QUADRO NORMATIVO
8. La protezione del consumatore e del mercato come scelta di responsabilità: l’obbligo del risarcimento dei danni del professionista
scorretto.
A ben vedere, un’ulteriore opzione, alternativa al recesso e ai rimedi invalidanti tradizionali potrebbe essere data dall’impostazione della questione della contrattazione per effetto di pratiche commerciali scorrette, in termini di responsabilità e di conseguente risarcimento del danno: quel danno cagionato al consumatore-contraente proprio da una pratica vietata.
Come pure si è precisato, non si tratterebbe di «un rimedio contrattuale in senso stretto», giacché «appare più corretto qualificarlo come un rimedio civilistico (…)»768. Il che consentirebbe, peraltro, di porre l’accento sull’attività
sleale fonte di responsabilità.
Per evitare una distorsione delle decisioni d’acquisto del consumatore medio e la vanificazione delle operazioni economiche, che inevitabilmente
764 In argomento, v. GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, Milano, 1959, p. 80 ss.; DE
NOVA, Il recesso, in AA.VV., Trattato di diritto privato, diretto da RESCIGNO, Torino, 1995, vol. X, p. 317; FRANZONI, Degli effetti del contratto, in AA.VV., Il codice civile. Commentario, fondato da SCHLESINGER e diretto da BUSNELLI, vol. I, Efficacia del contratto e recesso
unilaterale, Milano, 1998, Artt. 1372-1373, p. 313. Con specifico riferimento ai contratti in
ambito consumeristico, v. BARCA, Il diritto di recesso nei contratti del consumatore, Milano, 2011.
765 V. Corte CE, 22 aprile 1999, Detzinger, C-423/97. Per approfondimenti, si rinvia a BARCA,
op. cit., p. 47.
766 Si rinvia, sul punto, a Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, in Corr. giur., 2009, XII, p. 1577
ss., con nota di MACARIO, Recesso ad nutum e valutazione di abusività nei contratti tra imprese;
spunti da una recente sentenza della Cassazione.
767 V. FACHECHI, Pratiche commerciali scorrette e (apparente) gap normativo, cit., p. 186. 768 Cfr. LABELLA, op. cit., p. 740.
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discenderebbe dall’applicazione dei rimedi tradizionali, con l’ulteriore corollario di una vera e propria distorsione del mercato, la disciplina sulle PCS impone un peculiare obbligo di diligenza in capo al professionista.
Esso allude – come è noto769– alla specifica competenza tecnica dell’imprenditore, applicata al prodotto da pubblicizzare. Si fa riferimento all’agire con cura, cautela, tensione verso i consumatori, destinatari delle attività promozionali. Un agire che deve, a sua volta, informarsi alla correttezza, rectius all’endiadi correttezza-buona fede. Quest’ultima rinvia al complesso di regole di comportamento, a cui il professionista è chiamato ad attenersi: regole di fonte legislativa e/o autodisciplinare, o ancora desumibili dalle prassi commerciali di settore e dai codici deontologici.
Per il solo fatto di svolgere attività d’impresa, il professionista è, quindi, soggetto ad un obbligo di diligenza, che se violato, ben potrà comportare il risarcimento del danno conseguente770.
Tale rimedio, di stampo civilistico, appartiene al singolo consumatore danneggiato e non alla massa a cui è rivolta la pratica commerciale771. Il risarcimento del danno tutela così proprio il consumatore-contraente, le cui decisioni di acquisto siano state condizionate dalla slealtà imprenditoriale.
Come la dottrina ha sottolineato772, è la relazione tra soggetti che entrano in contatto mediante la pratica commerciale scorretta, a creare le condizioni per l’insorgere tra gli stessi di un rapporto obbligatorio. Quest’ultimo si connota, in primo luogo, dall’obbligo di consentire la conservazione della sfera giuridica del consumatore e, se trasgredito, genera responsabilità contrattuale, a prescindere dall’effettiva conclusione o meno di un contratto. D’altra parte, lo «sviamento» dalle decisioni di natura economica del consumatore medio si colloca in una fase antecedente alla scelta effettiva di consumo. È la fase precontrattuale, che non necessariamente conduce, lo si è detto più volte, «alla formazione di un negozio invalido», ma determina «una decisione economica che il consumatore non avrebbe altrimenti preso, ossia quella di non concludere un contratto, concluderlo ma a condizioni diverse, o stipulare un contratto diverso»773. La decisione condizionata produce, in ogni caso, una situazione peggiore rispetto a quella in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza della slealtà774.
769 Su tale obbligo mi sono già ampiamente soffermata nel corso del presente capitolo. V. supra
ai par. 4-4.2.
770 V. LABELLA, op. cit., p. 738.
771 Tale massa è tutelata mediante strumenti di carattere pubblicistico, giustificati proprio dalla
portata generalizzata delle pratiche commerciali. Sul punto tornerò infra nei par. 1 ss. del cap. IV.
