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Silvia Volterrani, Tasso e il canto delle sirene, in Studi tassiani, XLV, 1997, 45

La forza magica implicita nella seduzione femminile coincide con la forza dell’eloquenza: l’immagine della tela che Armida dovrà tessere sulla trama ordita da Idraote non è che il racconto che Tasso andrà scrivendo, racconto in cui però è celato l’inganno poetico, un velo che nasconde la verità. La metafora della TELA, “Tessi la tela ch’io ti mostro ordita” (ott. 24 (…)) e, nell’ottava successiva, quella del velo, “Vela il soverchio ardir con la vergogna, / e fa manto del vero a la menzogna”, sono tradizionali immagini metaforiche dell’atto di scrittura e di interpretazione (…).

Medea come Sirena, come Medusa

Silvia Volterrani, Tasso e il canto delle sirene, in Studi tassiani, XLV, 1997, 45

Come indica John Freccero, nel saggio dedicato al c. IX dell’Inferno dantesco, soffermandosi sui versi dedicati a Medusa ((J. Freccero, Dante. The Poetic of Conversion, Harvard University Press, Cambridge 1986 (trad. it. Dante. La poetica della conversione, il Mulino, Bologna 1989), pp. 175-193)), il significato dell’episodio è racchiuso nell’immagine del velo. L’atto del coprire e dello scoprire di Medusa e della dottrina, rivelando una dialettica fra cecità e visione, sottolinea la difficoltà di ogni interpretazione. Soltanto l’illuminazione retrospettiva necessaria al pellegrino Dante per comprendere i propri errori rende possibile una interpretazione: Medusa rappresenta la fascinazione sensuale celebrata nella poesia d’amore, e la sua stessa demistificazione. Per Dante, Medusa è il passato delle rime petrose, di un eros poetico troppo indulgente a se stesso, che rischia di incorrere nel peccato di idolatria. Una poesia pericolosa come quella delle sirene: così nel sogno della Sirena di Purg. XIX, l’atto di fendere i drappi che coprono il ventre mostruoso di una creatura che sembra bellissima, corrisponde alla scoperta della verità (…). Petrarca, alla

185 fine del Canzoniere, riconoscendo la problematica racchiusa nell’immagine della medusa-sirena dantesca, “Medusa et l’error mio m’an fatto un sasso” (CCCLXVI, v. 111), non solo ne recupera gli elementi formali, ma la trasforma un metafora secolarizzata della poesia stessa e dei suoi pericoli, conscio di aver commesso, nella creazione di una poesia autocelebrativa, lo stesso errore di Dante.

