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Uguaglianza dei risultati e differenza: genere, razza e divisione sociale del lavoro.

ANNE PHILLIPS: IL RAPPORTO FRA UGUAGLIANZA E DIFFERENZA.

6. Uguaglianza dei risultati e differenza: genere, razza e divisione sociale del lavoro.

Un altro problema da affrontare, secondo Phillips, è se questi argomenti si possano applicare anche all’eguale distribuzione dei risultati nei termini di guadagno, occupazione, responsabilità e tempo. Tutti possono concordare sul fatto che eguaglianza sessuale significhi assenza di discriminazione verso le donne, assenza di ostacoli che impediscano loro di godere delle stesse opportunità degli uomini e di fare carriera, e uguale salario per eguale lavoro. Ma uguaglianza significa anche che uomini e donne debbano essere distribuiti equamente nel settore lavorativo –un numero uguale nel campo dell’ingegneria e nella professione di infermiere, nei consigli di amministrazione e nella pulizia degli uffici? Uguaglianza significa che non vi debba essere divisione sessuale nel lavoro, che il tempo dedicato alla famiglia e al lavoro debba essere uguale fra i due sessi, che entrambi si debbano occupare della cura dei bambini, dei malati e degli anziani? Per uguaglianza razziale si deve intendere soltanto che tutti abbiano le stesse opportunità al di là del colore della pelle e dell’origine etnica, o anche che non ci debbano essere differenze etniche nei settori lavorativi, vale a dire concentrazione di etnie in particolari tipi di lavoro (segregazione occupazionale)?

Ci si dovrebbe chiedere se sia valida la distinzione fra discriminazione manifesta e ostacoli, meno diretti ma più persistenti, che derivano dall’eredità storica e dalle strutture sociali attuali.

Nei casi di diversa distribuzione lavorativa e di divisione sessuale del lavoro, è più facile obiettare che lo stato presente delle cose sia frutto di una scelta degli individui coinvolti, perché se è difficile credere che un gruppo scelga deliberatamente di avere poca influenza politica, è più plausibile pensare che i suoi membri preferiscano uno stile di vita differente e un determinato tipo di occupazione. Ma Phillips non concorda con questo tipo di lettura delle differenze.

Se ci fossero differenze culturali che fanno si che alcuni gruppi si concentrino in modo sproporzionato nell’alta formazione e altri nel settore edilizio, sarebbe strano concepire tali risultati come contrastanti con l’eguaglianza. Tuttavia il problema nel riferirsi alla differenza culturale è che si riciclano antichi stereotipi sui gruppi culturali, che spesso si basano su un’interpretazione preconfezionata delle culture che, come sostiene Uma Narayan, sottovaluta la porosità dei confini culturali e sopravvaluta l’omogeneità di ciascun gruppo189. Se si spiegano la segregazione lavorativa e le differenze di guadagno nei termini di scelte diverse, dovute a una divergenza di gusto e di preferenze che deriva dalla diversità culturale si rischia di entrare in un circolo vizioso.

Di fronte ad ineguaglianze ben note nelle condizioni di partenza, c’è chi ritiene che sia la differenza a causarle e non la mancanza di eguaglianza. I gruppi discriminati hanno opportunità di lavoro più rapide e più sicure se si dirigono nei settori in cui sono presenti altri membri dello stesso gruppo etnico, o per evitare di essere discriminati dai datori di lavoro aprono in proprio una piccola impresa. Queste scelte dei migranti, tuttavia, non riflettono delle scelte derivanti da preferenze culturali, ma nella maggioranza dei casi sono frutto di un adattamento ad un ambiente inospitale che ha già reso alcune opzioni preferibili ad altre.

Per quanto concerne il genere, di solito si sostiene che uomini e donne desiderino cose differenti; alcuni sostengono che la ragione per cui esiste la divisione sessuale del lavoro è che le donne preferiscano accudire i bambini, altri che le donne abbiano una scala differente di valori.

Si prenda il caso di donne che abbiano le stesse qualifiche degli uomini per dirigere una grande impresa, ma scelgano in maniera sproporzionata di occuparsi di attività incompatibili con tale lavoro. Si potrebbe pensare che le donne in virtù del loro sesso siano orientate a scelte differenti rispetto agli uomini. Ma si potrebbe sostenere che vi è una distribuzione differente nelle attività, perché la struttura sociale lo richiede. Se alcune attività, quali quella della cura dei figli, sono incompatibili con un attività full-time di direzione aziendale, e la società non è organizzata in modo tale che uomini e donne condividano equamente tali

189 Uma Narayan, “Undoing the Package Picture of cultures”, Signs, v. 25 n 4, 2000, pp. 1083-1086; “Essence of

culture and sense of history: a feminist critique of cultural essentialism”, Hypatia, v. 13, n 2, 1988 pp. 86-106

Uma Narayan (1958) teorica femminista indiana, è autrice di: Dislocating cultures: identities, tradition and Third-

World feminism, Routdlege, New York 1997; (coautrice) Mary Lindon Shanley, Reconstructing political theory: feminist perspectives, Polity Press, New York 1997; (coautrice) Sandra Harding, Decentering the center: philosophy for a multicultural, postcolonial, and feminist world, Indiana University Press, Bloomington 2000.

attività, allora le donne si occupano della famiglia. Tuttavia dedurre da questo che le donne in quanto donne siano orientate alla cura, è confondere le cause con gli effetti. Si potrebbe sostenere invece, che le donne lo facciano perché lo percepiscono come necessario, e la società non fa nulla per allargare le opzioni a sua disposizione.

Non vi sono strutture pubbliche di cura adeguate, e non vi è compatibilità fra il lavoro domestico e di cura non pagati e lavoro pagato. Non si può sostenere che le circostanze in cui siamo siano tali da permettere ad uomini e donne una scelta libera, una scelta che segua le proprie inclinazioni. Quindi non siamo in grado di sostenere che ciò che le donne vogliono, e non siamo in grado di sostenere che vogliano cose diverse rispetto agli uomini190.

Nel caso del genere, Phillips ritiene che l’eguaglianza dei risultati sia in sé un fine desiderabile, e che le vite delle donne sarebbero più ricche e più libere, se non ci fossero differenze fra i sessi nella distribuzione di guadagno, di tempi e di ruoli. Per quanto concerne il genere e la cultura, vi può essere la possibilità che ci siano differenti scale di valori o propensioni diverse verso l’accumulazione di risorse materiali. Ma è sospetto, dal punto di vista sia teorico sia empirico, trattare le donne o i gruppi culturali come entità omogenee, caratterizzate da valori specifici che li rendono un caso a parte rispetto agli uomini o altri gruppi culturali. Dato che vi sono una serie di alternative per interpretare la diversa concentrazione di guadagno, occupazione e gestione del tempo fra uomini e donne e fra le razze – svantaggi nella formazione, associazione fra categorie di persone e settore lavorativo, razzismo, sessismo - bisognerebbe partire dal fatto che tutti i gruppi normalmente devono avere la stessa percentuale di successo. Ciò implica che si hanno eguali opportunità laddove vi sia anche uguaglianza nei risultati. Ogni disparità sistematica nei risultati, sia una posizione sociale costantemente subalterna di taluni gruppi, sia una segregazione lavorativa e di ruoli, è un allarme che indica che non vi siano state eguali opportunità191.

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