PARTE SECONDA
29.4. La grammatica generativa di N.A. Chomsky
Infine una forte attenzione alla dimensione sintagmatica della lingua è posta dalla cosiddetta grammatica generativa, fondata da N.A. Chomsky a partire dalla fine degli anni cinquanta (1957, Syntactic Structures). Per Chomsky esiste una sorta di competenza del parlante, riferibile in ogni caso al contesto istituzionale di una lingua standard, che lo guida, a partire da una serie ordinata di rappresentazioni lessicali, nella generazione delle frasi corrette ed accettabili e pertanto grammaticali di una lingua. Chomsky ha rivisto più volte la sua teoria, introducendo ad esempio (1964) la nozione di struttura profonda, che è asintattica ed è suscettibile di essere convertita in struttura superficiale sintattica mediante regole semantiche di proiezione. Il tratto saliente dell'accostamento ch omskiano alla sintagmaticità della lingua è l'attenzione non al prodotto (il sintagma, appunto) ma alle modalità di produzione (le operazioni mentali che permettono di "riscrivere" una F (intendi frase) "profonda" mediante successive trasformazioni. In tal senso la frase il bambino mangia la mela è prima F (dimensione semantica dell'enunciazione), poi SN -SV (intendi schema sintagmatico di sintagma nominale + sintagma verbale, quest'ultimo esplicitabile come SV+SN), infine -per così dire- "emerge" come ARTICOLO+SOSTANTIVO e VERBO-ARTICOLO+SOSTANTIVO e si "riempie" con le rappresentazioni fonologiche /il bambino/ e /mangia la mela/. Anche in questo caso, a parer nostro, si può parlare di "motivazione diagrammatica", tuttavia applicandola alla produzione piuttosto che al prodotto linguistico.
Nell’elaborazione della sua teoria, Chomsky ha dichiarato di rifarsi come antecedenti a Platone e Cartesio entrambi sostenitori del carattere innato delle idee. Innata per lui è la Grammatica Universale, sottostante a tutte le lingue umane ed assimilabile ad un ‘organo mentale’. Ogni bambino, alla nascita, ne ha già una competenza specifica ma inconsapevole, per cui il compito della linguistica sarà esplicitare i principi di questa grammatica, il cui nucleo, che Chomsky chiama Facoltà Linguistica in senso stretto (Faculty of Language Narrow), è l’attività ricorsiva espressa dall’unico comando “aggiungi” (join!), che porta alla creazione di un numero infinito di frasi. Nel descrivere questa attività Chomsky distingue 4 tipi di sintagmi universali: Sintagma nominale che ha come “testa” un nome. Es. città metropolitana (città è l’elemento che regge il sintagma).
l’elemento che regge il sintagma). Sintagma preposizionale che ha come “testa” una preposizione. Es. in metropolitana ( in è l’elemento che regge il sintagma). Sintagma
verbale che ha come “testa” un verbo. Es. parlare inglese ( parlare è l’elemento che regge
il sintagma).
Lez.30: Testi
30.1. Definizione di testo. 30.2. Fenomeni testuali specifici. 30.3. Tipologia testuale o tipologia contestuale? 30.4. I sei requisiti della testualità.
30.1. Definizione di testo
Gli indici necessari di un contesto situazionale si strutturano linguisticamente come testi, cioè come combinazioni idiosincratiche di icone motivate consistenti in sintagmi linguistici. Il testo è il coronamento o il livello più alto dell'istanza di strutturazione della lingua ed è insieme, come abbiamo già visto, il concreto punto di partenza per l'individuazione dei sintagmi e, all'interno di questi, delle unità, secondo un processo di astrazione crescente che muove da un contesto situazionale "unico ed irripetibile", attraverso lo spessore di uno o più contesti istituzionali, ed approda infine alle astratte geometrie del contesto storico. Nonostante l'evidente importanza del testo, una linguistica
testuale vera e propria è sorta solo in anni recentissimi ed essa è ancora, in mo do del tutto
comprensibile, impegnata nella definizione e ridefinizione dei propri strumenti cognitivi. Del resto anche una definizione di testo non è immediatamente evidente se non si definiscono, in modo predittivo, i suoi requisiti essenziali. Probabilm ente sia il ritardo nella costituzione di una linguistica testuale sia il disagio nella "messa a fuoco" del suo apparato epistemologico dipendono dalla natura stessa dell'oggetto in esame, il testo appunto, che si palesa in uno spazio fenomenologico accadi mentale e "fluido" per eccellenza.
