PARTE SECONDA
34.1. Identità, realtà e valore come dimensione sistematica delle unità secondo Saussure
34.2. Le implicazioni sistematiche dei fatti fonologici secondo Trubeckoj e Martinet. 34.3. Selezione e combinazione secondo Jakobson. 34.4. La complessità del sistema linguistico. Spunti da Benveniste, Halliday, Pike, Makkay.
34.1. Identità, realtà e valore come dimensione sistematica delle unità secondo Saussure
Le unità di designazione, che dal punto di vista dell'istanza semiotica sono simboli arbitrari di un contesto storico, realizzano la loro istanza linguistica nella dimensione del
sistema, che è dato dall'insieme dei rapporti che le unità intrattengono e dai quali
risultano sintatticamente condizionate. Non bisogna tuttavia credere che il sistema linguistico rappresenti una realtà unidimensionale o, più semplicemente, una realtà concepita in modo univoco nella interpretazione dei linguisti: il "palazzo" della lingua è straordinariamente complesso e, per di più, tutt'altro che finito, per cui se non si è attenti visitatori c'è veramente il rischio di confondersi tra i reperti degli "scavi archeologici" (gli arcaismi) e le ristrutturazioni dei "lavori in corso" ( le innovazioni).
Quali sono il posto e la funzione delle unità linguistiche nel meccanismo generale del sistema (dimensione sintattica della lingua)? Saussure, in tal senso, è arrivato alla definizione di tre nozioni molto importanti, da lui denominate identità, realtà e valore e che descrivono altrettanti modi di essere delle unità nel sistema linguistico .
Parliamo innanzi tutto delle identità, da Saussure distinte in sincroniche (in quanto presenti in uno stato di lingua) e diacroniche (in quanto riconoscibili in un mutamento linguistico):" che cosa è una identità sincronica? non si tratta qui dell'identità che unisce la negazione pas al latino passum (essa è di ordine diacronico...), ma di quella non meno interessante in virtù della quale dichiariamo che due frasi come "je ne sais pas" e "ne dites pas cela" contengono lo stesso elemento" (CLG 131). Si potrebbe osservare che quello dell'identità, tutto sommato, è un problema ovvio: data una certa porzione di sonorità associata ad un certo significato, è ovvio che il segno che esprime tale rapporto (l'unità linguistica, appunto) sia identico a se stesso ogni volta che compare in un certo atto linguistico. In effetti l'identità non dipende da un'uguaglianza delle repliche del segno, giacché l'esame di tali repliche in seno a specifici at ti linguistici ci permette di constatare di volta in volta divergenze più o meno marcate sia sul piano fonetico sia su quello semantico. Saussure cita il caso della parola francese Messieurs "signori", che nel corso di una conferenza può essere pronunciata con diverse intonazioni o addirittura con significati leggermente diversi, e tuttavia costituisce pur sempre un'identità linguistica. Allo stesso modo si ha identità anche nel caso di più spiccate divergenze sul piano semantico: si considerino, in tal senso, come identità linguistiche i segni adottare e fiore, che ricorrono in frasi di significazione ben distinta come adottare una moda e adottare un bambino, il fiore del melo e il fiore della nobiltà. A questo punto è giusto chiedersi cosa assicuri l'identità di un'unità linguistica: Saussure afferma che "il meccanismo della lingua ruota tutto intero su identità e differenze, queste non essendo altro che la controparte di quelle" (CLG 132), ma per intendere che cosa sia l'identità sono piuttosto utili i pa ragoni extra-linguistici che lui stesso propone. Noi possiamo p arlare di identità a proposito di due treni
"Ginevra-Parigi delle 20,45", che partono appunto con un intervallo di ventiquattro ore: si tratta pur sempre dello stesso treno, anche se possono vol ta per volta cambiare locomotiva, vagoni, personale, viaggiatori; in questo caso infatti l'identità è assicurata da due fatti,
non materiali ma formali, il percorso e l'orario di partenza, che sono elementi costitutivi
del sistema ferroviario in questione. Allo steso modo noi possiamo demolire una strada e ricostruirla con materiale diverso, lasciando tuttavia inalterato il percorso: anche in ques to caso avremo identità, giacché sono rispettate certe condizioni formali in seno ad un certo sistema viario. L'identità del treno, della strada o di una certa unità linguistica -come quelle esaminate sopra- non è data insomma da fattori materiali intrinseci agli oggetti in questione, ma da condizioni formali (sintattiche, nella nostra terminologia), mediante le quali essi si identificano proprio in quanto si rapportano a tutto ciò che li circonda all'interno di un sistema di relazioni.
