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Le ordinanze di rinvio pregiudiziale, ex art 267 TFUE: il diritto italiano al vaglio dei giudici europei.

DELLA GIURISPRUDENZA INTERNA E COMUNITARIA

7. Le ordinanze di rinvio pregiudiziale, ex art 267 TFUE: il diritto italiano al vaglio dei giudici europei.

L’annosa questione del rapporto tra discipline e del conseguente riparto di competenze tra Authorities nei settori regolati, esaminata in queste pagine, sembrava vicina a una conclusione o quanto meno a un punto di svolta.

La soluzione prospettata dall’Adunanza Plenaria464 non era apparsa

idonea a chiarire i dubbi che avevano originato il rinvio. La stessa sezione rimettente – la Sesta del Consiglio di Stato – ha ritenuto, pertanto, doveroso sollevare anche questione pregiudiziale interpretativa dinanzi alla Corte di Giustizia CE465. Il tentativo era volto ad ottenere una parola definitiva sulla compatibilità euro-unitaria dell’art. 27, comma 1 bis, cod. cons.466. La risposta

461 V. BERTANI, Pratiche commerciali scorrette e violazione della regolazione settoriale tra

concorso apparente di norme e concorso formale di illeciti, cit., p. 943.

462 A ben vedere, in alcuni casi, una simile eventualità si è già verificata, come ha

opportunamente segnalato BERTANI, nella sua Relazione dal titolo Pratiche commerciali

ingannevoli fra disciplina generale e regolazione di settore, cit.

463 Così CAPPAI, op. cit., p. 907.

464 V. supra al par. 3 del presente cap. II.

465 Cons. St., 17 gennaio 2017, nn. 167 (Wind) e 168 (Vodafone), ord., relative alle cause C-54/17

e C-55/17, consultabili in http://www.giustizia-amministrativa.it.

466 V. BARSI, Il conflitto di competenze in materia di pratiche commerciali scorrette nei settori

regolati approda alla Corte di Giustizia. Commento a Consiglio di Stato, Sez. VI, ord. 17 gennaio, n. 167, in Riv. reg. merc., 2017, I, p. 167.

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del giudice comunitario non si è fatta attendere, ma delude le aspettative di quanti, me compresa, confidavano in una «quadratura del cerchio»467.

Mi preme, innanzitutto, rilevare come sia piuttosto singolare assistere in un medesimo giudizio all’intervento dell’Adunanza Plenaria prima e alla rimessione alla Corte di Giustizia poi468. La decisione della Sesta Sezione di interpellare la Corte, nonostante la pronuncia in udienza plenaria, trova, tuttavia, giustificazione proprio nella giurisprudenza comunitaria.

Nella sentenza relativa al caso Puligienica c. Airgest S.p.A. la Grande Camera ha stabilito, infatti, che l’esigenza di risolvere un dubbio sulla corretta interpretazione di una norma comunitaria costituisce un preciso obbligo per gli organi giurisdizionali apicali469. Tale obbligo deve considerarsi prevalente anche rispetto ad una decisione già espressa sulla stessa questione dall’organismo di giustizia amministrativa dotato di funzione nomofilattica. Il che consente – proprio come è accaduto nella vicenda processuale de qua – di disapplicare l’art. 99, comma 3, c.p.a., nella parte in cui impone alla sezione rimettente, che non condivida l’orientamento della Plenaria su una questione di interpretazione o validità del diritto dell’Unione, di rinviare la questione stessa esclusivamente all’Adunanza, senza poter adire direttamente la Corte di Giustizia470.

467 V. Corte CE, 13 settembre 2018, in http://www.curia.europa.eu. Alla sentenza, sopraggiunta

durante la redazione del presente lavoro, sarà dedicato il par. 8 del presente cap. II, a cui faccio sin da ora rinvio.

