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1.5 La Consolatio nella letteratura medievale prima di Dante

1.5.2.5 Arrigo da Settimello

Larghissima fortuna ebbe sin dalla sua prima circolazione il poema del fiorentino Arrigo da Settimello (vissuto nella seconda metà del XII secolo), al quale la tradizione erudita ha assegnato il titolo di Elegia de diversitate fortunae et philosophiae

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GUALTIERO DI CHÂTILLON, Moralisch-satirische Gedichte Walter von Châtillon aus deutschen,

englischen, franzosischen und italienischen Handschriften, ed. K. STRECKER, Heidelberg, C. Winter, 1929, 3.

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«Dalla Consolatio boeziana attinge parecchie sentenze sul chiudersi del secolo XII Gautier de Lille pel suo Liber qui dicitur moralium dogma philosophorum» (MURARI, Dante e Boezio cit., p. 188)

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DRONKE, Il secolo XII cit., p. 281.

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consolatione (ca. 1192)249. L‟opera, tramandata da un cospicuo numero di codici in

prevalenza fiorentini (databili, a riprova di una popolarità duratura, tra il XIII ed il XV secolo), si compone di quattro libri di distici elegiaci in cui, con cadenze apertamente autobiografiche, l‟autore espone la miseria della propria condizione attuale dopo le sfortunate vicissitudini che ne hanno rovesciato la prosperità del recente passato250. Lo svolgimento della materia elegiaca è scandito dalla organizzazione strutturale del poema: nel primo libro ha luogo la prolungata querimonia del protagonista all‟indirizzo dei capovolgimenti della Fortuna che lo hanno esposto alla pubblica vergogna; nel secondo la stessa Fortuna appare al poeta rimproverandogli il duro attacco appena scagliatole ed alimentando così un contrasto che assume i contorni drammatici dell‟altercatio e si conclude con reciproche accuse e promesse di ostilità; con premesse di segno opposto si apre il terzo libro dominato dalla epifania di un‟altra donna simbolica, Fronesi che, accompagnata dalle sette arti liberali, dapprima rivolge ad Arrigo parole di rimprovero per la sua condotta viziosa, poi sostiene il malcapitato protagonista con il conforto degli argomenti razionali che, dimostrando la caducità dei beni mondani e la mancanza di discrezione delle ricchezze elargite da Fortuna, convincono il poeta ad intraprendere una nuova via di conoscenza; nel quarto libro infatti Fronesi somministra ad Arrigo la „medicina‟ dei propri insegnamenti, guidandolo, attraverso la rassegna dei sette vizi capitali e di alcuni exempla di rettitudine morale tratti dalla storia antica, alla conquista della virtù. Da queste poche notizie intorno alla trama del poema emerge, come non era sfuggito a Murari, che il debito più ingente contratto da Arrigo nei confronti del modello boeziano riguarda gli ultimi due libri della Elegia, dominati dalla allegoria femminile di Fronesi e dal contenuto morale dei suoi insegnamenti, che rinviano in modo palese al celebre precedente tardoantico251. La vicinanza a quest‟ultimo appare chiara sin dall‟incipit del libro III della Elegia (vv. 1-6) in cui, analogamente a quanto Boezio riferisce nella

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ENRICO DA SETTIMELLO, Elegia, a cura di G.CREMASCHI, Istituto Italiano Edizioni Atlas, Bergamo, 1949.

250

Da poco è stata ribadita la rilevanza che il profilo biografico di Arrigo, condensato nel resoconto delle sue disgrazie, assume per la codificazione stilistica del poema, nel quale la miseria reale del protagonista non rappresenta un mero espediente narrativo ma è il movente biografico delle scelte formali adottate: «Il terreno biografico è sempre stato e sempre sarà insidioso e la prospettiva biografica azzarda la riduzione del testo poetico. Eppure le relazioni tra gli eventi e le forme esistono e l‟esperienza del dolore e della morte interferisce soprattutto nei diversi stadi della scrittura consolatoria, per rapporti diagnostici e terapeutici con il reale, a cui essa è obbligata. In definitiva il rapporto della Elegia con la sventura del suo autore è l‟unico dato che interessa, in quanto coglie la sorgente eventica dell‟opera e non ne sacrifica le possibilità emblematiche ed universali» (G.CHIECCHI, La parola del dolore. Primi studi sulla letteratura

consolatoria tra Medioevo e Umanesimo, Padova, Antenore, 2005, pp. 53-54).

