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Metamorfosi, ‘meraviglioso’ e ‘meraviglia’ nella Liberata

II. Metamorfosi e memorie ovidiane nella Gerusalemme Liberata: caratteri generali 1 Questioni di intertestualità: l’intertestualità ovidiana, l’intertestualità tassiana

II.2. La metamorfosi, le metamorfosi nella Liberata 1 Metamorfosi e conversione nella Liberata

II.2.3. Metamorfosi, ‘meraviglioso’ e ‘meraviglia’ nella Liberata

La costellazione cui appartiene la ‘metamorfosi’ può essere arricchita da un’altra importante connessione, quella con la ‘meraviglia’, con il ‘meraviglioso’. Questa connessione è dovuta a una serie di motivi, tra cui spiccano due: il primo, di carattere più generale (ed esterno), relativamente in senso proprio al ‘meraviglioso’, il secondo, di caratura più specifica (e interna), relativamente in senso proprio alla ‘meraviglia’; e cioè, da una parte occorre considerare che le metamorfosi magiche e pagane non possono non rientrare nella complessa dimensione del ‘meraviglioso’ così come era comunemente intesa nel dibattito letterario del Cinquecento91 e così come era percepita e teorizzata da Tasso stesso (si vedrà infatto come nei

Discorsi il poeta di Sorrento pensa alla ‘metamorfosi’ come sottocategoria del ‘meraviglioso’); dall’altra si

può osservare come nella scrittura stessa del poema spesso le metamorfosi sono associate visibilmente, esplicitamente a manifestazioni di ‘meraviglia’ o estrinsecazioni da parte del narratore del carattere straordinario, meraviglioso di tali processi trasformativi (e si vedranno nel corso della trattazione molti esempi di tale atteggiamento ricorrente92; questa dimensione della ‘meraviglia’ quasi sembra preannunciare

91 Per una prospettiva ampia sull’utilizzo del ‘meraviglioso’ nell’epica quattro-cinquecentesca, cfr. Elizabeth Welles,

Magic in the Renaissance Epic: Pulci, Boiardo, Ariosto, Tasso, 1970 (nell’incipit dell’Introduction si legge: «One of

the greatest subjects of debate for the Sixteenth Century Renaissance critics was the use of the “marvelous” in the epic. This theoretical argument which lasted until the end of the century began with the publication of Aristotle’s Poetics (1498) and gained real impetus after the appearance of Tasso’s Gerusalemme Liberata in 1580. Although Aristotle had said poetry was imitative and verisimilar, he also said an epic should contain elements of the marvelous»).

Per una storia dell’evoluzione dell’attenzione alla meraviglia e al meraviglioso, anche nella direzione di un’osservazione naturale, nel corso dei secoli, cfr. Lorraine Daston – Katharine Park, Le meraviglie del mondo. Mostri,

prodigi e fatti strani dal Medioevo all’Illuminismo, Carocci, Roma: per fornire un’idea dell’interessante lavoro

monografico, si riporta parte dell’Introduzione, p. 15 sgg: «((Robert)) Boyle e molti suoi contemporanei consideravano la meraviglia come uno stimolo all’indagine, e le meraviglie come i principali oggetti di investigazione. Cartesio definì la meraviglia la prima delle passioni, “una sorpresa improvvisa dell’anima, per cui essa si volge a considerare con attenzione quegli oggetti che le sembrano rari ed eccezionali” e Bacone incluse una “storia delle meraviglie” nel suo programma di riforma della filosofia naturale. L’attenzione di questi filosofi per la meraviglia e le cose meravigliose nello studio della natura fu un momento unico nella storia della filosofia naturale europea, che non si era verificato in prcedenza e non si sarebbe verificato in seguito. Prima e dopo questo momento (…) meraviglia e meraviglie rimasero sospese ai margini dell’indagine scientifica. In realtà, esse definivano questi margini, sia oggettivamente che soggettivamente: le meraviglie, intese come oggetti, segnavano i limiti estremi del naturale; la meraviglia, intesa come passione, tracciava la linea tra il noto e l’ignoto. (…) Una storia delle meraviglie intese come oggetti di indagine naturale è (…) anche una storia degli ordini della natura, e una storia della meraviglia intesa come passione per l’indagine naturale è contemporaneamente una storia dell’evolversi della sensibilità collettiva dei naturalisti (…)».

