Come si è già anticipato135, le pratiche commerciali ingannevoli e aggressive rappresentano due species all’interno del medesimo genus delle pratiche commerciali scorrette. Tralasciando le cd. black lists, di cui agli artt. 23 e 26 cod. cons.136, appare, dunque, opportuno soffermarsi sulle nozioni «intermedie» delle pratiche commerciali vietate137.
Gli artt. 21 e 22 cod. cons. contemplano, rispettivamente, due distinte categorie di pratiche commerciali attive e omissive, ossia le azioni e le omissioni ingannevoli, ciascuna delle quali si articola al proprio interno in più sottogruppi. L’art. 24 cod. cons. descrive, invece, tre possibili forme di pratiche commerciali aggressive: le molestie, la coercizione e l’indebito condizionamento; e il successivo art. 25 suggerisce alcuni criteri, per determinare se una pratica comporti in concreto una delle suddette modalità di commercializzazione aggressiva, ovvero costituisca una tecnica legittima138.
Prima della novella del 2007 con il d.lgs. n. 146, la definizione di pubblicità ingannevole, riportata nel codice del consumo, non contemplava la sola idoneità ad indurre in errore, ma richiedeva, quale ulteriore requisito, il
133 Come l’A.G.C.M. ha avuto occasione di chiarire nella Relazione annuale per l’attività svolta,
presentata il 30 aprile 2005, con considerazioni ancora attuali: «il dettato normativo suggerisce che i confini della fattispecie pubblicitaria debbano essere ricercati non tanto o quanto meno non solo nella forma e nelle modalità espressive utilizzate quanto nel riscontro, dal punto di vista sostanziale, del perseguimento di una specifica finalità promozionale che sia strumentale all’esercizio di un’attività economica. Vengono quindi in rilievo sia la considerazione del tipo di attività, economica o meno, della cui promozione si tratta, sia la verifica del tipo di comunicazione realizzata. Da entrambi i punti di vista, l’Autorità ha accolto una nozione sempre più sostanziale di messaggio pubblicitario che tiene conto, di volta in volta, dei contenuti, della forma, del contesto e delle modalità di diffusione nonché degli obiettivi con esso perseguiti». Nella stessa Relazione sono menzionati i seguenti provvedimenti, a cui si rinvia: A.G.C.M., 2 dicembre 2004, Provv. n. 13809 (PI/4558), caso Mutua esercenti commercio di Milano; A.G.C.M., 4 novembre 2004, Provv. n. 13745 (PI/4480), caso Delegazione A.U.A.; A.G.C.M., 22 dicembre 2004, Provv. n. 13905 (PI/4589), caso Club auto moto d’epoca Bologna.
134 Si veda, in proposito, TAR del Lazio, 2 novembre 2012, n. 8961, in Foro amm. TAR2012, XI,
c. 3521.
135 Si rinvia supra al par. 2.1. del presente cap. I.
136 Per esigenze di sintesi mi limiterò all’analisi delle definizioni più generali di pratiche
commerciali ingannevoli e aggressive. Alcuni esempi di pratiche commerciali «in ogni caso» ingannevoli e aggressive sono, però, riportare supra nel par. precedente, a cui faccio rinvio.
137 Per praticità, mi riferisco alle disposizioni contenute nel codice del consumo e non a quelle
riportate nel testo della direttiva (artt. 6-9).
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potenziale pregiudizio nel comportamento economico dei consumatori. Il giudizio di decettività relativo ad un claim pubblicitario si fondava, pertanto, sulla valutazione dei potenziali effetti, sia nella sfera cognitiva (l’induzione ad un’errata rappresentazione della realtà), sia decisionale (l’assunzione, in conseguenza dell’errore, di scelte potenzialmente pregiudizievoli di carattere economico) dei consumatori139.
Al tempo, in molti si erano interrogati sulla portata significativa del presupposto del «potenziale pregiudizio». Ci si era chiesti se l’inganno, per rilevare, dovesse determinare un acquisto a condizioni meno vantaggiose o un acquisto di prodotti qualitativamente inferiori alle attese; ovvero se fosse sufficiente l’idoneità dell’inganno ad alterare la formazione nella volontà del consumatore, facendogli assumere decisioni differenti da quelle che, presumibilmente, avrebbe preso in assenza dell’attività promozionale140.
L’Autorità Garante fin dalle sue prime pronunce141 e così anche la
giurisprudenza amministrativa142 avevano optato per quest’ultima interpretazione, più neutra del requisito, con l’esclusione, quindi, di qualsivoglia coincidenza tra «pregiudizio» e «danno patrimoniale».
