PARTE TERZA
48.1. Giochi linguistici, lingue segrete, lingue universali
lingue artificiali. 48.3. Esempi di lingue universali. 48.4. Le lingue segrete. 48.5. I giochi linguistici.
48.1. Giochi linguistici, lingue segrete, lingue universali.
Inventare lingue, costruirle tutte intere a tavolino in una sorta di appassionante e gratificante gioco linguistico (cfr. il bellissimo libro di A. Bausani, Le lingue inventate, Roma 1974), è operazione linguistica piuttosto diversa da quelle finora esaminate. I risultati di tale operazione (le lingue artificiali, appunto) rispondono a scopi polarmente opposti: gli uni pretendono infatti di costituirsi come lingue universali o -più praticamente- di essere di volta in volta la lingua internazionale dell'umanità (massima fruizione); gli altri, in quanto lingue segrete, sono destinati a gruppi ristretti (crittoletti) o appartengono ad un singolo ispirato (glossolalía): puntano quindi ad una fruizione minima.
48.2. Caratteri generali delle lingue artificiali
Se prescindiamo, per ora, dai giochi linguistici e dall a lingue segrete (in particolare la glossolalía), tutte le altre forme di lingue artificiali sembrano rispondere a due obbiettivi, a volte compresenti, a volte alternativi: vogliono essere "razionali", cioè coerenti, esaurienti, semplici, in pratica prive di anomalie e di ambiguità semantiche (nelle lingue razionali non potrebbe mai sussistere l'aggettivo italiano giusto con il doppio valore di "esatto" ed "equo"); vogliono essere "universali", cioè elettivamente lingue di tutta l'umanità (una sola lingua storica non può essere mai lingua universale perchè troppo determinata sul piano etnico).
Inoltre le lingue artificiali possono rientrare in due tipologie formali: o si avvalgono di "pezzi" di lingue storiche sapientemente modificati e cuciti nelle loro str utture linguistiche (è il caso dell'esperanto, la più famosa di tutte, ma a volte si ricorre anche ad una sola lingua storica opportunamente modificata, come avviene nel caso del latino di Leibniz o Peano); oppure ricorrono a mezzi espressivi extra-linguistici, come -ad esempio- numeri e
note (è il caso del solresol).
Infine in tutte le lingue artificiali si manifesta una fenomenologia linguistica coerente: in esse, innanzi tutto, viene esaltato il principio di economia, per cui vengono
accuratamente eliminati tutti quei fatti che sul piano dei fonemi, dei morfemi e dei sintagmi sono -per ragioni storiche- ridondanti nelle "lingue naturali"; in esse, in secondo luogo, vige sovrano il principio di analogia, per cui è impensabile un'eccezione rispetto a fatti sistematici, normativi e processuali. Da un punto di vista tipologico potremmo infine dire che la tendenza delle lingue artificiali è di essere agglutinanti (tipologia morfologica), SVO (cioè Soggetto-Verbo-Oggetto, nella tipologia dell'ordine basico), nom inativo-accusative (tipologia sintattico-semantica). Esse, in definitiva, corrispondono non casualmente a certi universali linguistici, compresi quelli di natura evolutiva.
48.3. Esempi di lingue universali
Per il grande filosofo Leibniz una lingua veramente universale deve essere costituita a livello di vocabolario da tutte le "idee semplici" (cioè non scomponibili) desunte dall'analisi di tutte le idee dello spirito umano consegnate in tutte le lingue. Queste idee semplici, espresse da unità lessicali, devono poi essere collegate tra di loro mediante una
grammatica razionale, la cui costituzione si ottiene individuando in tutte le lingue le
diverse relazioni possibili (per lo più espresse da particelle o da flessioni). Leibniz non portò mai a termine l'immensa indagine da lui teorizzata e si contentò di applicare le esigenze di una grammatica universale e regolare ad una sua personale rielaborazione del latino, lingua che in termini filosofici gli appariva, a ragione, la più internazionale fra tutte. Leibniz propose di "razionalizzare" il latino conservando un solo modo nel verbo (l'indicativo messo in relazione con il resto della frase mediante diverse congiunzioni) ed un solo caso nel nome (il nominativo, preceduto da varie preposizioni per l'indicazione delle relazioni sintattiche). Per lui era invece importante l'indicazione del tempo, che egli volle estendere anche ai sostantivi e agli aggettivi, in nome del principio che ogni idea semplice doveva avere sempre la sua rappresentazione formale. Così, ad esempio, la "qualità di essere ridicolo nel futuro" viene da lui espressa dalla forma latina artificiale ridicul-urus in cui il morfo urus rappresenta la dimensione temporale del futuro; oppure "il fatto di amare non nell'attualità ma nel passato" viene e spresso con la forma parimenti artificiale am-av-itio in cui am- esprime l' "amare", -av- esprime il "passato", -itio esprime il "fatto di...". Secondo questo procedimento am-atur-itio significherà in modo regolare ed universale "il fatto di amare non nell 'attualità ma nel futuro" (si noti in tutti questi casi la tipica catena agglutinativa dei morfi che esprimono idee semplici).