Sempre sul tema della meraviglia in una prospettiva storica, ma da un punto di vista maggiormente filosofico, cfr.

Jean Céard, La nature et les prodiges, L’insolite au XVIe siècle, en France, Droz, Genève 1977, in particolare Première Partie Inventaire d’un héritage, chapitre premier Les monstres, les prodiges et les merveilles d’Aristote à Saint

Augustin, pp. 3 sgg.

92 Si inizi a vedere il seguente esempio, relativo ad Aquilino, il cavallo nato dal vento: la vicenda di Aquilino il cavallo di Raimondo è la storia di una nascita ‘metamorfica’ (cfr. VII 75 7-8; 76; 77: riporto l’ott. 76): «Questo [Aquilino] su ’l Tago nacque, ove talora / l’avida madre del guerriero armento, / quando l’alma stagion che n’innamora / nel cor le istiga il natural talento, / volta l’aperta bocca incontra l’òra, / raccoglie i semi del fecondo vento, / e de’ tepidi fiati (oh meraviglia!) / cupidamente ella concipe e figlia». La nascita del cavallo dal vento, a motivo evidentemente eziologico (come spiegare e spiegarsi la velocità del cavallo se non dicendo che è figlio del vento? metafora e metamorfosi, come vedremo, spesso si intrecciano: detto banalmente, il cavallo veloce come il vento diviene figlio del vento), nascita che si colloca nel campo del ‘meraviglioso’, e di un meraviglioso metamorfico (la metamorfosi, direttamente funzionale a rimarcare la velocità del cavallo, è a partire da un elemento atmosferico, il vento, in unione con una cavalla, per confluire nella generazione di un animale, il cavallo), è associata all’evidenziazione diretta («oh meraviglia!») da parte del narratore del carattere straordinario e meraviglioso del

68 le teorizzazioni e le pratiche barocche93, notoriamente coagulatesi in quel motto della lettera, che citavo nell’Introduzione, di Giambattista Marino all’Achillini: ‘del poeta il fin è la meraviglia’).

processo trasformativo. Esempi di questo genere sono molto comuni nella Liberata, come abbiamo detto: la descrizione di un processo metamorfico è sempre connesso all’estrinsecazione autoriale, spesso in forma di esclamazione, del carattere meraviglioso del processo, tanto che spesso l’esclamazione della meraviglia può essere intesa utilmente come ‘spia’ della presenza di un processo metamorfico.

93 La connessione tra metamorfosi e meraviglia fa emergere, a mio avviso, anche una certa caratterizzazione ‘pre- barocca’ dell’opera tassiana; certo, il dibattito recente ha con raffinatezza e profondità indagato le discontinuità tra Manierismo e Barocco, individuando, al di là degli evidenti caratteri comuni, la diversificate caratteristiche, le diverse ragioni spirituali, i diversi esiti artistici dei due momenti letterari (e storico-artistici: il Manierismo, come è ben noto, nasce come categoria storico-artistica); tuttavia, non posso non notare che Tasso, nel ‘crepuscolo del Rinascimento’, sembra esprimere una certa spiritualità anticipatrice dell’epoca barocca, ad esempio per quanto concerne proprio l’insistenza sul ‘mirum’, sulla ‘meraviglia’ da destare nel lettore, per cui mi sembra di non poter concordare pienamente con quanto affermato da Ferretti nel suo saggio Ars ludentis opus (p. 184) a proposito di un’estrema difformità della ‘funzione-Ovidio’ nella Liberata dalla ‘funzione-Ovidio’ di tipo ‘romanzesco’ nel Furioso e da quella di tipo ‘barocco’ nelle pratiche letterarie del XVII secolo; a mio avviso, infatti le zone ovidiane della scrittura tassiana sono a tutti gli effetti ‘romanzesche’ (lo si è visto precedentemente; è ovvio, poi, che il ‘romanzo’ interagisca in modo diverso con l’‘epos’ nella Liberata rispetto al Furioso, ma questo è un altro tipo di discorso) e hanno un’‘aria’ per così dire anticipatrice, sotto molti aspetti, dell’atmosfera barocca (e anzi una dissertazione come la presente fa emergere, a mio avviso, con forza la caratura pre-barocca di parte della scrittura tassiana) per quanto concerne l’attenzione nei confronti del tema della ‘meraviglia’, l’attenzione al lettore nel desiderio di avvicinarlo all’opera tramite il ‘meraviglioso’, etc. Questa dimensione ‘pre-barocca’ ben si riconnette al magistero ovidiano, dal momento che il poeta di Sulmona espresse