L’attuale normativa ha sciolto ogni dubbio: la pratica, come si è più volte sottolineato, deve «in ogni caso» poter indurre il consumatore «ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso». Tale espressione collima perfettamente con l’esegesi «neutra» del «pregiudizio al comportamento economico», preferita nella prassi.
Il presupposto richiesto dalla legislazione vigente potrebbe, però, risultare più restrittivo sotto altro profilo, richiedendo apparentemente un dolo determinante e mai incidente. Sul punto, tuttavia, soccorre la nozione di «decisione di natura commerciale», ex art 18, comma 1, lett. m), cod. cons.143. Tale disposizione consente senz’altro di affermare che la potenziale induzione a una decisione di natura commerciale non riguarda il mero an della scelta, ma anche il quomodo. «Ne discende – conclude la dottrina sul punto – che l’azione
139 V. MELI, Le pratiche sleali ingannevoli, cit., p. 106.
140 Cfr. DE RASIS, Il divieto di pubblicità ingannevole, in AA.VV., La pubblicità ingannevole.
Commento sistematico alla disciplina vigente, a cura di GHIDINI-GAMBINO-DE RASIS-ERRICO- FARUFFINI DI SEZZADIO-LAZZARETTI, Milano, 2003, p. 20 ss.; MELI, La repressione della
pubblicità ingannevole, Torino, 1994, p. 42; FUSI-TESTA-COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole
(Commento al D.L. 25 gennaio 1992 n. 74), Milano, 1993, p. 147 ss.
141 V. Relazione annuale, presentata il 30 aprile 1992 e Relazione annuale, presentata il 30 aprile
1994, entrambe consultabili sul sito web http://www.agcm.it.
142 Si vedano, a titolo esemplificativo, le sentenze del TAR del Lazio, 9 dicembre 2004, n. 15301;
2 agosto 2002, n. 6927; 7 settembre 2001, n. 7288.
143 Si definisce tale la «decisione presa da un consumatore relativa a se acquistare o meno un
prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni, se pagare integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene o se esercitare un diritto contrattuale in relazione al prodotto (…)».
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è ingannevole, quando a causa della medesima il consumatore sia stato indotto a recepire nel regolamento negoziale la clausola che avrebbe rifiutato in assenza della macchinazione»144. Pertanto, in definitiva, la decettività della pratica non può che involgere entrambe la fattispecie di dolo.
L’art. 21 cod. cons. tipizza dettagliatamente le situazioni che possono dar vita ad una pratica commerciale ingannevole145. Si definisce tale, innanzitutto146, «una pratica che contiene informazioni non rispondenti al vero, o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio», ingannandolo almeno su uno degli elementi elencati nello stesso art. 21147.
La formulazione poco lineare della previsione ha destato dubbi interpretativi. Il dato letterale della norma e, in particolare, la «o» disgiuntiva che separa le due fattispecie sembrerebbe, infatti, distinguere, da un lato, le pratiche oggettivamente false, che rendono non veritiera la comunicazione; e,
144 Così CALVO,Le azioni e le omissioni ingannevoli: il problema della loro sistemazione nel
diritto patrimoniale comune, cit., p. 65.
145 Si rilevi il netto cambio di prospettiva rispetto alla disciplina previgente, adottata – come è
noto – in attuazione della direttiva 84/450/CE, laddove era rimessa all’interprete l’individuazione dei modi attraverso i quali potesse essere realizzato l’inganno. La finalità del nuovo approccio, definito da una dottrina di «tipizzazione spinta», è rendere più agevolmente individuabili i criteri a cui un professionista europeo sia chiamato ad informare la propria attività per operare correttamente nel nostro Paese (MASSA, Pratiche commerciali ingannevoli, in AA.VV., Codice
del Consumo, a cura di CUFFARO, cit., Art. 21, p. 160).
