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Eguaglianza di opportunità e differenza: i gruppi e gli individui.

ANNE PHILLIPS: IL RAPPORTO FRA UGUAGLIANZA E DIFFERENZA.

7. Eguaglianza di opportunità e differenza: i gruppi e gli individui.

Phillips sebbene ritiene che differenze sistematiche di capacità e di preferenze non siano associabili alla razza o al genere, non mette in dubbio che vi siano differenze individuali.

190 Anne Phillips, “Defending Equality of outcome”, …op. cit. 15-19 191 Ivi, pp. 19-21

Gli individui sono diversi, nelle abilità, nel carattere, nelle preferenze, e sebbene le differenze siano esacerbate da disuguaglianze sociali, le persone differiscono in ciò che vogliono e in ciò che sono capaci di fare.

Comunemente si sottolinea il peso della responsabilità individuale, e delle conseguenze delle azioni su se stessi e sugli altri, e si insegna ai minorenni a divenire responsabili di se stessi. È questo che porta a ritenere che ci debbano essere differenze nei risultati fra individui, e alcuni ritengono anche fra gruppi sociali.

Se si vuole vedere l’aspetto non nocivo di uno scenario diversificato, si sostiene che le differenze siano semplicemente tali, ovvero differenze e non disuguaglianze. Così una persona può essere più gratificata nell’intraprendere un’attività creativa, ritenere l’accumulazione di risorse materiali oppressiva e fare carriera una forma di egocentrismo. Un’artista appassionata può essere indifferente al fatto che un imprenditore abbia maggiori risorse economiche e più autorità di lei. Oppure un altro individuo può scegliere di fare lavori che richiedano abilità fisiche, e può non comprendere la scelta di chi sta tutto il giorno in ufficio davanti ad un computer. C’è anche chi guarda al lavoro semplicemente come a un mezzo per guadagnare, che non offre altra gratificazione se non quella pecuniaria. Ci possono essere differenze significative fra questi individui per quanto concerne il guadagno, lo status sociale, o la gratificazione lavorativa, ma dato che questi hanno fatto una scelta reale, non si può dire che queste differenze siano ineguaglianze. Tuttavia bisogna essere molto attenti quando si invoca la differenza per spiegare la diversa posizione dei gruppi sociali nella divisione sociale del lavoro o nella distribuzione di guadagno e ricchezza. La disparità fra gruppi è un indicatore della carenza di uguali opportunità. Per quanto concerne gli individui, è difficile dire cosa possa significare uguaglianza dei risultati, poiché ognuno di fronte a risorse materiali e immateriali sceglie a suo modo, e ha un modo personale di gestire e valutare il denaro. Ma per quanto concerne i gruppi sociali, le differenze sono troppo estese, e diviene sospetto attribuire diversità marcate nei risultati a diverse preferenze determinate dall’appartenenza di gruppo. In questi casi ci si dovrebbe chiedere come mai ci siano differenze così forti nelle preferenze fra un gruppo e un altro, e concentrarsi sulle condizioni in cui vengono prese le scelte192.

Il problema non è se possiamo utilizzare le argomentazioni a sostegno dell’uguaglianza dei risultati anche per le differenze individuali, ma se le attuali valutazioni non sbagliano nell’interpretare il rapporto fra scelte individuali, istituzioni e relazioni sociali.

Secondo Phillips, il pensiero corrente tende a sottolineare troppo il peso del talento e dell’aspirazione individuale nel determinare i ruoli e le condizioni delle persone. In una società talmente iniqua in cui vi è una profonda forbice fra pochissimi ricchi e moltissimi poveri, è difficile sostenere che la disuguaglianza nella distribuzione delle risorse provenga da abilità, gusti, preferenze, propensione al duro lavoro differenti.

Ci sono molti modi in cui le riflessioni attuali sull’ineguaglianza minimizzano il peso della struttura e delle relazioni sociali. Eppure, le aspirazioni che determinano le nostre scelte sono modellate dalla posizione sociale; in maniera esplicita e persistente dalla classe sociale. Le scelte di vita non provengono dall’etere, ma sono influenzate sia dalle risorse disponibili, sia dalle aspirazioni e dalle aspettative, determinate a loro volta anche dalla classe di appartenenza.