Esaminiamo ora la nozione di realtà sincronica, che è appunto un altro modo di essere delle unità in seno all'istanza linguistica del sistema. Quali elementi della lingua possono essere definiti in tal modo? Saussure per rispondere prende le mosse dalla distinzione tradizionale delle parti del discorso: "su che poggia la classificazione delle parole in sostantivi, aggettivi ecc.? Si fa in nome di un principio puramente logico, extralinguistico, applicato dall'esterno alla grammatica come i gradi di longitudine e latitudine lo sono sul globo terrestre? Oppure corrisponde a qualcosa che ha il suo posto nella lingua ed è da essa condizionata? Insomma, è una realtà sincronica?" (CLG 133). Per rispondere partiamo, ancora una volta, da un esempio saussuriano: in una frase come ces gants sont bon marché ("questi guanti sono a buon mercato") "verrebbe spontaneo definire bon marché un aggettivo dal momento che, da un punto di vista logico, si comporta come tale (infatti in tal modo si predica una qualità dei guanti in modo perfettamente identico a quello realizzato eventualmente dalla frase questi guanti sono economici). Ma da un punto di vista grammaticale sorgono subito complicazioni: bon marché non si comporta come un aggettivo, giacché è invariabile e non precede mai il nome, come invece richiede per l'aggettivo la norma del francese. Ma se poi noi distinguiamo in questa espressione bon aggettivo e marché sostantivo, tale interpretazione appare immediatamente illegittima, giacché l'espressione è logicamente e linguisticamente unitaria (una riprova di ciò è il suo carattere invariabile o sintematico, per usare un'espressione di Martinet). In realtà tutte queste incertezze in sede di analisi derivano dal fatto che la distinzione delle parole in
parti del discorso (sostantivi, aggettivi ecc.) non sempre corrisponde a realtà sincroniche concretamente individuabili. Secondo Saussure "per non incorrere in
illusioni, bisogna anzitutto convincersi che le entità concrete della lingua non si presentano da se stesse alla nostra osservazione. Si cerchi di percepirle, e si prenderà contatto con ciò che è reale; partendo di là si potranno elaborare tutte le c lassificazioni di cui la linguistica ha bisogno per ordinare i fatti di sua competenza (CLG ibidem ). Ammaestrati da ciò diremo che bon marché è una realtà linguistica (cioè una unità del sistema del francese) allo stesso modo per cui non ti scordar di me nella frase un mazzolino di non ti scordar di me rappresenta una realtà linguistica (cioè una unità del sistema dell'italiano).
Sia la nozione di identità sia quella di realtà confluiscono di fatto in una terza, che le riassume e le giustifica nell'ambito di una visione compiutamente sistematica della lingua: si tratta della nozione di valore, che è veramente centrale nel pensiero linguistico saussuriano e su cui posano i fondamenti della linguistica formale, per la quale la lingua
non è una sostanza psicofisica, bensì una forma, cioè una struttura totalmente astratta
di rapporti tra elementi solo in tal modo linguisticamente realizzati . Che cosa sia in
realtà il valore linguistico di un'unità, cioè la sua condizione formale all'interno di un sistema (il suo essere in rapporto), ce lo dice uno dei tanti illuminanti paragoni saussuriani: quello con il gioco degli scacchi. "Prendiamo il cavallo: da solo è forse un elemento del gioco? Certo no, poiché nella sua materialità pura, fuori della sua casella e dalle altre condizioni del gioco, non rappresenta niente per il giocatore e diventa elemento reale e concreto solo quando sia rivestito del suo valore e faccia corpo con esso. Supponiamo che durante una partita questo pezzo sia per caso distrutto o smarrito: lo s i può sostituire con un altro equivalente? Certo: non soltanto un altro cavallo, ma anche una figura priva di qualsiasi rassomiglianza con quello sarà dichiarata identica, purché ad essa si attribuisca lo stesso valore. Si vede dunque che nei sistemi semio logici, come la lingua, in cui gli elementi si tengono reciprocamente in equilibrio secondo regole determinate, la nozione di identità si confonde con quella di valore e viceversa" (CLG 134). Da quanto è qui detto si capisce chiaramente che ogni unità linguistica è nello stesso tempo un valore: pertanto è inutile, anzi proceduralmente scorretto, soffermarsi ad analizzare la lingua in unità e sottounità, di cui si postula l'esistenza, se non ci si ricorda preliminarmente che la lingua è innanzi tutto forma, cioè sistema di rapporti che configurano valori puri, e che le singole unità sono riconoscibili come tali solo nella misura in cui si manifestano come valori.