Tasso, evocando in Armida l’immagine ossimorica della sirena-Medusa, antitesi fra piacere/verità, bellezza/conoscenza, attraverso Dante e Petrarca, sembra voler rappresentare proprio le tentazioni e i pericoli della poesia e il suo rapporto con la verità. L’immagine del velo diventa il segno il cui referente è l’ambiguitò fra menzogna e verità; come suggerisce Zatti, “il velo e il manto che si vorrebbero squarciare per possedere il vero, o per penetrare per il soddisfacimento erotico (…) sono anche la sede della lusinga erotica e del piacere poetico (…), radicale ossimoro” ((S. Zatti, L’ombra del Tasso, Bruno Mondadori, Milano 1996, p. 143)), metafora che si reifica nel velo della veste di Armida, al momento del suo ingresso nel campo cristiano. (…) i soldati, non riconoscendo il gioco di seduzione impostato sulla menzogna del pudore, rivelano un pensiero già sedotto. (…) è la natura ambigua della sirena a permettere la rappresentazione dell’elemento femminile come espressione di un desiderio comunque colpevole, pur restando ancora nascosto l’aspetto mostruoso. (…) Se, da una parte, la bellezza di Armida è descritta secondo clichés tradizionali, in particolare petrarcheschi, dall’altra è vero che Tasso riesce a evidenziarne il forte erotismo, espresso da un desiderio frustrato e da una trasgressione, che spesso (…) è quella di uno sguardo che si spinge dove non dovrebbe (lo sguardo di Medusa). Armida è oggetto di un desiderio che, rivelato da metafore di fame e di sete, è destinato a rimanere insoddisfatto. (…) (Un)) elemento erotico è costituito dalla capigliatura, la cui simbologia, come l’atto di pettinarsi, è antropologicamente legat al geste féconde di Afrodite; il crine serpiforme di Medusa, anch’essa “sirena originale”, ne rappresenta l’esorcizzazione. Fin dalla prima apparizione di Armida la capigliatura è messa in evidenza: “Fa nove crespe l’aura al crin disciolto, / che natura per sé rincrespa in onde” (ott. 30); secondo Durand è “l’archetipo del legame ((che)) viene a iperdeterminare surrettiziamente la capigliatura (…). Il legame è l’immagine diretta (…) della condizione umana legata alla coscienza del tempo, e alla maledizione della morte (…). Il legame è la potenza magica e nefasta del ragno, della piovra e anche della donna fatale e maga” ((G. Durand, Les structures anthropologiques de l’imaginaire, Bordas, Paris 1969 (trad. it. Le strutture antropologiche dell’immaginario, Dedalo, Bari 1972), pp. 99-100)) e, potremmo aggiungere della sirena, la cui etimologia è proprio quella di “legame”. (…) Un’altra caratteristica di Armida, evidente fin dalle prime descrizioni, è il suo carattere solare, che culmina nella catacresi del c. IV, in cui Armida “diventa” il sole: “Serenò allora i nubilosi rai” (ott. 84: più tardi essa arriva direttamente su di un carro che sembra quello del sole, XVII 34), e che sottolinea la sua origine di sirena. Come Circe e Medea, entrambe figlie del sole, e donne pericolosamente seducenti, anche la sirena (non a caso tutte si ritrovano unite nella stessa ottava: IV 86) è legata alla forza generatrice del sole: è indicativa la falsa etimologia proposta da Eustazio, che fa derivare ‘sirena’ da ‘sirio’, inserendola nella tradizione dei demoni meridiani e della tradizione ermetica (((…) Anche il mito di Medusa è legato a quello del sole: il non poter guardare direttamente la luce del sole coincide con l’impossibilità di rivolgere lo sguardo Medusa (R. Graves, I Miti Greci, Longanesi, Milano 1979))). (…)

ARMIDA-NARCISO

Silvia Volterrani, Tasso e il canto delle sirene, in Studi tassiani, XLV, 1997, 45

L’immagine scolpita di Antonio, posta all’ingresso del giardino di Armida, perduto nella contemplazione del volto di Cleopatra, anticipa la scena di Rinaldo e Armida, scena in cui è sottolineato il peccato di idolatria, reificato e amplificato da un “estranio arnese”, lo specchio. Il carattere narcisista di Armisa trova la sua rappresentazione più completa nello specchio (…). Lo specchio, simbolo ambiguo posto fra vanità e verità, unisce i due aspetti contraddittori, ma complementari, in una logica di compromesso che ne rivela la complessità simbolica ((Sul motivo dello specchio in Tasso: B. Corrigan, The opposing Mirrors, in “Italica”, XXXIII, 1956, 3, pp. 165-179; G. Pozzi, La parola dipinta, Adelphi, Milano 1981, pp. 71-74; G. Sanguineti Katz, Il narcisismo del Tasso. Il tema della donna allo specchio, in “Esperienze letterarie”, IV, 1981, 4, pp.

186 5-18; (…) B. Rima, Lo specchio e il suo enigma, Antenore, Padova 1991)). (…) Lo specchio-vanità, capace di riflettere difetti spirituali e vizi, quali la vanità, l’orgoglio, la superbia, appare nell’iconografia medievale come attributo della “grande meretrice di Babilonia”, simbolo biblico di ogni peccato, raffigurata mentre si pettina con uno specchio in mano. Il testo della Vulgata, che pone anche le sirene nella città di Babilonia, permette ai commentatori di definirle ‘meretrices’ (per esempio Isidoro da Siviglia: “Secundum veritatem autem meretrices fuerunt”, Et. him. XI III 30-31) (…) Se, nel Paradiso Terrestre dantesco, Matelda- Proserpina rappresenta l’innocenza primordiale, Armida, Sirena-Medusa, armata di specchio, rappresenta l’innocenza ormai perduta. Le parole che Rinaldo rivolge ad Armida rivelano la completa fusione dei due amanti: Rinaldo “degradato a pura immagine speculare di Armida (…) ne ha assorbito le prerogative femminili e le caratteristiche somatiche, (…) ha incorporato (…) la funzione dello specchio” ((S. Zatti, L’uniforme cristiano, cit., p. 71)) ((METAMORFOSI DI RINALDO)), riflettendone anche i caratteri seducenti sireneidi. (…)