QUADRO NORMATIVO
7. La scorrettezza del professionista e la sorte del contratto concluso a valle di una pratica commerciale vietata.
7.1. Il dibattito intorno ai rimedi civilistici: la nullità.
La dottrina prevalente, all’esito del dibattito a cui si accennava nel paragrafo precedente, ha concluso che la slealtà di una pratica commerciale possa essere tanto determinante da condizionare l’an della stipulazione del contratto. E laddove questo fosse concluso, la slealtà medesima potrebbe finire per incidere in radice sull’efficacia del vincolo obbligatorio che ne deriva.
Nel silenzio del legislatore italiano, pertanto, la questione centrale è quella dell’individuazione della tecnica attraverso la quale giungere alla declaratoria di siffatta inefficacia. Come è noto, la prima soluzione ipotizzata è apparsa quella dell’invalidità, distinguendosi da parte degli interpreti tra il rimedio generale della nullità e quello più specifico dell’annullabilità.
La nullità, suggerita invero nei commenti più risalenti710, sarebbe una nullità virtuale, perché non espressamente sancita dal legislatore, eppure certamente compresa nel divieto generale di pratiche commerciali scorrette, tanto da rendere illecito il contratto. Si tratterebbe poi di una nullità di protezione, prevista unicamente nell’interesse diretto e immediato del contraente-consumatore. Tale nullità, rilevabile d’ufficio e imprescrittibile, sarebbe, inoltre, parziale: non essendo per lo più interessati gli elementi essenziali del contratto, essa invaliderebbe le singole clausole del regolamento contrattuale, e non il contratto di consumo nella sua interezza. Quest’ultimo, in forza del principio di conservazione, dovrebbe, invece, rimanere complessivamente valido ed efficace.
Su tutte le caratteristiche della nullità appena menzionate si sono sollevate obiezioni in dottrina711.
In primo luogo, per quanto riguarda la parziarietà, essa mal si attaglia agli esempi di pratiche commerciali vietate e relativi contratti: si pensi
709 V. STANCA, op. cit., p. 208; TENELLA SILLANI, Pratiche commerciali sleali e tutela del
consumatore, in Obbl. e contr., 2009, X, p. 777.
710 V. COSTA, Pratiche commerciali sleali e rimedi: i vizi della volontà, in AA.VV., Le pratiche
commerciali sleali. Direttiva comunitaria e ordinamento italiano, a cura di MINERVINI-ROSSI
CARLEO, cit., p. 245 ss.; GENTILI, Codice del consumo ed esprit de géométrie, cit., p. 171. In un suo lavoro successivo, alla luce dell’intervento della Cassazione a sezioni unite, quest’ultimo a. è tornato sull’argomento, preferendo, pur con alcune riserve, il rimedio dell’annullabilità (GENTILI, Pratiche sleali e tutele legali: dal modello economico alla disciplina giuridica, cit., p. 37 ss.).
711 Cfr., tra gli altri, DI CATALDO, Conclusioni, in AA.VV., I decreti legislativi sulle pratiche
commerciali scorrette. Attuazione e impatto sistematico della direttiva 2005/29/CE, a cura di
ANNA GENOVESE, cit., p. 333 ss.; GRANELLI, op. cit., p. 779 ss.; CALVO, Le pratiche commerciali
sleali «ingannevoli», cit., p. 147 ss.; MAUGERI, op. cit., p. 281 critica la nullità come rimedio generale, ma la ammette in casi particolari.
