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Beatrice Rima, Lo specchio e il suo enigma. Vita di un tema intorno a Tasso e Marino, Antenore, Padova 1991

Premessa: (…) Il tema dello specchio affiora in tempi diversi e luoghi lontanissimi, alle origini più remote

di ogni cultura; e prediletto da sempre, come oggetto e come immagine, dal lontano oriente al più vicino occidente, dall’Egitto faraonico alla Grecia antica, dalle società più primitive a quelle più evolute, risale su su fino a toccare l’arte, la poesia e il romanzo moderno. (…)

Parte seconda, capitolo primo, par. II La Gerusalemme Liberata. Due specchi, pp. 133 sgg.

I due specchiamenti più vistosi della Gerusalemme liberata sono presenti nel canto 16 (…). Il contenuto di quelle ottave è troppo noto per due episodi chiave: il primo di Rinaldo perduto in diletti amorosi con Armida, cui risponde il primo specchiamento: strumento è lo specchio di Armida retto da Rinaldo, che riflette la donna; il secondo di Rinaldo che abbandona Armida e segue i due guerrieri, cui rispoonde il secondo specchiamento: strumento è lo scudo di diamante dei due cavalieri cristiani, che riflette Rinaldo. Gli

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Il viaggio di Armida così potentemente orizzontale sembra indicare l’orizzontalità pagana, di cui parla Dante Della Terza in Tasso e Dante, in Forma e memoria. Saggi e ricerche sulla tradizione da Dante a Vico, Bulzoni, Roma 1979, p. 398: orizzontalità che ingenera dilatazione di spazi e confusione labirintica in opposizione alla verticalità cristiana che comporta riduzione e sintesi chiarificatrice.

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Si noti, tra l’altro, con Zatti, op. cit., pp. 88-89, che «la collocazione ambientale del castello [sul mar Morto] non appare sostanzialmente diversa da quella del palazzo magico, così come del resto le implicazioni etico-ideologiche a quella connesse: l’edificio sorge su un’“infeconda riva”, su di un’isoletta circondata dalle acque paludose dello “steril lago” […] l’immagine che predomina è ancora quella di una triplice inclusione concentrica, strutturalmente

simmetrica alla corrispondente dimora della donna situata oltre le colonne d’Ercole. Là avevamo la “deserta riva”

dell’isola, il “tondo edificio” labirintico e il giardino “quasi centro al giro”; qui abbiamo un mare chiuso, il mar Morto, l’isola dall’“infeconda riva” e il castello» (corsivo mio).

164 specchiamenti hanno due ascendenze ben distinte; l’una nella tradizione dello specchio esteriore come simbolo della vanitas, l’altra in quella dello specchio interiore della coscienza come simbolo di penitenza (…)

((anima / specchio)): Specchio di Armida = anima di Armida)): Come nota Beatrice Corrigan, l’immagine dello specchio si presta in diversi momenti del poema alla rappresentazione letteraria della rinascita spirituale di Rinaldo (…); un’eco di quest’imamgine si farà esplicita solo nella Gerusalemme conquistata, a 14, 4, dove l’anima è paragonata ad uno specchio: “L’anima è qual cristallo e puro e terso, / in cui fiammeggia il sol tremante e vago; / ma s’è di macchie tenebrose asperso / né riceve del ciel la chiara imago, / tergasi e ’l suo pensiero a Dio converso / sarà quasi divin, quasi presago. Ma quel che a l’alma peccatrice apparve / è falso inganno di mentite larve”. Nel suo Giudizio sovra la Gerusalemme il Tasso stesso, rivelando apertamente la fonte di questo passo, ne stende un breve commento: “L’anima è assomigliata allo specchio da s. Basilio, perché, siccome lo specchio puro e lucido rende l’immagine somigliante al vero, così l’anima purgata da’ peccati agevolmente suol essere illustrata dalla grazia di Dio, e antiveder le cose future” ((T. Tasso, Giudizio sovra la sua Gerusalemme da lui medesimo riformata, in Opere IV, Venezia 1735, p. 327)).

(…) ((in nota: La magia di Armida si può ricondurre all’idea allora corrente a partire da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola di una potenza umana capace di cogliere le corrispondenze occulte che uniscono la realtà elementare con quella del cielo e dominarle (…). E. Garin (Medioevo e Rinascimento, Bari 1984, pp. 141-178) ha ben definito la magia come attività trasformatrice dell’intiera realtà. ((Magia / Metamorfosi)) L’uomo che al centro del cosmo sa ascoltare le voci non intese e leggere il senso riposto dei segni del mondo è il poeta che scrive nel libro dell’universo e che si identifica nell’opera sua. Più che ogni altro essere è egli stesso microcosmo poiché ha in sé ogni motivo del reale ed è l’immagine e lo specchio del mondo che, in termini neoplatonici, è l’immagine e lo specchio di Dio. Lo specchio, strumento di divinazione per eccellenza, entra in questa logica di corrispondenze sia come simbolo del microcosmo, sia come mezzo di unione fra il reale e l’immaginario. La sua fortuna di oggetto divinatorio è forse dovuta al fatto che un’antica credenza vedeva l’anima nell’mmagine riflessa (…))).

