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La relazione fra sesso, genere e differenza sessuale.

LE TEORIE FEMMINISTE IN FRANCIA

9. La relazione fra sesso, genere e differenza sessuale.

Delphy fa notare che molti lavori che utilizzano la categoria di gender, inclusi quelli femministi sono basati sulla supposizione che il sesso preceda il genere, e secondo l’autrice è una posizione teoricamente non giustificabile, che fa arretrare il pensiero sul genere293. Chi fa precedere il sesso al genere cade in una impasse e in una contraddizione politica e non pensa in maniera rigorosa al rapporto fra divisione e gerarchia, giacchè il rapporto fra

sex e gender non è altro che la stessa problematica posta in altri termini.

Secondo Delphy in uno dei lavori pionieri sul genere quello di Ann Oakley, Sex, gender and

society294, le differenze psicologiche fra i sessi sono dovute al condizionamento sociale, e quindi vi è un’estrema critica del determinismo sociale. Oakley sostiene che sebbene la divisione del lavoro fra i sessi è universale, il compiti assegnati al maschile e al femminile variano considerevolmente a seconda del contesto sociale.

Quindi l’uso che fa Oakley del concetto di genere copre tutte le differenze stabilite fra uomini e donne, sia che queste siano individuali e siamo nel ramo della psicologia, sia che siano di origine sociale e siamo nel ramo della sociologia, sia che siano rappresentazioni culturali e siamo nel ramo dell’antropologia. In più il suo lavoro sul concetto di genere copre ogni cosa che è variabile e socialmente determinata, il fatto che le determinazioni di genere siano variabili è la prova della loro origine sociale. Quindi in sintesi Oakley sostiene che bisogna considerare da una parte la fissità dei sessi, dall’altra la variabilità dei generi. Ma a Oaklay secondo Delphy sfugge un elemento importante: la fondamentale asimmetria e gerarchia fra i due generi.

Secondo l’autrice l’errore di molti studi femministi che utilizzano la categoria del genere sta nell’aver continuato a pensare il genere come se fosse coincidente con il sesso: ovvero di interpretarlo come una dicotomia sociale determinata da una dicotomia naturale. Ovvero si vede il genere come un contenuto e il sesso come un contenitore. Il contenuto può variare, e alcuni ritengono che debba variare, ma il contenitore è considerato essere invariabile perché

293 Christine Delphy, “Rethinking sex and gender”, Women’s studies international forum, v.16, n 1, 1993, pp 1-9 294 Anne Oakley, Sex, gender and society…cit vd. cap. 1

è parte della natura, e la natura non cambia. Inoltre parte della natura del sesso stesso è vista come avente parzialmente un contenuto sociale e quindi parzialmente variabile a livello culturale.

Secondo l’autrice bisogna chiedersi se il genere sia indipendente dal sesso, ma nessuno si è sinora posto questa domanda. Nessuno ovvero si è posto la domanda perché mai i sessi darebbero origine ad una sorta di classificazione sociale.

La formulazione solita del rapporto fra il sesso e il genere è questa: il sesso viene prima, cronologicamente e logicamente, sebbene nessuno abbia mai spiegato perché debba essere così. Quindi le teorie correnti sul genere suggeriscono o ammettono la precedenza del sesso, sebbene implicitamente, rispetto al genere e quindi conducono a ritenere che sia il sesso che causa o spiega il genere. La teoria che sia il sesso a causare il genere può derivare soltanto da due argomentazioni logiche: la prima è che il sesso biologico e in particolar modo le funzioni procreative differenti fra i maschi e le femmine che provoca, necessariamente danno origine ad una minima divisione del lavoro.

Utilizzano queste argomentazioni naturalistiche sia autrici femministe come Gayle Rubin295

sia autori patriarcali. Queste argomentazioni non spiegano in maniera sufficiente in primo luogo la natura e ragione per cui questa prima divisione del lavoro ha avuto origine; e in secondo luogo perché questa prima divisione del lavoro ha dato origine ad una divisione in tutte le attività sociali, ovvero perché tale divisione non si è limitata al campo della procreazione. Quindi è una spiegazione che presenta molte lacune.

La seconda spiegazione vede il sesso biologico come un tratto fisico rilevante tanto da essere un ricettacolo per le classificazioni.

Il postulato di queste spiegazioni è che gli esseri umani hanno un bisogno universale di stabilire classificazioni indipendenti da ogni organizzazione sociale e prioritaria rispetto ad essa; e che hanno il bisogno di stabilire queste classificazioni sulla base di tratti fisici , indipendentemente da ogni pratica sociale. Ma questi due bisogni umani non sono né giustificati né provati. Sono semplicemente affermati. In tutto ciò non si dimostra perchè il sesso è più importante di altri tratti fisici, che sono egualmente distinguibili ma che non danno luogo né a dicotomie né tanto meno implicano ruoli sociali che non sono soltanto distinti ma gerarchici.