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«Gli altri due libri (III-IV) che meglio si avvicinano alla Consolatio si aprono con l‟apparizione della Filosofia ricalcata sull‟ormai noto modello» (MURARI, Dante e Boezio cit., p. 190).

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sequenza che è diluita lungo tutto il primo carme e buona parte della prima prosa della

Consolatio, una «mulier» sapiente già nell‟aspetto appare al poeta ancora intento a

comporre in versi i propri lamenti:

Cum mea lamentans eleica facta referrem, et cum Fortune verba inimica darem,

ecce nitens proba, que salomonior est Salomone, ante meum mulier lumen amena stetit,

quam facies helenat, variat quam forma vicissim: nunc celum, nunc plus, nunc capit illa solum252.

Che la Fronesi consolatrice di Arrigo sia la medesima donna simbolica già venuta in soccorso di Boezio ovvero che a quella visione allegorica l‟autore della Elegia si sia ispirato in un palese esercizio di emulazione poetica del modello tardoantico viene ribadito poco dopo (vv. 49-50), quando l‟autore della Consolatio (insieme a Seneca e ad Ovidio, che la critica considera a ragione la seconda fonte classica principale di Arrigo) viene ricordato con accenti di familiarità (è l‟unico dei tre auctores il cui nome pronunciato da Fronesi sia preceduto dall‟aggettivo possessivo «meus») per le ferite che la stessa «mulier» gli guarì:

Nonne meus Severinus inani iure peremptus carcere Papie non patienda tulit253?

Ulteriori e numerosi sono gli indizi testuali che autorizzano a giudicare la Consolatio come il precedente letterario più prossimo alla Elegia: l‟umiliazione del ludibrio popolare cui è esposto il poeta caduto in disgrazia (El. I, 5-10; Cons. I pr. 4 §§43-46); il rimprovero di Fronesi, che ricorda all‟antico allievo gli ammaestramenti somministratigli in età giovanile ed ora da lui colpevolmente trascurati (El. III, 73-74;

Cons. I pr. 2); l‟identificazione simbolica dei rimedi filosofici destinati al protagonista

con i medicamenti riservati all‟ammalato (El. III, 3; Cons. I pr. 3); i capovolgimenti delle sorti umane generati dalle oscillazioni della ruota della Fortuna (El. IV, 23; Cons. II pr. 2). Sono questi solo alcuni dei casi, forse i più evidenti, eleggibili a testimonianza della sistematica selezione di temi e concetti della Consolatio operata dall‟autore della

Elegia, che al modello boeziano attinse «a piene mani», con una frequenza certamente

maggiore rispetto a quanto autorizzano a ritenere i rilevamenti testuali effettuati nelle due maggiori edizioni del poema254, come ha osservato Chiecchi aggiornando la serie delle più probabili riprese dal modello tardoantico ravvisabili nel testo di Arrigo da

252

ENRICO DA SETTIMELLO, Elegia cit., p. 62.

253

Ivi, p. 64.

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Oltre all‟edizione di Cremaschi, già quella curata da A.MARIGO (HENRICIS SEPTIMELLENSIS, Elegia.