Ai fini del nostro discorso potrà allora essere utile una definizione "provvisoria" di testo, che riconosce a questo fenomeno linguistico due condizioni necessarie ma non sufficienti, cioè quella sintattico-designativa (v. avanti) delle unità e semantico-significativa (v. avanti) dei sintagmi che lo costituiscono ed invoca, per la sua agnizione, la condizione pragmatico-comunicativa (v. avanti) che gli è propria, in quanto condizione necessaria e sufficiente e soprattutto in grado di riassorbire le altre due precedenti. Diremo pertanto che un testo è un insieme finito e ordinato di elementi (le unità) combinati in modo predicibile (i sintagmi) in un modo idiosincratico e definitivo (il testo, appunto); diremo ancora che tali unità sono simboli arbitrari che designano in modo del tutto convenzionale, che tali sintagmi sono icone che significano in modo fortemente motivato, che il risultato -il testo- è costituito da una serie di indici che necessariamente comunicano; diremo, infine, che il testo non è un complesso di segni (simboli, icone, indici), ma un segno complesso (un fascio di indici, costituiti da icone, a loro volta costituiti da simboli).
Per capire meglio cosa si intenda qui per testualità si consideri brevemente u n esempio extra-linguistico: una fila di alberi, in cui ogni albero costituisce appunto un'unità (si badi
bene: non una "macchia" o un "bosco"!) è, sì, un insieme finito e ordinato di elementi, ma non è ancora un testo; una fila di alberi, posta motivatamente tra due terreni secondo un particolare uso di partizione del territorio agrario è, sì, predicibilmente "un confine", ma non è ancora un testo; una fila di alberi, posta nel territorio agrario in questione in modo idiosincratico tra il terreno di X e il terreno di Y è di fatto "il confine" ed è allora un testo.
30.2. Fenomeni testuali specifici
La linguistica testuale tende oggi a riconoscere alcuni fenomeni linguistici che sono propri e tipici del suo oggetto di indagine. Tra questi, senza pretesa di completezza, citeremo la
coesione, che è data da alcuni fenomeni specifici, tra i quali ricorderemo la ripresa anaforica (tipo: incontro Marco e lo saluto; poi ho visto Giovanni, che è il padre di
Marco) o l'anticipazione cataforica (tipo: quando lo vedo, sono sempre contento di incontrare Marco) o ancora la ripetizione (tipo: acqua in cielo, acqua in terra, acqua in ogni luogo: questa è la mia vacanza in Inghilterra! ) o, infine, la coreferenza (tipo: tifava per Bartali e non per Coppi, ma amava tutti i ciclisti). Altri aspetti importanti della testualità sono: la coerenza, che riguarda la compattezza semantica di un testo e le sue relazioni estremamente complesse con il mondo; l'intenzionalità e la sua accettabilità, che investono le dimensioni pragmatiche dell'atto linguistico (v. avanti), cioè i rapporti tra emittente e ricevente; l'informatività e la situazionalità, che si legano alle teorie generali della comunicazione ed alle implicazioni psicolinguistiche di tale fenomeno.
30.3. Tipologia testuale o tipologia contestuale?
Esiste certamente una dimensione intertestuale, che pone il problema del tipo di testo, che si potrebbe definire con G. R. Cardona "un testo socialmente prefigurato e regolato" in una zona di contaminazione tra contesto istituzionale e contesto situazionale. Ma anche qui siamo nel rischio di un equivoco: se io, ad esempio, considero il sonetto un tipo di testo, mi lascio sfuggire il fatto che un sonetto, visto astrattamente, è in realtà un tipo di
contesto, cioè un contesto situazionale formalizzato, di cui lo specifico sonetto che sto
studiando è, sì, replica, ma idiosincratica. Se procediamo per questa strada non ci creerà problemi la fenomenologia del testo ripetuto (ad es. preghiere, avvisi, formule, barzellette, proverbi, enigmi, ecc.), che non nega il carattere situazionale della testualità o le modalità di esecuzione-interpretazione, che sconfinano spesso in riformulazioni e riscritture anche sostanziali e, comunque sia, di tipo individuale.
30.4. I sei requisiti della testualità
In ogni caso tutti i fenomeni qui descritti o appena accennati, che sembrano propri e tipici della testualità, sono semioticamente indici necessari rispetto al contesto situazionale di produzione. Il testo, in tal senso, è coeso, coerente, intenzionale, accettabile,
informativo e situato (si noti il carattere non casuale di quest'ultimo attributo!). Proprio
l'ultimo termine può riassumere tutti gli altri, se si assume una prospettiva contestuale, se tutto il testo si lascia riconoscere come un potent e vettore di indici nel quadro di una complessa, irripetibile e definitiva situazione comunicativa.