146 Per esigenze di sintesi, non mi soffermerò sulle altre fattispecie riportate nei commi dal 2 al
4 bis dell’art. 21 cod. cons. Il riferimento nel comma 2 ai codici di condotta sarà approfondito
infra nel par. 3.2. del presente cap. I; il comma 3 si riferisce a comunicazioni commerciali che,
non dando notizia del possibile pericolo per la salute e la sicurezza dei consumatori, li inducono «a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza», mentre il comma 4 pone particolare attenzione alle pratiche che raggiungano bambini e adolescenti e possano minacciarne la sicurezza; infine, i commi 3 bis e 4 bis, aggiunti rispettivamente dal d. l. n. 201/2011, conv. nella l. n. 214/2011 e dal d. l. n. 179/2012, conv. nella l. n. 221/2012, definiscono scorrette: la pratica realizzata da banche, istituti di credito o intermediari finanziari, consistente nell’obbligare il cliente a sottoscrivere una polizza assicurativa o ad aprire un contratto di conto corrente presso di sé in occasione dell’erogazione di un mutuo; nonché la pratica che impone un sovrapprezzo per completare una transazione elettronica con un fornitore di beni o servizi.
147 Tali elementi sono riportati nelle lett. a)-g) della norma. Si tratta, in particolare di: «a)
l’esistenza o la natura del prodotto; b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post- vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto; c) la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o all’approvazione dirette o indirette del professionista o del prodotto; d) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo; e) la necessità di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione; f) la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento, l’affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti; g) i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso ai sensi dell’articolo 130 del presente Codice».
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dall’altro, le attività promozionali contenenti informazioni vere, ma trasmesse con modalità che, «in qualsiasi modo», compresa la «presentazione complessiva», veicolino un messaggio falso e, dunque, risultino idonee ad ingannare148.
E, allora, secondo una prima tesi dottrinale, la disciplina considererebbe implicitamente scorrette tutte le comunicazioni di per sé false, senza la necessità di alcuno specifico riscontro degli effetti distorsivi causati dalle medesime. Seguendo una simile ricostruzione, la prova dello sviamento del consumatore medio dalle sue originarie intenzioni d’acquisto dovrebbe essere fornita nelle sole ipotesi di pratiche contenenti informazioni veritiere, ma divulgate in modo fuorviante149.
Sennonché, appare preferibile una diversa esegesi, che richiede anche per le comunicazioni oggettivamente false la valutazione caso per caso dell’idoneità ad ingannare. Per quanto poco felice, la formulazione letterale dell’art. 21 cod. cons. conferma tale esegesi, giacché al comma 1, dopo aver definito come ingannevole la pratica che induce in errore il consumatore medio «riguardo ad uno o più dei seguenti elementi», aggiunge «e, in ogni caso, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso». La locuzione «in ogni caso» implica chiaramente che l’informazione commerciale debba ritenersi scorretta, anche qualora non riguardi gli elementi strettamente indicati nella norma. Essa dovrà poi comunque produrre un effetto distorsivo, spingendo il consumatore medio ad una decisione che non avrebbe altrimenti assunto. Pertanto, il giudizio di ingannevolezza, in entrambe le ipotesi riportate nell’art. 21 cod. cons., dovrà certamente vertere anche sull’essenzialità dell’errore indotto150. È vero, però, che di fronte a
pratiche commerciali contenenti informazioni di per sé false, il giudizio di idoneità all’induzione in errore, comunque necessario, si presenterà, di fatto, più agevole.
I fautori della prima tesi enunciata, peraltro, ritengono che, mentre l’ingannevolezza derivante da informazioni non vere riguardi qualsiasi requisito della pratica, la decettività relativa ad informazioni corrette ma divulgate in modo fuorviante vada apprezzata esclusivamente con riferimento ad uno o più
148 V. MELI, Voce Pubblicità ingannevole, cit., p. 9.
149 Cfr.MASSA, op. ult. cit., p. 160; CALVO, Pratiche commerciali scorrette, in Codice del
consumo. Annotato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di CAPOBIANCO-PERLINGIERI, Art. 21, Napoli, 2009, p. 79.
150 Cfr. MELI, Pratiche commerciali scorrette in «Diritto on line» – Treccani, reperibile
all’indirizzo web http://www.treccani.it/enciclopedia/pratiche-commerciali-scorrette_(Diritto_on_line)/; con riferimento alla pubblicità ingannevole nella pregressa disciplina, si rinvia a ID., La repressione
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degli elementi riportati nell’art. 21 cod. cons151. Anche quest’ultima
ricostruzione non convince, giacché, come si è già implicitamente rilevato, l’elencazione inserita nella norma rappresenta una mera esemplificazione, non tassativa152, dei possibili oggetti di quelle decisioni di natura commerciale a cui il consumatore medio sia stato spinto dalla pratica ingannevole e «che non avrebbe altrimenti preso»153. Il dato testuale della disposizione conferma tale lettura: l’enunciato che esordisce con «e, in ogni caso, …» non può che avere, infatti, una valenza significativa autonoma rispetto al precedente, laddove si rinvia agli «elementi», poi specificati nelle lettere a)-g) dell’art. 21, comma 1. L’affermazione riportata nel suddetto enunciato potrà, quindi, senz’altro prescindere dalla sussistenza degli «elementi» stessi.