772 LABELLA, op. cit., p. 739. 773 Così LABELLA, op. cit., p. 734.
774 Tale lesione è meritevole di ristoro a fronte della cd. culpa in contrahendo, teorizzata da Von
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Pertanto, non si ravvisano ostacoli all’applicazione dell’art. 1337 c.c. e all’ammissibilità del risarcimento del danno775776.
Come ho già avuto modo di rilevare777, se non mancano profili di divergenza tra l’obbligo dettato dall’art. 1337 c.c. e quello di agire secondo diligenza professionale nell’ambito delle pratiche commerciali, neppure si possono trascurare i molteplici elementi di affinità778. Ai sensi del codice civile, i contraenti devono comportarsi secondo buona fede e correttezza durante le trattative, ossia prima della conclusione del contratto. Un comportamento difforme è fonte di responsabilità precontrattuale. Parimenti, il professionista sul mercato potrà perpetrare una condotta contraria alla diligenza dovuta, realizzando un’attività promozionale illecita, idonea ad influenzare in maniera determinante il consumatore medio. Nella misura in cui la condotta vietata arrechi un pregiudizio allo specifico consumatore con cui l’imprenditore sia entrato in contatto, quest’ultimo sarà senz’altro tenuto a risarcire il consumatore leso.
Il risarcimento del danno potrebbe, in definitiva, «costituire il migliore e più generale strumento di reazione individuale contro le pratiche commerciali sleali», anche perché più facilmente adattabile alle circostanze concrete779. Esso
all’esito di sganciare la responsabilità precontrattuale dall’invalidità e ancorarla all’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza. V. VON JEHRING, Culpa in contrahendo oder
Schadensersatz bei nicht zur Perfektion gelante Vertragën, in Jahrb f.d. Dogmatik d. heut. Röm. U. deut. Privatr., 1861. Cfr. poi MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in
Riv. dir. comm., 1956, III, p. 273 ss.
775 Dello stesso avviso, è anche TENELLA SILLANI, op. cit., p. 780. L’a., a p. 781, ammette, inoltre,
l’applicabilità dell’azione risarcitoria, ex art. 2043 c.c., con l’onere per il consumatore di dimostrare i fatti costitutivi dell’illecito. Al giudizio ordinario non si potrebbe estendere, infatti, la diversa regola operante per il procedimento dinanzi all’A.G.C.M. (art. 27, comma 5, cod. cons.). In forza di tale ultima regola, è il professionista a dover provare, con allegazioni fattuali, di non aver potuto ragionevolmente prevedere l’impatto negativo di una pratica sui consumatori (v. supra alla nota 734). In realtà, almeno per le attività promozionali in «ogni caso» ingannevoli o aggressive, non escluderei l’applicabilità nel giudizio ordinario di una presunzione semplice del dolo determinante o della violenza morale, salvo prova contraria del professionista, con un meccanismo probatorio analogo a quello appena menzionato e proprio del giudizio amministrativo. Ho suggerito tale soluzione supra al par. 7.2. del presente cap. III. Ritengo, in ogni caso, che la responsabilità precontrattuale, di cui all’art. 1337 c.c., sia meglio confacente al rimedio risarcitorio esperibile nell’ambito delle PCS rispetto a quella extracontrattuale, ex art. 2043 c.c.
776 Il danno risarcibile consisterebbe, però, nel solo interesse contrattuale negativo, ossia nelle
spese sostenute e nelle perdite sofferte dal consumatore e non anche nell’interesse positivo, dato dagli utili che egli avrebbe conseguito, se il contratto fosse stato correttamente concluso. V., ex
multis, Cass., 3 dicembre 2015, n. 34625, in Guida al dir. 2016, VI, p. 55; Cass., 20 dicembre
2011, n. 27648, in Giust. civ. mass. 2011; Cass., 10 giugno 2005, n. 12313, in Dir. e giust., 2005, XXX, p. 17, con nota di GARUFI, Nelle trattative l’ente è come il privato.
777 V. supra al par. 4.1. del presente capitolo III.
778 TOMMASI, op. cit., p. 77 ha opportunamente evidenziato le «potenzialità rimaste inespresse»
dell’art. 1337 c.c.
779 Così TENELLA SILLANI, op. cit., p. 780, la quale aggiunge che ne è «riprova la [allora – il
saggio risale al 2009 –] recente introduzione delle azioni collettive finalizzate al risarcimento dei
mass torts», specificamente esercitabili anche nell’ambito delle PCS. Il riferimento è all’art. 140 bis (rubricato Azione di classe), inserito nel codice del consumo dalla l. n. 244/2007, poi più
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potrebbe, in ogni caso, affiancarsi agli altri strumenti invalidanti, laddove la singola fattispecie dovesse presentare i presupposti prescritti per il loro esercizio. Vi è chi sottolinea, infatti, che, lungi dal poter essere selezionato a priori, il rimedio più adeguato al caso concreto dovrebbe essere individuato, volta per volta, misurandolo alle esigenze avvertite dalla parte vittima della scorrettezza. Il giurista avveduto – continua tale dottrina –, nel ricostruire la regola da applicare dovrebbe sempre valorizzarne le peculiarità funzionali e, dunque, ancorare alla realtà la propria valutazione780.