Armida-Narciso

Dante Della Terza, Armida dalla Liberata alla Conquistata: genesi ed evoluzione del personaggio, in Torquato Tasso quattrocento anni dopo. Atti del Convegno di Rende (24/25 maggio 1996), a cura di Antonio Daniele e F. Walter Lupi, Rubbettino, … 1997

Armida, come folgorata dalla bellezza del corpo di Rinaldo, che, immerso in un procurato torpore le sta davanti si ferma a guardarlo e s’immerge nel fascino che da lui emana, “come Narciso al fonte”:

E quei ch’ivi sorgean vivi sudori accoglie lievemente in un suo velo, e con un dolce ventillar gli ardori gli va temprando de l’estivo cielo. Così (chi ’l crederia?) sopiti ardori d’occhi nascosi di stemprar quel gelo che s’indurava al cor più che diamante,

e di nemica ella divenne amante. (GL XIV 67).

((Armida guarda Rinaldo come Narciso al fonte: quindi, l’altro, per lei, è il sé)). (…)

Armuda-Narciso NEMICA>AMANTE

Dante Della Terza, Armida dalla Liberata alla Conquistata: genesi ed evoluzione del personaggio, in Torquato Tasso quattrocento anni dopo. Atti del Convegno di Rende (24/25 maggio 1996), a cura di Antonio Daniele e F. Walter Lupi, Rubbettino, … 1997

165 La trasformazione della nemica in amante è illustrata dai sentimenti di disperato, umanissimo amore che Armida esprime per Rinaldo quando questi, svegliatosi dal letargo, e aperti gli occhi ai doveri che lo attendono accanto a Goffredo per il bene ed il trionfo della causa cristiana, decide di prendere congedo da lei. (…)

Sulla fortuna figurativa delle vicende legate alle eroine tassiane (Armida, Clorinda, Erminia), cfr. Lea Ritter Santini, Poesia per immagini. Armida, Clorinda, Erminia, in Studi tassiani per il IV Centenario della Morte di Torquato Tasso, 25 aprile 1995, Associazione Studi Storici Sorrentini, Sorrento 1995, pp. 87- 94. ((su battesimo di Clorinda, Erminia tra i pastori, etc.)).

Armida e romanzo

Dante Della Terza, Armida dalla Liberata alla Conquistata: genesi ed evoluzione del personaggio, in Torquato Tasso quattrocento anni dopo. Atti del Convegno di Rende (24/25 maggio 1996), a cura di Antonio Daniele e F. Walter Lupi, Rubbettino, … 1997

(…) recuperi problematici, ristagni oppressivi, perplessità ontologiche scorteranno gl’itinerari del poema verso il loro destino finale. (…) nel caso di Armida, il Tasso è portato a (…) mettere in discussione gli agganci strutturali e i nodi narrativi che collegano la rete degli episodi. Persiste il timore, dichiarato e reso esplicito dal Tasso a più riprese, che nel procedere di Armida negli spazi del poema che le sono riservati prevalgano “tentazioni da romanzo”. (…)

Armida-Proteo

Dante Della Terza, Armida dalla Liberata alla Conquistata: genesi ed evoluzione del personaggio, in Torquato Tasso quattrocento anni dopo. Atti del Convegno di Rende (24/25 maggio 1996), a cura di Antonio Daniele e F. Walter Lupi, Rubbettino, … 1997

Esiste un divario assai forte tra quello che Armida è all’inizio della sua carriera e quello che essa diventa alla fine della sua storia, che accompagna quella di Rinaldo a conclusione del ventesimo canto. Ella si esibisce come esperta sollecitatrice dei sensi dei guerrieri intorpiditi dall’assedio quinquennale. A fine provocatorio, Armida si muove con la composta reticenza di una Sofronia, “lo sguardo in sé raccolto” o, quando occorre, mobilitando lo sguardo “cupido e vagante” della ammaliatrice senza le remore di ostentati pudori. (…)

DISSIMULAZIONE: Armida / Proteo Sergio Zatti, L’ombra del Tasso

Cap. 4 Il linguaggio della dissimulazione nella Liberata, pp. 111-145

Sul tema della dissimulazione si legga Sergio Zatti, L’ombra del Tasso, Cap. 4 Il linguaggio della dissimulazione nella Liberata, pp. 111-145: si tratta del tema, dice il critico, che maggiormente giustifica

«l’ascrizione della Liberata all’area del cosiddetto Manierismo ((cfr. F. Ulivi, Il manierismo del Tasso e altri

studi, Olschki, Firenze 1966; B. T. Sozzi, Il Tasso e il ‘Manierismo’, in Studi tassiani, XXXII, 1984, pp. 111-122; G. Scianatico, Le Tasse et le Manierisme, in Rebue de littérature comparée, IV, 1988)): a maggior ragione in quanto, della letteratura manieristica, assorbe il principio di un’istanza autoriflessiva che inscrive il referente semantico nell’atto dell’enunciazione testuale. (…) il tema della dissimulazione ovvero, il travestimento di corpi, o di sentimenti, o di intenzioni, ha così larga parte nella Liberata ((DISSIMULAZIONE come TRAVESTIMENTO, come METAMORFOSI)) perché il testo tassiano nasce esso stesso come discorso della dissimulazione: “O Musa, tu che di caduchi allori…. Così a l’egro fanciul porgiamo aspersi / di soavi licor gli orli del vaso: / succhi amari ingannato intanto ei beve, / e da l’inganno

