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L’approccio della teoria femminista umanista di Okin e l’approccio delle teorie differenzialiste.

IL FEMMINISMO UMANISTA DI SUSAN MOLLER OKIN

11. L’approccio della teoria femminista umanista di Okin e l’approccio delle teorie differenzialiste.

Okin in modo esplicito sostiene che non sia corretto opporre l’etica della cura all’etica della giustizia, in quanto il senso di giustizia si sviluppa anche attraverso l’empatia e la benevolenza verso gli altri. L’autrice non ritiene che vadano contrapposte e suddivise le etiche, né ha l’intento di valorizzare orientamenti morali tipicamente femminili. Con ciò il suo approccio è completamente opposto rispetto alla teoria differenzialista di Carol Gilligan235, ma questa non è l’unica profonda divergenza riscontrata.

Tutta la teoria di Gilligan parte dal presupposto che esista un orientamento femminile alla cura degli altri, che è il frutto delle attività che tradizionalmente sono state assegnate alle donne. Il problema per l’autrice di “In a different voice” è che la differenza femminile viene omessa o quando contemplata svalutata, quindi il percorso femminista da intraprendere è quello della valorizzazione del femminile. Okin parte dall’analisi della disuguaglianza economica, sociale, e politica delle donne rispetto agli uomini, e ritiene che essa sia causata dalla divisione sessuale del lavoro in famiglia che crea il circolo vizioso della subalternità femminile. Pertanto, la sua proposta femminista è quella di porre fine alla divisione dei ruoli basata sul sesso, il che significa far partecipare gli uomini alle attività tradizionalmente associate al femminile e far partecipare le donne ad attività considerate tradizionalmente maschili. Non vi è esaltazione della differenza, ma decostruzione della differenza. In Okin non esiste il maschile e il femminile, se non come costruzione sociale e culturale, e vi è una chiara distinzione fra sesso e genere. Il fine a cui tendere è una società senza genere, ovvero in cui gli esseri umani hanno condizioni di vita migliori in quanto sono più liberi di scegliere chi essere e chi diventare. Di contro in Gilligan, il fine a cui tendere è dare alle donne la possibilità di esprimere la differenza femminile, in una realtà androcentrica che vorrebbe negarla. Le donne di Gilligan traggono la propria forza morale e politica dalla

capacità di essere interdipendenti dall’altro, che le rende esseri emotivamente completi, e risolvono i conflitti morali attraverso la nozione di sofferenza propria e altrui. Le donne di Okin sono individui che hanno interessi, necessità e aspettative diverse dagli altri, e il problema della teoria politica è proprio quello di aver negato l’individualità delle donne, facendo corrispondere i suoi interessi o con quelli dell’uomo, o con quelli della famiglia. Per Gilligan è sufficiente prendere in considerazione l’amor proprio e l’amore verso l’altro per risolvere il conflitto morale; per Okin l’amore non è condizione necessaria e sufficiente perché vi sia un rapporto giusto. La visione di Gilligan parte da un rapporto idealizzato della relazione fra il sè e l’altro, infatti attraverso la consapevolezza della propria e dell’altrui sofferenza la donna riesce a risolvere i conflitti interpersonali; Okin parte da una visione realistica delle relazioni fra il sé e l’altro e mette in evidenza quanto gli interessi della donna possano confliggere con gli interessi degli altri familiari, anche se comunemente si pensa che la famiglia sia un’unità di amore e di altruismo in cui regna l’armonia.

Sia Okin sia Gilligan prendono in considerazione la teoria di Chodorow della riproduzione della maternità, ma Okin mette in evidenza le lacune e le disuguaglianze che conseguono al fatto che il genitore primario sia di sesso femminile, e spinge al dual parenting, affinché queste possano essere modificate. Ritiene necessario all’emancipazione femminile che non vi sia un’esaltazione del ruolo di cura delle donne, che queste possano avere sbocchi professionali soddisfacenti come quelli che hanno gli uomini, e possano essere pienamente indipendenti. Gilligan invece ritiene come Chodorow che le bambine in quanto si identificano con il sesso della madre che è il loro genitore primario abbiano una maggiore empatia verso l’altro, si sentano più attaccate all’altro, ma dato che queste sono per lei le caratteristiche che rendono forte la differenza femminile rispetto al modo maschile distaccato di relazionarsi all’altro, non propone cambiamenti atti a modificare la riproduzione della maternità.

Per quanto concerne le critiche alla visione idealizzata di Sandel della famiglia, in cui regnerebbe la comunione di interessi, queste sono applicabili anche alle femministe differenzialiste come Gilligan che ritengono che le donne non ragionino secondo i propri interessi, ma seguendo la responsabilità della non sofferenza delle persone care. Sottolineare come fa Okin l’esistenza di un conflitto di interessi nella famiglia che spesso si risolve a scapito delle donne, dalle quali ci si aspetta la rinuncia e il sacrificio di sé, significa ribadire la necessità di ragionare secondo giustizia in sfere che si ritengono indifferenti a tale

ragionamento, e riaffermare che se è vero che non è sufficiente una logica razionale, è vero anche che non è sufficiente neanche la sostituzione di un modo di procedere basato esclusivamente sull’affettività e l’amore.