ante litteram una dimensione ‘barocca’ (si direbbe, transtorica) molto accentuata attraverso l’approfondimento della

tematica del ‘mirum’, l’avvertimento della dimensione spettacolare e teatrale dell’esistenza e, più in generale, attraverso l’estrinsecazione letteraria di una sua propria sensibilità (certo molto influenzata dal periodo storico e storico-letterario in cui operò) e di una sua Weltanschauung molto affine a quella che emerse nelle teorizzazioni e nelle pratiche letterarie del Barocco storico (Weltanschauung che ha molti punti in comune con quella tassiana).

Già Spoerri del resto aveva apparentato Tasso al Barocco piuttosto che al Rinascimento, caratterizzando l’Ariosto come esempio della «forma chiusa, circoscritta e ferma» di tipo rinascimentale in opposizione al Tasso come esempio della «forma aperta, sfumata, fluttuante» (metamorfica?) di tipo barocco: cfr. Bartolo Tommaso Sozzi, Nuovi studi sul

Tasso, Centro Tassiano, Bergamo 1963, Introduzione alla Gerusalemme Liberata: «un altro studio critico tassiano

straniero vuol essere segnalato per l’apporto di un’intuizione nuova e dinamica nella storia della critica tassiana: quello dello Spoerri, pubblicato a Berna nel 1922, che sollecitato dalla formula del Wölfflin risolveva su piano critico l’antica e a lungo male impostata contesa tra arrostisti e tassisti, apparentando il Tasso piuttosto al Barocco che non al Rinascimento, e caratterizzando lo stile interiore del Tasso come tendenza alla forma aperta, sfumata, fluttuante, di contro alla rinascimentale forma chiusa, circoscritta e ferma dell’Ariosto», e cfr. anche Arnaldo Di Benedetto, Lo sguardo di Armida: «La descrizione alla quale i quattro versi [dell’ottava 30 del canto IV: “Fa nove crespe l’aura al crin disciolto, / che natura per sé rincrespa in onde; / stassi l’avaro sguardo in sé raccolto, / e i tesori d’amore e i suoi nasconde”] appartengono era indicata da Theophil Spoerri, nel suo volumetto del 1922 Renaissance und Barock bei Ariost und Tasso, costruito utilizzando e adattando le categorie storico-artistiche di Heinrich Wölfflin, quale efficace esempio dello stile “barocco” (le virgolette sono opportune) proprio di Torquato Tasso. Di contro, quale esempio di stile invece rinascimentale, il romanista svizzero menzionava la descrizione di Alcina nel settimo canto del poema di Ludovico Ariosto, che fu oggetto nei secoli d’una discussione ideale tra Ludovico Dolce, Lessing, De Sanctis, Croce e Donadoni. Spoerri sottolineava il carattere lineare e melodico dello stile ariostesco, e quello armonico e introspettivo dell’altro; statico l’uno (“con bionda chioma lunga ed annodata”), dinamico l’altro (“Fa nove crespe l’aura al crin disciolto, / che natura per sé rincrespa in onde”)».

Giovanni Baffetti, poi, in Fra distanza e passione. Una poetica dell’occhio ‘patetico’, in Lettere italiane, LIII, 1, gennaio-marzo 2001, pp. 49-62, connette, ma per un altro ordine di motivi, Tasso al barocco, intendendo (pp. 49-50) il poema tassiano come combinazione di elementi preesistenti dalla significativa dispositio compositiva, costruzione unificante e nuova, sperimentazione simile a quella dei ‘poeti barocchi’ (tedeschi) così come percepita e illustrata da Benjamin: “ciò che l’antichità ha lasciato indietro è costituito per loro, pezzo per pezzo, dagli elementi in base ai quali

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la nuova totalità si fonde. Anzi: si costituisce. Perché la visione compiuta di questo nuovo era: la rovina” e l’effetto poetico conseguito da tali poeti si colloca, per Benjamin, “al di là della bellezza” (cfr. W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco ((1963)), trad. it., Einaudi, Torino 1980, pp. 184-185).

