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Capacità camaleontica di Armida nella seduzione. Le capacità proteiformi di Armida (sottolineate ad

esempio da Matteo Residori in Proteo e Armida….) si evidenziano plasticamente nel campo della seduzione (IV 87 sgg): si legga ad esempio l’ottava 87: ‘Usa ogn’arte la donna, onde sia colto / ne la sua rete alcun novello amante; / né con tutti, né sempre un stesso volto / serba, ma cangia a tempo atti e sembiante. / Or tien pudica il guardo in sé raccolto, / or lo rivolge cupido e vagante: / la sferza in quegli, il freno adopra in questi, / come lor vede in amat lenti o presti’. Armida cioè compie operazioni continue e mirate di metamorfosi su di sé come Proteo per sedurre in modi differenziati i suoi spasimanti (si noti un’espressione come ‘cangia a tempo atti e sembiante’, che ovviamente è straordinariamente centrale per il nostro campo di indagine.

Si veda anche l’ottava 93 a commento della quale Tomasi scrive (p. 292): ‘Si raggiunge, grazie allo strenuo gioco dissimulatorio, per cui Armida è, in realtà, molteplice, apparenza che si disegna sulle forme del desiderio di ciascuno, una ‘vertigine conoscitiva’: ‘trasferendo la metamorfosi dell’amante alla donna, Tasso tende a oggettivare eticamente il motivo dell’incostanza amorosa, a esaltare le componenti di artificio e di attiva illusione in una fenomenologia ossimorica peraltro ben petrarchesca’ (Residori 1999, p. 116)’.

ARMIDA-PROTEO (o MENZOGNA)

Similitudini su Armida. Le lacrime di Armida sono assimilate a cristallo e perle (IV 74) e le guance a

fiori (IV 75) Similitudini presuppongono per così dire o determinano nell’immaginario del lettore anche solo per un breve istante degli slittamenti di senso o meglio delle identificazioni metamorfiche tra enti differenti sebbene connessi da talune proprietà comuni.

Effetti metamorfici di Armida-Proteo sui cristiani

Dal pianto al fuoco. Il pianto simulato di Armida fa nascere nei cristiani il fuoco d’amore: si assiste cioè

alla creazione dell’elemento ‘fuoco’ a partire dall’elemento ‘acqua’, con peculiare effetto metamorfico (IV 76): ‘Ma il chiaro umor, che di sì spese stille / le belle gote e ’l seno adorno rende, / opra effetto di foco, il qual in mille / petti celato e vi s’apprende. / O miracol d’Amor, che le faville / tragge dal pianto, e i cor ne l’acqua accende! / Sempre sovra natura egli ha possanza, / ma in virtù di costei se stesso avanza’. Come si vede, in corrispondenza della metamorfosi fuoco / acqua scatta immediatamente la considerazione da parte del narratore sulla meraviglia, sull’elemento ‘miracoloso’ secondo una tendenza che stiamo individuando come comune all’interno del poema tassiano.

Si noti poi che queste finte lacrime oltre a produrre metamorficamente fuoco, ‘spetrano’ i cuori: IV 77 1-2: ‘Questo finto dolor da molti elice / lagrime vere, e i cor più duri spetra’. In questo, Armida si conferma essere davvero l’anti-cristiana para exellence: infatti se soltanto Dio, nelle parole di Goffredo ad Alete, può ‘spetrare’ i cuori più impenetrabili, Armida che riesce con le sue arti seduttive i cuori dei campioni cristiani

155 non può che essere figura di un potere demoniaco e anti-divino che pretende di poter prendere il posto di quello, unico in definitiva, del Signore. Spetrare cuori è del resto un’ulteriore attività metamorfica che nella sua forma più autentica e definitiva può essere realizzata solo da Dio, ma che Armida, nelle sue attitudini metamorfiche, include nel suo lungo catalogo di trasformazioni da lei operate.

Armida-Proteo riesce a far innamorare di sé ERCOLE

Crociati innamorati come Achille, Ercole e Teseo. IV, 96 (ultima ottava): ‘Queste fur l’arti onde mill’alme

e mille / prender furtivamente ella poteo, / anzi pur furon l’arme onde rapille / ed a forza d’Amor serve le feo. / Qual meraviglia or fia s’il fero Achille / d’Amor fu preda, ed Ercole e Teseo, / s’ancor chi per Giesù la spada cinge / l’empio ne’ lacci suoi talora stringe?’. I crociati innamorati di Armida sono assimilati a grandi eroi del passato vittime dell’amore: Achille, Ercole e Teseo le cui vicende sono tutte narrate da Ovidio

Armida-Proteo: metodi seduttivi

ANTONIO LA PENNA, Aspetti della presenza di Ovidio nella Gerusalemme Liberata, in Aetates

Ovidianae. Lettori di Ovidio dall’Antichità al Rinascimento, Atti del convegno (Salerno e Fisciano, 25-17

gennaio 1993) a cura di Italo Gallo e Luciano Nicastri, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1995 (Pubblicazioni dell’Università degli Studi di Salerno – Sezione Atti Convegni Miscellanee, 43), pp. 293- 321.

