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Rinaldo trasformato nelle mollezze di Armida (Armida cuore virile versus processo di effeminazione di Rinaldo: trasferimento complessivo, contemporaneo e conseguente delle polarità di genere). Armida (fine

XVI canto) promette di tagliarsi i capelli: altro tratto androgino.

CONVERSIONE FINALE DI ARMIDA (non presente nella Conquistata)

Lucia Olini, Dalla “Gerusalemme terrena” alla “Gerusalemme celeste”. Rinaldo e Armida vs Armida e Riccardo, in Bergomum, LXXX, 1985, n. 3-4.

((Nella Liberata Armida subisce infine una metamorfosi da maga a donna; nella Conquistata è solo e sempre maga, e muore))

((Nella Conquistata si sottolinea ancora maggiormente la dimensione ingannevole di Armida, es. nella sezione del cinto: il cfr. è tra il canto XVI della Liberata e il libro XIII della Conquistata))

Ciò che conta mettere in risalto in Armida non è solo la maga, ma la matrice chiaramente diabolica di questa magia, che risulta pertanto assolutamente senza riscatto. Anche nella Liberata il destino di Armida si compie con la morte della “maga”, ma la “maga” era allora come una seconda pelle, era la “corazza” sotto la quale si nascondeva la realtà della donna ((come Clorinda/larva!!!), che poteva venire alla luce perché, pur nella necessità di una convergenza di tutte le tensioni verso il fine unitario, nella Liberata gli spazi individuali, di libertà non predeterminata, esistevano. Ciò che pare avvenire nella Conquistata è proprio un soffocamento di questa dimensione della libertà interiore, che necessariamente fa sì che l’uomo “divenga” il suo ruolo, giunga a identificarsi completamente con la pedina che si muove nel quadro complessivo del poema; ed evidentemente questo è l’elemento coercitivo, che determina in un certo modo il “moralismo” che sorregge la Conquistata. Non si verifica, tutto questo, con mutamenti vistosi: la vicenda prima della mortificazione finale, procede in modo analogo. Ancora nella Conquistata resta sconcertata dopo l’inaspettata partenza di Riccardo, ancora nel suo cuore c’è spazio per il dolore; la situazione anche qua si evolve predisponendola a uno smascheramento: essa, in sostanza, è ancora pronta a rivelare la sua realtà di donna (…) ((ma) diversa ((è la)) soluzione.

Conversione finale di Armida

Da omicida a salvatore, nelle parole di Armida.

Rinaldo, nelle parole di Armida, subisce una metamorfosi da omicida a salvatore, sia pure sotto il segno dell’inverosimiglianza e dell’impossibile: XX 131: ‘Gran meraviglia che ’l morir distorni / e di vita cagion sia l’omicida’: è davvero incredibile (e si noti il legame metamorfosi / meraviglia), dice Armida, che tu cerchi di impedirmi la morte e ridarmi la vita, proprio tu che mi hai uccisa rifiutandomi.

Da nemico a campione di Armida; la speranza nella conversione di lei.

Interessanti le parole di Rinaldo ad Armida che precedono la sua probabile conversione finale (XX 134-135): Rinaldo afferma di non essere (più) suo ‘nemico’, ma suo ‘campione e servo’ (anche se poi sarà lei a dichiararsi ‘ancella’ di lui). Rinaldo dunque subisce una nuova metamorfosi: da nemico di Armida a suo cavaliere e servitore (si tratta di una metamorfosi che in effetti rended effettivo ciò che Rinaldo aveva già dichiarato ad Armida nell’abbandonarla, proclamandosi suo campione.

183 Importante la speranza espressa da Rinaldo in una possibile conversione di Armida al cristianesimo: XX 135 4-6: ‘…oh piacesse al Cielo / ch’a la tua mente alcun de’ raggi suoi / del paganesmo dissolvesse il velo’. Speranza che probabilmente trova una sua repentina realizzazione nell’ottava seguente. Speranza di una conversione, cioè di una metamorfosi questa volta definitiva e beatificante dopo le innumerevoli metamorfosi, di magia nera e pagana, degradanti e poste sotto un segno morale evidentemente negativo, compiute da Armida su se stessa e sugli altri (e compiute anche da quello spirito infernale che ha preso le sue fattezze e sembianze, oltre che la sua psicologia dissimulatrice e insidiante, nella selva di Saron).

Conversione finale di Armida ARMIDA COME MADONNA Ottavio Ghidini, Poesia e liturgia nella Gerusalemme Liberata

la conclusione della vicenda di Armida, la quale, di fronte a Rinaldo, esclama: «Ecco l’ancilla tua; d’essa a tuo senno / dispon […] e le fia legge il cenno» (XX, 136) la cui fonte, ben riconoscibile, trascrivo comunque per completezza: «Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum» (Lc 1, 38).Non riterrei opportuno (anche per quanto si cercherà di mettere in luce più avanti in questo saggio) stimare queste parole solo quali espressioni d’un uso vocabolarizzato del grande codice biblico: esse piuttosto dicono di una sottomissione non unicamente rivolta a Rinaldo, perché vi aggiungono la pienezza di un’adesione alla fede cristiana.167 Anche Armida pertanto ha compiuto – se così si può dire, per il finale sospeso della vicenda – la sua conversione, ponendosi alla sequela della Vergine. Forse un filo lega dunque due tra le donne maggiormente presenti nel poema (…): analogie di immagini con la Donna della tradizione cristiana, dalla quale topoi numerosi e altrettanti investimenti figurali nascono e si sviluppano.