Assai interessante è anche il latino sine flexione proposto nel 1903 dal grande matematico italiano G. Peano. Il principio a cui si inspira Peano è quello della semplificazione del latino, ridotto ad unità invariabili i cui rapporti grammaticali sono dati unicamente dall'ordine delle parole nella frase. I verbi appaiono pertanto privi di indicazione di tempo, modo e persona, in quanto espressi dal solo elemento radicale: ad es. ama in luogo di tutto il paradigma flessionale di questo verbo consente di convertire la frase ipergrammaticale filius amatur a matre "il figlio è amato dalla madre" in matre ama filio, costituita da tre unità invariabili; oppure di riscrivere errare humanum est "è umano sbagliare" come errore es humano oppure homo erra. Si noti che nella frase matre ama filio si afferma la struttura SVO che è tipica delle lingue artificiali (si tratta di un fenomeno di espansi one per sommatoria della predicazione).
Ma la lingua artificiale di gran lunga più famosa è l' esperanto, inventato dal medico polacco L.L. Zamenhof alla fine dell'ottocento (il termine significa "colui che spera" e Zamenhof stesso si faceva chiamare così con riferimento alla speranza che una siffatta lingua riuscisse ad affratellare tutti i popoli della terra in una forma di comunicazione universale). Anche in questo caso si ritrova una base lessicale quasi esclusivamente latina (secondo una scontata propensione eurocentrica), si constata una struttura agglutinante (ogni elemento può anche essere usato in modo autonomo) ed una assoluta invariabilità delle unità di designazione (ad es. -a finale indica sempre l'aggettivo, -o finale indica sempre il sostantivo; il suffisso -ebl "passibile di" si unisce a radici verbali, ad es. fleks-ebl-a "passibile di flessione = flessibile", ma può anche apparire in modo autonomo, cioè ebl-a "capace di"). Un esempio di lingua esperanto (tale termine con -o finale è un sostantivo!), tratto dal libro di Bausani, ci potrà dare un'idea del funzionamento di questa lingua artificiale: Simpla, fleksebla, belsona (tre aggettivi molto trasparenti, marcati dalla finale -a), vere internacia (la prima parola, a causa della sua vocale fi nale, non è né aggettivo né sostantivo ed infatti è un avverbio) en siaj elementoj (en senza vocale finale è una congiunzione, cfr. lat. in; sia- è aggettivo, elemento- è sostantivo,-j in ambedue i casi è marca di plurale), la lingvo Esperanto (si noti che l'articolo determinativo è trattato come l'aggettivo) prezentas (la terza persona del verbo ha la marca -s come in inglese!) al la mondo civilizita la sole (quest'ultima parola è di nuovo un avverbio) veran solvon (vera- è aggettivo, solvo- è sostantivo; -n in ambedue i casi marca l'accusativo ed a questo proposito è stata sottolineata la stranezza di conservare l'indicazione dell'accusativo, secondo un evidente condizionamento slavo e germanico dell'autore) de lingvo internacia. Si noti che tutto il brano non ha bisogno di traduzione, almeno per un pubblico neolatino (e con questo si ricade nella non superata gravitazione della lingua internazionale sul latino).