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all’affermazione non rispondente al vero, da parte del professionista, di essere firmatario di un codice di condotta, ex art. 23, comma 1, lett. a) cod. cons.; ovvero all’esibizione di un marchio di fiducia o di qualità, senza averne l’autorizzazione (lett. b)); ovvero ancora, all’asserzione, contraria al vero, che un codice di condotta abbia l’approvazione di un organismo pubblico o di altra natura (lett. c)). Come si è opportunamente osservato, in simili fattispecie «non ci sono parti del contratto da eliminare lasciando in piedi la rimanente parte»712. In secondo luogo, per quanto riguarda la natura di nullità di protezione, vi è chi ha invocato l’art. 143 cod. cons., che definisce come irrinunciabili i diritti attribuiti ai consumatori e sancisce la nullità di qualsivoglia pattuizione in contrasto con le norme del codice. Si è, allora, sostenuto che, in generale, possa essere colpito da nullità di protezione, ex art. 36 cod. cons.713, ogni accordo in violazione di tali diritti, equità, correttezza e buona fede compresi. A ben vedere, però, l’art. 143 cod. cons. si limita a prevedere la nullità della clausola con cui il consumatore rinunci pattiziamente a propri diritti ex lege irrinunciabili. E, dunque, tale disposizione non potrebbe eleggersi a statuto generale di tutte le nullità previste nel codice del consumo714.
In terzo luogo, con riguardo alla natura di nullità virtuale, si è argomentato che la nullità prevista dall’art. 1418715, comma 1, c.c. non consegue alla violazione di qualsiasi norma imperativa, occorrendo, per contro, che quest’ultima attenga specificamente al contenuto del contratto come atto716.
712 Cfr. MAUGERI,op. cit., p. 270.
713 Si tratta di una nullità che «opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata
d’ufficio dal giudice», come precisa il comma 3 dell’art. 36 cod. cons., rubricato, per l’appunto,
Nullità di protezione e riferito alle clausole considerate vessatorie, a norma degli artt. 33-34 cod.
cons.
714 In terzo luogo, una parte della dottrina ha sostenuto la tesi della nullità, in riferimento alle
pratiche aggressive, rinviando all’art. 16, comma 4, d.lgs. n. 190/2005, concernente la commercializzazione a distanza dei servizi finanziari ai consumatori. La disposizione prevede espressamente il rimedio della nullità per sanzionare la pratica aggressiva ivi menzionata. La norma è poi confluita nell’art. 67 septies decies, comma 4, cod. cons., il quale commina la nullità del contratto in materia di servizi finanziari, quale conseguenza delle fattispecie in cui il professionista-fornitore ostacoli il diritto di recesso del consumatore, o rifiuti il rimborso delle somme pagate dopo il recesso, o violi i corrispondenti obblighi di informativa precontrattuale, così da alterare significativamente la rappresentazione del consumatore circa le caratteristiche del prodotto. Il comma 5 del medesimo art. precisa che si tratti di una nullità relativa, che può essere fatta valere dal solo consumatore e non anche dal fornitore, e obbliga il fornitore medesimo a restituire quanto ricevuto. V. DI NELLA,Prime considerazioni sulla disciplina delle pratiche commerciali aggressive, cit., p. 62.
715 Ai sensi dell’art. 1418 c.c., rubricato Cause di nullità del contratto: «1. Il contratto è nullo
quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. 2. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’articolo 1325, l’illiceità della causa, l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’articolo 1345 e la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’articolo 1346. 3. Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge».
716 In altri termini, la nullità deve necessariamente conseguire alla mancanza di uno o più dei
requisiti del contratto (come atto), elencati tassativamente nel comma 2 dell’art. 1418 c.c. Sul punto, la dottrina, già prima delle sezioni unite del 2007, rinviava a una sentenza della Suprema
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Ecco, dunque, che, richiamando la tradizionale dicotomia tra «norme di validità» e «norme di comportamento»717, si riproduce un dibattito già acceso in altri ambiti, tutti collegati all’attuazione e al rispetto di norme di derivazione comunitaria e attinenti al buon funzionamento del mercato. Alcuni autori hanno sostenuto che le pratiche commerciali scorrette rappresentino una mera violazione di norme di comportamento e non abbiano incidenza alcuna sul contenuto dell’atto, rectius su uno dei suoi elementi costitutivi718. Le condotte vietate non potrebbero, pertanto, dar luogo alla nullità del contratto concluso tra il consumatore vittima della scorrettezza e il professionista autore della medesima.
