quindi, non sarebbero imposti. Inoltre, le incertezze applicative causate dalla sussistenza di una pluralità di codici potrebbero essere compensate dalla maggiore capacità delle fonti di soft law di adeguarsi agli specifici contesti nazionali.

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