468 In proposito, la sezione rimettente, nell’ordinanza di rinvio, ha avuto cura di precisare che

«nell’ambito del presente processo la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 4/2016 non è munita dell’autorità dello stare decisis (…), [la quale] è cedevole in caso di sospettato contrasto della sentenza dell’Adunanza plenaria con il diritto euro-unitario».

469 Il riferimento è alla pronuncia della Corte CE, 5 aprile 2016, Puligienica c. Airgest S.p.A., C-

689/13, in http://www.curia.europa.eu, laddove si è stabilito, tra l’altro, che: «L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una disposizione di diritto nazionale nei limiti in cui quest’ultima sia interpretata nel senso che, relativamente a una questione vertente sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza, qualora non condivida l’orientamento definito da una decisione dell’adunanza plenaria di tale organo, è tenuta a rinviare la questione all’adunanza plenaria e non può pertanto adire la Corte ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale».

470 Una simile impostazione è stata «ratificata» dal Consiglio di Stato, in Adunanza Plenaria,

nella sentenza del 27 luglio 2016, n. 19, laddove si legge: «Alla luce dell’orientamento espresso dalla Corte di giustizia nella citata sentenza 5 aprile 2016, C-689/13, l’art. 99, comma 3, c.p.a. deve (…) essere interpretato nel senso che: a) la Sezione cui è assegnato il ricorso, qualora non condivida un principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria su una questione vertente sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione Europea, può adire la Corte di giustizia

ex art. 267 TFUE ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale, anche senza rimettere previamente

la questione all’Adunanza plenaria affinché questa riveda il proprio orientamento; b) la Sezione cui è assegnato il ricorso, dopo aver ricevuto la risposta della Corte di giustizia ad una questione vertente sull’interpretazione del diritto dell’Unione Europea da essa sottopostale, o allorché la giurisprudenza della Corte di giustizia abbia già fornito una risposta chiara alla suddetta questione, deve essa stessa fare tutto il necessario affinché sia applicata tale interpretazione del diritto dell’Unione Europea». Per un quadro più esaustivo, si veda BARSI, op. cit., p. 153-154. Sulla corretta interpretazione dell’art. 99, comma 3, c.p.a., si rinvia a C.E.GALLO, op. cit., p. 1209-1210.

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Va precisato che, sino al rinvio pregiudiziale in esame, la Corte di Lussemburgo aveva avuto modo di occuparsi del problema del riparto di competenza in via marginale.

Nel caso Abcur del luglio 2015471, analizzando il rapporto tra normativa sulle PCS e direttiva sui medicinali a uso umano – la 2001/83/CE472 – il giudice europeo aveva stabilito la possibile prevalenza della direttiva del 2001, quale lex

specialis, su «aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali», salvo poi

concludere in modo ambiguo: «pratiche pubblicitarie relative» a medicinali a uso umano «sarebbero parimenti suscettibili di ricadere nella sfera della direttiva 2005/29, sempreché ricorrano le condizioni ai fini dell’applicazione della direttiva medesima». Leggendo tale sentenza appare tutt’altro che chiaro se, come parrebbe lasciare intendere il dato letterale, a fronte di una medesima fattispecie, possa ammettersi, quanto meno in astratto, un duplice intervento di

enforcement. Occorrerebbe soprattutto comprendere il significato dell’inciso

«sempreché ricorrano le condizioni ai fini dell’applicazione della direttiva» sulle PCS. E in dottrina, vi era chi aveva opportunamente rilevato che proprio da tale inciso dovesse prendere avvio l’analisi che la Corte avrebbe svolto sulla questione pregiudiziale posta dal Consiglio di Stato473.