Questa seconda spiegazione è categorizzata da Delphy come cognitivista, non perché sia sostenuta in modo particolare dai cognitivisti, ma perché presume certi prerequisiti della

cognizione umana. Levi-Strauss296 che rientra in questa categoria sebbene non sia psicologo

basa tutte le sue analisi della parentela e delle società umane su un bisogno incontenibile e presociale degli esseri umani di dividere ogni cosa in due. Ma il problema è che nessuna delle due spiegazioni può giustificare in maniera soddisfacente il legame causale fra sesso e genere. Il presupposto che vi è questo legame causale fra il sesso e il genere rimane tale: una presupposizione297.

Invece secondo Delphy il genere precede il sesso. Il sesso semplicemente marca una divisione sociale che serve a mostrare il riconoscimento sociale e l’identificazione di coloro che dominano e di coloro che sono dominati. Ciò significa che il sesso è un segno, che non distingue cose equivalenti ma cose importanti e diseguali che hanno acquisito storicamente un valore simbolico.

Il valore simbolico del sesso non è stato ignorato dai teorici della psicanalisi, ma ciò che questi hanno ignorato è che questo è la conclusione finale di una lenta progressione: esso è il punto di arrivo e non il punto di partenza. Questo è lo snodo ignorato da molte femministe così come da molti psicoanalisti: la società alloca i segni che distinguono i dominati dai dominanti nei tratti fisici. Così la presenza o assenza di un pene predice il genere. Tuttavia avere o non avere il pene è correlato in maniera molto labile con la differenza della funzione di procreazione fra individui. Non distingue in maniera chiara le persone che possono procreare e quelle che non possono. Distingue infatti soltanto qualcuno che non può procreare. Un sacco di persone che non hanno il pene non possono procreare, sia a causa della sterilità sia a causa dell’età.

I cognitivisti pensano che il sesso sia una caratteristica predominante perché pensano che il sesso fisico sia strettamente correlato con le differenze funzionali, e perché assumono che il resto dell’umanità condivida questo sapere. Ma pensano soltanto che il sesso biologico sia una percezione spontanea dell’umanità perché loro sono convinti in prima persona che sia un tratto naturale che nessuno possa ignorare. Per loro è un’evidenza che si mostra da sola che ci sono due e soltanto due sessi, e che questa dicotomia sia una distinzione incrociata

296 Su Levi-Strauss vd. n. cap. I 297 Ivi, pp. 4-5.

con la divisione fra potenziali procreatori/procreatici e non procreatori/procreatrici di bambini.

Ma la questione è ancora più complessa, quando connettiamo il genere e il sesso stiamo comparando qualcosa di sociale con qualcosa che è anche sociale ovvero il modo in cui in una data società la biologia rappresenta se stessa?

Uno potrebbe pensare che questa è la prima questione da porsi, e infatti ci sono alcune femministe in Francia che si oppongono all’utilizzo del termine genere. Queste credono che rafforzi l’idea che il sesso in sé sia puramente naturale. Comunque non utilizzare la categoria di genere non significa che si metta direttamente in discussione il carattere naturale del sesso e una strada non corretta è il non utilizzo della categoria genere.

Il sesso denota e connota qualcosa di naturale. Pertanto non è possibile mettere prima in discussione il sesso, giacchè sarebbe una contraddizione in termini. La naturalità è una parte integrante della definizione del termine.

Al contrario bisogna prima di tutto dimostrare che il sesso si applica alla divisioni e alle distinzioni che sono sociali. Poi dobbiamo separare il sociale dal termine originario, che rimane definito dalla sua naturalità, ma dobbiamo fare emergere il sociale. Questo è ciò che la definizione di ruolo sessuale e di genere fa. Soltanto quando la parte sociale è chiaramente definita come sociale , quando ha un nome a sé stante solo e soltanto allora si può capire quale sia la relazione fra il sesso e il genere. Dobbiamo prima definire ciò che è sociale e solo avendo bene in mente il territorio su cui ci muoviamo si può ridefinire il sesso.

Il dibattito sul genere e sulla sua relazione con il sesso è sullo stesso piano del dibattito sulla priorità fra divisione e gerarchia. Le due questioni sono empiricamente indissolubili, ma è necessario distinguerli analiticamente. Questo significa riconoscere che la gerarchia formula la fondazione della differenza, o meglio di tutte le differenze non solo quella di genere298. Riconoscere questo è difficile, perché se tutte le femministe rigettano la gerarchia creata dal sesso/genere, poche sono disposte ad ammettere la conseguenza logica di questo rigetto che è il rifiuto dei ruoli sessuali e la scomparsa del genere. Le femministe sembra che desiderino eliminare la gerarchia e i ruoli sessuali, ma non la differenza in sé. Vorrebbero abolire il contenuto e non il contenitore. Vorrebbero mantenere alcuni elementi del genere. Qualcuna ne vorrebbe abolire meno qualcuna di più, ma vorrebbero mantenere la classificazione.

