QUADRO NORMATIVO
2. La nozione d’impresa tra diritto europeo e tradizione civilistica italiana La possibile assimilazione del professionista intellettuale
all’imprenditore.
La definizione di professionista relativa alle pratiche commerciali scorrette richiama la nozione di impresa propria dell’ordinamento comunitario534: il professionista, che ponga in essere pratiche vietate, altri non è che l’imprenditore, secondo l’accezione ivi prevista.
I concetti di impresa e imprenditore dettati in ambito europeo non coincidono, però, con quelli elaborati dalla dottrina e giurisprudenza italiana e consacrati nel codice civile e nelle leggi speciali535536.
Nell’ordinamento nazionale, la definizione di impresa si ricava da quella di imprenditore, quale homo oeconomicus che realizza il proprio profitto sotto l’egida dello Stato. L’impresa è, dunque, l’attività professionale organizzata dell’imprenditore537; non si risolve nell’atto di commercio anche occasionale e
non riguarda la sola industria, ma tutte le attività economiche. La fattispecie impresa si connota, pertanto, inscindibilmente di un’attività produttiva, manifestazione di autonomia ed iniziativa economica, e di un’organizzazione di mezzi personali e patrimoniali538.
In dottrina, emergono poi due concezioni opposte di impresa: soggettiva e oggettiva. La prima si incentra sui soggetti, protagonisti dell’attività economica; la seconda, sugli atti di commercio e l’attività esercitata. Si parla anche, in proposito, di teoria istituzionalistica e teoria contrattualistica, entrambe valide e applicabili alla nozione dell’art. 2082 c.c.539. Come si è opportunamente
segnalato, il codice civile non scioglie, infatti, il dilemma se l’impresa sia attività imputata a un soggetto (individuale o collettivo) o un fascio di contratti. Le due teorie, quindi, «si dividono il campo»540.
534 Sulla nozione di impresa comunitaria si vedano, ex multis: CASSOTTANA-NUZZO, Lezioni di
diritto commerciale comunitario, Torino, 2006, p. 267 ss.; GALGANO, Le professioni intellettuali
e il concetto comunitario di impresa, in Contr. e impr./Europa, 1997, I, p. 1 ss.
535 V. ALPA, Diritto privato europeo, Milano, 2016, p. 511.
536 Per un’ampia ricostruzione storica della nozione di impresa in Italia, si rinvia a GROSSI,
Itinerarii dell’impresa, in Continuità e trasformazione: la scienza giuridica italiana tra fascismo e repubblica, nei Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, Milano, 1999,
II, p. 999 ss.
537 V. ALPA, op. cit., p. 513.
538 Cfr. OPPO, Voce Impresa e imprenditore, in Enc. giur. Treccani, XVI, Roma, 1989.
539 Tale disposizione prevede: «É imprenditore chi esercita professionalmente un’attività
economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi».
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La definizione civilistica tradizionale – come si anticipava – appare distante da quella comunitaria, ove non si fa distinzione alcuna tra imprenditore e impresa, impresa pubblica e privata, attività meramente commerciale e professionale, piccola e grande impresa.
L’approccio di diritto europeo non è istituzionale, ma funzionale. La concezione di impresa o undertaking è strumentale allo scopo di promuovere la libera concorrenza e la libera circolazione di persone, beni, capitali e servizi nel mercato unico541. La semplificazione di concetti è, d’altra parte, inevitabile, anche solo per poter compensare tutti i fenomeni e le concezioni emergenti dai singoli ordinamenti nazionali542.
Manca, a livello comunitario, una definizione univoca di impresa543, ma quel che tendenzialmente interessa è l’attività oggettiva544. Con tale termine, si allude, infatti, ad un’attività economica diretta all’offerta sul mercato di beni e servizi e, quindi, non confondibile con la forza lavoro. L’impresa-imprenditore non si identifica con il prestatore di lavoro subordinato e implica l’assunzione di un rischio finanziario, nell’eventualità in cui l’attività non abbia successo. Non è indispensabile un vero e proprio scopo di lucro545, ma è sufficiente che beni e servizi siano offerti dietro corrispettivo, o che il lavoro svolto comporti costi e ricavi546. Si ragiona, dunque, di un’attività sempre volta al profitto – requisito non richiesto nel nostro sistema giuridico, né dalla disciplina delle società –; un’attività che non deve poi farsi carico di esigenze sociali. Di conseguenza, gli enti no profit non sono considerati imprese, salvo che il loro oggetto non venga a consistere in un comportamento economico volto al profitto547.