Con la sentenza resa nella causa Citroën Commerce474, la Corte di Giustizia aveva, invece, vagliato i rapporti tra gli obblighi sanciti dalla direttiva 2005/29/CE e quelli di cui alla direttiva 98/6/CE in merito all’indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori475. Tale ultima fonte comunitaria non prescrive, dunque, obblighi settoriali, ma approfondisce un aspetto – i prezzi dei beni al consumo – previsto anche nella direttiva sulle PCS. Si tratta di un caso non perfettamente assimilabile a quello in ultimo sottoposto all’esame della Corte, dal momento che non riguarda una relazione tra norme generali e norme speciali applicabili ad un singolo settore. Tuttavia, è interessante osservare come,

471 Corte CE, 16 luglio 2015, Abcur, cause riunite C-544/13 e C-545/13, in

http://www.curia.europa.eu. Tale precedente è stato menzionato da LIBERTINI nella sua

Relazione dal titolo Principio di specialità come criterio regolatore dei rapporti tra la normativa generale e le normative settoriali a tutela dei consumatori, ined., tenuta a Ferrara nel Convegno Disciplina generale delle pratiche commerciali scorrette e regolazioni di settore: il diritto italiano al vaglio della Corte di Giustizia UE, cit. L’a., oltre al caso Abcur, ha menzionato la

pronuncia Citroën Commerce, su cui infra. In entrambi i precedenti, la Corte di Lussemburgo ha avuto occasione di esprimersi, seppure con profili di ambiguità piuttosto importanti – rilevati dallo stesso Libertini –, sul principio di specialità.

472 V. Direttiva 2001/83/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 novembre 2001

«recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano».

473 Così MOSCA, Il riparto di competenze sulla tutela del consumatore all’esame della Corte di

Giustizia, cit., p. 524.

474 V. Corte CE, 7 luglio 2016, Citroën Commerce, C-476/14, in http://www.curia.europa.eu. 475 V. Direttiva 98/6/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998 «relativa

alla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori».

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nella specie, il giudice europeo abbia ritenuto applicabile la sola disciplina della direttiva 98/6 e non anche gli obblighi generali prescritti dalla fonte comunitaria del 2005476.

Al di là di simili precedenti, invero non decisivi477, occorre ora soffermarsi sulle pronunce di rinvio pregiudiziale del 2017.

Nel merito, il Consiglio di Stato proponeva due diverse serie di questioni, per un totale di sette quesiti, riferibili in primis al ben noto problema del riparto di competenza e in secundis alla qualificazione di una pratica commerciale come «aggressiva», ai sensi della dir. 2005/29 e degli artt. 24-26 cod. cons.478. Successivamente, il TAR del Lazio ha aderito alle medesime perplessità sollevate dalla Sesta Sezione, sottoponendo, a propria volta, quesiti analoghi in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia, pur con riferimento ad un altro settore, quello energetico479.

Nelle ordinanze nn. 167-168/2017, la sezione rimettente del Consiglio di Stato, preso atto dell’esistenza di una disciplina a tutela dei consumatori di matrice comunitaria nel mercato delle comunicazioni elettroniche, ha chiesto alla Corte, in primo luogo, se la «rete di sicurezza» che la direttiva sulle PCS

476 Ha osservato LIBERTINI, Principio di specialità come criterio regolatore dei rapporti tra la

normativa generale e le normative settoriali a tutela dei consumatori, cit., che, in tale ipotesi, il

principio di specialità è stato inteso in senso meramente derogatorio, senza ulteriori sfumature. Si rilevi, peraltro, che nel caso di violazione dell’obbligo di indicare i prezzi, dovendo prevalere la direttiva del 1998 – in conformità, per l’appunto, al principio di diritto formulato nella sentenza

Citroën Commerce –, nel nostro ordinamento, si applicherà l’art. 17 cod. cons. L’art. 5 –

rubricato Sanzioni – del d.lgs. n. 84/2000, che ha dato attuazione alla direttiva 98/6/CE è, infatti, in ultimo confluito nel codice del consumo, proprio all’art. 17. Quest’ultimo rinvia, a sua volta, all’art. 22, comma 3, d.lgs. n. 114/1998. E l’art. 22, comma 3 – afferma ancora opportunamente Libertini – appare contrario al principio di effettività, richiesto, a livello comunitario, dalla stessa dir. 98/6/CE (art. 8), dal momento che prescrive una sanzione massima di (soli) 3.000 euro in capo ai professionisti che omettano di indicare, nei prodotti offerti ai consumatori, il prezzo per unità di misura o non lo indichino affatto.