Quanto all’art. 22 cod. cons., si definisce «omissione ingannevole» la pratica commerciale che, «tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato»154: ometta di fornire informazioni «rilevanti», necessarie perché il consumatore possa assumere una decisione di natura commerciale. Si devono sempre reputare tali le informazioni elencate nelle lett. a)-e) del comma 4155, nonché le informazioni che i professionisti devono preventivamente comunicare, in forza di norme di recepimento di direttive comunitarie (comma 5); ovvero occulti o presenti in modo ambiguo, oscuro o incomprensibile informazioni «rilevanti»; ovvero ancora, ometta di rendere palese l’intento commerciale dell’attività in corso, a meno che esso non possa evincersi dal contesto in cui opera il professionista (comma 2)156. Tali ultime fattispecie sono dette anche pratiche commerciali «non
151 V. MASSA, op. ult. cit., p. 160.
152 Contra, tuttavia, MELI, Voce Pubblicità ingannevole, cit., p. 7, il quale afferma che l’elenco
dei possibili oggetti da tenere in considerazione, essendo «introdotto dall’espressione “uno o più dei seguenti elementi” sembra doversi ritenere tassativo».
153 V. MELI, Pratiche commerciali scorrette in «Diritto on line» – Treccani, cit.
154 E sempre se «induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione
di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».
155 Tra queste informazioni vi è il prezzo, elemento che per antonomasia è al centro delle
valutazioni d’acquisto di ogni consumatore. Esso deve essere indicato nella pratica in modo esaustivo, con la menzione chiara di tutti gli oneri di competenza dell’acquirente. Si segnala, tra i tanti, A.G.C.M., 28 aprile 2011, Provv. n. 22343 (PS/5530), caso Alitalia-Commissioni di
pagamento con carta di credito, ove, essendo il prezzo di trasporto scomposto in una tariffa base
e alcuni supplementi aggiuntivi, la compagnia di bandiera aveva reso il consumatore edotto dell’onere addizionale di 5 euro per passeggero dovuto per il pagamento con carta di credito, solo al momento della selezione del tipo di carta da utilizzare tra quelle ammesse dal professionista. Quest’ultimo aveva, pertanto, contravvenuto al principio per cui «il prezzo dei biglietti per il trasporto aereo deve essere chiaramente e integralmente indicato sin dal primo contatto con il consumatore in modo da rendere immediatamente e chiaramente percepibile l’esborso finale necessario per il suo acquisto» (A.G.C.M., 27 dicembre 2007, Provv. n. 17814 (PI/6167), caso Tirrenia Navigazione).
156 Nella prassi tale dettato normativo ha trovato applicazione specialmente nelle forme di
pubblicità redazionale e nei casi di telemarketing, che consistono nella presa di contatto con il consumatore per informarlo che gli è stato attribuito un omaggio (A.G.C.M., 19 luglio 2011, Provv. n. 22610 (PS/375), caso FMR-Art’è-Vendita di libri di pregio a domicilio).
42 trasparenti»157.
Da simili definizioni si evince che per valutare l’impatto nei confronti del consumatore della pratica commerciale posta in essere dal professionista occorre concentrare l’attenzione sulla percezione del significato della comunicazione commerciale. Tale percezione varia soprattutto in rapporto a due fattori: il «contenuto» della pratica e/o le «modalità inerenti alla presentazione» del contenuto stesso. Oggetto essenziale di valutazione sono, dunque, le «informazioni» che il professionista comunica ai consumatori: esse rilevano sotto il profilo della falsità o inesattezza, perché ove falsa o inesatta, un’informazione è senz’altro idonea a fuorviare la capacità di scelta del consumatore; rilevano, inoltre, sotto il profilo delle omissioni di informazioni rilevanti, ossia imprescindibili nel caso concreto, perché esse consentono al consumatore medio di prendere una decisione commerciale realmente consapevole, la cui mancanza è, pertanto, in sé e per sé fuorviante per il consumatore stesso158.
Sempre purché induca il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, l’art. 24 cod. cons. definisce «aggressiva» la pratica commerciale che «limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto», per effetto di ingiustificate intromissioni nella sua sfera personale, esercitate mediante molestie, coercizione o indebito condizionamento.