Del tutto diversa è la tecnica espressiva del solresol del francese Sudre (1787-1862) che, per costruire la sua lingua universale, usò, in luogo dei foni costitutivi dei significanti di questa o quella lingua storica, combinazioni delle sette note musicali, a loro volta esprimibili in sette modi diversi: " 1) si possono enunciare o scrivere i nomi i nternazionali di queste note o le loro iniziali; 2) si possono cantare o suonare su un qualsiasi strumento; 3) si possono scrivere con la notazione musicale, come si fa per le note di musica; 4) si possono rappresentare con sette segni stenografici special i, scritti o disegnati in aria con un dito, segni che furono inventati da V. Gajewski (1813-1881) uno dei più appassionati sostenitori di questa lingua; o, ancora 5) si possono raffigurare con le sette prime cifre arabe, o con un corrispondente numero di colpi sonori, di pressioni tattili, ecc; 6) si possono rappresentare per mezzo dei sette colori dello spettro, con segnali colorati; o, infine, 7) si possono designare toccando con l'indice della mano destra le quattro dita della mano sinistra o i loro intervalli (che sostituiscono in questo caso le righe della carta da musica" (cfr. A. Bausani, o.c., p.116). Il lessico, del tutto arbitrario, consta di parole le cui sillabe corrispondono a successioni di note musicali (es. monosillabi: si = "sì", do = "no"; bisillabi: dore = "io", redo = "mio"; trisillabi: doredo "tempo", doremi "giorno", dorefa "settimana"). Questa lingua si serve degli accenti per distinguere sequenze identiche, ricorre al capovolgimento di sequenza per esprimere il contrario (es. Domisol "Dio", Solmido "Satana"), usa la particella fasi aumentativa e, ovviamente, sifa diminutiva per esprimere il comparativo (particella anteposta) e il superlativo (particella posposta), etc. Se oggi è del tutto dimenticata, a suo tempo ebbe uno straordinario s uccesso per
la<molteplicità delle sue combinazioni e per un indubbio carattere diagrammatico (motivato) della sua struttura significante.
48.4. Le lingue segrete.
Artificiali sono in larga misura anche le lingue segrete (da non confondere con i gerghi, anche se condividono con essi la condizione linguistica di crittoletti). Esse sono caratteristiche delle società iniziatiche dei popoli primitivi e tra esse spicca il linguaggio segreto degli sciamani, usato per esorcismi e canti. In questo linguaggio (ci r iferiamo, a titolo d'esempio, a quello particolare degli sciamani eschimesi, detto "lingua degli spiriti", le parole vengono usate in forma enigmatica (es. "morto, cadavere" = nïbúxtalri, lett. "che giace supino", "sole" = nirúxkun, lett. "il luminoso", "tricheco" = túwutilik, lett. "zannuto", etc.). Fenomeni diversi possiamo invece rintracciare in lingue segrete africane (Dogon), quali le interversioni sillabiche a scopo di occultamento linguistico: es. logo "strada" rispetto a gule/golo del dogon normale. Non si dimentichi che anche in lingue antiche (greco, ittito, etc.) emergono tracce di lingue segrete secondo doppioni lessicali (ad es. in Omero) attribuiti una volta alla "lingua degli uomini" (lingua normale) ed un'altra volta alla "lingua degli dei" (lingua segreta).
Tra le lingue segrete un posto a parte occupa la cosiddetta glossolalía, che non ha tuttavia scopi comunicativi ma è piuttosto linguaggio introverso, spesso fatto di ripetizioni, reduplicazioni, balbettii con implicazioni subliminali (il f enomeno, presente nelle comunità cristiane antiche, riemerge sporadicamente in individui "ispirati", che producono un linguaggio fatto di parole "inventate", prive di senso, ma non lontane a volte da condizionamenti fonotattici, morfotattici e lessotattici di lingue ben note, che emergono confusamente nel corso dell'"operazione linguistica" glossolalica.