Sive De Miseria, Padova, A. Draghi, 1926) aveva individuato solo sporadiche occorrenze boeziane

nell‟opera di Arrigo, rivelando i limiti eccessivi di un approccio ancora immaturo all‟intertestualità tra la

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appena cinque (retaggio troppo esiguo della esegesi tradizionale) ad «oltre venti proposte di collegamento tra le due opere»255. D‟altra parte il dibattito critico intorno al rapporto tra la Elegia e la Consolatio è stato contraddistinto da interpretazioni di segno diverso che, pur non negando l‟incidenza del modello boeziano sulla poesia di Arrigo, hanno dato rilievo all‟originalità di quest‟ultima accentuandone i livelli di discontinuità, sia tematica sia formale, rispetto all‟antecedente: tra le posizioni più nette in questo senso vanno almeno ricordate quella espressa da Spagnolo, che intendeva „sfatare‟ l‟opinione comune circa la presunta fedeltà dell‟Elegia alla Consolatio256

, e quella pubblicata negli stessi anni da Torraca, e significativamente riportata da Galdi, che rifiutava la sbrigativa classificazione della prima come imitazione della seconda257. In effetti le divergenze tra le due opere non mancano: esse concernono, come ha recentemente ribadito Chiecchi, sia «aspetti strutturali e macroscopici di immediata evidenza» (basti ricordare che la Elegia non mutua dal modello la caratteristica forma prosimetrica né, limitatamente alle parti liriche, ne riproduce la varietà metrica) sia differenze più „minute‟, relative comunque a scelte sostanziali dell‟autore in ambito stilistico – formale e nella selezione dei contenuti allegorici. Si rileva innanzitutto il diverso peso strutturale che assume nelle due opere l‟elemento elegiaco, nella

Consolatio limitato al carme iniziale (in cui solo i primi undici distici riproducono la lamentatio del protagonista) mentre nell‟opera di Arrigo, interamente concepita in

distici elegiaci258, le lagnanze del poeta si sviluppano per tutto il primo libro e parte del secondo. Rilevanti al cospetto del precedente boeziano appaiono anche le novità inerenti alla rappresentazione delle due interlocutrici allegoriche del protagonista: in confronto alla Filosofia del prosimetro (che nel momento della sua apparizione, nell‟incipit dell‟opera, preannuncia „medicamenti‟ che saranno gradualmente sempre più efficaci trasformandosi da „blandi lenimenti‟ – Cons. II pr. 3, §3 – in una vera e propria „terapia d‟urto‟ – Cons. III pr. 1 §§2-3), nella Elegia Fronesi oltre ad apparire più tardivamente

255

CHIECCHI, La parola del dolore cit., p. 58.

256

«[Dall‟opera di Boezio Enrico] tolse molto meno di quanto generalmente si crede» (G.SPAGNOLO, La

cultura letteraria di Arrigo da Settimello, in «Giornale storico della letteratura italiana», XCIII [1929],

pp. 1-68: 39).

257

«Comunque a me pare che su questo punto si sia espresso con la consueta sua penetrazione di acume il Torraca quando scrive: “Non è esatto che essa [=l‟Elegia] sia pura e semplice imitazione del De

consolatione”» (M.GALDI, Note all‟„Elegia‟ di Arrigo da Settimello, in «Giornale storico della letteratura italiana», XCVI [1930], pp. 39-64); la citazione riportata da Galdi era tratta da un importante contributo sulla Elegia: F.TORRACA, La Elegia di Arrigo da Settimello, in «Atti della Regia Accademia di Archeol. lett. e belle Arti di Napoli», n. s., X, (1928), pp. 255 ss.

258

Come è stato evidenziato, la „monotonia‟ metrica della Elegia è uno degli aspetti più rilevanti della discontinuità strutturale rispetto alla Consolatio in cui il distico elegiaco è impiegato, oltre che nel carme 1 del libro I, in una sola altra occasione, pure altrettanto „strategica‟, nel carme 1 del libro V.