Con la nozione di valore ci avviciniamo al nucleo centrale e primordiale della fenomenologia linguistica: infatti la lingua introduce distinzioni sia nella massa amorfa del pensiero (valori di significato) sia in quella altrettanto amorfa dell'espressione (valori di significante). La lingua è dunque il regno delle articolazioni, dove ogni elemento sia fonico sia concettuale è definito per rapporto agli altri elementi: nessun elemento è autonomo, ma rappresenta sempre un valore all'interno di un sistema di valori. Ma lo stesso segno linguistico è un valore, in quanto unicamente dato dal rapporto tra il significato ed il significante; anche il significato e il significante sono valori, in quanto l'uno determina l'altro e viceversa e nessuno dei due è pensabile separatamente. Dice Saussure: "La lingua è ancora paragonabile ad un foglio di carta: il pensier o è il recto ed il suono è il verso; non si può ritagliare il recto senza ritagliare nello stesso tempo il verso; similmente nella lingua, non si potrebbe isolare né il suono dal pensiero né il pensiero dal suono; non vi si potrebbe giungere che per un'ast razione il cui risultato sarebbe fare della psicologia pura o della fonologia pura. La linguistica dunque lavora sul terreno limitrofo in cui gli elementi dei due ordini si combinano: questa combinazione produce una forma, non una sostanza" (CLG 137).
Saussure, nel quadro della nozione di valore, parla coerentemente di rapporti
sintagmatici e di rapporti associativi tra le unità linguistiche. I primi si riscontrano nella
catena parlata (in praesentia di una specifica attività linguistica) e non interessano il sistema se non quando riguardano tipi di sintagmi costruiti su forme regolari (ad esempio: un vocabolo come invincibile è costruito sulla base di un rapporto sistematico tra presenza/assenza del morfema in- ed una catena morfematica costituita da un mor fema verbale seguito dal morfema -ibil- ed da un morfema di numero -e/-i, come in indicibile, infallibile o in dicibile, fallibile). I rapporti associativi sono invece sistematici ( in absentia di una specifica attività linguistica) e si costituiscono come classi mnemoniche virtualmente aperte. Secondo Saussure "mentre un sintagma richiama immediatamente
l'idea di un ordine di successione e di un numero determinato di elementi, i termini di una famiglia associativa non si presentano né in numero definito né in ordine determinato" (CLG 152). Infatti possiamo associare dolcemente ad allegramente, velocemente, etc. sulla base del comune morfema -mente, ma non sappiamo quanti e quali saranno i termini di questa associazione; d'altra parte dolcemente potrebbe evocare nella nostra mente (la sede, appunto, della nostra competenza sistematica) termini associati per via del morfema dolc- come dolce, dolciume, dolcezza, etc. anche essi in numero indefinito. Tuttavia non è sempre così: i paradigmi grammaticali (ad esempio: i morfemi desinenziali del presente indicativo dei verbi italiani -o, -i, -a/e, -iamo, -a/e/ite, -a/ono) costituiscono di fatto classi associative chiuse secondo un ordine di successione che è frutto dell'intervento "ordinatore" del grammatico anche se, in prima istanza, si fonda sulle condizioni essenziali della processualità linguistica (l' "io" parlante, il "tu" ascoltatore, l' "egli" oggetto del discorso, il "noi" associato al parlante, il "voi" associato agli ascoltatori, l' "essi" come pluralità di oggetti del discorso).