Come si è opportunamente rilevato, «mentre le pratiche commerciali ingannevoli influenzano il processo di formazione della volontà del consumatore nel senso di indirizzarlo verso un certo prodotto o verso certe condizioni contrattuali, a mezzo di sottili tecniche di convincimento imperniate sull’informazione e anche a prescindere da un contatto diretto con quest’ultimo, le pratiche aggressive minano alla base la libertà di scelta del consumatore, tramite l’adozione di condotte anche puramente fisiche», volte ad estorcere il suo consenso o ad incidere sull’esercizio di posizioni e diritti contrattuali. Simili pratiche fanno leva su sentimenti, emozioni, caratteristiche cognitive e culturali,
157 Tali pratiche rievocano quelle di cui al comma 1 dell’art. 21 cod. cons., il quale – come è noto
– considera scorrette le comunicazioni contenenti informazioni veritiere, ma ingannevoli per il consumatore medio in virtù della loro presentazione. Tenuto conto anche della sostanziale corrispondenza tra gli elementi elencati nell’art. 21 come passibili di inganno e quelli ex art. 22, comma 4, per i casi di invito all’acquisto, diviene davvero difficile individuare il confine di demarcazione tra le due fattispecie, sicché il Garante tendenzialmente fa rinvio ad entrambe le disposizioni e solo in un numero limitato di pronunce esclusivamente all’una piuttosto che all’altra (MASSA, Pratiche commerciali ingannevoli, in AA.VV., Codice del Consumo, a cura di CUFFARO, cit., Art. 22, p. 188).
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o persino paure degli acquirenti159. Le pratiche aggressive hanno, dunque, una peculiare valenza estorsiva160: i professionisti ricorrono a metodi e strumenti di mirata intimidazione, agendo sulla sfera emotiva del consumatore medio161.
È, a mio avviso, condivisibile la tesi dottrinale per cui occorra la piena coscienza e volontà del pregiudizio da arrecare al consumatore medio, affinché si configuri una pratica commerciale aggressiva. Quest’ultima presenta carattere necessariamente doloso162. Il legislatore non ha invero esplicitato l’elemento soggettivo del dolo, ma si è limitato a precisare che l’aggressività possa realizzarsi tramite determinate forme. L’intenzione di ledere il consumatore può dirsi, tuttavia, in re ipsa, giacché tali forme presuppongono senz’altro la consapevolezza da parte dell’imprenditore del proprio agire. E se anche il professionista, nel caso, ad esempio, delle condotte moleste, sostenesse in giudizio di non aver avuto intenzione alcuna di recare fastidio al consumatore, una simile affermazione non basterebbe certo ad escludere l’applicazione della disciplina in esame163.
La legge offre una nozione in positivo solo dell’indebito condizionamento164. Le altre due possibili forme di pratiche commerciali aggressive, menzionate nell’art. 24 cod. cons., non trovano, invece, definizione nel dettato normativo. Esse risultano, però, circostanziate in forza del successivo art. 25, che suggerisce alcuni criteri utili all’interprete, per determinare se una pratica commerciale comporti realmente una molestia, una coercizione o un indebito condizionamento165. La tecnica legislativa impiegata ha l’evidente finalità di ricomprendere nel concetto di pratiche aggressive una gamma «quasi
159 Così DI NELLA, Le pratiche commerciali «aggressive», cit., p. 229.
160 In giurisprudenza si rinvia a TAR del Lazio, 6 aprile 2009, n. 5625 e 16 luglio 2009, n. 7029. 161 V. DALLE VEDOVE, Le pratiche commerciali aggressive, in AA.VV., I decreti legislativi sulle
pratiche commerciali scorrette. Attuazione e impatto della direttiva 2005/29/CE, a cura di ANNA
GENOVESE, cit., p. 118, il quale aggiunge, tra l’altro, che l’aggressività non produce
necessariamente un’alterazione della reale capacità valutativa del consumatore in ordine alle caratteristiche del bene proposto. Non concordo, però, con una simile affermazione. Mi chiedo, infatti, quale pratica commerciale aggressiva possa mai definirsi tale, senza, al contempo, essere idonea ad alterare la reale capacità di valutazione della vittima.
162 V. DALLE VEDOVE, op. ult. cit., p. 120.
163 Cfr. LA ROCCA, Pratiche commerciali aggressive, in AA.VV., Codice del Consumo, a cura
di CUFFARO, cit., Art. 24, p. 202-203.
164 Ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. l), cod. cons., l’«indebito condizionamento» è «lo
sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole».