3. La promozione dei codici di condotta nel contrastare le pratiche commerciali vietate.
3.3. L’esperienza positiva del Codice di Autodisciplina della
Comunicazione Commerciale.
In Italia, il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, da oltre cinquant’anni, rappresenta la fonte di soft law per antonomasia in ambito pubblicitario210.
Come si è anticipato sopra211, nei primi anni di vigenza del Codice e fino all’approvazione del d.lgs. n. 74/1992, l’autodisciplina pubblicitaria ha svolto un ruolo cruciale di supplenza, regolamentando in via esclusiva la materia e costituendo un esempio pressoché unico nel panorama internazionale dell’epoca. Il Codice, come si legge nelle norme preliminari e generali, «definisce le attività in contrasto» con le sue finalità, «ancorché conformi alle vigenti disposizioni legislative». Nella sua portata innovatrice, dunque, esso non solo ha finalmente riconosciuto protezione diretta ai consumatori, ma si è posto anche quale sistema normativo «parallelo» rispetto a quello statuale212.
L’autonomia dell’autodisciplina pubblicitaria si evince, peraltro, dagli strumenti preordinati a garantirne l’osservanza. L’effettività delle regole del Codice, infatti, è assicurata dall’adesione di imprese e operatori del settore che adempiono spontaneamente alle sue prescrizioni ovvero sono chiamati ad
dei Servizi che il medesimo si è obbligato a rispettare», giudicata, però, non ingannevole. Nella delibera non si fa menzione alcuna di attività di commercializzazione che ingenerino confusione con prodotti, marchi, etc. del concorrente, ex art. 21, comma 2, lett. a), cod. cons.
210 Il Codice (precedentemente denominato Codice di Autodisciplina Pubblicitaria o C.A.P.), sin
dalla sua prima versione datata 1966, viene emanato dagli organismi più rappresentativi delle diverse categorie di operatori pubblicitari. L’ultima edizione, la 64a, in vigore dal 2 maggio 2018
è consultabile sul sito http://www.iap.it.In argomento, si vedano, tra gli altri, STRUKUL,La variegata esperienza dei codici di condotta, tra diritto dei contratti e autodisciplina, in Obbl. e contr., 2011, X, p. 681 ss.; UBERTAZZI, Le PCS e il futuro dell’autodisciplina, in Dir. ind., 2010, IV, p. 374 ss.
211 V. al par. 1 del presente cap. I.
212 Si è rilevato come l’autodisciplina pubblicitaria abbia fatto dell’autonomia rispetto
all’ordinamento dello Stato la sua bandiera (AUTERI, Il codice di autodisciplina pubblicitaria, in AA.VV., Le fonti di autodisciplina. Tutela del consumatore, del risparmiatore, dell’utente, a cura di ZATTI, Padova, 1996, p. 20).
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ottemperare alle decisioni del Giurì. Decisioni queste ultime di natura contrattuale, giacché assunte da un arbitro, non contestabili dinanzi all’autorità giudiziaria, salvo i limiti di impugnabilità dell’art. 808 ter c.p.c., visto che, per opinione ormai unanime, si tratta di arbitrato irrituale213.
«L’insieme delle regole del Codice – continua la disposizione di apertura – esprimendo il costume cui deve uniformarsi l’attività di comunicazione, costituisce la base normativa per l’autodisciplina della comunicazione commerciale». Il rinvio al «costume» conferma la genesi contrattuale del Codice. Non si tratta, tuttavia, come pure si era ipotizzato nei primi anni di vita del sistema, di un mero insieme di precetti morali e, dunque, di un fenomeno extra-giuridico214. L’autodisciplina pubblicitaria presenta, invece, natura strettamente giuridica215 e la dottrina216 già da tempo l’ha ricondotta nell’ambito della teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici formulata da Santi Romano217.
Non sono mancate, peraltro, enfatizzazioni dell’autonomia di un simile sistema, al punto che per alcuni esso costituirebbe un ordinamento giuridico originario, che non troverebbe nella legge ma in se stesso il fondamento della sua efficacia218. Tesi, tuttavia, contraddetta dai richiami espressi ai codici di condotta contenuti nella normativa consumeristica. Tali richiami confermano come l’autodisciplina costituisca un sistema di regole «svincolato» ma «derivato» dall’ordinamento statuale e, dunque, a quest’ultimo subordinato.