Molte poche sono disposte ad ammettere l’esistenza di semplici differenze anatomiche le quali non avrebbero alcun significato sociale e alcun valore simbolico. C’è una divergenza fra chi crede che la differenza viene prima e poi viene la gerarchia e quelle che credono che il contenuto della divisione dei gruppi è il prodotto della divisione gerarchica.

Questo accade soprattutto nel dibattito sui valori. Le teoriche femministe generalmente accettano che i valori sono socialmente costruiti e storicamente trasmessi, ma sembrano nonostante questo credere che vadano mantenuti. Ci sono due varianti tipiche di questa posizione: una sostiene che dobbiamo distribuire i valori femminili e maschili fra tutta l’umanità; gli altri dicono che i valori maschili e femminili debbano essere mantenuti nel proprio gruppo di origine. Ma se così fosse ci dovremmo chiedere come le donne levatrici e fiere di esserlo potranno diventare uguali agli uomini che non cambiano, mentre questi continuano a sfruttare il tempo delle donne. Questa non è una contraddizione da poco, ma mostra che la confusione intellettuale porta ad una confusione politica. Queste contraddizioni si verificano perché da una parte c’è il desiderio di non abbandonare un sistema di classificazione, sebbene conduca all’instaurazione di una gerarchia fra individui, il che fa credere che le persone non pensano realmente che il genere sia una classificazione sociale. Dall’altra c’è una rappresentazione dei valori secondo cui tutte le potenzialità umane sono attualmente rappresentate, ma divise fra uomini e donne. Il maschile più il femminile non sarebbero il prodotto della gerarchia sociale, ma sarebbero indipendenti dalla struttura sociale.

Invece, nelle teorie marxiste e più generalmente nella sociologia contemporanea si ritiene che la struttura sociale sia primaria. Questo implica che la nostra struttura sociale è gerarchica e di conseguenza i suoi valori sono gerarchici. Se si parte da questo presupposto si giunge ad esiti pregni di rilievo. Se si accetta che i valori sono consoni alla struttura sociale, allora bisogna accettare che i valori siano gerarchici in generale, e che quelli dei dominanti non sono meno gerarchici di quelli dei dominati. Secondo queste ipotesi, dobbiamo anche accettare che la mascolinità e la femminilità sono creazioni culturali di una società basata sulla gerarchia di genere. Questo significa che non solo sono connessi l’uno con l’altro in una relazione di complementarità e di opposizione, ma anche che questa struttura determina il contenuto di ciascuna di queste categorie e non solo della loro relazione. Può essere che insieme coprano la totalità dei tratti umani che esistano attualmente, ma non possiamo sostenere che coprano lo spettro delle potenzialità umane.

All’opposto di questa spiegazione vi sono coloro i quali partendo dal presupposto che la cultura sia statica, vedono come positiva la complementarità fra uomini e donne. Secondo tale visione si suppone che i valori precedano l’organizzazione sociale, e ciò comporta anche un richiamo alla natura, in questo caso alla natura umana299.

Questa visione comporta il timore che senza la distinzione fra mascolinità e femminilità ognuno diventi lo stesso, il medesimo, il che è contro natura. La paura di un identico generalizzato, o dell’assenza di differenziazione è intrecciata alla paura che si diventi tutti uguali al modello mascolino. Questo sarebbe secondo tale corrente il prezzo da pagare per l’uguaglianza: forgiarsi tutti sul modello mascolino. Questa paura, secondo Delphy, è priva di basi giacchè è basata su una visione delle donne statica ed essenzialista.

Se invece si utilizza la categoria di struttura di genere, tale paura è semplicemente incomprensibile perché se le donne fossero uguali agli uomini, gli uomini non sarebbero più uguali a loro stessi. E come a questo punto farebbero le donne a somigliare agli uomini se questi hanno smesso di somigliare a se stessi? Se si definiscono gli uomini all’interno di una struttura di genere, questi sono innanzitutto dominanti con caratteristiche tali da rendere perpetua la loro dominazione. Essere come loro significa essere dominanti, ma questa è una contraddizione in termini. Se una coppia è costituita da dominanti e da dominati, se le due categorie sono soppresse, allora automaticamente è soppresso il dominato. O per dirla in altri modi, per essere dominanti si necessita di qualcuno da dominare. Non si può concepire una società dove ognuno è dominante, così come non si può concepire una società in cui ognuno è ricco.

Così non si possono immaginare i valori di una futura società egualitaria come la somma o la combinazione di valori femminili e maschili, giacchè questi valori sono creati in una struttura gerarchica. Quindi o una società è egualitaria e non presenta valori gerarchici, o rimane gerarchica con valori gerarchici.

La visione della società dove i valori esistono come entità prioritarie rispetto all’organizzazione gerarchica è una visione statica e naturalista. Ma non è una visione isolata ma è parte di una serie di idee che includono sia le teorie accademiche della sessualità che confondono il sesso anatomico con la sessualità e la sessualità con la

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