166 suo vita riceve” (I, 2-3). L’ascendenza lucreziana di questi versi è fin troppo familiare ai teorici di poetica della stagione controriformistica, divisi fra giovamento e diletto: l’opera si propone un fine didattico che è mascherato sotto la piacevolezza della scrittura; essa dissimula un inganno che è inteso a procurare salute (ed è (…) non una semplice questione di dosate alchimie poetiche, come nell’oraziano miscere utile dulci, ma di un rapporto verticale di “sopra” e “sotto”, di “fuori” e “dentro”). La similitudine del vaso non fa che svolgere su un diverso registro semantico gli intenti già dichiarati dalle due metafore complementari dei ‘fregi’ che intessono il discorso del vero storico e religioso, e dei diletti ‘altri’ che adornano le carte del poema epico e cristiano. Ma proprio qui, in questo forzoso compromesso, si denuncia più acuta la coscienza di un “errore” testuale inevitabilmente accettato e intrapreso: tale che la Musa, abbandonando la funzione canonica di ispiratrice, deve farsi complice indulgente del poeta, il quale, della sua devianza, chiede preventivamente perdono. Dire in che consista questo “errore”, e la sua dissimulazione, richiederebbe un discorso troppo lungo (…); che inerisce appunto alla struttura di compromesso di cui il poema tutto è espressione, bilanciato com’è fra ideologia cristiana, il diretto cammino verso la liberazione di Gerusalemme ((EPOS)), e tentazioni “pagane” che lo ostacolano e lo rendono labirintico ((ROMANZO)); fra l’unitaria volontà epica, che è il proposito narrativo enunciato dal poeta, e la dispersiva varietà romanzesca, che ne rappresenta l’allettamento deviante. Che tipo di operazione sta dunque approntando Tasso sulle soglie del suo racconto? Celebra l’autoritarismo pedagogico o piuttosto se ne serve come di un comodo lasciapassare per l’irrazionale ((LASCIAPASSARE PER OVIDIO))? In un’epoca angosciata dalla dissimulazione a livello cortigiano, politico e religioso, egli si tortura nella percezione della propria poesia come legittimazione di un inganno. Se, d’altra parte, ogni fictio presuppone la verità e al contempo la dissimula, decisivo risulta il fine a cui l’inganno è piegato: la sua poesia sarà la simulazione disonesta di Armida (che “fa manto del ver alla menzogna”), o l’innocente frode di Erminia (che “nasconde sotto il manto dell’odio” l’amore per il nemico Tancredi)? Una possibile risposta potrà venire da una contestualizzazione del discorso d’autore all’interno di altre componenti del testo che convergono nel definire un’area tematica di cospicua estensione nella Liberata: alludo ai discorsi falsi e lusinghieri (come la melliflua ambasceria di Alete, c. II, o il racconto ingannatore di Armida, c. IV); ai sentimenti repressi (di Erminia nel c. III) o alle intenzioni mascherate (di Eustazio nei cc. IV e V); ai travestimenti del corpo (di Erminia, quando indossa la corazza di Clorinda prima e gli abiti da pastora poi; della stessa Clorinda la cui armatura cambiata genera il tragico equivoco di Tancredi). (…) le diverse fenomenologie della “dissimilazione” assolvono nella Liberata a rilevanti funzioni formali (a) e strutturali (b): a. la veste linguistica del tema obbedisce alla medesima dialettica di sopra/sotto, fuori/dentro che pertiene alla retorica di compromesso del poema. Infatti, nei vari travestimenti dei personaggi si materializza la metafora “testuale” che orienta il movimento concettuale della protasi, perché fregi e ornamenti, che contaminano la verità della scrittura, corrispondono al ‘manto’ e al ‘velo’ sotto cui si dissimula l’identità delle persone; b. il discorso epico che programmaticamente “dissimula”, quando non mette esplicitamente al bando, il codice romanzesco, si serve tuttavia degli elementi della moderna tradizione cavalleresca a scopi di ampliamento “meraviglioso” della fabula. Concepita nel segno dell’errore o dell’equivoco, del tradimento o della finzione, riaffiora alla superficie del testo, dilatandone la trama strutturale, quell’idea di varietà e di molteplicità che l’unità epica vorrebbe tuttavia disciplinare: è il caso, per esempio, delle istanze di “cortesia”, pretestuosamente accampate dal cristiano Eustazio, irretito da Armida, contro la superiore missione della crociata. Queste (…) tendono a inscrivere il codice cavalleresco entro il discorso della dissimulazione.