Estremamente significativo, inoltre, che Giovan Battista Marino, il più celebre esponente del Barocco letterario italiano si sia posto, com’è noto, sotto il magistero ovidiano piuttosto che virgiliano (cfr. ad esempio Zatti, L’ombra del Tasso, p. 220, cap. L’Adone e la crisi dell’epica: «La critica ha rilevato come il Marino rompa spesso con la tradizione del poema cinquecentesco scartando dalla via maestra aristotelica coll’anteporre Nonno a Omero, Ovidio a Virgilio») e si sia posto sotto tale magistero, guadagnandosi l’appellativo di ‘Hetruscus Ovidius’, proprio in contrapposizione al ‘virgiliano’ Tasso della Liberata; questa tesi è volta a smontare la pretesa caratura esclusivamente virgiliana del poema tassiano, dimostrando la massiccia presenza ovidiana e, nel far questo, non può che evidenziare la paradossale continuità tra Tasso e Marino, ossia il carattere pre-barocco del poeta della Liberata o meglio il suo atteggiamento ambivalente nei confronti di Virgilio e di Ovidio; sarebbe interessante, in questa prospettiva, poter vedere magari il ‘virgilianesimo’ di Marino: si scoprirebbe, forse, anche in quel caso, un’ambivalenza nei confronti dei due poeti antichi assunti invece semplicisticamente dalla tradizione critica, sulla base delle dichiarazioni teoriche e programmatiche dei due poeti italiani, come paradigmi assoluti l’uno (Virgilio) della poetica tassiana, l’altro (Ovidio) di quella mariniana: due paradigmi che invece, con ogni evidenza, andranno sfumati e interpretati nelle loro peculiari connotazioni diversificate ovviamente in termini quantitativi e qualitativi; comunque, su Marino come ‘Hetruscus Ovidius’ in contrapposizione al Tasso virgiliano, cfr. Vania De Maldé, Giovan Battista Marino. L’“Hetruscus Ovidius”, in Il mito

nella letteratura italiana, ed. Pietro Gibellini, II. Dal Barocco all’Illuminsimo, a cura di Fabio Cossutta, pp. 69 sgg.:

«all’amico ((Girolamo Petri)) che si diceva avesse respinto il confronto tra la Gerusalemme del Tasso e l’Adone ((cui aveva dato inizio nel 1624 il gesuita Agazio di Somma)), in quanto “sarebbe come voler rassomigliar l’Eneide alle Metamorfesi”, (Marino)) fa presente che “circa l’arte, come sono l’invenzione, il costume, la sentenza, l’elocuzione, io non credo che Virgilio passi molto d’avantaggio ad Ovidio, né che il poema delle Trasformationi a quello dell’Eneide abbia da ceder punto. Quanto a Ovidio (…), aggiunge: “Mi basterà dire che troppo bene averò detto che le poesie d’Ovidio sono fantastiche, poiché veramente non vi fu mai poeta, né vi sarà mai, che avesse o che sia per avere maggior fantasia di lui. Ed utinam le mie fossero tali!” ((Marino, Lettere, a cura di M. Guglielminetti, Einaudi, Torino 1966, pp. 394-97, n. 216 a Girolamo Preti, di Napoli, 1624)). Affermazioni (…) studiatamente provocatorie, che comunque valsero al Marino il fortunato titolo di “Hetruscus Ovidius” e di “Ovidio napoletano” con cui fu a lungo contrapposto da panegiristi e avversari (dagli Accademici Incogniti ad Antonio Bruni, Scipione Errico e Lorenzo Crasso sino a Pier Jacopo Martello) al “nuovo Virgilio” della Gerusalemme liberata».