Come ha osservato, inoltre, la dottrina, la definizione comunitaria di impresa fa leva sulla pura e semplice rilevanza economica dell’attività e dell’organizzazione che la pone in essere, mentre restano in secondo piano i
541 Si fa riferimento ad una nozione prettamente economica di impresa, come rilevano FERRARA
JR.-CORSI, L’impresa comunitaria, in Gli imprenditori e le società, Milano, 2011, p. 54.
542 Così ALPA, op. cit., p. 514.
543 E ciò, nonostante l’essenziale apporto della giurisprudenza della Corte di Giustizia, che si è
ripetutamente pronunciata sull’argomento. D’altra parte, si ragiona pur sempre di «concetti fluidi, non sovrapponibili a quelli derivanti dai sistemi nazionali» (ALPA, op. cit., p. 514).
544 Si è rilevato come una simile nozione sia completamente diversa da quella condivisa da molti
ordinamenti, giacché scioglie il rapporto giuridico formale tra l’attività economica esercitata ed il soggetto giuridico cui viene ascritta, per affidarsi ad elementi esogeni alla fattispecie (BERLINGUER, Voce Professioni legali (dir. comun.), in Enc. dir., Annali, I, Milano, 2007, p. 1012).
545 V. Decisione 92/521/CEE della Commissione del 27 ottobre 1992, in GUCE, L326, 12
novembre 1992, p. 31 ss.
546 V. BONFANTE eCOTTINO, La nozione di imprenditore, in Tratt. Cottino, Padova, 2001, p.
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diversi caratteri e qualificazioni formali che, in funzione delle differenti finalità, l’attività e l’organizzazione possono assumere548.
Alla luce dei rilievi appena enunciati, nell’ordinamento comunitario anche l’attività del professionista intellettuale può essere qualificata come attività economica d’impresa, consistendo nell’offerta di prestazioni riconducibili alla figura dei servizi forniti dietro corrispettivo549. Ne consegue che i soggetti esercenti tale attività sono definibili come imprese e gli ordini professionali come «associazioni di imprese (…) sottoposti alla normativa a tutela della concorrenza»550.
Per contro, se l’art. 2082 c.c. nulla dice sulla possibilità di considerare imprenditori i professionisti intellettuali, secondo l’opinione dottrinale e giurisprudenziale consolidata, essa sarebbe esclusa dall’art. 2238 c.c.551. Ai sensi
del comma 1, infatti, solo qualora l’esercizio della professione costituisca «elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa», potrà applicarsi la relativa disciplina legislativa552. È stato notato che se pure l’espressione è ambigua e difficilmente decifrabile, essa non lo è al punto da non poterne ricavare la chiara indicazione legislativa che l’attività professionale non è di per sé e in quanto tale attività di impresa553.
Il comma 2 dell’art. 2238 c.c. estende, inoltre, al professionista la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, allorché impieghi sostituti e ausiliari. Il rinvio esclusivo a tale normativa costituirebbe, secondo la ricostruzione prevalente, un’ulteriore conferma dell’intenzione del legislatore di non ricondurre il professionista nello schema dell’imprenditore civile.
Un autore conclude, allora, che lo svolgimento professionale di un’attività, definibile come produttiva di ricchezza, è sì condizione necessaria
548 Cfr. CORAPI, Voce Impresa (dir. comun.), in Enc. dir., Annali, I, Milano, 2007, p. 735. 549 In questi termini, si è espressa l’A.G.C.M. nella Delibera 1° dicembre 1994, n. 2523, in Corr.
giur., 1995, p. 120, con nota di R. DANOVI, Le libere professioni e l’indagine conoscitiva
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Per approfondimenti, si rinvia a TERESI,
Voce Professioni, in Dig. disc. pubbl., Torino, 1997, p. 2.
