QUADRO NORMATIVO
6. Lo standard del consumatore medio e la relazione di proporzionalità inversa con la diligenza professionale.
La «superclausola» generale, di cui all’art. 20, comma 2, cod. cons., che è stata oggetto di attenta disamina nei suoi elementi costitutivi680, rinvia al parametro del «consumatore medio»681.
Nella proposta di direttiva del 2003 figurava un’apposita definizione del parametro, distinta ed autonoma rispetto a quella di consumatore: nell’art. 2, comma 1, lett. b) si stabiliva che per «consumatore medio» dovesse intendersi «il consumatore normalmente informato e ragionevolmente avveduto»682. La Commissione europea assumeva così a modello non un soggetto debole e
677 Dello stesso avviso, con riferimento all’art. 2, comma 1, lett. e) dir. sono KOCH, Die Richtlinie
gegen unlautere Geschäftspraktiken. Aggressive geschaftsgebaren in Deutschland und England und die Auswirkungen der Richtlinie, cit., p. 39 ss. e VEELKEN, Kunderfang gegenüber dem
Verbraucher. Bemerkungen zum EG-Richtlinienentwurf über unlautere Geschäftspraktiken, in Wettbewerb im Recht und Praxis, 2004, p. 24.
678 Come si è opportunamente osservato, tutelare la libertà di scelta del consumatore «non
significa impedire alle imprese di far leva sul “consumismo”, facendo ricorso a strategie di marketing che inducano i consumatori a desiderare beni di consumo anche perché condizionati da ciò che viene solo proposto; piuttosto ciò che viene impedito è l’abuso di queste tecniche, che si può tradurre nell’alterare il processo di determinazione della volontà dei consumatori in maniera apprezzabile nella fase finale della scelta d’acquisto» (RABITTI, Delle pratiche
commerciali scorrette, in AA.VV., Le modifiche al codice del consumo, a cura di ROSSI CARLEO, cit., Art. 20, p. 150-151). Per approfondimenti sul fenomeno del consumismo in Italia, si veda SCARPELLINI, L’Italia dei consumi, Bari, 2008.
679 V. ROSSI CARLEO, Definizioni, in AA.VV., Le modifiche al codice del consumo, a cura di
ROSSI CARLEO, cit., Art. 18, comma 1, lett. e), p. 67.
680 Si rinvia supra ai par. 4 e ss. del presente cap. III.
681 La definizione della locuzione «falsare in misura rilevante il comportamento economico dei
consumatori», contenuta nell’art. 18, comma 1, lett. e) cod. cons. – su cui mi sono soffermata
supra al par. 4 del presente cap. III – menziona, invece, il consumatore sic et simpliciter. V. DE
CRISTOFARO, La nozione generale di pratica commerciale «scorretta», cit., p. 161.
682 V. Proposta di direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori
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vulnerabile, bensì un consumatore critico e consapevole, perché normalmente informato e avveduto. Il che risultava pienamente conforme alla nozione elaborata dalla Corte di Giustizia683 già sotto la vigenza della normativa europea sui marchi d’impresa684 e sulla pubblicità ingannevole e comparativa685, oltre
che con riferimento alla commercializzazione di specifiche categorie di prodotti686.
La definizione proposta dalla Commissione è stata poi ampliata dal Parlamento europeo, nel parere reso in prima lettura687, con l’espressione «tenuto conto delle circostanze sociali, culturali e linguistiche», al fine di conferirle maggiore elasticità e adattarla meglio alle peculiarità del caso concreto.
Con una simile integrazione, il parametro è stato, infine, inserito dal Consiglio in un apposito Considerando, il n. 18 e non in una previsione ad hoc all’interno del testo normativo, come nelle intenzioni originarie. L’art. 2 dir. non riporta, pertanto, alcuna definizione di «consumatore medio», mentre il
Considerando n. 18, dopo aver riconosciuto l’opportunità di «proteggere tutti i
consumatori dalle pratiche sleali», puntualizza che «la Corte di Giustizia ha ritenuto necessario, nel decidere in cause relative alla pubblicità dopo l’entrata in vigore della direttiva 84/450/CE, esaminare l’effetto su un virtuale consumatore tipico». E conclude: «conformemente al principio di proporzionalità, e per consentire l’efficace applicazione delle misure di protezione in essa previste, la presente direttiva prende come parametro il consumatore medio che è normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici, secondo l’interpretazione della Corte di giustizia».
D’altronde, come ho rilevato più volte nel presente lavoro, la scorrettezza di un messaggio promozionale deve essere valutata in rapporto alla sua idoneità
683 Cfr. PONCIBÒ, Il consumatore medio, in Contr. e impr./Europa, 2007, p. 734 ss.
684 V., tra le tante, Corte CE, 12 febbraio 2004, Henkel, C-218/01, in Foro it., 2004, IV, c. 130;
6 maggio 2003, Libertel Groep BV, C-104/01, in Dir. ind., 2004, p. 33 ss.; 22 giugno 1999, Lloyd
Schuhfabrik Mever GmbH, C-342/97, in Dir. ind., 1999, p. 317 ss.