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(solo all‟altezza del libro III), all‟inizio del libro IV (vv. 1-4) 259

dispensa al proprio allievo rimedi gnoseologici assai più lievi, mirati a procurare una conforto più superficiale sul piano filosofico che si riduce ad una precettistica in linea con le convenzioni del canone consolatorio260; forse maggiore è la distanza dal modello limitatamente alla caratterizzazione della Fortuna, rappresentata nella Consolatio come una mediatrice „provvidenziale‟ sottoposta alle leggi razionali che regolano il cosmo e dispensatrice legittima degli onori come delle miserie (Cons. II pr. 2) ed invece, con accenti molto più aspri, eletta da Arrigo a principale bersaglio polemico della propria invettiva, appellata più volte «Ramnusia» (El. III 3; 133; 195), ma anche «dira noverca» (El. III 3) e «meretrix» (El. III 133), allo scopo di significarne la furia vendicativa verso quegli stessi uomini che aveva un tempo favoriti261. Sia i raffronti strettamente testuali sia la considerazione delle caratteristiche stilistiche e delle cornici strutturali delle due opere lasciano dunque emergere il quadro di una emulazione eterogenea, nella quale confluiscono sì i clamorosi rifacimenti al modello boeziano ma anche le significative ed inevitabili prese di distanza da un paradigma allegorico-filosofico, quello contemplato dal „progetto‟ gnoseologico della Consolatio, avvertito da Arrigo come troppo distante dalle contingenti ambizioni letterarie della Elegia: resta condivisibile in questa prospettiva l‟appello di Chiecchi per una temperanza del giudizio maggiore a quella finora dimostrata dalla critica, talvolta frettolosamente intenta a rivendicare la grandezza del modello boeziano in opposizione all‟opera di Arrigo, come se la stima di un testo in relazione ai suoi possibili precursori debba necessariamente approdare alla classificazione delle opere prese in esame secondo il loro valore assoluto entro griglie artificiali, che ne designano il grado di compiutezza indipendentemente dalla considerazione delle intrinseche qualità culturali di cui ciascun testo letterario, con

259

«Hactenus unde dolor et que fomenta doloris / vidimus, inventa perfiditate mali: / nunc opus est, morbum levis ut medicina refrenet / atque hostem faciat hostis abesse suum» (ENRICO DA SETTIMELLO,

Elegia cit., p. 78).

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«Per opinione concorde, la divergenza tra l‟Elegia e il modello boeziano ha un suo nocciolo, che consiste in un‟azione selettiva, di scarto, delle parti gnoseologiche e teologiche del De consolatione, di quei concetti (come il bene e il male, la provvidenza e il libero arbitrio) conquistati da Boezio in virtù di procedimenti logici, emotivi e strutturali ascendenti» (CHIECCHI, La parola del dolore cit., p. 59).

261

Il tratto „furioso‟ conferito alla Fortuna nella Elegia emerge, ad esempio, all‟inizio del libro II (vv. 23- 29), in cui Arrigo, rivolgendosi a Dio con la supplica di essere accolto nel regno celeste per veder porre fine alle proprie sofferenze, lamenta le vessazioni subite dalla Fortuna unitamente ai tormenti provocatigli dalle Erinni, che si configurano pertanto come una allegorizzazione mitologica della violenza con la quale i rovesciamenti di sorte, come le tre dee vendicatrici, si abbattono sull‟uomo: «Alme parens, animam, quam pene turba flagellat, / suscipe quam stigiis tritat Erinis aquis / quam ferit Alecto, quam Thesiphoneque fatigat, / cui Fortuna nocet quave Megera furit. / Ergo pium pietas te reddat, ut impia cesset / Alecto, miserum que lacerare sitit» (ivi, p. 46).

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modalità più o meno originali rispetto alle tradizioni, è portatore262. Solo di recente inoltre sono state chiamate in causa con opportuna insistenza le fonti contemporanee della Elegia, tra le quali spiccano in particolare le opere di ispirazione boeziana di Ildeberto di Lavardin e, soprattutto, di Alano di Lilla: del primo vengono ricordati sia un componimento in distici elegiaci , De exilio suo, che consiste in una lamentatio intorno alla fugacità dei beni concessi dalla fortuna sia il più influente prosimetro De

querimonia et conflictu carnis et animae già ricordato per i molti punti di contatto, non