Il carattere originario e indipendente di un sistema normativo deve essere valutato dal punto di vista dell’ordinamento positivo. Quest’ultimo si pone quale sistema onnicomprensivo, che non ammette «invasioni di campo» da parte della volontà dei privati. Il che non esclude potenziali «spazi di irrilevanza», sottratti alla sua regolamentazione219; ovvero ambiti di disciplina, in cui è lo stesso ordinamento statuale a rinviare alla regolamentazione da parte dei privati. In ogni caso, non è certo l’autonomia contrattuale, ma pur sempre lo Stato a delimitare i confini della propria competenza. Difficilmente, esso avrebbe mai potuto considerare irrilevante l’autodisciplina pubblicitaria, perché, pur essendo
213 Sul punto si rinvia infra alla nota 239.
214 In merito alla natura giuridica del C.A.P. si sono interrogati, tra i tanti: BORRELLI,
Autodisciplina pubblicitaria e leggi nazionali, in Dir. ind., 1981, I, p. 367 ss.; GUGGINO,
Considerazioni intorno alla natura giuridica dell’autodisciplina pubblicitaria, in Rass. dir. civ.,
1989, I, p. 331 ss.
215 Trib. Milano, 22 gennaio 1976, in Dir. ind., 1977, p. 91 ss.
216 V. SORDELLI, Voce Pubblicità (disciplina della), in Enc. giur. Treccani, XXV, Roma, 1991,
p. 24; FLORIDIA, Autodisciplina e funzione arbitrale, in Dir. ind., 1991, I, p. 7.
217 V. ROMANO, L’ordinamento giuridico, rist. II ed., Firenze, 1962, p. 24 ss., p. 104 ss. 218 Cfr. AUTERI, Il codice di autodisciplina pubblicitaria, in AA.VV., Le fonti di autodisciplina.
Tutela del consumatore, del risparmiatore, dell’utente, cit., p. 20-21.
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un sistema originato dall’iniziativa di privati220, è destinato ad incidere su
interessi anche generali, regolamentando l’attività delle imprese sul mercato221.
Una storica sentenza del Tribunale di Milano222 ha da tempo chiarito che «la disciplina giuridica della pubblicità, essendo caratterizzata dall’uso delle cd. clausole generali223, apre per definizione uno spazio nel quale può lecitamente esplicarsi quella forma di esercizio dell’autonomia negoziale che dà origine ad un ordinamento privato cd. derivato, costituente una tipizzazione coerente con l’equilibrio degli interessi privati collettivi e pubblici al quale la disciplina statuale è imperativamente preordinata».
Il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, quale ordinamento «derivato» e fenomeno contrattuale, è soggetto ad un controllo di validità da parte dello Stato224. I due sistemi normativi – statuale e autodisciplinare – sono «paralleli» e operano su piani distinti225, ma risultano, al contempo, tra loro integrati e complementari226. Pertanto, qualora si verifichino i presupposti dell’art. 21 cod. cons., ossia laddove un determinato comportamento configuri una pratica commerciale ingannevole, violando, al contempo, gli impegni assunti dal professionista nel Codice, i due piani verranno a coincidere227. Potranno, pertanto, applicarsi le previsioni del codice del consumo e la giurisdizione dell’A.G.C.M. e dell’A.G.O. accanto ai poteri arbitrali del Giurì.
Si ripropone così il problema dei limiti di utilizzabilità dei codici di condotta. Il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale è valido e rilevante, solo ove i suoi contenuti risultino secundum legem, o al più –
220 Riuniti, a partire dal 27 gennaio 1997, nell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (I.A.P.). 221 V. AUTERI, op. ult. cit., p. 21.
222 Trib. Milano, 22 gennaio 1976, cit., p. 92.
223 Su cui ci si è ampiamente soffermati supra al par. 2.1. del presente cap. I.
224 Tale codice deve, infatti, presentare una causa lecita, ex art. 1343 c.c., la quale – poiché atipica
– dovrà, inoltre, perseguire interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322, comma 2, c.c.); le singole disposizioni che ne costituiscono l’oggetto, devono avere un contenuto possibile, lecito, determinato o determinabile, ai sensi dell’art. 1346 c.c.; i vincoli soggettivi posti in essere dal Codice andranno assunti nelle forme previste dal diritto positivo (GRAZZINI, Norme preliminari e generali, cit., p. 15-16).