Per lo spirito dei tempi definibile con categoria transtorica ‘barocco’, cfr. VINCENZO VIVALDI, PROLEGOMENI AD UNO STUDIO COMPLETO SULLE FONTI DELLA G. L. TRANI 1904: «Della letteratura latina immensa stima il Tasso faceva di Virgilio. Egli lo chiama “il mio poeta e principe dei poeti”; e fin dal 1578 si era proposto di difenderlo da tuttr le opposizioni, che gli venivano fatte, e negli ultimi anni della sua vita lo difese dalle accuse dei dotti ellenisti dei suoi tempi, che gli anteponevano Omero, e con l’autorità e l’esempio dell’Eneide egli giustificava parecchie cose del suo poema. Omero e Virgilio dunque offriranno maggiore numero di raffronti con la Liberata.

Dopo Virgilio, l’autore latino, che è più ricordato nelle sue lettere e nelle sue prose dal Tasso, è lì Orazio nell’Arte poetica, dal quale non poté trarre nulla per il suo lavoro, poiché un genere di poesia assai differente dall’epica.

Parecchie volte sono ricordati Ovidio, Stazio, Lucano, Silio Italico ed i lirici; ma i primi dovevano offrire al Tasso maggiore opportunità di giovarsene, poiché avevano scritto in quel genere di poesia, che egli scriveva. E quanto ad Ovidio, il Tasso dové leggerlo con attenzione e giovarsene nella Gerusalemme per la ragione detta dal Gaspary, che egli corrispondeva di più allo spirito dei tempi, in cui il Tasso visse ed esercitò la sua attività.

Altro scrittore latino, che egli stimava moltissimo, è Lucrezio, che ricorda frequentemente nelle sue prose, e che emulò non infelicemente anche in molti punti delle Sette giornate del creato».

Cfr. anche per i caratteri pre-barocchi della descrizione di Armida Alessandro Metlica, Armida davanti allo specchio. Modelli intertestuali nella Liberata: «Petrarchesche, e talvolta nel modo più lampante (“Fa nove crespe l’aura al crin disciolto”, IV 30 1), sono anche le ottave della passeggiata di Armida tra i crociati (IV 29-30) che si chiudono con la consueta alternanza tra l’avorio della pelle e il rosa delle labbra. I versi successivi, però, mostrano un’attenzione ai particolari anatomici difficilmente riscontrabile nella poesia precedente, almeno se d’ispirazione “alta”, e, per la propria arguta sensualità, annunciano già la lirica barocca».

Un giudizio abbastanza negativo sull’identificazione della poesia tassiana in senso pre-barocco viene da Ezio Raimondi, Rinascimento inquieto, Manfredi, Palermo, cap. Tra grammatica e magia: «Tra i motivi dominanti di queste pagine ((seconda sezione, critico-estetica, di B. T. SOZZI, Studi sul Tasso, Nistri-Lischi, Pisa 1954: la prima è più propriamente filologica)) c’è anche, con un rilievo che fa spicco, l’idea, in sé tutt’altro che nuova, che il Tasso sia

70 Ora, è bene sottolineare il fatto che una poetica della ‘meraviglia’ appartenne già a Ovidio: Giampiero Rosati, ad esempio, nella sua introduzione Il racconto del mondo all’edizione Rizzoli delle Metamorfosi nota:

«l’Ovidio delle Metamorfosi (…) assume un’ottica, che ovviamente presuppone condivisa dal suo pubblico, che guarda con occhio divertito e distaccato (un occhio (…) centrato sul presente e sempre consapevole di questa distanza) al succedersi delle vicende narrate come a un vasto repertorio di leggende, come all’universo fantastico della letteratura. Il mito ha infatti perso, agli occhi di Ovidio, le sue valenze profonde, i suoi significati culturali e religiosi (ancora così vivi, ad esempio, nell’Eneide virgiliana), per ridursi alla pura dimensione letteraria. I suoi dei, i suoi eroi, depongono ogni aura di sacrale solennità per apparire

come tanti personaggi dell’universo del mirum, delle leggende favolose, dal quale attingere storie da raccontare (e il tema stesso della metamorfosi si prestava ottimamente a questo scopo): un mondo di cui il poeta esalta la natura fabulosa, gli aspetti prodigiosi, tutto ciò insomma che possa diventare oggetto di racconto»94.