solo strutturali, con la Consolatio; alle opere del secondo invece l‟Elegia sembra rifarsi con la sistematica deferenza che si deve ad un modello autorevole, in particolare traendo spunti sostanziali dalla poesia allegorica dell‟Anticlaudianus (oltre che per la caratterizzazione del personaggio di Fronesi, in numerosi altri luoghi scrupolosamente segnalati nell‟edizione di Cremaschi), dai distici elegiaci del Liber parabolarum e, principalmente, dal prosimetro „boeziano‟ De planctu Naturae, del quale Arrigo ripropone ad esempio le conclusioni catastrofiche circa le sorti del cosmo e dell‟umanità (El. III 233-234). Il rapporto tra la Elegia ed opere come il De querimonia o il De

planctu, che già nel concetto dei contemporanei dovevano apparire facilmente

riconducibili alla Consolatio come comune testo precursore, è funzionale ad illustrare le modalità di una possibile trasmissione indiretta dei temi boeziani, attualizzati appunto dal filtro culturale di modelli intermedi che, come ha sottilmente osservato Chiecchi, possono essere responsabili anche delle divergenze sostanziali che separano in alcuni casi il modello „archetipico‟ dal suo epigono più tardo263. Come anticipato, l‟opera di

Arrigo riscosse già presso i contemporanei un successo notevole (evidente dalla mole della tradizione manoscritta) che si spiega innanzitutto con la notizia, attestata quasi due secoli più tardi dal De originibus civitatis Florentiae et de eiusdem famosis civibus dell‟umanista Fiippo Villani, di un suo sistematico impiego scolastico come manuale

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«Perciò l‟Elegia non è una Consolatio philosophiae ridotta e semplificata; piuttosto essa è il modo originale con cui Enrico vedeva per sé, ossia per la sua opera, l‟opera di Boezio e le opere che, nel corso di molti secoli, sono affluite nella scrittura del conforto» (CHIECCHI, La parola del dolore cit., p. 63).

263

L‟osservazione dello studioso, a dire il vero riferita al solo prosimetro di Ildeberto, è comunque valida in una prospettiva più generale e, ove siano ravvisabili indizi intertestuali di una certa consistenza, può essere applicata con coerenza metodologica anche ad epigoni più tardi (si pensi, tra gli altri, a Jean de Meun, Brunetto Latini e Dante) per i quali la stessa Elegia di Arrigo, al pari dei precedenti imitatori della

Consolatio, avrà svolto la medesima funzione mediatrice con il principale modello boeziano: «Il De querimonia di Ildeberto ci permette di toccare un ulteriore punto essenziale che riguarda le fonti

tardomedievali e quasi coeve dell‟Elegia. Il testo dell‟arcivescovo di Tours, in quanto esemplato sul modello del De consolatione Philosophiae, potrebbe costituire almeno in parte il filtro che separa e insieme congiunge Enrico a Boezio» (ivi, p. 85).

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particolarmente adatto all‟apprendimento della grammatica264. La pur cospicua tradizione del testo latino della Elegia è inoltre corroborata dai volgarizzamenti che ne furono tratti, sopravvissuti in almeno due versioni: la più antica è tramandata da sette codici fiorentini databili tra il XIV ed il XV secolo; la seconda, più tarda, è testimoniata dal solo ms. Riccardiano 1338 e rivela oltre ad una maggiore perizia tecnica del traduttore, una più stretta aderenza testuale all‟originale latino che le sono valsi sia il favore degli scrittori contemporanei265 sia la considerazione degli studiosi266. La popolarità immediata e duratura dell‟opera di Arrigo è dunque una acquisizione ben documentata da testimonianze sia dirette sia indirette che, come la critica ha evidenziato a più riprese, denotano anche l‟influenza esercitata dalla Elegia sulla letteratura successiva come testo canonico di un genere che vantava nella Consolatio il suo rinomato archetipo, ma di certo non l‟unico esemplare di scrittura elegiaca né il più recente tra i modelli a disposizione degli scrittori tardomedievali. Senza esagerarne la suggestione può servire da esempio per un approccio esegetico alla Elegia come testo „intermedio‟ l‟osservazione di Malato che, a proposito della indiscutibile relazione tra l‟allegoria dantesca della donna pietosa del Convivio e la personificazione della Filosofia della Consolatio, ammette che questa idea boeziana di Donna Filosofia era stata già «riproposta in modo anche più calzante in altri testi, per es. la Elegia sive de

