PARTE SECONDA
25.3. L'arbitrarietà del segno linguistico secondo Ferdinand De Saussure
L'arbitrarietà del segno linguistico -in altri termini: il suo carattere simbolico- è stata teorizzata da Ferdinand De Saussure nel suoi corsi di linguistica generale (pubblicati dagli allievi Bally e Sechehaye nel 1916 con il titolo Cours de linguistique générale (tr. it. di Tullio De Mauro, Bari 1966 ed edizioni successive, qui siglata CLG). Per Saussure "il segno linguistico unisce non una cosa e un nome, ma un concetto e un'immagine acustica. Quest'ultima non è il suono materiale, cosa puramente fisica, ma la traccia psichica di questo suono, la rappresentazione che ci viene data dalla testimonianza dei nostri sensi" e, più avanti, "il segno linguistico è dunque un'entità psichica a due facce" (CLG 83-84), che corrispondono al concetto e all'immagine acustica e intimamente uniti si richiamano l'un l'altro. Tuttavia questa definizione del segno linguistico non è ancora capace di risolvere una certa ambiguità terminologica implicita nell'uso stesso della parola segno: generalmente infatti per segno si intende la sola immagine acustica, per esempio la parola arbor in quanto costituita da certi suoni, e si dimentica che tale parola è segno in
quanto è una totalità in cui la parte sensoriale implica quella co ncettuale. Tale ambiguità si può superare, secondo Saussure, se si adottano termini che si richiamano e simultaneamente si oppongono l'uno all'altro: "proponiamo di conservare la parola segno per designare il totale, e di rimpiazzare concetto e immagine acustica rispettivamente con
significato e significante: questi due ultimi termini hanno il vantaggio di rendere evidente
l'opposizione che li separa sia tra di loro sia dal totale di cui fanno parte" (CLG 85).
Il segno linguistico, così definito, possiede d ue caratteristiche, che Saussure chiama "primordiali" e che ne assicurano lo specifico statuto semiotico simbolico: esse possono essere sintetizzate secondo i principi della già ricordata arbitrarietà del rapporto tra significato e significante e della linearità di quest'ultimo. Per Saussure "il legame che unisce il significante al significato è arbitrario, o ancora, poiché con segno intendiamo il totale risultante dall'associazione di un significante e un significato, possiamo dire più semplicemente: il segno linguistico è arbitrario". Per quanto concerne il principio della linearità del significante (una condizione caratteristica, se non esclusiva del simbolo linguistico) Saussure fa notare che questo, essendo di natura auditiva, si svolge nel tempo ed ha i caratteri che trae dal tempo: a) rappresenta una estensione, e b) tale estensione è
misurabile in una sola dimensione: è una linea". Si tratta di un principio fin troppo
evidente e in quanto tale trascurato: ma è di fondamentale importanza, giacché da es so dipende il meccanismo combinatorio della lingua ed in virtù di esso il sistema semiotico simbolico della lingua presenta una struttura sequenziale del tutto particolare rispetto a quelle di sistemi semiotici simbolici non lineari (per esempio, quelli ch e ricorrono a significanti visivi).
Lez.26: Icone
26.1. Nozione di icona. 26.2. Le icone linguistiche. 26.3. L' "arbitrarietà relativa" di Saussure, i diagrammi linguistici di Jakobson e la cosiddetta "naturalezza" linguistica.