Per quanto riguarda le critiche avanzate a Bloom rispetto al suo continuo utilizzo del concetto di natura e di naturale senza alcuna problematizzazione, e in merito all’esaltazione della cura femminile, le critiche possono applicarsi alle femministe differenzialiste che come Gilligan e Mary Daly236, si richiamano ad una presunta natura femminile, anche se con l’intento di liberare le donne dall’oppressione maschile. Le tesi di tali teorie spesso ricadono nel determinismo biologico, assegnando virtù morali e politiche che derivano dalla differenza sessuale e confondendo il sex con il gender. In teoriche femministe come Gilligan poi si ha un’esaltazione della cura femminile, allo stesso modo di Bloom, e non si contempla il problema delle conseguenze che ha questa apologia nel perpetuare la divisione sessuale del lavoro.

Le critiche al contestualismo del comunitarismo che si oppone alla visione astratta e imparziale del liberalismo, sono anche esse applicabili alle pensatrici femministe che come Gilligan esaltano gli aspetti positivi del ragionamento contestuale, senza rendersi conto che assumere valori contestuali non coincide necessariamente con l’assumere valori pensati per soddisfare il bene comune, ma significa spesso assumere il punto di vista di chi in quel contesto ha più potere.

Nell’edizione italiana di “Justice, gender and family”,”Le donne e la giustizia”237 sia Gianluigi Palombella nella presentazione sia Maria Chiara Pievatolo nella postfazione mettono in luce quanto l’approccio della teoria femminista di Okin sia distante dall’approccio differenzialista del femminismo.

Palombella, docente di Filosofia del Diritto presso l’Università di Parma, evidenzia che le tesi di Okin sulla famiglia e sul rapporto uomo-donna sono molto distanti tanto dalla tradizione cattolica per la quale la differenza sessuale è corrispondente all’ordine naturale, quanto dal pensiero femminista concentrato sull’etica della cura. L’autrice rifiuta la possibilità di ruoli cui gli esseri umani sono destinati e predeterminati dalla nascita, e rinuncia a fare riferimento alla differenza di sesso femminile, anche quando ciò potrebbe essere utile alla valorizzazione delle donne. Se la differenza sessuale socialmente costruita è

236 Mary Daly vd. n. cap. Terzo

237 Susan Moller Okin, Tr. It. Maria Chiara Pievatolo, Le donne e la giustizia. La famiglia come problema politico,

infondata, non ce ne si può avvalere, nemmeno per riequilibrare il potere. Okin non rinuncia all’idea di eguaglianza maschile e femminile per far leva su una presunta differenza, e quindi non aspira a creare un mondo ginecocentrico, con un’etica, una filosofia politica, una cultura distinte e separate da quelle maschili.

Palombella nota che Okin non cade nella valorizzazione delle differenze delle identità oppresse, traducendole in un “differentismo ideologico”238, ma cerca la radice della discriminazione di genere e la inserisce nel quadro della teoria della giustizia. È chiaro che per l’autrice le differenze plausibili sono quelle che ciascuno si sceglie e non quelle che ognuno subisce.

Okin, sostiene Maria Chiara Pievatolo, docente di filosofia politica all’Università di Pisa, non parte dalla domanda in che cosa le donne sono diverse, ma dalla domanda sul perché le donne sono state trattate diversamente. Per rivendicare i diritti delle donne è stato utilizzato un metodo che Okin non condivide: si elabora una descrizione della donna e delle sue peculiarità e le si riservano diritti corporativi per coordinarla al mondo politico maschile. Questo significa trovare la differenza sessuale, garantirla a livello teorico e elaborare una morale e un diritto sessuato, il tutto in direzione opposta rispetto all’affermazione dell’eguaglianza, che viene rifiutata quale tentativo di omologare le donne agli uomini. Per Okin uguaglianza, lungi dall’essere accettazione acritica del mondo maschile, significa ripensare il rapporto fra sfera domestica e sfera politica e interrogarsi sulle radici storiche della disuguaglianza fra uomo e donna, ciò che un’apologia della differenza femminile non può fare.

Per l’autrice affinché tutti abbiano la possibilità di autodeterminarsi non è sufficiente suddividere l’antropologia in ginecologia e andrologia morale, o frammentarla in molteplici culture da riconoscere. Operando in questo modo si otterrebbe una “zoologia dell’umanità per la quale le persone godono di diritti e libertà solo nei confini fissati dalla loro tassonomia”239. Ma le classificazioni possono riferirsi soltanto all’esistente, a ciò che è già fissato, e non alle variazioni non ancora verificatesi perché possibili, non classificate o non classificabili. Questo sarebbe una costrizione della libertà come autonomia, che richiederebbe invece la possibilità di oltrepassare una linea di sviluppo predeterminata.

238 Ivi, p. 9. 239 Ivi, p. 256

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