Va conclusivamente osservato che l’impatto pratico delle disquisizioni sull’argomento si è rivelato piuttosto modesto. A fronte dei tanto numerosi interventi dottrinali citati in queste pagine, risultano pressoché assenti casi giurisprudenziali in cui singoli consumatori si siano rivolti ai giudici ordinari per «liberarsi» da contratti che non avrebbero stipulato (o avrebbero stipulato a condizioni diverse), se non fossero rimasti vittime di pratiche commerciali sleali. Nella prassi, si sono largamente preferite le misure inibitorie e cautelari, oltre a quelle sanzionatorie irrogate dall’A.G.C.M. Tali misure sono state ritenute, per svariate ragioni, risposte più adeguate alle esigenze di tutela prospettate781.
D’altra parte, come un autore ha giustamente affermato, il problema dei rimedi individuali dei consumatori contro le condotte professionali illegittime è «non solo e non tanto quello della loro idoneità allo scopo, quanto quello della loro appetibilità per chi dovrebbe servirsene»782. Appetibilità invero compromessa, nel nostro ordinamento, dai ben noti mali che affliggono la giustizia civile783. Ecco perché lo stesso autore suggeriva il ricorso a strumenti alternativi di risoluzione per via stragiudiziale (le cd. A.D.R., Alternative
volte modificato. A dire il vero, come si è opportunamente osservato in un lavoro più recente, benché l’entrata in vigore della norma fosse stata salutata con favore, ad oggi le class actions «effettivamente intentate e giunte a sentenza si contano su un palmo della mano» (così GIRINELLI, L’accertamento di una pratica commerciale scorretta: il doppio binario remediale
del public and private enforcement, in Jus civile, 2016, VI, p. 462). Le ragioni sono molteplici:
la diffidenza degli operatori del diritto, che le considerano uno strumento estraneo alla tradizione giuridica nazionale; la constatazione che difficilmente un singolo consumatore si rende portatore degli interessi di categoria. L’azione di classe si presta, infatti, ad essere effettivamente promossa da soggetti economici forti ed esperti; infine, la circostanza che le poche class actions esperite con successo in Italia si sono concluse con la concessione di risarcimenti irrisori. Per approfondimenti ulteriori, si rinvia a GIRINELLI, op. cit., p. 449 ss. Sul tema avrò modo di soffermarmi infra ai par. 6 ss. del capitolo IV.
780 V. FACHECHI, Pratiche commerciali scorrette e (apparente) gap normativo, cit., p. 183-184. 781 Cfr. GRISI, op. cit., p. 16.
782 Così GRANELLI, Il codice del consumo a cinque anni dall’entrata in vigore, in Obbl. e contr.,
2010, XI, p. 735.
783 Mi riferisco ai tempi lunghi dei processi e ai costi da sostenere nell’attesa di una pronuncia
definitiva. Come si legge nel Libro verde della Commissione delle Comunità europee «sui mezzi di ricorso collettivo dei consumatori», COM (2008), 794 def., Bruxelles, 27 novembre 2008, p. 4, punto 2.9., «i costi elevati e il rischio di vertenze giudiziarie rendono antieconomico per il consumatore pagare spese di giustizia, avvocati ed esperti per un importo che può risultare superiore al risarcimento richiesto».
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Dispute Resolutions, nella dicitura anglosassone). E, in effetti, tale via sembra
essere quella verso cui si orienta il legislatore (comunitario e, di riflesso, nazionale), giacché, in sede di attuazione della direttiva 2013/11/UE784, è stato recentemente introdotto, nel codice del consumo, un apposito Titolo, il II bis (artt. 141 ss.785), dedicato, per l’appunto, alla risoluzione extragiudiziale delle controversie786. Appare prematuro oggi trarre conclusioni sulla reale effettività degli strumenti prescritti dalle nuove norme anche all’ambito delle PCS. Non si possono, tuttavia, sottovalutare sin da ora la portata innovativa di simili previsioni e le opportunità che esse offrono in tema di rimedi a disposizione del singolo consumatore contro gli illeciti imprenditoriali. Si tratterebbe, come è noto, di strumenti alternativi a quelli tradizionali qui ampiamente esaminati. Con riferimento a questi ultimi resto convinta, in definitiva, che si debba prediligere la via della responsabilità in capo ai professionisti e del conseguente obbligo risarcitorio verso i consumatori danneggiati.
784 V. Direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013 sulla
risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (Direttiva sull’ADR per i consumatori).
785 Tali articoli sono stati inseriti nel codice del consumo dal d.lgs. n. 130/2015, con vigenza dal
9 gennaio 2016.
786 Il comma 10 dell’art. 141 cod. cons. fa salvo, in ogni caso, il diritto del consumatore di adire
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