685 V. Corte CE, 19 aprile 2007, De Landtsheer Emmanuel SA, C-381/05, in Dir. ind., 2007, p.
386 ss., punto 22; 19 settembre 2006, Lidl Belgum GmbH & Co. KG, C-356/04, in Foro it., 2006, IV, c. 619, punti 77 ss.; 8 aprile 2003, Pippig Augenoptik GmbH & Co. KG, C-44/01, in Foro it., 2003, IV, c. 458, punto 55.
686 Cfr. Corte CE, 24 ottobre 2002, Linhart, C-99/01, in Racc., p. I-9375, punto 31; 13 gennaio
2000, Estée Lauder, C-220/98, cit., punti 27 ss.; 16 luglio 1998, Gut Springenheide e Tusky, C- 210/96, cit., punti 31 ss.
687 Il Parlamento UE ha, quindi, superato i timori del Comitato economico e sociale, che, nel suo
parere sulla proposta di direttiva, aveva evidenziato come il parametro del consumatore medio, enucleato dalla Commissione, avrebbe potuto pregiudicare il carattere protettivo delle politiche comunitarie a tutela dei consumatori, lasciando sprovvisti di protezione i soggetti meno informati e istruiti (v. Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE e 98/27/CE (direttiva sulle pratiche commerciali sleali), COM (2003) 356 def. - 2003/0134 (COD)).
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ad alterare la libertà di scelta del consumatore. È proprio tale libertà di scelta il bene giuridico oggetto della complessiva tutela disegnata nel diritto dell’Unione Europea, sia in una disciplina specifica, quale è la direttiva sulle PCS, sia nella giurisprudenza della Corte di Lussemburgo e conseguentemente nella legislazione e giurisprudenza nazionale.
Ma, come si è giustamente osservato, l’accertamento dell’idoneità ad ingannare o turbare richiede necessariamente l’individuazione di un certo standard o parametro soggettivo, ossia il «riferimento alla capacità di intendere e volere di un consumatore tipizzato»688. Se, da un lato, anche l’inganno meglio congeniato può cadere nel vuoto dinanzi a un interlocutore particolarmente avveduto e attento, dall’altro, un inganno grossolano e ben riconoscibile può avere effetto su una persona particolarmente sprovveduta.
Si è discusso, in passato, se lo standard da adottare dovesse essere quello di un consumatore «medio» o se, in base al criterio di precauzione, dovesse farsi riferimento al consumatore culturalmente e psicologicamente «più debole» della media.
Nella visione oggi prevalente del diritto dei consumi, liberale e non più paternalistica, uno standard troppo rigoroso è apparso, tuttavia, inefficiente: il rinvio al «consumatore più debole» avrebbe comportato il divieto di una quantità tale di messaggi commerciali, da privare il mercato di buona parte di quel flusso di informazioni che, seppure parziali e interessate, contribuiscono a ravvivare l’interesse dei consumatori e ad animare il gioco della concorrenza. Inoltre, la costruzione di un mercato caratterizzato dall’attivismo degli utenti implica, quale auspicabile corollario, il rifiuto di scelte normative che spingano i medesimi a delegare totalmente al potere pubblico la tutela dei propri interessi. Ecco perché, lo si accennava poc’anzi, la Corte di Giustizia, a partire dagli anni novanta, ha adottato lo standard del «consumatore medio», dotato di un buon livello di istruzione e con capacità critica nelle scelte d’acquisto689.
Il parametro europeo vincola il legislatore nazionale, che pur non avendo espressamente recepito il testo del Considerando n. 18, ha introdotto – come si diceva – il riferimento al «consumatore medio» nella norma che prescrive il generale divieto di pratiche commerciali scorrette (art. 20, comma 2, cod. cons.). Lo standard si basa su due criteri: l’istruzione generale e l’attenzione rivolta all’atto d’acquisto. La normativa sulle PCS pone, a ben vedere, a carico del consumatore, un peculiare onere di diligenza. Il modello del «consumatore
688 Così LIBERTINI, Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche
scorrette, cit., p. 62.
689 Cfr. Corte CE, 10 novembre 1982, Rau, C-261/81, cit.; 18 maggio 1993, Yves Rocher, C-
126/91, cit.; 6 luglio 1995, Mars, C-470/93, cit.; 16 luglio 1998, Gut Springenheide e Tusky, C- 210/96, cit.