Bisogna anche valutare l’impatto che ha la società nel valorizzare alcune competenze piuttosto che altre, dato che alcune potrebbero essere difficilmente spese nell’attuale mercato lavorativo. E anche considerare il fatto che alcune competenze, che sono cruciali nell’identificare la qualità della vita, (quelle relative all’insegnamento, alla cura di bambini e anziani, al mantenimento dei parchi pubblici) sono organizzate nel settore pubblico con risorse così scarse, che nello svilupparle non vi è alcun vantaggio sostanziale. Se in termini di mercato le disuguaglianze che risultano sono eque, perché alle competenze è associato questo o quel guadagno e ognuno è libero di sviluppare le competenze che ritiene opportune, da un punto di vista della giustizia sociale ciò è alquanto arbitrario. Ed è arbitrario attribuire alla scelta personale le conseguenze del fatto che il sistema sociale valorizza in modo differente le competenze (si confronti il lavoro in banca e il lavoro di cura), e svaluta determinati ruoli e attività nonostante siano necessari..

Un ulteriore problema è che le scelte che facciamo possono avere un effetto cumulativo che può condurre a risultati che nessuno sceglie in maniera deliberata. Un’artista appassionata che può aver optato per la creatività, piuttosto che per la sicurezza materiale, che si ammala e non sa come affrontare le spese, sicuramente non pensava di dover fronteggiare questo problema. Si potrebbe dire che avrebbe dovuto pensarci in anticipo, ma non sempre è possibile pensare a tutte le conseguenze di una scelta. Quando gli effetti delle scelte sono

tali che nessuna persona razionale andrebbe incontro ad essi in maniera deliberata, è inappropriato sostenere che sono soltanto la conseguenza di una scelta personale193.

È molto dubbioso sostenere che differenze nei risultati siano il frutto equo e libero dell’esercizio della scelta personale, e la gran parte di ciò che è interpretato come effetto della diversità individuale deriva da una struttura sociale di disuguaglianza.

Nelle teorie contemporanee si parla di disuguaglianze che derivano da strutture sociali inique, ma anche di disuguaglianze che derivano da talenti e abilità che la natura non ha dato a tutti allo stesso modo. Si tende a sottolineare la distinzione fra ciò che deriva della scelta e ciò che deriva dalla fortuna o dal caso o dalla natura, per sostenere che le iniquità che derivano dalle carenze di opportunità siano simili alle iniquità ereditate dalla natura. Tuttavia in questa distinzione non è tanto importante se siano le circostanze sociali o le scelte individuali a condurre ad una data condizione, ma capire se questa condizione deriva dalla scelta o dalla fortuna. Pertanto le ineguaglianze di genere o di razza non vengono associate a strutture sociali che generano e perpetuano la disuguaglianza, ma vengono interpretate secondo il binario scelta/fortuna. Sembra che lo scopo dell’eguaglianza sia compensare la sfortuna delle persone: si promuove un’interpretazione individualista dell’eguaglianza, indifferente all’oppressione imposta socialmente. Le cause della sfortuna divengono accidentali: non è importante se derivano da una malattia genetica, dal razzismo o dal sessismo, o dalle leggi sull’ereditarietà, e visto che non importa quale sia la causa della sfortuna, vi è meno interesse nell’identificare quelle di esse che possono essere modificate. La sfortuna, secondo Phillips, non è un modo adeguato per descrivere le relazioni sociali e le istituzioni che influenzano la vita degli individui. Al contrario, focalizzarsi sulle istituzioni e sulle relazioni sociali serve ad affrontare le ineguaglianze sistematiche di potere.

In conclusione, l’autrice ritiene che sia più difficile definire l’eguaglianza come eguaglianza dei risultati in merito agli individui, piuttosto che ai gruppi sociali; tuttavia le disuguaglianze giustificate perchè frutto di scelte individuali sono una categoria di disuguaglianze molto più ristretta di quanto si ritiene abitualmente e di quanto si è spinti a credere194.

193 Ivi, pp. 23-25 194 Ivi, pp. 25-29

Capitolo Quinto

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