225 Come recentemente chiarito dal giudice amministrativo, «l’eventuale conformità a codici di
condotta non può ritenersi scriminare una pratica commerciale scorretta, in quanto la conformità della condotta sanzionata ai parametri dettati, in ambito privatistico, da codici di condotta, non è idonea ad attestare l’assolvimento degli oneri di diligenza imposti dal codice del consumo, da valutarsi alla luce delle diverse finalità di tutela allo stesso sottese, non potendo le valutazioni di un organismo di autodisciplina elidere le diverse competenze e natura dell’intervento dell’Autorità» (TAR del Lazio, 6 settembre 2017, n. 9607, in Foro amm., 2017, p. 1890).
226 V. ARCHIUTTI, I rapporti tra l’autodisciplina pubblicitaria e la normativa statale in materia
di pubblicità ingannevole e comparativa illecita, in AA. VV., Commentario al Codice
dell’Autodisciplina pubblicitaria, a cura di RUFFOLO, cit., p. 481.
227 E stando alla lettera dell’art. 21, comma 2, cod. cons. ingenerando, altresì, confusione con i
prodotti, i marchi, etc. di un concorrente. Tuttavia, la dottrina, confortata dalla prassi, non richiede che debbano realizzarsi anche le condizioni della lett. a) della disposizione. Si rinvia alle riflessioni riportate nel par. precedente.
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entro ben definiti limiti soggettivi – praeter legem, mai contra legem. La violazione di una sua prescrizione non è sufficiente ad integrare una pratica commerciale scorretta, dovendo, in ogni caso228, sussistere gli ulteriori presupposti richiesti dall’art. 21 cod. cons.
Autorevole dottrina ha sottolineato «l’intrinseca contraddizione» dei sistemi di soft law, ove «da un lato la prospettiva contrattualistica induce a porre l’accento sugli attori dell’intesa negoziale; dall’altro, il modo concreto in cui si struttura la fonte normativa dovrebbe portare ad ampliare quel quadro soggettivo, realizzando un non facile processo di conversione della “parte” di un contratto in “destinatario” di una legge»229. Sennonché, l’efficacia
dell’autodisciplina, per definizione, è quella propria del contratto, avente forza di legge tra le sole parti, ex art. 1372 c.c.
Si rilevi, tuttavia, come, nel caso specifico dei codici di condotta, sia la stessa direttiva ad aver delegato ai professionisti l’adozione di sistemi normativi privati con funzione integrativa del dettato legislativo230. Si potrebbe, allora, sostenere che l’autodisciplina nell’ambito delle pratiche commerciali sleali, essendo chiamata a specificare ed ampliare – nei limiti consentiti – le previsioni della direttiva su delega della stessa, possa, in virtù di tale funzione, acquisire la stessa efficacia erga omnes propria della legge231. Giurisprudenza e dottrina non sembrano, però, aver preso in considerazione una simile ricostruzione, che risolverebbe in radice il problema dei limiti soggettivi di efficacia dei codici. Per tale ragione, è opportuno analizzare le diverse tesi che sono state proposte al fine
228 Con le due sole eccezioni previste dall’art. 23 cod. cons., di cui si è dato atto nel par.
precedente.
229 Così LIPARI, op. cit., p. 313.
230 Rispetto ai codici ad impulso legislativo, in dottrina vi è chi ipotizza la differenziazione tra:
a) codici implementativi della legge; b) codici di rilevanza legislativa; c) codici esortati dalla legge; d) codici integrativi della legge. Solo questi ultimi avrebbero valore di legge e, dunque, la loro eventuale violazione andrebbe trattata alla stregua della violazione della norma di rinvio, con attivazione della relativa sanzione (SENIGAGLIA, La vincolatività dei codici etici: ossimoro
o sineddoche?, in AA.VV., La responsabilità sociale dell’impresa: idee e prassi, a cura di PERULLI, Bologna, 2013, p. 87-90). Sui codici di condotta adottati nell’ambito delle pratiche commerciali scorrette l’a. non si esprime, ma essi ben potrebbero appartenere alla categoria dei codici integrativi della legge alla luce delle considerazioni sinora svolte.