550 V. Corte CE, 23 aprile 1991, Hofner e Elser, C-41/90, in Racc., 1991, p. I-1979; 16 novembre
1995, Fédération Francaise des sociétés d’assurance e altri, C-244/94, in Racc., 1995, p. I- 4013; 11 dicembre 1997, Job Centre Coop, C-55/96, in Racc., 1997, p. I-7119. In dottrina, si rinvia a SCASSELLATI SFORZOLINI-RIZZA, La tensione fra regole di concorrenza comunitarie e
regole professionali e deontologiche professionali, in Giur. comm., 2003, I, p. 17.
551 In generale, sul tema, v. IBBA, Professione intellettuale e impresa, in Riv. dir. civ., 1982, II,
p. 558 ss.; MANGO, Professione intellettuale e impresa, in Giur. comm., 1977, II, p. 113 ss.
552 Cfr. GALGANO, Imprenditore e professionista intellettuale, in Tratt. dir. civ., III, II ed.,
Padova, 2010, p. 400.
553 V. BONFANTE-COTTINO, La nozione di imprenditore, cit., p. 449. JAEGER-DENOZZA-
TOFFOLETTO, Appunti di diritto commerciale. Impresa e società, VI ed., Milano, 2006, p. 21 osservano che l’inciso del codice civile non significa, in ogni caso, che il professionista diventi imprenditore, quando la sua attività non abbia carattere personale. ANTEO GENOVESE, La nozione
giuridica dell’imprenditore, Padova, 1990, p. 52 e FARINA, Esercizio di professione intellettuale
e organizzazione d’impresa, in Impr. e soc., Studi per Graziani, V, Napoli, 1968, p. 2092
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per l’assunzione della qualità di imprenditore, ma non ne è condizione sufficiente. Esistono, infatti, attività, quali per l’appunto quelle dei professionisti intellettuali, che pur consistendo nella produzione di beni o servizi, e quantunque esercitate professionalmente, non danno luogo nel nostro ordinamento ad un’impresa554.
Le due nozioni d’impresa – comunitaria e nazionale – parrebbero, quindi, inconciliabili. E la figura del professionista intellettuale, in Italia, non sembrerebbe affatto assimilabile al concetto di imprenditore. Tuttavia, sotto la spinta dell’ordinamento europeo, il quadro sta rapidamente cambiando555.
Si rilevi, innanzitutto, che uno dei motivi di contrasto tra il Consiglio Nazionale Forense (d’ora in avanti anche semplicemente CNF) e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è dato proprio dalla definizione di impresa: se il CNF continua a tenere distinta l’attività intellettuale da quella commerciale, con la conseguenza di escludere l’applicazione della disciplina sulla concorrenza ad un ente pubblico con funzioni di regolazione e senza finalità di profitto; per contro, l’Antitrust definisce gli avvocati come imprese e il CNF come un’associazione di imprese556.
Sul punto si registra poi una recente apertura della giustizia amministrativa che ha chiarito come il Consiglio Nazionale Forense, accanto all’attività amministrativa e giurisdizionale, possa svolgere anche attività «d’impresa»557. Si legge, infatti, nella sentenza che «l’ordinamento [italiano] si
è ormai orientato verso una nozione funzionale e cangiante di ente pubblico», ragion per cui si ammette che «uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri istituti regimi normativi di natura
554 Così GALGANO, Imprenditore e professionista intellettuale, in Tratt. dir. civ., cit., p. 400. 555 Si veda il mio SPEZIALE, Sulle prospettive di difesa dalle pratiche commerciali scorrette
mediante soft law, cit., p. 1440 ss., ove rilevo i punti di contatto tra i codici di condotta in tema
di PCS e i codici deontologici degli ordini professionali ad ulteriore conferma dell’assimilabilità delle due figure.
556 Secondo ALPA, op. cit., p. 514, l’A.G.C.M. commetterebbe così due errori, giacché parrebbe
ignorare sia l’attività intellettuale propria dell’avvocato, sia le funzioni giurisdizionali e di controllo del CNF. Tale ultimo organo, proprio in ragione di tali funzioni, non può – a detta dell’a. – essere scambiato per un’associazione che cura gli interessi professionali o imprenditoriali, come Confindustria, Confcommercio, Confesercenti, etc. In verità, l’attività intellettuale caratteristica della professione forense e le funzioni tipiche del CNF non sono, a mio avviso, decisive per negare l’inclusione dei professionisti intellettuali nel novero degli imprenditori. Una certa attività o funzione, infatti, non ne esclude necessariamente altre più strettamente attinenti all’esercizio dell’impresa. Sul punto, offre un chiarimento anche la recente giurisprudenza amministrativa, che si menzionerà infra nel testo. In ogni caso, sulla scorta dell’ordinamento comunitario e nonostante le resistenze della dottrina e di parte della giurisprudenza, ritengo l’assimilazione professionista intellettuale-imprenditore ormai inevitabile.