26.1. Nozione di icona
Una icona è un segno che intrattiene un rapporto motivato (e pertanto solo parzialmente
convenzionale) con la realtà da esso espressa. Esempi di icone non linguistiche sono il
quadro, la fotografia, la ripresa cinematografica e televisiva sul piano ottico, la registrazione sul piano acustico, etc. con motivazioni evidenti e tasso di convenzionalità non sempre altrettanto evidente. Icone non linguistiche -molto più importanti per il nostro assunto- sono pure tutti i diagrammi che fanno ricorso ad un rapporto analogico tra la loro configurazione grafica e la realtà che in tal modo viene espressa. Prendiamo in considerazione il classico diagramma della febbre, espresso mediante una linea spezzata (il cosiddetto "zigzag", termine che realizza, a sua volta, un'ic ona fonica), nella quale i punti spazialmente più alti (i "picchi") corrispondono motivatamente ad una temperatura corporea più elevata, mentre i punti spazialmente più bassi (i "ventri") indicano motivatamente una temperatura corporea meno elevata. Con lo stesso criterio diagrammatico possiamo, ad esempio, esprimere il concetto di "trinità" con un triangolo,
dal momento che tre lati e tre angoli reciprocamente connessi sono immagine motivata di un rapporto ternario; allo stesso modo motivata è la barra obl iqua che taglia il segno di uguaglianza in tal modo negandolo ed indicando per ciò stesso la "differenza". Ma icona -per tornare al discorso di prima- è anche qualsiasi immagine e riproduzione della realtà, che proponga questa realtà riproducendola secondo una convenzione che non si ponga oltre i limiti della corrispondenza motivata. In tal senso un quadro, una fotografia, un film, una rappresentazione teatrale possono configurarsi (il termine non è casuale) come icone più o meno complesse. Ma prima di procedere oltre è indispensabile riproporre una domanda: di quale dimensione contestuale sono segni specifici e caratteristici le icone nella loro doppia accezione di figurazioni e di diagrammi? Una breve verifica ci porterà a collocare la dimensione semiotica dell'icona nel contesto istituzionale che -come ormai sappiamo- rappresenta una specificazione del contesto storico. Infatti, se riprendiamo gli esempi già proposti, ci accorgeremo facilmente che lo "zigzag" è diagramma della febbre non in quanto tale ma in quanto in rapporto motivato con l'andamento febbrile nel contesto istituzionale di una casa di cura, di una clinica, di un ospedale. A sua volta il "triangolo" è diagramma della "trinità" non in quanto tale ma in quanto in rapporto motivato con una concezione cristiana della divinità "in tre persone uguali e distinte" nel contesto istituzionale di una credenza religiosa. Infine anche il segno della "differenza" (un segno di "uguaglianza" barrato) funziona in modo diagrammatico non in quanto tale, ma se e solo se lo si colloca nel contesto istituzionale delle convenzioni grafiche del linguaggio dell'aritmetica. Possiamo tornare allora alla iconicità del quadro, della fotografia, etc. e vedere in quale dimensione contestuale istituzionale tali segni si coll ocano. Non v'è dubbio anche qui che il quadro è icona motivata nel contesto istituzionale delle diverse scuole o convenzioni pittoriche, sia nelle modalità delle immagini, sia nella scelta dei colori, sia nell'assunzione o nel rifiuto di dimensioni prospet tiche e volumetriche. Allo stesso titolo la fotografia può essere icona di "identità" nel contesto istituzionale del documento di riconoscimento e motivarsi, in tal senso, mediante il formato, la rappresentazione di prospetto e la specifica collocazione n ella pagina del documento stesso; ma può anche apparire sulle pagine di un quotidiano o di un rotocalco, ed esprimere nel formato, nella collocazione, nella evidenziazione di particolari, etc. una dimensione iconica di volta in volta diversa con diverse mo tivazioni rispetto a diversi contesti istituzionali. Naturalmente questo discorso vale ancora di più per quelle grandi icone di relazione che sono il cinema e il teatro, dove entrano in gioco linguaggi plurimi secondo intrecci diagrammatici che esprimono c ontesti istituzionali di volta in volta simili o diversi.