477 Merita, inoltre, di essere menzionato un ulteriore precedente relativo proprio al settore delle

telecomunicazioni, che venne, però, giudicato dalla Corte Suprema Americana (v. Supreme

Court of the United States, January 13, 2004, n. 02-682, Verizon Communications v. Law Offices of Curtis V. Trinko, LLP, often shortened to Verizon v. Trinko). In tale occasione, la Corte aveva

affermato la prevalenza della normativa di regolazione settoriale, in quanto esaustiva ed autosufficiente, sulla disciplina generale Antitrust. In un passaggio della sentenza, si legge, in particolare: «One factor of particular importance is the existence of a regulatory structure

designed to deter and remedy anticompetitive harm. Where such a structure exists, the additional benefit to competition provided by antitrust enforcement will tend to be small (…) The regulatory framework that exists in this case demonstrates how, in certain circumstances, “regulation significantly diminishes the likelihood of major antitrust harm” (Concord v. Boston Edison Co.)». Per un esaustivo commento, si rinvia a RUBIN, The truth about Trinko, in 50 Antitrust

Bull. 725, 2005, p. 725 ss.

478 V. MOSCA, Il riparto di competenze sulla tutela del consumatore all’esame della Corte di

Giustizia, cit., p. 523.

479 V. TAR del Lazio, 17 febbraio 2017, nn. 2547, 2548, 2550, 2551, ord. Corte CE, 13 settembre

2018, cit. risponde, in termini invero lacunosi – come avrò modo di chiarire infra al par. 8 del presente cap. II –, ai soli quesiti espressi per il settore delle comunicazioni elettroniche dal Consiglio di Stato e non a quelli formulati, in un secondo momento, dal TAR del Lazio. Per questi ultimi si attende ancora una risposta dal giudice europeo.

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mira a realizzare potesse venire pregiudicata dall’applicazione in via esclusiva di una disciplina settoriale munita delle stesse caratteristiche di quella vigente nell’ambito delle comunicazioni elettroniche; o se, per contro, tale «rete di sicurezza» dovesse senz’altro recedere di fronte a normative pro- consumeristiche di natura speciale480.

Sin dal primo quesito, il Consiglio di Stato sembrava richiedere alla Corte di Giustizia «una scelta di campo»: chiarire se le politiche dell’Unione intendessero perseguire la protezione dei consumatori in modo differenziato, a seconda del singolo mercato in cui il professionista si trovi a operare, o se, in alternativa, dovessero prediligere l’applicazione trasversale e generalizzata della direttiva del 2005, nella sua funzione di «rete di sicurezza». L’attuale quadro normativo e giurisprudenziale comunitario non sembra offrire risposte univoche sul punto. Punto all’evidenza focale per definire i rapporti tra discipline – generale e speciali – e risolvere i conseguenti conflitti di attribuzione tra

Authorities.

Qualora le politiche europee, secondo la prima opzione, preferissero differenziare la tutela dei consumatori in base ai diversi contesti economici, si renderebbe necessaria la distinzione tra mercati non regolati e «mercati aventi ad oggetto public utilities». I primi sarebbero soggetti senz’altro alla normativa comunitaria generale sulle PCS, mentre i mercati regolati verrebbero ad essere disciplinati, «anche per i profili consumeristici, dalle direttive settoriali (e dai relativi atti interni di recepimento)»481.