231 Una simile tesi è stata sostenuta nel diritto del lavoro, laddove la legge, con forme diverse,
delega funzioni normative ai contratti collettivi, con la finalità di integrare o derogare alle disposizioni della fonte primaria. Si è detto, infatti, che il legislatore opera tali rinvii allo scopo di ottenere regolazioni efficaci nei confronti di tutti, iscritti e non alle associazioni stipulanti il contratto collettivo (LISO, Autonomia collettiva e occupazione, in Giorn. dir. lav. e rel. ind., 1998, p. 259). Tale efficacia generalizzata sarebbe quella propria della legge delegante. Il contratto collettivo diventerebbe, dunque, una fonte extra ordinem, ovvero svolgerebbe una funzione delegata dallo Stato (BALLESTRERO, Diritto sindacale, Torino, 2012, p. 322 ss.). Simili conclusioni, in relazione ad alcune tipologie di contratti collettivi, sono state fatte proprie anche dalla Consulta (Corte cost., 30 giugno 1994, n. 268 e 18 ottobre 1996, n. 344). La questione, peraltro, è fortemente dibattuta per la possibile violazione dell’art. 39, commi 2-4, Cost. e del meccanismo ivi previsto di estensione erga omnes dei contratti collettivi. Per un riepilogo delle problematiche e le relative indicazioni bibliografiche, cfr. BALLESTRERO, op. cit., p. 322 ss.
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di giungere ad un’applicazione generalizzata della soft law in tema di pratiche commerciali scorrette.
Si osservi che la matrice associativa del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale – e dei codici di condotta in senso lato – di per sé ne limita la vincolatività ai suoi diretti sottoscrittori, nonché a coloro che vi abbiano aderito o ne abbiano riconosciuto la cogenza in un secondo momento232. Ulteriori professionisti che resterebbero, tuttavia, estranei all’autodisciplina pubblicitaria in forza del vincolo associativo diretto o indiretto, sono ugualmente coinvolti nella sua osservanza, attraverso il ricorso alla cd. clausola di accettazione. Sin dalle prime edizioni del Codice, infatti, è stato espressamente previsto l’impegno degli organismi aderenti, affinché ciascun associato inserisse nei propri contratti una speciale clausola con cui, per l’appunto, «si accettano» il «Codice, i Regolamenti autodisciplinari e le decisioni assunte dal Giurì, anche in ordine alla loro pubblicazione, nonché le ingiunzioni del Comitato di Controllo divenute definitive»233.
Tralasciando la risalente e ormai superata ricostruzione teorica della clausola secondo lo schema del contratto a favore di terzi ex art. 1411 c.c.234, essa è stata più correttamente definita quale condizione generale del contratto di inserzione pubblicitaria. Troverebbe, dunque, applicazione l’art. 1341, comma 1, c.c., con la conseguente efficacia della clausola nei confronti dell’altro contraente, purché al momento della conclusione del contratto questi l’abbia conosciuta o avrebbe dovuto conoscerla con l’ordinaria diligenza235.
L’estensione soggettiva dell’autodisciplina pubblicitaria risulterebbe così generalizzata, giacché anche ove mancasse una conoscenza effettiva della
232 Si è recentemente chiarito che l’I.A.P. non può essere considerato come un sistema oggettivo
da applicare ove non ne venga esclusa l’applicazione, bensì come un sistema che presuppone un’adesione volontaria, se pur non necessariamente formale (Giurì cod. aut. pubb.ria, 25 marzo 2014, n. 9).
233 Così recita la lett. d), «clausola di accettazione», inserita tra le Norme preliminari e generali
del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.
234 Secondo una simile ricostruzione, il «mezzo» pubblicitario con cui si trasmette lo spot
fungerebbe da stipulante, l’utente da promittente e i diversi soggetti identificati o identificabili (associazioni e organismi di categoria, singoli soci, terzi istanti dinanzi al Giurì) da terzo. Sennonché, è stato opportunamente rilevato come non esista alcuna «prestazione» promessa dall’utente ad un terzo, né un terzo identificabile come destinatario di essa, secondo il disposto dell’art. 1411 c.c. Si rinvia in proposito a SORDELLI,op. cit., p. 23; DI CATALDO, op. cit., p. 115; D’AMICO, L’autoregolamentazione in materia pubblicitaria, in AA. VV., La comunicazione
pubblicitaria d’impresa. Manuale giuridico teorico e pratico, a cura di FRIGNANI-CARRARO- D’AMICO, Milano, 2009, p. 226.