26.2. Le icone linguistiche
E' possibile parlare, a questo punto, di "icone linguistiche"? La risposta è: è possibile,
anzi è opportuno. Riteniamo infatti che la lingua non si esaurisca nel repert orio, sia pure
sistematico, dei simboli arbitrari e delle loro relazioni nei procedimenti di selezione da parte del parlante. In realtà in ogni lingua esistono combinazioni motivate di simboli, sia in rapporto al contesto istituzionale per eccellenza che è la lingua stessa, sia in rapporto ai moltissimi contesti istituzionali di produzione linguistica. Esaminiamo un caso semplicissimo: in italiano gatt- e -o sono indubbiamente simboli linguistici arbitrari e
convenzionali, che designano "un particolare anim ale" ed una "dimensione maschile+singolare" rispettivamente. Ma la loro unione è motivata, costituisce insomma un diagramma linguistico, in quanto il parlante li accosta motivatamente per produrre una specifica significazione linguistica (altri accostament i altrettanto motivati fa quando dice gatt-a, gatt-i, gatt-e o, magari, gatt-in-o, gatto a nove code, gatto delle nevi, realizzando, nei primi casi, sintagmi lessicali, eventualmente derivativi, e, nei secondi, sintagmi frastici). In questo quadro è opportuno segnalare che in contesti linguistico -istituzionali specifici può assumere valore diagrammatico anche un sintagma monomorfematico (ad esempio, ingl. dog "cane" si presenta altrettanto motivato di it. gatt-o, solo che funziona come unione di morfema X per l'espressione di "un particolare animale" + morfema "zero" per l'espressione del "singolare").
26.3. L' "arbitrarietà relativa" di Saussure, i diagrammi linguistici di Jakobson e la cosiddetta "naturalezza" linguistica
Saussure, in realtà, è parzialmente consapevole del carattere diagrammatico dei fatti linguistici riferibili al contesto istituzionale quando parla di "arbitrarietà relativa" nel caso dei nomi composti (tipo: rompighiaccio), ma non sviluppa la sua agnizione oltre questo parziale riconoscimento. Più avanzata è la posizione di Roman Jakobson e di tutti coloro che riconoscono nei diagrammi linguistici condizioni di "naturalezza" (termine, per altro, facilmente equivocabile): in questa prospettiva, secondo Jakobson, sono diagrammi evidenti in alcune lingue i cosiddetti "gradi" dell'aggettivo (positivo: buono, comparativo: più buono, superlativo: assai buono) con un costante incremento del "corpo" del significante in rapporto analogico con il variare "quantitativo" del significato.
Lez.27: Indici
27.1. Nozione di indice. 27.2. Gli indici linguistici. 27.3. Il rapporto tra indici, icone e simboli nella semiosi linguistica.
27.1. Nozione di indice
Un indice è un segno che intrattiene un rapporto necessario (e pertanto non
convenzionale) con la realtà da esso espressa. Si tratta, a ben guardare, di una contiguità
fattuale tra signans e signatum, non in quanto il primo sia icona o diagramma del secondo, ancor meno perché il primo è simbolo arbitrario e convenzionale del secondo, ma perché
necessariamente il primo è manifestazione del secondo. Esempi tipici di indici non
linguistici sono i seguenti: innanzi tutto il fumo, che è indice necessariamente del "fuoco", non nel senso che ogni fenomeno di combustione produca necessariamente il fenomeno de l fumo, ma nel senso esattamente inverso, cioè che ogni presenza di fumo indizia necessariamente la sussistenza di un fuoco. Non solo: dalle modalità del fumo si può riconoscere se il fuoco che lo ha prodotto è quello di un incendio di materiali oleosi, di
una torta dimenticata nel forno o, ancora più banalmente, di una sigaretta. In tutti questi casi l'agnizione del signatum non avviene nello spazio cognitivo di un rapporto arbitrario ed altamente convenzionale (simbolico) o in quello di un rapporto motiva to e parzialmente convenzionale (iconico), bensì in quello di un rapporto necessario e non convenzionale, che è appunto quello che si costituisce con gli indici. Emblematico, in tal senso, appare il detto di Eraclito:" Se tutte le cose che sono diventasser o fumo, le narici le riconoscerebbero come distinte l'una dall'altra". In ogni caso si noti che le particelle volatili e combuste che costituiscono appunto il fumo non sono il fuoco, bensì manifestano necessariamente e pertanto in modo specifico tale event o. Un altro esempio di indice non linguistico, altrettanto evidente, è costituito dall'orma sia quella di un "piede" umano sia quella di una "zampa" di animale. Anche in questo caso l'orma, una volta costituita, necessariamente indizia per un fenomeno di contiguità fattuale l'agente che l'ha impressa; anche in questo caso essa non è il piede o la zampa, ma di volta in volta li manifesta necessariamente. Con lo stesso criterio riconosceremo la presenza del "vento" attraverso le foglie che si muovono o, altrimenti detto, le foglie che si muovono sono per contiguità fattuale necessariamente indice del vento; o, infine, il rossore cutaneo ci indizierà, attraverso la contiguità fattuale dell'affluso del sangue, un forte "stato emotivo" o la "presenza di febbre".