Nella seconda opzione, per contro, la direttiva 2005/29/CE avrebbe la funzione di uniformare il più possibile la condotta degli imprenditori all’interno del mercato unico. Di conseguenza, non vi dovrebbero essere distinzioni particolari legate ai singoli contesti economici (regolati e non). Secondo la convincente ricostruzione di un autore, allora, «fatti salvi eventuali aspetti specifici – che a mio avviso andrebbero però chiaramente individuati – la direttiva dovrebbe trovare applicazione generalizzata, operando come strumento di tutela complementare rispetto agli (eventuali) apparati settoriali»482.

Lungi dall’esprimere una posizione chiara sul punto, i giudici di Lussemburgo, nella recente pronuncia pregiudiziale, hanno definito i soli rapporti tra normative nel settore nella specie rilevante, quello delle comunicazioni elettroniche. Avrò modo di approfondire tale profilo a breve483.

In ogni caso, il primo quesito pregiudiziale va letto congiuntamente al secondo relativo al principio di specialità. La «scelta di campo» suddetta avrebbe

480 Cfr. CAPPAI, op. cit., p. 913.

481 Così opportunamente CAPPAI, op. cit., p. 915. 482 V. CAPPAI, op. cit., p. 915.

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richiesto, infatti, anche l’adesione a una delle possibili declinazioni del principio. Il Consiglio di Stato si chiedeva se la specialità, di cui all’art. 3, comma 4, dir., dovesse applicarsi al rapporto tra ordinamenti normativi (è la cd. specialità «per settori» o «per materie»), o tra singole previsioni legislative (si tratta della cd. specialità «per fattispecie»484 o «per norme»), ovvero ancora tra Autorità.

In un discorso di politica generale a tutela dei consumatori, qualora, a livello comunitario, si preferisse dar risalto ai singoli contesti economici regolati per perseguire una protezione specifica del bacino di utenza di ciascuno di essi, si dovrebbe probabilmente optare per una specialità «per settori» o «per materie»: dovrebbero essere le singole fonti settoriali a stabilire di volta in volta gli interessi in concreto prevalenti. E il professionista potrebbe essere soggetto a quei «soli obblighi di comportamento specifici, frutto di una preventiva tecnica di bilanciamento indicata direttamente a livello primario (e sub-primario)»485.

Se, invece, si dovesse prediligere un’applicazione il più possibile generalizzata della direttiva sulle PCS – optando per la seconda tra le politiche proconsumeristiche europee ipotizzate – sarebbe, nella mia opinione, più appropriato il criterio della specialità «per fattispecie» o «per norme»: le autorità di enforcement nazionali verrebbero chiamate ad enucleare, nella prassi applicativa, i comportamenti in concreto esigibili dai professionisti anche nei mercati regolati.

Seppure in modo poco esaustivo, la Corte di Giustizia, nella pronuncia dello scorso settembre, sembrerebbe aver preferito quest’ultima declinazione del principio di specialità486.

Ai fini di una corretta attuazione dello schema della specialità, occorreva rispondere anche al terzo quesito proposto dal Consiglio di Stato: se la nozione di «contrasto», ex art. 3, comma 4, dir. dovesse intendersi come «radicale antinomia», o se potesse, invece, leggersi in senso più ampio, come mera

484 Tale accezione del principio può declinarsi – come è noto – nella specialità «per fattispecie

concrete» o «per fattispecie astratte». Stando alla posizione espressa dal Consiglio di Stato nelle Adunanze Plenarie del 2016, si tratterebbe della specialità «per fattispecie concrete» e non «astratte». Si rinvia, sul punto, alle riflessioni svolte nel par. precedente.