Armida eroina ovidiana (nella scena della conversione finale)

Alessandro BARCHIESI, Introduzione a Ovidio, Metamorfosi, vol. I (libri I-II), Valla / Mondadori 2005.

((TEATRO)) Se si decide di leggere il testo nell’ambito della cultura romana, le analogie che più

colpiscono sono quelle con la civiltà dello spettacolo pubblico che peravde la Roma di Augusto. (…) Quasi nessun critico negherebbe che il gusto per la visualità e lo spettacolo che pervade il poema, e che è presupposto e coltivato nei suoi lettori, ha a che fare con lo sviluppo urbano delle arti visive nelle generazioni tra Catullo e Ovidio a Roma. Altrettanto intuitivo è leggere il poema alla ricerca di equivalenti verbali dello spettacolo, nelle sue forme collettive. Le grandi cacce di animali nell’arena ci rimanadano alle belve zodiacali incontrate da Fetonte, alla lotta di Perseo col mostro marino, all’eroismo teatrale della battuta al cinghiale di Meleagro, alla confusione tra uomo e animale nell’orrenda centauromachia. La passione della corsa dei carri nel Circo trova un estremo e cosmico auriga nello stesso Fetonte. Ancora più efficace è forse l’analogia che si può intravedere se si confronta la più nuova tra le forme di spettacolo della Roma augustea, il pantomimo. Nel pantomimo, sceneggiature mitologiche già note, e spesso familiari attraverso il teatro “parlato”, venivano rese in quadri mitologici dove la coreografia e l’espressione corporea, insieme alla musica, sostituivano la comunicazione poetica. La discussione più articolata (…) di questo genere teatrlae, il trattaato Sulla danza di Luciano, permette di intravedere non poche analogie con la poetica di Ovidio. La metamorfosi è grande protagonista tra i temi mitologici indicati da Luciano, e comunque una gran parte dei personaggi ricorrono anche in Ovidio. Il bisogno di espressività coreografica sembra importante per il tipo particolare di fisicità dinamica, emozionale, propria del racconto ovidiano. (…)

Armida-Circe

167 Secondo quanto auspicava precedentemente il suo bel cavaliere: «Oh piacesse al Cielo / ch’a la tua mente alcun de’

raggi suoi / del paganesmo dissolvesse il velo» (XX, 135); cfr. CLAUDIO SCARPATI, Tasso, i classici e i moderni, Padova, Antenore, 1995, p. 71.

184

Silvia Volterrani, Tasso e il canto delle sirene, in Studi tassiani, XLV, 1997, 45

(…) ((È Armida)) a indurre i soldati cristiani agli “errori” tipicamente romanzeschi della devianza (errore che si esplica nello spazio come digressione, allontanamento dalla scena epica) e del differimento (come momento di pausa, incertezza imposto al racconto epico) ((Sergio Zatti, IL “Furioso” tra epos e romanzo, M. Pacini Fazzi 1990, pp. 20-28)). Armida, poiché donna, per il cristianesimo da sempre instrumentum diaboli, si inserisce in una particolare tradizione che ha la sua origine, come suggerisce Patricia Parker ((Literary for Ladies, Methuen, London and New York 1987, pp. 8-26)), nella donna biblica chiamata Raab, prostituta di Gerico, la cui conversione coincide con la caduta e la conquista della città da parte del popolo eletto (Giosuè 1-7; evidente è il rapporto allusivo con Armida e Gerusalemme ) ((Il cedere alla causa ebraica di Raab (come le mura della città), e l’“abbracciare” la vera fede, diventano nella tradizione esegetica simbolo dell’espandersi della parola e della chiesa (richiamando la metafora paolina della chiesa come corpo) e dell’attesa della seconda salvezza che si compirà con l’avvento di Cristo)). Questa particolare figura di Raab, il cui nome viene trdaotto dalla Patristica con il sostantivo dilatio, diventa metafora della dilatazione sia spaziale che temporale del linguaggio, del discorso; associata alla dilatazione della narrativa romanzesca, secondo la Parker, essa trova nella tradizione letteraria il suo corrispondente in particolari figure femminili, maghe, incantatrici, quali le omeriche Circe e Calypso o le virgiliane Aletto e Giunone, che costituiscono i sottotesti per tutte le incantatrici della successiva tradizione. Il loro ruolo è appunto quello di una dilatio, definita dalla Parker come la condizione di immobilità causata all’azione, interrotta di solito in un luogo connotato al femminile (l’isola, il locus amoenus ecc.) e che si distingue per l’attenzione rivolta alla corporeità. (…) Armida è stata scelta, poiché, come donna, sostiene lo zio Idraote, ella conosce “gli accorgimenti e le più occulte frodi / ch’usi o femina o maga” (ott. 23) (…) i suoi incantamenti saranno il pianto e i melati preghi, le parole interrorre dai sospiri, i dolci sguardi e le parole adorne. Una seduzione quindi affidata sia alla bellezza femminile che alla parola (la Peithò del discorso retorico) capace di incantare. (…)