L'ultimo esempio induce a riflettere, ancor meglio dei precedenti, su una caratteristica degli indici: il loro carattere contingente, accadimentale, legato appunto all' hic et nunc della loro contiguità fattuale con il signatum. Diventa allora evidente che lo spazio contestuale elettivo degli indici è il contesto situazionale, che è l'estrema e più concreta forma di specificazione di un contesto storico, sia pure attraverso la mediazione necessaria di un contesto istituzionale.
27.2. Gli indici linguistici
Resta ora da chiedersi se esistano indici linguistici, cioè forme di produzione linguistica necessariamente collegate alla situazione di produzione; e la risposta è, ancora una volta, positiva. Innanzi tutto è innegabile il fatto che nella produzione ling uistica concreta compaia proprio il fenomeno altamente indiziale della deissi, cioè della designazione di aspetti del contesto situazionale sia attraverso pronomi personali ( io, tu, egli) necessariamente collegati all'istanza di un discorso, sia attraverso pronomi dimostrativi (questo, codesto, quello) o avverbi localistici (qua, costà, là) necessariamente collegati ad una situazione comunicativa. Si badi bene: io, questo, qua e simili, presi nel loro contesto storico, sono simboli arbitrari e convenzionali ; analogamente, visti nel loro contesto istituzionale, sono icone motivate e parzialmente convenzionali (sul loro carattere di volta in volta diversamente "normativo" torneremo più avanti): il loro valore di indici risiede allora tutto nell'uso semiotico che si fa di essi nella prassi comunicativa, cioè nel fatto che la deissi è un fenomeno eminentemente processuale necessariamente in contiguità fattuale con ciò che deve essere espresso. Più sottile, ma non meno evidente, è il legame indiziale che collega ogni concreta forma di produzione linguistica al suo specifico contesto situazionale di produzione. In un titolo come I promessi sposi la collocazione dell'aggettivo prima del sostantivo e dell'articolo prima dell'aggettivo rispetto ad altre strategie possibili (*Gli sposi promessi, *Sposi promessi, *Promessi sposi ) o a possibili
alternative testuali (ad es. Fermo e Lucia o *Renzo e Lucia) assume subito una forte valenza indiziale rispetto alle intenzioni comunicative di Alessandro Manzoni, che vuole far assurgere a tipi emblematici i protagonisti del suo romanzo ( i promessi sposi d'ora in poi, grazie alla strategia testuale del titolo, non possono essere che loro: Renzo e Lucia, a loro volta tipi universali dei disegni della Provvidenza divina). Ma anche la prima frase del romanzo Quel ramo del lago di Como imprime, per così dire, una serie di "orme" o di indici necessari mediante le opzioni lessicali ed onomastiche: innanzi tutto quel, che è un deittico di lontananza e che immette immediatamente, si potrebbe dire "in presa diretta", con una situazione comunicativa che è propria della narrazione con dilatazione spaziale e temporale della distanza degli avvenimenti; poi il ramo del lago che, attraverso la metafora vegetale, evoca prepotentemente e immediatament e una situazione geografica complessa ed insieme puntuale, destinata a farsi ancora più complessa e più puntuale nella descrizione successiva ed in tutto il romanzo, dove l'umile particolare ed il potente quadro storico generale coesistono in un fitto dialogo di forte valore ideologico; infine il riferimento topografico e toponomastico (di Como), che inchioda il discorso ad una istanza di concretezza.