storicamente da avvicinare e da intendere entro quella “vasta crisi gnoseologica” da cui poi scaturisce l’irrazionalismo barocco con la sua tensione, il suo senso stupito del mistero. (…) la cultura magica, assorbita lucidamente con il suo gusto dell’esotico e dell’indefinito, nella sua alchimia di sentimenti notturni e inquieti, apre all’arte del Tasso una sfera di sottili, suggestive esperienze formali in risonanza interiore con le voci più segrete di un’umanità stupita d’angoscia (…) È legittimo (…) dare risalto al tono “prebarocco” della poesia tassiana, gettando un ponte tra il “mirabile” della Liberata e l’illusionismo disincantato del Seicento? Il Sozzi (…) pensa di sì: il barocco, egli sostiene, non è soltanto “arido gioco intellettualistico”, ma è anche “gnoseologico stupore e travagliata tensione”, qualcosa cioè che è come anticipato dall’“indefinito senso del mistero” della poesia tassiana, protesa verso il “portentoso e l’occulto” in forza della sua intima sfiducia ad appagarsi della lice che emana dal “razionale”. Una volta interpretato il magismo come una forma culminante di crisi gnoseologica, senza più distinguere (…) i suoi aspetti innovatori da quelli (…) conservatori (…) era facile arrivare a una proposta del genere (…) È un fatto palese (…) che il Barocco come irrazionale, come “immensa doglia” dell’esistenza, è una categoria mutuata dalla tesi del Calcaterra (…): una categoria per eccellenza drammatica, che tende a considerare i fenomeni storici in chiave di spiritualità agonistica (…) Per il Sozzi, (…) il mondo tassiano è prebarocco, nel senso che preannuncia l’anima “in barocco”; per il Calcaterra, invece, il tassismo non ha nulla da vedere con il marinismo, e neppure con ciò che si potrebbe definire premarinismo, perché (cito da quella “bibliografia ragionata” del Parnaso in rivolta che è “Controriforma e Barocco”) “col Marino prevale del tutto come ispirazione universale l’impressione sensoria. Laddove nella Gerusalemme Liberata Rinaldo, guardandosi nello scudo, finisce con l’aver orrore della propria abiezione e si sottrae alla maga Armida, al contrario nell’Adone, sotto tutti gli aspetti fisici e spirituali, trionfa la sirena dei sensi”. In altre parole, il Sozzi non ha semplicemente ripreso la tesi “barocca” del Calcaterra, ma l’ha esasperata nell’elemento drammatico che le era proprio, pagando così sino in fondo (…) lo scotto a una lettura critica di tipo romantico. (…) Per troppi motivi il Tasso è uno di quei poeti che favoriscono, anziché escludere, gli anacronismi (…) si giungerà per esempio a dichiarare che l’ispirazione del Tasso fu “metastorica” “per un indeterminato ma acuto senso del mistero esistenziale dell’uomo”: come se poi questa stessa nostalgia, questo arcano sognato e deluso non fossero le autentiche voci di un tempo storico, il legame segreto con la vita interiore di un’epoca, la risposta a un dialogo di uomini entro un mondo di “cose” e di “avvenimenti”».

94 Cfr. Giampiero Rosati, Introduzione a Ovidio, Metamorfosi, BUR, Milano (corsivo mio). Si legga anche il brano seguente: «il racconto ovidiano ama ricorrere con grande frequenza a un particolare procedimento, e cioè alla riproduzione della situazione narrativa, per cui uno dei personaggi della storia narrata si fa a sua volta narratore di un’altra storia di fronte a uno o più ascoltatori, a un suo proprio uditorio. Il poema ovidiano drammatizza cioè la sua stessa nascita, mette in scena il processo che gli dà origine, offrendosi ai suoi destinatari come un testo continuamente consapevole del rapporto narrativo che lo lega al pubblico. La narratività, la continua replica dell’atto del narrare, si impone quindi come tratto fondamentale del poema ovidiano, e vedremo che a essa si dovranno ricondurre alcuni tra gli elementi più significativi della forma e dei contenuti dell’opera. Lo spazio dell’universo diegetico si rivela pertanto il