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privatistica»558. Tali affermazioni sarebbero – a detta del Consiglio di Stato – supportate dalla giurisprudenza europea e nazionale, laddove si è rilevato che un’organizzazione professionale, la quale adotti un codice deontologico, non eserciti una funzione sociale, ma neppure prerogative tipiche dei pubblici poteri. Piuttosto, «essa “appare come l’organo di regolamentazione di una professione il cui esercizio costituisce, peraltro, un’attività economica”»559.
Anche con riferimento ad ordini professionali diversi da quello degli avvocati, i tribunali amministrativi hanno puntualizzato che la nozione di impresa, a cui occorre fare riferimento per applicare la normativa antitrust, è quella propria del diritto comunitario, riferibile a tutti i soggetti «attivi» sul mercato. «Per questo sono ormai considerate “imprese” [quantomeno, aggiungerei] ai fini specifici della tutela della concorrenza anche gli esercenti le professioni intellettuali che offrono sul mercato, dietro corrispettivo, servizi suscettibili di valore economico»560.
A tali pronunce ha fatto eco anche la Corte di Cassazione, che riprendendo la lettura tradizionale dell’art. 2082 c.c., ha ammesso la possibilità che i professionisti intellettuali assumano la qualità di imprenditore commerciale, qualora esercitino la professione nell’ambito di un’attività organizzata in forma d’impresa561.
558 Prosegue la pronuncia: «Questa nozione “funzionale” di ente pubblico, “ci insegna, infatti,
che il criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente pubblico non è sempre uguale a se stesso, ma muta a seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato e della ratio ad esso sottesa”. La conseguenza che ne deriva è “che è del tutto normale, per così dire “fisiologico”, che ciò che a certi fini costituisce un ente pubblico, possa non esserlo ad altri fini, rispetto all’applicazione di altri istituti che danno rilievo a diversi dati funzionali o sostanziali” (in questo senso, Cons. St., sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660)». Simili considerazioni sulla natura «cangiante» degli enti pubblici, sebbene consentano di avvicinare i Consigli dell’Ordine ad associazioni di imprese, non paiono sufficienti a qualificarli come tali in mancanza di elementi ulteriori, precisati dalla giurisprudenza di legittimità. Come si chiarirà
infra nella nota 561, occorre, infatti, comunque un esercizio della professione forense in forma
societaria, che lasci pensare che «il sostrato amministrativo [cessi] di essere meramente strumentale» e un professionista che non faccia solo l’avvocato o il commercialista, ma svolga «una prevalente opera di organizzazione dei fattori produttivi» (si esprime in questi termini Cass., sez. lav., 9 febbraio 2016, n. 2520, in Diritto & Giustizia, VIII, 2016, p. 46, con nota di LEVERONE, L’avvocato non è un imprenditore commerciale se non esercita un’attività distinta
da quella professionale, in una massima che cito per intero nella nota 561).
559 La sentenza rinvia, dunque, a Corte CE, 18 luglio 2013, Consiglio nazionale dei geologi, C-
136/12; Cons. St., 22 gennaio 2015, n. 238, in Riv. not., 2015, 3, II, p. 571 con nota di MUSOLINO,
Il compenso professionale: decoro, qualità della prestazione e dignità del lavoro.
560 V. TAR del Lazio, 16 febbraio 2015, n. 2688, in Redazione Giuffré 2015, in una controversia
che contrapponeva l’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Bolzano e altri all’A.G.C.M. (e altri). Tale precedente è menzionato, con riferimento ancora una volta al Consiglio Nazionale Forense, dal TAR del Lazio, 1° luglio 2015, n. 8778, in Foro amm., 2015, VII-VIII, c. 2017. Quest’ultima sentenza è riportata anche in ALPA, Illecito e danno antitrust.