CAP.10
L'istanza di rappresentazione: designazioni, significazioni, comunicazioni
Lez.31: Designazioni
31.1. Che cos'è la designazione. 31.2. Il "posto " della designazione: referenza, senso e immagine associata secondo Frege.31.3. Il triangolo fondamentale di Ogden e Richards. 31.4. I campi semantici. 31.5. La designazione come concetto basico secondo Sapir. 31.6. Designazioni e contestualizzazioni. 31.7. I nomi propri come istanze di designazione assolute.
31.1. Che cos'è la designazione
La designazione è il rapporto tra un signans linguistico ed un signatum extra-linguistico, o -altrimenti detto- il rapporto tra segno linguistico e realtà: essa si rea lizza attraverso l'istanza di rappresentazione delle unità linguistiche di prima articolazione (monemi). Le unità di seconda articolazione (fonemi) non svolgono in tal senso una funzione primaria, ma possono concorrere ad una caratterizzazione designativa di una determinata unità (ad es. la /f/ "italica" di it. bufalo rispetto alla /b/ autenticamente latina di bubalus). Queste unità sono, a loro volta, il risultato dell'istanza di strutturazione linguistica dei simboli arbitrari di un contesto storico ed in quanto tali coinvolgono la designazione nella più generale dimensione etnolinguistica di questo contesto. In pratica, dato un contesto etnostorico particolare (ad es. quello italiano contemporaneo), è possibile riconoscere in esso un numero più o meno ampio di monemi (ad es. ieri, cavall-[o], cant-[iamo], etc.) che si collegano ad altrettante realtà distinte e specifiche attraverso una modalità dell'istanza di rappresentazione (la designazione, appunto), che non chiama in causa rapporti tra segni (la significazione, v. avanti) o rapporti tra segni e utenti (la comunicazione, v. avanti), ma unicamente ed esclusivamente rapporti tra segni e realtà.
31.2. Il "posto" della designazione: referenza, senso e immagine associata secondo Frege
In questa prospettiva sembra opportuno richiamare l'importante distinzione, che risale a
dell'istanza di rappresentazione linguistica: con "referenza" si indica ciò che si vuol dire e pertanto essa corrisponde a ciò che noi qui chiamiamo designazione; con "senso" ci si riferisce al modo in cui si realizza la formulazione del messaggio (la significazione, appunto); infine con "immagine associata" si chiama in causa il coinvolgimento che nell'istanza di rappresentazione è proprio di ciascun utente sia in quanto emittente sia in quanto ricevente (in definitiva, la comunicazione). Ad esempio: dato lo stesso corpo celeste (il pianeta Venere), le espressioni linguistiche la stella del mattino, Lucifero, la stella della sera, Vespero hanno con ogni evidenza la stessa referenza (con esse si designa sempre il pianeta Venere), ma con altrettanta evidenza hanno quattro sensi diversi. Inoltre, precisa Frege, "lo stesso senso non è sempre legato, anche p resso la stessa persona, con la stessa immagine. L'immagine è soggettiva: l'immagine di una persona non è quella di un'altra" (cfr. A proposito del senso e del significato in Funzione, concetto, significato, Göttingen 1962, p.59). Ciò dipende -aggiungiamo noi- dal fatto che l'immagine associata è indissolubilmente legata alla comunicazione, cioè ad una condizione idiosincratica e non predicibile. Purtroppo l'elegante e persuasiva tripartizione di Frege è spesso sostituita, nell'uso contemporaneo, da una bipartizione (che risale a J. S. Mill) tra denotazione (che corrisponde alla referenza di Frege) e connotazione, in cui cade la distinzione tra senso ed immagine associata e viene pertanto confusamente sussunto tutto ciò che non è referenziale. Più in generale va sottolineato il fatto che non esiste una corrispondenza perfetta tra i linguaggi formali dei logici e le lingue nei loro contesti storici, istituzionali e situazionali. In realtà i linguaggi dei logici sono a contesto indeterminato, cioè in essi il significato dei simboli non dipende dal loro contesto, mentre nelle lingue storiche avviene esattemente il contrario e la dimensione contestuale risulta fondamentale nella definizione della loro istanza di rappresentazione.