235 Come si legge in Giurì cod. aut. pubb.ria, 17 settembre 2013, n. 66, «i mezzi che concorrono
a formare l’Istituto [I.A.P.] sono tenuti ad inserire tra le condizioni generali di contratto un’apposita clausola di accettazione delle norme del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni dei suoi organi, che vincola l’utente dal momento stesso della stipulazione, determinando una presunzione di adesione che egli può vincere solo fornendo la dimostrazione specifica di aver opposto il proprio espresso rifiuto (lett. b) e d) delle Norme preliminari e Generali del Codice di Autodisciplina e art. 1341, comma 1, c.c.)».
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clausola, l’ampia diffusione del sistema integrerebbe, in ogni caso, il requisito della conoscibilità236.
Ma vi è di più. La clausola di accettazione del Codice figura nelle più importanti raccolte di usi, pubblicate a cura delle Camere di commercio237. Si tratta di fenomeno di non poco conto: la raccolta ufficiale costituisce – come è noto – mezzo legale di accertamento degli usi, i quali, ai sensi dell’art. 9 delle preleggi, si presumono esistenti fino a prova contraria.
L’adesione al sistema di autoregolamentazione privata si tradurrebbe così in un uso contrattuale, ex art. 1340 c.c. e sarebbe destinata ad accompagnare automaticamente ogni contratto di diffusione pubblicitaria238. Pertanto, la clausola di accettazione, quale clausola d’uso, dovrebbe intendersi inserita nei contratti di comunicazione commerciale e vincolerebbe il professionista, anche laddove non comparisse nel singolo regolamento contrattuale o non fosse stata specificamente approvata per iscritto da entrambe le parti239. L’unico limite alla sua operatività consisterebbe nell’espressa manifestazione di volontà contraria da parte dei contraenti240.
236 In una pronuncia del 2002, il Giurì ebbe già modo di considerare «temeraria l’allegazione di
ignoranza dell’esistenza stessa dell’autodisciplina pubblicitaria dopo – gli allora – quasi quarant’anni di attività dell’Istituto e la registrazione del fenomeno da parte di una legge dello Stato – all’epoca il solo d. lgs. n. 74/1992 – in materia di pubblicità ingannevole» (Giurì cod. aut. pubb.ria, 20 febbraio 2002, n. 57). In dottrina, si veda GRAZZINI, Norme preliminari e
generali, cit., p. 21-22.
237 Cfr. Raccolta Provinciale Usi relativa al quinquennio 2005-2010, pubblicata dalla Camera di
Commercio di Milano-Monza Brianza-Lodi e consultabile sul sito
http://www.milomb.camcom.it/raccolta-provinciale-usi, p. 515, sub art. 3; nella Raccolta
Provinciale Usi della Camera di Commercio di Roma, pubblicata nel 2013, pur mancando un riferimento specifico, si rinvia ai codici di condotta reperibili sui siti web in tema di contratti di fornitura di beni e/o servizi conclusi online tra fornitore e consumatore (Si veda:
http://www.rm.camcom.it/pagina316_usi-e-consuetudini.html, p. 116, sub 514 – Certificazioni, Codici di condotta e Loghi). Si rinvia, inoltre, ad AA.VV., Le pratiche commerciali scorrette, in
I quaderni del consumatore, a cura della Camera di Commercio di Ancona, 2014, VI, p. 35.