miseria di Arrigo da Settimello»267: pur partendo dalla convinzione che la cultura letteraria di Dante sebbene eterogenea offrisse all‟autore della Vita nova modelli più „alti‟ ed autorevoli di poesia elegiaca (le parti liriche della Consolatio di Boezio appunto), sulla cui grandezza il poeta ambiva preferibilmente a misurare le possibilità espressive della propria arte, e ricordando le differenze sostanziali emerse dal raffronto tra la Filosofia boeziana e la Fronesi della Elegia (modellata sul precedente dell‟Anticludianus di Alano), che ridimensionano la tradizionale percezione dell‟imitazione boeziana da parte di Arrigo, va d‟altra parte riconosciuta la novità che questi introdusse con la Elegia nel canone letterario contemporaneo ratificando le caratteristiche formali e contenutistiche di un genere che la letteratura mediolatina

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«Hic libellus, cui titulus Henriguettus est, primam discentibus artem aptissimus per scolas Ytalie ‹continuo› frequentatur» (FILIPPO VILLANI, De originibus civitatis Florentiae et de eiusdem famosis

civibus, aed. G.TANTURLI, Padova, Antenore, 1997).

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«È molto probabile che essa abbia influenzato lo sviluppo del genere boeziano nel Secretum di Petrarca» (G.PORTA, Volgarizzamenti dal latino, in Storia della Letteratura Italiana, dir. E.MALATO, vol. II. Il Trecento, Roma, Salerno, 1995, pp. 581-600: 592).

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Nell‟edizione di Cremaschi il volgarizzamento anonimo trecentesco è pubblicato a fronte del testo latino secondo la versione già edita da E.BONAVENTURA, Arrigo da Settimello e l‟„Elegia de diversitate

fortunae et philosophiae consolatione‟, in «Studi medievali», IV (1912-1913), pp. 110-192: Lo libro d‟Arrighetto fiorentino disposto di gramatica in volgare si legge alle pp. 178-192.

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diversamente da quella tardoantica non aveva ancora pienamente codificato e, come testimonia la popolarità delle traduzioni trecentesche (tutte, significativamente, fiorentine), influenzando per le medesime ragioni anche la successiva produzione elegiaca in volgare268.

1.5.3 Il secolo XIII

I critici hanno spesso sottolineato a ragione la discontinuità della „fortuna‟ della

Consolatio nel passaggio dal XII al XIII secolo, dal culmine cioè del neoplatonismo

professato dalla Scuola di Chartres, che aveva eletto il prosimetro tardoantico (segnatamente il carme 9 del libro III) a manifesto poetico-allegorico delle dottrine del

Timeo, al sopravvento culturale della scolastica aristotelica che, pur non revocando in

discussione l‟auctoritas morale di Boezio, ne ridimensionò l‟influenza propriamente dottrinale nell‟ambito della propria speculazione. Questo giudizio si è imposto alla critica soprattutto alla luce del netto discrimine cronologico che caratterizza la tradizione dei commenti antichi alla Consolatio, arricchita da numerose elaborazioni originali durante il XII secolo e sensibilmente più scarna per il secolo successivo, nel corso del quale l‟attività dei chiosatori si ridusse ad un semplice esercizio di riproduzione dei materiali esegetici ereditati dalle epoche precedenti, a testimonianza che l‟interesse per il prosimetro non si era certo esaurito ma era stato condizionato dai mutamenti delle istanze filosofiche dominanti per tutto il Duecento. A riprova della longevità culturale dell‟auctoritas boeziana va detto che la fortuna della Consolatio come modello letterario non conobbe sostanziali interruzioni neppure nel XIII secolo,

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«Pur abbisognando ben altri studi per valutare Enrico in quanto precursore, possiamo almeno indicare qualche concordanza e affermare che nessuno dei grandi del Trecento è stato esente dalla sua influenza»