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Cenni agli altri codici di condotta: l’inadeguatezza e la scarsa conformità alle previsioni normative.

3. La promozione dei codici di condotta nel contrastare le pratiche commerciali vietate.

3.4. Cenni agli altri codici di condotta: l’inadeguatezza e la scarsa conformità alle previsioni normative.

Sarebbe più che mai opportuna una ricognizione degli altri codici di condotta esistenti, al fine di indagare il reale grado di diffusione della soft law e vagliarne la conformità all’ordinamento positivo.

Tuttavia, come la dottrina ha già avuto modo di segnalare, un’indagine di questo tipo appare tutt’altro che agevole a fronte di un sistema informativo farraginoso e deficitario246. Il che contrasta apertamente con uno dei principi cardine della direttiva e del codice del consumo, su cui dovrebbe fondarsi l’autodisciplina e il suo efficace funzionamento per le imprese e i consumatori.

D’altra parte, l’art. 27 quater cod. cons. prevede espressamente che le organizzazioni professionali ex art. 27 bis trasmettano al Ministero per lo sviluppo economico i codici di condotta adottati e riferiscano a quest’ultimo periodicamente le decisioni assunte in attuazione della normativa sulle pratiche commerciali scorrette. Il Ministero, quindi, dovrebbe rendere disponibili sul

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proprio sito web i codici comunicati e pubblicare le sintesi delle decisioni più significative sulle controversie intercorse, comprese quelle adottate dagli organi di risoluzione extra-giudiziale247.

Poco dopo il recepimento della direttiva, il Ministero segnalava l’indirizzo Internet ove i dati sarebbero stati pubblicati248. Sennonché, la pagina,

i collegamenti e ogni altro riferimento ai singoli codici autodisciplinari sono totalmente scomparsi dal sito web ministeriale249.

Inoltre, all’esito di una ricerca a campione sugli indirizzi Internet delle principali imprese quotate a Piazza Affari, ho potuto verificare come i rinvii ai codici di condotta siano pressoché inesistenti. E ciò nonostante non manchino richiami ad altri codici adottati (codici etici, di buon governo, etc.).

Alcuni codici di condotta, tuttavia, esistono e sono applicati a livello nazionale e locale, benché non risultino efficacemente pubblicizzati. Mi è stato possibile rintracciarli, consultando le raccolte redatte da alcune Camere di commercio250.

Si è osservato251, però, che tali codici in molti casi, non descrivono, se non in termini generali, lo standard minimo di condotta richiesto alle imprese aderenti. Essi rinviano, infatti, senza ulteriori chiarimenti a concetti amplissimi, quali la buona fede e la correttezza. Spesso, inoltre, le disposizioni contenute nei codici celano logiche difensive e corporative, poco coerenti e talvolta in aperto contrasto con le previsioni normative a tutela dei consumatori252. Il che spinge a dubitare della liceità o quanto meno della concreta utilità di simili fonti.

Si tenga presente, peraltro, che il legislatore nazionale non ha previsto alcuna forma di approvazione preventiva dei codici di condotta da parte di

247 V. TOMMASI, op. cit., p. 39.

248 Si veda TROIANI, Codici di condotta nelle pratiche scorrette, in Mercato e consumatori,

Roma, 2009, p. 28 ss., il quale riferisce come il Ministero stesse raccogliendo il materiale fornito dai soggetti che avevano adottato codici di condotta, al fine di pubblicare le informazioni all’indirizzo Internet http://www.pratichesleali.sviluppoeconomico.gov.it.

249 Lo segnalano F. GHEZZI, op. cit., p. 684; TOMMASI, op. cit., p. 39; BUSSOLI, Responsabilità

sociale, codici di condotta e pratiche commerciali sleali, in AA.VV., La responsabilità sociale

d’impresa: idee e prassi, a cura di PERULLI, cit., p. 194.

250 Si veda l’elenco pubblicato sul sito della Camera di commercio di Milano-Monza Brianza-

Lodi, nella sezione Regolazione di mercato (v. http://www.milomb.camcom.it/codici-di-

autodisciplina). Tra gli altri si segnalano, a titolo meramente esemplificativo, il Codice di

comportamento della vendita diretta, elaborato dall’Associazione Vendite Dirette Servizio Consumatori (AVEDISCO) e il Codice di autodisciplina Federlingue per le Imprese di traduzione, interpretariato e formazione linguistica del dicembre 2016.

251 V. F. GHEZZI, op. cit., p. 691.

252 F. GHEZZI, op. cit., p. 691 ne menziona esemplificativamente due, ove, senza alcun

fondamento legislativo, parrebbero bandite le attività concorrenziali e ogni forma di pubblicità comparativa: «Rapporti tra imprese – L’impresa (…) deve astenersi da qualsiasi iniziativa, attività o atteggiamenti diretti a sottrarre la clientela alla concorrenza»; «(…) l’impresa può procedere alla presentazione ed illustrazione dei propri lavori nonché dei propri titoli e capacità professionali, astenendosi tuttavia da ogni valutazione comparativa con l’attività delle altre imprese».

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pubbliche autorità253. Una precauzione di questo tipo avrebbe certamente favorito l’adozione di codici più conformi agli obiettivi e ai contenuti della disciplina consumeristica. Tale scelta potrebbe dimostrare una scarsa fiducia del legislatore italiano nell’autodisciplina o comunque la poca considerazione della

soft law nel contrastare le pratiche commerciali scorrette.