238 V. GRAZZINI, Norme preliminari e generali, cit., p. 26-27.
239 Il che vale certamente per le norme sostanziali del Codice. Qualche dubbio era stato sollevato
in ordine alle disposizioni procedurali, che riservano al Giurì la decisione delle vertenze sull’applicazione dell’autodisciplina pubblicitaria. Laddove il Giurì costituisse organo di un arbitrato di tipo rituale, la norma che gli deferisce la soluzione delle controverse sarebbe una clausola compromissoria, da approvare specificamente per iscritto, ex art. 1341, comma 2, c.c. Il procedimento davanti al Giurì è stato, tuttavia, ben più correttamente ricostruito come arbitrato irrituale, al quale non si applicherebbe il disposto dell’art. 1341 (AUTERI, Il codice di
autodisciplina pubblicitaria, inAA.VV., Le fonti di autodisciplina. Tutela del consumatore, del
risparmiatore, dell’utente, cit., p. 17. Per una ricostruzione più ampia delle posizioni dottrinali
sull’argomento si rinvia a TETTAMANTI, Arbitrato e codici di autodisciplina, in Contr., 2004, p. 858 ss.). Si rilevi, inoltre, come la stessa clausola di accettazione – anche nei termini in cui è riportata nella Raccolta Usi di Milano – rinvii espressamente alle determinazioni dei suoi organi autodisciplinari e non potrebbe essere diversamente, in considerazione dell’intenzione di I.A.P. ed enti aderenti di dar vita ad un sistema normativo autonomo sul piano sia sostanziale sia «giurisdizionale».
240 Come si è precisato, l’accettazione del Codice è da ritenersi presunta fino a prova contraria
da parte di chiunque contragga direttamente o indirettamente con mezzi aderenti al sistema autodisciplinare. La prova contraria è, peraltro, particolarmente rigorosa, dovendo avere ad oggetto l’espressa manifestazione di volontà comune alle parti del contratto, intesa a sottrarre la
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Si è, infine, ipotizzata la definizione della clausola di accettazione nei termini di un uso normativo, ai sensi dell’art. 1374 c.c. Si segnala una recente apertura del Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria ad una ricostruzione di questo tipo241, in passato accolta solo occasionalmente242.
Da una simile impostazione conseguirebbe l’efficacia erga omnes dell’autodisciplina pubblicitaria, quale sistema normativo generale e astratto, per quanto circoscritto alla zona di applicazione degli usi formalizzati nella Raccolta243. Al pari di qualsiasi altra disposizione legislativa, dunque, il Codice vincolerebbe chiunque contratti nell’ambito delle comunicazioni commerciali, a prescindere dalla sua volontà e dall’effettiva conoscenza delle previsioni autoregolamentari.
Sull’assimilazione della clausola di accettazione ad un uso normativo, la dottrina ha sollevato obiezioni244. Più che l’elemento esteriore, dato dalla ripetizione costante e uniforme di un certo comportamento, mancherebbe l’elemento psicologico, ossia la convinzione dei soggetti che vi si uniformano, di obbedire non a mere regole dettate dalle contingenze di mercato, ma ad una vera e propria norma giuridica.
In verità, gli oltre cinquant’anni di vita dell’autodisciplina pubblicitaria e la sua vasta eco parrebbero dimostrare il contrario. Nella misura in cui praticamente in tutti i contratti pubblicitari vengano inserite clausole di accettazione del sistema uniformi, l’accettazione stessa ben potrebbe dirsi aver assunto carattere di norma contrattuale consuetudinaria245.
Sembrerebbe, semmai, più condivisibile una seconda obiezione rilevata dagli interpreti. Il Codice, infatti, incidendo su una materia regolata dalla legge, sarebbe efficace come uso normativo se ed in quanto espressamente richiamato
campagna pubblicitaria all’applicazione delle norme del C.A. (Giurì cod. aut. pubb.ria, 8 luglio 2014, n. 52).
241 Nella pronuncia si fa espresso rinvio alla Raccolta provinciale degli usi pubblicata dalla
Camera di commercio di Milano: «ove questi usi – puntualizza il Giurì – siano applicabili ratione
loci anche alla pubblicità litigiosa, allora essi etero-integrano il contratto ex articolo 1374 c.c.
(…). In ogni caso, ed ove i medesimi usi non fossero applicabili (…), i relativi contratti sarebbero comunque etero-integrati ex articolo 1340 dalla clausola di accettazione in quanto questa costituisce una clausola usuale». L’organo arbitrale ha, quindi, concluso per l’applicazione degli usi accertati dalla Camera milanese al contratto di concessione pubblicitaria controverso, poiché entrambe le aziende convenute avevano sede a Milano (Giurì cod. aut. pubb.ria, 30 maggio 2016,