485 Così CAPPAI, op. cit., p. 916.

486 La Corte avrebbe così implicitamente aderito alla tesi espressa dall’Avvocato generale

Campos Sànchez-Bordona nelle sue conclusioni motivate, presentate il 31 maggio 2018 (cause riunite A.G.C.M.-Wind Tre S.p.A., C-54/17 e A.G.C.M.-Vodafone Italia S.p.A., C-55/17), consultabili sul sito http://www.curia.europa.eu. Egli, al punto 107, ha chiarito come non debba necessariamente sussistere un sistema settoriale di protezione dei consumatori, affinché le norme della fonte comunitaria del 2005 vengano disapplicate. «Invero – continua l’Avv. –, il sistema istituito da tale direttiva, in quanto sistema di protezione generale, non cede il passo, in quanto tale, ad alcun sistema». Piuttosto, a cedere il passo sarebbero alcune delle sue disposizioni ed esclusivamente nella misura in cui ve ne siano altre che disciplinino «aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali», a norma dell’art. 3, comma 4, dir. Rinvio, ancora una volta, alle osservazioni riportate infra al par. 8 del presente cap. II.

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esistenza di una «disciplina difforme dalla normativa sulle pratiche commerciali scorrette in relazione alla specificità del settore»487.

La risposta a un simile quesito sembrava essere già stata espressa nelle Linee Guida del 2016, laddove la Commissione UE aveva chiarito come il contrasto tra norme potesse ricomprendere la semplice sovrapposizione tra le medesime. Sennonché, l’istituzione comunitaria, in senso diametralmente opposto, nella lettera di messa in mora all’Italia del 2013488, affermava che «il

termine “contrasto” (…) fa[cesse] chiaramente riferimento all’opposizione o all’incompatibilità tra norme».

La Corte di Giustizia (almeno) su tale profilo non lascia spazio ad ulteriori oscillazioni, spiegando che la nozione implichi «una divergenza che non può essere superata mediante una formula inclusiva che permetta la coesistenza di entrambe le realtà, senza che sia necessario snaturale in quanto diverse»489.

L’interpretazione adottata dalla Corte mi sembra convincente. Essa sostiene che la semplice differenza tra le disposizioni poste a paragone non costituisce di per sé un’antinomia che le rende del tutto incompatibili. Tale differenza non osterebbe, dunque, alla coesistenza di entrambi i contenuti normativi, che potrebbero trovare contemporanea applicazione tramite una «formula inclusiva». Nell’unica eventualità in cui siffatta operazione non fosse possibile, la divergenza fra le previsioni comporterebbe la prevalenza solo di una delle due, ossia di quella più specifica.

Una simile esegesi, a mio avviso, ha il pregio di consentire la contemporanea vigenza di lex generalis e specialis, applicando la normativa di settore, esclusivamente quando la concorrenza fra discipline non sia realizzabile490.

L’ulteriore interrogativo sollevato dalla sezione rimettente concerneva la nozione di «norme comunitarie». Il Consiglio di Stato si domandava, in particolare, se essa fosse da intendersi in senso stretto, con riguardo «alle sole disposizioni contenute nei regolamenti e nelle direttive europee, nonché alle norme di diretta trasposizione delle stesse», ovvero se potesse leggersi in senso ampio, ricomprendendo così anche le «disposizioni legislative e regolamentari attuative di principi di diritto europeo».

Quest’ultima definizione avrebbe l’effetto di allargare in modo significativo la possibile applicazione prevalente di norme speciali. Tali norme

487 Sull’accezione, a mio avviso, preferibile del termine «contrasto» mi sono già espressa supra

al termine del par. 4 del presente cap. II.

488 Si rinvia supra al par. 5 del presente cap. II.

489 In questo passaggio, la Corte riprende pressoché alla lettera le conclusioni motivate

dell’Avvocato generale Campos Sànchez-Bordona, 31 maggio 2018, cit., punto 124.

490 Contra MOSCA, Il riparto di competenze sulla tutela del consumatore all’esame della Corte

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potrebbero, infatti, ricomprendere anche previsioni di diritto interno prive di un collegamento stretto o diretto con la legislazione comunitaria491. Un simile ampliamento del campo applicativo della lex specialis, per certi versi auspicabile, rischierebbe, però, di compromettere l’obiettivo di armonizzazione completa perseguito dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

Tale lettura sarebbe, in ogni caso, da prediligere, qualora, tra le due

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