Dare un posto e una funzione essenziale all’eros in un poema di dignità omerica senza creare stridori non era compito facile. Il compito di Apollonio Rodi era stato diverso, perché egli, pur con atteggiamento e con misura propria, condivise una tendenza di fondo dal proprio tempo, che portava ad attenuare o eliminare, fino alla parodia giocosa, la sublimità dell’epos. Ben diversa fu la sfida di VIRGILIO, che volle tornare alla dignità dell’epos, ma includendovi una tragedia d’amore; egli, anche grazie all’assimilazione della tragedia attica, vinse la difficile sfida: riuscì a fare della passione di Didone una vicenda tragica, unendo strettamente la donna travolta dall’amore con la regina e conservando alla regina tutta la sua dignità. La sfida del TASSO fu ancora più complessa: egli volle portare nel poema eroico il pathos elegiaco e petrarchesco, l’eros tenero e sognante, e in più l’eros come arte della seduzione, scintillante e ingannevole prima di diventare patetico; per rappresentare l’eros nella varietà dei supoi aspetti, nei suoi mutamenti imprevedibili e nelle sue contraddizioni inventò un personaggio nuovo, ARMIDA, molto diversa dalla DIDONE virgiliana e dalle varie Medee della poesia antica. Né DIDONE, né MEDEA erano seduttrici; invece proprio come seduttrice incomincia Armida il suo ruolo nella Gerusalemme liberata.

Nella poesia sull’arte della seduzione Ovidio, naturalmente, era un classico, ben noto al Tasso; è ovvia la domanda: la rappresentazione di Armida seduttrice deve qualche suggerimento all’Ars amatoria di OVIDIO? La risposta non è facile: non ci sono prove macroscopiche, ma qualche indizio si può segnalare. Nall’arte di ARMIDA è importante l’abilità nel discoprire solo in parte, o solo temporaneamente, le sue bellezze. L’artificio potrà apparire poco rilevante finché si tratta della chioma (G. l. IV st. 29,3s. ):

d’auro ha la chioma, ed or dal bianco la velo traluce involta, or discoperta appare.

È molto più efficace e conturbante quando si scende al petto (G. l. IV st. 31 )

Mostra il bel petto le sue nevi ignude, onde il foco d’Amor si nutre e desta. Parte appar de le mamme acerbe e crude, parte altrui ne ricopre invida vesta: invida, ma s’agli occhi il varco chiude,

156 l’amoroso pensier già non arresta,

ché non ben pago di bellezza esterna ne gli occulti secreti anco s’interna.

Il medesimo effetto torna poi in un’altra scena del poema, al cui centro è ancora ARMIDA , ma visto dalla parte dell’uomo che guarda bramoso: è la scena in cui Armida, col suo seguito di damigelle, è corteggiata dai grandi capitani dell’esercito saraceno d’Egitto; tra essi spicca, per lo sguardo cupido ALTAMORO (G. l. XIX st. 69, 3-8):

Non lascia il desir vago a freno sciolto, ma gira gli occhi cupidi con arte:

volge un guardo a la mano, uno al bel volto, talora insidia più guardata parte,

e là s’interna ove mal cauto apria fra due mamme un bel vel secreta via.

L’artificio ricorre fra quelli che Ovidio consiglia alle puellae nell’Ars amatoria (III 307 – 310): Pars umeri tamen ima sui, pars summa lacerti

nuda sit, a laeva conspicienda manu;

hoc vos praecipue, niveae, decet; hoc ubi vidi, oscula ferre umero, qua patet, usque libet.

Scoprirsi con discrezione, e il consiglio vale specialmente per le puellae che hanno la pelle nivea: in quadri analoghi, questo dettaglio sembra suggerire le ‘nevi’ del bel petto di Armida; d’altra parte l’artificio non è peregrino, e le coincidenze non sono tali da eliminare l’incertezza; tuttavia riterrei la suggestione di Ovidio almeno probabile.

Riassunto delle metamorfosi di Armida

Monica Bisi Cap. II, par. II: Circolarità del mondo magico nella Gerusalemme Liberata

La maga è dunque per eccellenza personaggio del cambiamento, della trasformazione, della metamorfosi di sé stessa, degli altri, dello spazio intorno a sé. Novella Circe, ma anche novello Proteo (V 63) che assume forme diverse a seconda delle situazioni, al campo crociato Armida seduce soprattutto per la sua capacità di comportarsi in modo diverso con tipi umani diversi ((Come suggerisce Ovidio in Ars amatoria I 755-770, il seduttore deve essere dotato di una versatilità all’altezza della varietà delle sue prede. Fra i più recenti contributi tesi a mettere in luce l’influenza dell’Ars amandi nella costruzione del personaggio di Armida, M. Residori, Armida e Proteo. Un percorso tra Gerusalemme liberata e Conquistata, in Italique, II, 1999, pp. 114-142 e M. T. Girardi, Tasso e la nuova “Gerusalemme”, cit., che riconduce il codice gestuale della maga al campo crociato “all’incontro della memoria ovidiana con spunti provenienti dal Canzoniere petrarchesco” fino a leggere in Armida una sorta di Laura rovesciata (cfr. pp. 95-99))). Fuori dal mondo magico da lei creato, dopo l’abbandono da parte di Rinaldo, la sua risorsa è ancora la metamorfosi ed essa si tramuta in guerriera (XVI 73 e poi XVII 36-56); per respingere Rinaldo dalla foresta di Saron, inoltre, la maga si trasforma non a caso in Briareo (XVIII 35-36), “il mostro ‘plurimo’ per eccellenza” ((M. Residori, Armida e Proteo, cit., p. 117)); infine, vinta dal disprezzo dell’amato, rimpiange di non avere “nova forma in cui possa” ancora mutarsi (XX 66-67) fino ad assumere quella dell’ancella evangelica (XX 136). ((Armida: guerriera / Briareo / ancella evangelica)).

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