I sostenitori della nullità l’hanno, infine, giustificata in ragione dell’irrazionalità della scelta di consumo e, dunque, del contratto viziato da attività promozionali scorrette. Ma anche siffatto argomento appare poco risolutivo, giacché, sulla base della medesima premessa, vi è chi, per contro, è giunto a optare per l’annullamento719.
Corte del 2005, secondo cui «la contrarietà a norme imperative considerata quale causa di nullità del contratto postula che essa attenga a elementi intrinseci dell’atto che riguardino la struttura o il contenuto del contratto. I comportamenti tenuti nel corso delle trattative o dell’esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale e la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo a nullità» (Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, in Foro it., 2006, I, c. 1105).
717 In realtà, una simile dicotomia, almeno nella sua accezione più rigida, può dirsi superata o in
via di definitivo superamento, già solo guardando alle discipline in tema di clausole abusive e di subfornitura nelle attività produttive, le quali prescrivono, rispettivamente, la nullità delle clausole abusive e dei patti che realizzino abusi di dipendenza economica. Non manca, tuttavia, chi ritiene che il rimedio invalidante, previsto per clausole abusive dall’art. 36 cod. cons., trovi la propria giustificazione nello squilibrio tra le posizioni contrattuali e non nella violazione di una regola di correttezza (MENGONI, Problemi di integrazione della disciplina dei «contratti del
consumatore» nel sistema del codice civile, in AA.VV., Studi in onore di Pietro Rescigno, Diritto
privato. Obbligazioni e contratti, vol. III, Milano, 1998, p. 539 ss.). A sostegno di tale ultima
tesi, un altro autore (POLIDORI, Discipline della nullità e interessi protetti, Camerino-Napoli, 2001, p. 236 ss.) ritiene che la condotta abusiva, contraria a buona fede, non costituisca la ragione ultima della nullità, bensì un mero presupposto di operatività della stessa. Il rimedio si giustificherebbe, allora, per l’alterazione della causa dello scambio di prestazioni, dovuta a un’irragionevole sperequazione nella distribuzione di vantaggi e svantaggi e non nella violazione della buona fede. Al di là di simili posizioni più «conservative», ulteriori dimostrazioni dell’anacronismo della non interferenza tra regole di correttezza e di validità possono, però, trarsi dalla disciplina in tema di contratti negoziati fuori dai locali commerciali e di contratti a distanza, laddove si configura uno stretto legame tra l’inosservanza dei doveri informativi, fondati sulla correttezza e l’efficacia del consenso. Si veda, in proposito, STANCA, op. cit., p. 212.
718 Cfr. NUZZO,Pratiche commerciali sleali ed effetti sul contratto: nullità di protezione o
annullabilità per vizi del consenso?, in AA. VV., Le pratiche commerciali sleali. Direttiva
comunitaria e ordinamento italiano, a cura di MINERVINI-ROSSI CARLEO, cit., p. 235 ss.
719 GENTILI,Pratiche sleali e tutele legali: dal modello economico alla disciplina giuridica,
Relazione al Convegno dal titolo La riforma del Codice del Consumo: la tutela del consumatore cliente nei servizi bancari e finanziari, cit., consultabile su http://www.agcm.it;ID., Pratiche
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Si ricordi che l’intervento della Cassazione a sezioni unite nel 2007720 ha sciolto definitivamente la questione721. Tale soluzione ha trovato conferma anche nella giurisprudenza più recente722.