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medio» rinvia, infatti, ad un corredo di abilità, informazioni, conoscenze ed esperienze non banali, che fanno del consumatore stesso un protagonista attivo e responsabile e non un mero spettatore sul mercato. L’obbligo di diligenza gravante su tale soggetto ha così per contenuto ogni attività di ricerca, analisi ed elaborazione delle informazioni sulle offerte in campo, che risulti esigibile dall’average consumer di un determinato prodotto/servizio690.
Al consumatore medio non è richiesto, però, il possesso di alcuna perizia specifica, essendo sufficiente un certo grado di cultura generale691. Nell’applicare in concreto la nozione in esame, rilevano – come è noto – fattori sociali, culturali e linguistici. L’interprete è chiamato a verificare se e in quale misura simili fattori incidano sulla percezione del messaggio pubblicitario, oggetto del giudizio di scorrettezza, dal momento che esso potrebbe essere inteso dai consumatori di un Paese UE diversamente rispetto ai consumatori di un altro Paese.
Così ragionando, emerge uno specifico limite alla misura della diligenza richiesta all’imprenditore nell’ambito delle pratiche commerciali692. La
diligenza professionale può, infatti, definirsi come un parametro relazionale: essa deve essere determinata in modo inversamente proporzionale rispetto alla diligenza dovuta dal consumatore medio693. L’agire diligente dell’imprenditore sul mercato può, in tal senso, integrare il bagaglio di conoscenze ed esperienze del consumatore medio, rectius rimediare ai suoi limiti cognitivi e all’asimmetria informativa di cui egli ontologicamente soffre, consentendogli, in definitiva, di assumere decisioni realmente consapevoli sull’effettiva convenienza di un’offerta commerciale694.
La natura relazionale della nozione di diligenza professionale rispetto alla misura della diligenza dovuta dal consumatore medio pone poi in particolare rilievo il parametro qui in esame. Il concetto di «consumatore medio» presenta,
690 Il tutto al netto delle limitazioni di razionalità che gli imputa la disciplina sulle pratiche
commerciali scorrette. V. BERTANI, Pratiche commerciali scorrette e consumatore medio, cit., p. 58.
691 Cfr. LIBERTINI, Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche
scorrette, cit., p. 64-65.
692 Un altro limite, posto in rilevo da BERTANI, op. ult. cit., p. 58 e che, per ragioni di sintesi
inserisco in nota, è costituito dal caso fortuito. In capo al professionista incombe, infatti, un’obbligazione di protezione avente ad oggetto qualsiasi comportamento commissivo od omissivo indispensabile, affinché il consumatore medio compia scelte libere e consapevoli, con l’eccezione delle ipotesi in cui il fattore pregiudizievole della libertà o della consapevolezza di questa scelta dipenda da circostanze non prevedibili o comunque non dominabili dall’agire umano.
693 V. BERTANI, op. ult. cit., p. 58-59.
694 Sulla diligenza esigibile in capo al consumatore medio, cfr. le considerazioni svolte da PUNZI,
«Ragionevolmente attento ed avveduto». Note sulla responsabilità del consumatore nell’economia della conoscenza, in AA.VV., Scritti in onore di Marcello Foschini, Padova, 2011, p. 529 ss.
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infatti, una portata semantica più agevolmente definibile e può concorrere a determinare meglio il contenuto della diligenza richiesta all’imprenditore che realizzi pratiche commerciali sul mercato695.
Si precisi, in ultimo, che, in determinate circostanze, il giudice comunitario ha utilizzato la peculiare nozione di «consumatore medio non specializzato», facendo riferimento al consumatore dotato sì di una discreta capacità cognitiva e valutativa, ma che dedichi una limitata ponderazione al prodotto da acquistare e alle sue specifiche caratteristiche696. È quanto accade nei settori ove sono commercializzati beni cd. di largo consumo, quali, a titolo esemplificativo, i beni alimentari, ovvero quelli per la pulizia della casa o la cura della persona, etc. Trattandosi di prodotti destinati a un pubblico ampio e «generalizzato», posti sul mercato a un prezzo esiguo, essi sono oggetto di acquisto da parte di una tipologia di consumatori in media poco attenta a vagliarne nel dettaglio ogni singola caratteristica. La valutazione di consumo data è, quindi, sintetica e complessiva, non già specificamente analitica. Pertanto, secondo la Corte di Giustizia, in simili ipotesi, lo standard di riferimento, al fine di valutare la scorrettezza di una pratica, coincide con il consumatore medio «generalizzato», ossia quel consumatore che ha una conoscenza – per l’appunto – meramente generale dei beni che sta acquistando, senza averne in concreto la piena contezza. Un simile acquirente manca delle informazioni tecniche e delle nozioni specifiche riguardo ai prodotti che compera. Inoltre, in ragione del prezzo ridotto, tale consumatore, in via tendenziale, non pondera con la dovuta attenzione i suoi atti d’acquisto697.
7. La scorrettezza del professionista e la sorte del contratto concluso a