Casi e materiali, Torino, 2016, p. 242.
561 Aggiunge poi la Suprema Corte: «ciò vale solo in quanto essi svolgano una distinta e
assorbente attività che si contraddistingue da quella professionale proprio per il diverso ruolo che assume il sostrato organizzativo il quale cessa di essere meramente strumentale e per il diverso apporto del professionista, non più circoscritto alle prestazioni d’opera intellettuale, ma
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A riprova della lenta ma progressiva assimilazione, anche nel nostro Paese, del professionista intellettuale all’imprenditore, si menzioni poi un esempio, costituito da una novella legislativa relativa (ancora una volta) al settore professionale degli avvocati. La l. 4 agosto 2017, n. 124 ha, infatti, modificato l’art. 4 e introdotto l’art. 4 bis alla Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense (l. n. 247/2012). Superando il divieto inizialmente sancito dalla l. n. 1815/1939 per qualsiasi attività professionale protetta562, la riforma ha consentito l’esercizio della professione forense in forma societaria, aprendo persino alla partecipazione di soci non avvocati, purché in minoranza di quote. Resta fermo il principio della personalità della prestazione professionale e la responsabilità del singolo professionista che abbia eseguito la prestazione oggetto del contratto d’opera intellettuale. Non si può, però, sottovalutare la portata innovativa della l. n. 124/2017, che, coerentemente con la giurisprudenza menzionata, avvicina in modo significativo le due nozioni di impresa e la figura del professionista d’opera intellettuale all’imprenditore563.
Mi sia concessa, infine, un’ultima osservazione. L’assimilazione dei due concetti suddetti può essere invero basata sul dato testuale dell’art. 18, comma 1, lett. b) cod. cons. Ai sensi di tale norma – come è noto –, è professionista la persona fisica o giuridica che «agisce nel quadro della sua attività (…) professionale». Tale ultima qualifica segue quelle di «commerciale, industriale o artigianale», le quali, in senso lato e con qualche forzatura, avrebbero potuto esse stesse intendersi come un richiamo indiretto alle libere professioni. Sennonché, a simili qualifiche il legislatore ha aggiunto esplicitamente l’aggettivo «professionale». E, allora, nel fare espresso riferimento a tale attività accanto a quella commerciale, etc., la norma non può che alludere ai professionisti intellettuali. Una simile interpretazione della norma «speciale», di cui all’art. 18, consente senz’altro di assimilare questa categoria di lavoratori agli imprenditori, eludendo il problema del contrasto tra le due nozioni –
involgente una prevalente opera di organizzazione di fattori produttivi che si affiancano all’attività tecnica ai fini della produzione del servizio» (Cass., sez. lav., 9 febbraio 2016, n. 2520, cit.). L’assimilazione non potrebbe esservi, dunque, per quei professionisti che non operino con una simile strumentazione organizzativa (in forma societaria).
562 Il generale divieto di esercitare in forma societaria le attività professionali, stabilito nell’art.
2 della l. del 1939, era stato poi abrogato dall’art. 24, l. n. 266/1997 (cd. legge Bersani), la quale delegava ad un decreto interministeriale la puntuale previsione dei requisiti per l’esercizio in tale forma delle professioni protette.
563 La dottrina già da tempo aveva segnalato, con riferimento agli esercenti le professioni
intellettuali non protette – all’epoca i soli che potessero unirsi in società –, come la prestazione d’opera dei soci fosse giuridicamente un conferimento di servizi in società, in niente diverso da ogni altro conferimento di servizi; l’attività esterna della società non si sarebbe differenziata affatto dall’attività di qualsiasi altra società che avesse offerto al pubblico servizi. Si sarebbe trattato, in ogni caso, di una società avente ad oggetto un’impresa di produzione di servizi, classificabile ex art. 2195, comma 1, n. 1 c.c. (GALGANO, Le professioni intellettuali e il concetto
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comunitaria e nazionale – d’impresa, enunciato in queste pagine. Problema che, in ogni caso, potrebbe essere risolto in forza della supremazia del diritto europeo e, quindi, dalla definizione onnicomprensiva di impresa desumibile dalla legislazione comunitaria e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, su cui mi sono già ampiamente soffermata.
3. La definizione di pratica commerciale scorretta e i principi di buona