Tutt’al più, taluni interpreti hanno poi ammesso il ricorso alla nullità, nell’eventualità in cui essa sia espressamente prevista come conseguenza dei comportamenti tenuti dai contraenti, anche in una fase prodromica alla conclusione del contratto723. In simili ipotesi, non verrebbe, però, in rilievo una nullità virtuale, ex art. 1418, comma 1, c.c., bensì una nullità testuale, a norma del comma 3 del medesimo articolo. In alternativa, non si è escluso che un contratto viziato da condotte promozionali sleali possa pur sempre rivelarsi nullo «per altre autonome ragioni»724.
720 V. Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725, in Contr., 2008, III, p. 221 ss., con
nota di SANGIOVANNI, Inosservanza delle norme di comportamento: la Cassazione esclude la
nullità. Per altri commenti, si rinvia a GENTILI, Disinformazione e invalidità: i contratti di
intermediazione dopo le Sezioni Unite, ivi, p. 393 ss.; MAFFEIS, Discipline preventive nei servizi
di investimento: le Sezioni Unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere, ivi,
p. 403 ss.; SALANITRO, Violazione della disciplina dell’intermediazione finanziaria e
conseguenze civilistiche: ratio decidendi e obiter dicta delle sezioni unite, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, p. 445 ss.; VETTORI, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni
Unite. La buona fede come rimedio risarcitorio, in Obbl. e contr., 2008, p. 104 ss.
721 In un caso di intermediazione finanziaria, la Suprema Corte ha precisato che la violazione dei
doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati può dare luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ovvero a responsabilità contrattuale, con eventuale risoluzione del contratto di intermediazione, a seconda che la violazione avvenga in una fase anteriore alla stipulazione di tale contratto o in esecuzione dello stesso; ma non può mai comportare una nullità, ex art. 1418, comma 1, c.c., mancando un’esplicita previsione normativa in tal senso. Infatti, a detta delle sezioni unite, «deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità». V. ZORZI GALGANO, Sull’invalidità del contratto a valle di una pratica
commerciale scorretta, cit., p. 933-934.
722 V. Cass., 1° giugno 2016, n. 11401, in Diritto & Giustizia 2016; Cass., 8 febbraio 2016, n.
2414, in Guida al dir. 2016; Cass., 10 aprile 2014, n. 8462, in Giust. civ. mass. 2014; Trib. Roma, 3 marzo 2017, n. 4393, in Redazione Giuffrè 2017. In tali pronunce, è ribadito che «unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile, ove non altrimenti stabilito dalla legge, di determinare la nullità e non già la violazione di norme riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere fonte di responsabilità» (Cass., 1° giugno 2016, n. 11401, cit.). In verità, tale tesi si presta a considerazioni critiche. La lettura dell’art. 1418 c.c. mi sembra, infatti parziale, poiché fondata sul carattere assorbente del secondo comma della medesima disposizione, che prevede cause di invalidità connesse all’atto contrattuale. Ma il comma 2 ha invero solo portata esplicativa – volendo definire ipotesi certe di nullità – e non esaustiva. Pertanto, il comma 1 dell’art. 1418 c.c., nella misura in cui menziona le norme imperative, potrà includere anche previsioni che impongano un determinato comportamento, qualora esso presenti carattere di imperatività, ossia persegua interessi di natura pubblicistica o superindividuale che debbono, in ogni caso, prevalere sulla volontà delle parti. D’altronde, la tradizionale dicotomia tra «norme di validità» e «norme di comportamento» può dirsi oramai in fase di definitivo superamento (v. supra alla nota 717).
723 Lo ricorda anche GRANELLI,op. cit., p. 779-780.
724 Così, ancora, GRANELLI,op. cit., p. 780-781. L’a. riporta, a titolo esemplificativo, una serie
di casi. Ne cito alcuni: se il prodotto oggetto di vendita si rivela inesistente, il relativo contratto sarà nullo non in conseguenza di una condotta scorretta del professionista, ex art. 1418, comma 1, c.c., ma per impossibilità del suo oggetto, contrariamente a quanto preteso dall’art. 1346 c.c.
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