In molti casi, inoltre, le disposizioni dei codici di condotta esistenti sembrerebbero presentare un contenuto meramente «programmatico»: un soggetto deputato a farle rispettare, talvolta, manca del tutto; oppure, se un organismo responsabile c’è – e spesso non è indipendente –, non è comunque possibile ravvisare mezzi efficaci per l’assunzione e l’attuazione delle sue decisioni254.

I codici di condotta presenti nella prassi, dunque, non sembrerebbero rispondere alle previsioni degli artt. 27 bis ss. cod. cons. Si segnalano, però, alcune rilevanti eccezioni. In primis, il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, di cui si è ampiamente dato conto e che rappresenta senz’altro l’esempio più riuscito di codice di condotta, pienamente conforme alle prescrizioni della direttiva e del codice del consumo. Attenta dottrina ha, tuttavia, messo in luce i limiti dell’esperienza autodisciplinare pubblicitaria. In particolare: I) essa non può strutturalmente virare su scelte radicali, dovendo sempre preferire opzioni accettabili dalla grande maggioranza delle imprese. Non a caso, la pubblicità comparativa è stata introdotta per legge, costringendo solo in un secondo momento il Codice ad uniformarvisi; II) i rimedi e le sanzioni previsti dal sistema sono generalmente deboli, come fisiologicamente accade negli ordinamenti di soft law; III) tali ultimi ordinamenti non sempre si rivelano adeguati, specie laddove l’interesse comune inclini verso la tolleranza delle devianze, anziché verso la riprovazione255. Simili rilievi critici, seppure condivisibili, non paiono, però, sufficienti a ridimensionare l’efficienza del sistema autodisciplinare pubblicitario, ampiamente dimostrata dalla prassi.

Oltre al Codice della Comunicazione Commerciale, costituiscono casi coerenti con la normativa sulle pratiche commerciali scorrette: il Codice di autoregolamentazione tv e minori256; il Codice di autoregolamentazione in

253 Diversamente da quanto accade, ad esempio, in Gran Bretagna, come si è spiegato nella nota

177, a cui si rinvia.

254 Come si è già segnalato, è significativo che nel codice del consumo non sia stata inserita una

norma che consenta, secondo le indicazioni della direttiva, di denunciare il responsabile del codice, qualora la soft law non sia conforme agli artt. 18 ss. cod. cons., ovvero risulti, altrimenti,

contra legem.

255 Così LIBERTINI, op. cit., p. 44-45.

256 Tale codice è stato promosso dall’AGCOM e da fonte di autonomia privata ha poi acquisito

forza di legge nel 2004, confluendo nel Testo unico della radiotelevisione. Ai sensi del par. 4.1., «nel riconoscere la particolare validità delle norme a tutela dei minori come esplicitate nel

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materia di televendite e spot di televendita di beni e servizi di astrologia, di cartomanzia ed assimilabili, di servizi relativi ai pronostici concernenti il gioco del Lotto, Enalotto, Superenalotto, Totocalcio, Totogol, Totip, lotterie e giochi similari, approvato dalla Commissione per l’assetto del sistema radiotelevisivo nel 2002 e poi sottoscritto dalle emittenti e associazioni firmatarie257. Segnalo, infine, il più recente esempio del cd. Codice di condotta operatori telemarketing

258, adottato nel 2011 e, dunque, posteriormente alla direttiva259.

Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, promosso dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, le Imprese televisive si impegnano ad accogliere – ove dia garanzie di maggiore tutela – e a rispettare tale disciplina, da considerarsi parte integrante del predetto Codice». Si tratta di un rinvio integrale all’autodisciplina pubblicitaria, che nulla aggiunge rispetto a quanto ivi previsto.

257 Tale codice, pur non utilizzando la dicitura pratiche commerciali ingannevoli, all’art. 2 vieta

le trasmissioni [televisive] contenenti «dichiarazioni o rappresentazioni che possono indurre in errore gli utenti televisivi/consumatori. (...) Le trasmissioni non devono, inoltre, ingannare il pubblico sul contenuto dei servizi». Per quanto indirettamente, si rinvia, pertanto, alla nozione che in questa sede interessa. Il rispetto e l’applicazione del presente Codice di Autoregolamentazione sono affidati ad un Comitato di controllo di dodici membri nominati dal Ministro delle comunicazioni, il quale ha sede presso il Ministero delle comunicazioni e agisce su segnalazione degli interessati con una procedura similare a quella prevista nel Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale per l’organo analogo.

258 La dicitura per esteso è la seguente: «Norme per la regolamentazione del trattamento dei dati

estratti dagli elenchi di abbonati per fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale mediante l’impiego del telefono».

259 Tale codice disciplina, in particolare, la pratica delle chiamate vocali da parte degli addetti di

call center agli abbonati, finalizzate a stabilire un contatto per inviare materiale pubblicitario,

provvedere alla vendita diretta, ovvero compiere ricerche di mercato. Pur non utilizzando espressamente la dicitura «pratiche ingannevoli», esso vieta chiaramente simili attività, richiedendo all’operatore di fornire un’informativa esaustiva sulle caratteristiche di ciascun servizio o prodotto proposto. Il Codice, inoltre, richiama i principi di buona fede e lealtà ed obbliga al rispetto della disciplina positiva in materia di transazioni commerciali, con una particolare attenzione alle esigenze di protezione dei consumatori più vulnerabili. Appare, infine, significativo l’esplicito rinvio agli artt. 27 bis e ter cod. cons.

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