48.5. I giochi linguistici.
L'esperienza del gioco linguistico è universalmente diffusa, ma questa particolarissima operazione non è riducibile ad una generica etichetta ludica. Essa invece potrebbe essere sintetizzata nelle tre parole emblematiche dell'OULIPO (sigla per Ouvroir de Littérature Potentielle, reso in italiano con OPLEPO "Opificio di Letteratura Potenziale"), gruppo di ricerca sullo sperimentalismo linguistico in chiave letteraria fondato in Francia da François Le Lionnais (cofondatore il romanziere Raymond Queneau) all'inizio dei fatidici "anni sessanta". Le parole sono: Creazioni Ri-creazioni Ricreazioni e costituiscono un gioco linguistico in cui il primo termine allude al fatto letterario come ipostasi primaria, il secondo manifesta con il suo ri- l'attività caratteristica della letteratura potenziale (smontare e ri-montare, disfare e ri-fare, scrivere e ri-scrivere), il terzo denota con la sua sintesi grafica (assenza del trattino) e con il suo valore semantico il concetto di "gioco" su cui stiamo insistendo. Qui non è nemmeno pensabile una sintesi adeguata di tutti gli aspetti della letteratura potenziale, ma una rapida carrellata di esem pi ci aiuterà ad entrare (in parte) nei suoi meccanismi. Ma prima, di straforo, qualche esempio -così come capita- di gioco linguistico generico: tale è il palíndromo che consiste nel rovesciare la sequenza
fonica di una parola per ottenere lo stesso signi ficante e lo stesso significato (it. ONORARONO si può leggere da sinistra a destra e da destra a sinistra indifferentemente); tale è il bifronte, che consiste nel rovesciare la sequenza fonica di una parola per ottenere significante e sgnificato diverso (ROMA-AMOR, ARPA-APRA, ANTE-ETNA, etc.); tale è l'acróstico che consiste nel creare una parola o una frase o addirittura una nuova poesia con le lettere iniziali delle prime parole dei versi di una poesia ( Risuona il mondo di tua chiara fama,/ O grande culla del diritto antico./ Madre di eroi, terrore del nemico,/ Ascolta la canzone di chi t'ama! = ROMA); tale è il tautogramma che consiste nell'infilare in una sequenza testuale di senso compiuto il maggior numero possibile di parole diverse con la stessa lettera iniziale (Zio Zaccaria zelante zappettava zagarolesi zolle zufolando/ zia Zelinda zitella zoppicava zerbinotti zannuti zuccherando. Un esperimento di segno analogo è stato condotto da U.Eco in un testo in cui appaiono esclusivamente parole con [a] tipo: mamma, pappa, nanna, etc.).
E' appena il caso di ricordare che sono operazioni linguistiche ludiche anche gli
anagrammi, i rebus, i cruciverba, etc., che consistono nel creare e nel ri-creare testualità
artificiali a scopo ricreativo. Del resto anche un gran poeta come Victor Hugo in Booz endormi (v. 81) per rimare con demandait si diverte a inventare la biblica città di Jérimadeth, che è nome omofono e crittogramma della frase "je rime à dait" o, con diversa analisi, "j'ai rime à dait", in pratica "ho di che rimare con dait". Un gioco linguistico raffinatissimo è invece presente in un verso della Fedra di Racine costituito esclusivamente da monosillabi (Le jour n'est pas plus pur que le fond de mon coeur ) che si può scandire lentamente con un'enfasi dolce e grave. Ma la letteratura potenziale è altro ancora: Raymond Queneau, ad esempio, è riuscito a costruire dieci sonetti, ognuno di quattordici versi, in modo tale che ogni verso possa essere sostituito con uno dei nove che gli corrispondono. Si ottiene così 1014, cioè la sconcertante cifra di centomila miliardi di sonetti possibili! Notevoli sono anche i lipogrammi (il contrario dei tautogrammi!), che consistono nell'omissione di un tratto linguistico (ad esempio una vocale) in un intero componimento letterario (esiste il caso limite del romanzo Gadsby dello scrittore americano Wright con 267 pagine ed oltre cinquantamila parole totalmente prive della lettera [e]!). Anche la testualità può essere sperimentale: tale è la poesia di una sola parola (FINOCCHIO, 1957), di una sola lettera (T., 1957), con numeri e punteggiatura (: / 1,2,3,4,5. / 6;7;8;9;10. / 12? / 11!); tali sono gli esercizi di omosintattismo (sequenze obbligatorie di verbi, sostantivi, aggettivi secondo quantità precondizionate); tali infine sono i casi limite costituiti dagli orli di poesie ("Data una poesia, chiameremo Orli di questa poesia il primo verso, l'ultimo verso, la lista ottenuta prendendo la prima parola di ogni verso e la lista ottenuta prendendo l'ultima parola di ogni verso", Fra nçois Le Lionnais).
CAP.16
Applicazioni: apprendimento, insegnamento, interpretariato e traduzione
49.1. Il problema del linguaggio infantile. 49.2. Gli errori infantili e il loro meccanismo. 49.3. Dislessia e disgrafia. 49.4. Afasia. 49.5. Logopedia. 49.6. Apprendimento di una L 2 o "lingua seconda".
49.1. Il problema del linguaggio infantile
L'apprendimento della lingua materna da parte del bambino è operazione di lunga durata, che comincia - si può dire- nei primi giorni di vita e "si conclude", almeno per quanto concerne l'acquisizione delle "regole" essenziali e del vocabolario di base minimo, entro i primi due anni. Naturalmente la qualità e la quantità dell'acquisizione variano nel corso del tempo: nella prima fase (o di lallazione) il bambino produce un numero abbastanza grande di articolazioni vocaliche e consonantiche, tuttavia non funzionali all'espressione dei fonemi di una singola lingua storica. Si tratta piuttosto di sequenze sillabiche con dominanza del timbro vocalico di massima apertura [a] nelle quali si nota un'apprezzabile ricorsività delle consonanti bilabiali e dentali sia momentanee (tipo pa-pa, ta-ta, etc.) sia continue (nasali, in particolare: tipo ma-ma, na-na, etc.). Gli adulti si impossessano di queste sequenze primordiali e le "restituiscono" al bambino con valore di segnali sonori per la designazione di certe realtà primarie (esemplificando con l'italiano avremo i tipi lessicali papà e pappa, ma anche babbo, etc.; tata "nutrice", mamma, nanna, ma anche nonna, etc.). In questa fase iniziale non si può ancora parlare di atto linguistico con valore locutivo o illocutivo o perlocutivo. In una fase più avanzata constatiamo invece l'insorgere di una forma embrionale di dimensione frastica (la cosiddetta olofrasi), in cui il bambino "combina" rudimentali segnali sonori dopo averli "selezionati" in un repertorio ancora assai ristretto e crea strutture nominali del tipo papà nanna "il babbo vuole che io dorma" o mamma pappa "mamma, dammi da mangiare", nelle quali è riconoscibile una configurazione semantica elementare senza che sia ancora acquisita alcuna competenza sintattica.
49.2. Gli errori infantili e il loro meccanismo
In una fase più avanzata il bambino impara l'uso delle parole ed il meccanismo sintattico dell'affermazione, della negazione e della domanda. Le sue operazioni linguistiche manifestano un continuo incremento delle abilità, comprese quelle analitiche che risultano particolarmente interessanti, nel caso di "errori". E' il caso, ad esempio delle false analisi, tipo scriva-mia per scrivania o mia-lette per toilette (pronunciata tualette): il bambino, ormai in possesso di una competenza linguistica che abbraccia l'uso dei pronomi possessivi (e che è fondamentale nell'interazione linguistica!), sente in scrivanía, termine che l'adulto usa per rivendicare qualcosa di suo, un mia di possesso (e può arrivare ad usare il moncone *scriva per indicare l'oggetto); analogamente ritiene, con qualche fondato motivo, di poter essere interpellato con riferimento ad un suo possesso, sia pure temporaneo, quando ascolta la sequenza *tua-lette (e conia pertanto, in sede di risposta, mia-lette).
In una fase ancora più avanzata di acquisizione della competenza linguistica la maggior parte degli errori infantili rientra nel meccanismo operativo dell'analogia: è il caso di uomi come plurale di uomo (sul modello di gatto-gatti), di tossazione invece di tosse (sul modello delle varie forme in -zione), di livellamenti di forme verbali su quelle della prima coniugazione, etc. Questi errori sono effimeri, in quanto vengono corretti prontamente in società in cui l'attività linguistica ha un alto tasso di istituzionalizzazione. In altri casi possono invece costituire le premesse di un mutamento linguistico basato sull'innovazione analogica (solo così si spiegano le fome italiane siamo e abbiamo, piuttosto "puerili" rispetto agli antecedenti latini sumus e habemus).