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I volgarizzamenti di area italiana

Accanto alla ricchissima produzione francese tra le più importanti tradizioni volgari della Consolatio si deve annoverare quella italiana, sulla quale a partire dal primo Trecento interviene soprattutto l‟influenza del commento di Trevet, largamente predominante rispetto alla tradizione esegetica anteriore anche in ragione del lungo

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La prima ad opera del frate Pietro Pland, la seconda per mano del frate Antoni Ginebreda: TRONCARELLI, Boezio cit., p. 326. In generale sulla ricezione della Consolatio in Spagna: D. BRIESEMEISTER, The „Consolation of Philosophy‟ of Boethius in Medieval Spain, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institute», LIII (1990), pp. 61-70; R.G. KEIGHTLEY, Boethius in Spain: a

Classified Checklist of Early Translations, in MINNIS,The Medieval Boethius cit., pp. 169-187; F.ZIINO,

Una traduzione latina del Boezio catalano, in «Romania», CXIX, (2001), pp. 464-482.

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TRONCARELLI, Boezio cit., p. 327 per una bibliografia più ampia. Qui basti ricordare M. PEREZ

ROSADO, La version castellana medieval de los „Commentarios‟ a boecio de Nicolàs Trevet, Tesis Doctoral, Madrid, Universidad Complutense, 1992; F. ZIINO, Una traduzione casigliana del „De

consolatione philosophiae‟ di Boezio (ms Madrid, Biblioteca Nacional, 10193), in «Romanica Vulgaria

Quaderni», 15, 2003, pp. 257-273.

175

The Works of Geoffrey Chaucer, a cura di F.N.ROBINSON, Boston, Houghton Mifflin, 1957.

176

MINNIS, Chaucer‟s «Boece» cit.

177

A.J.MINNIS, Chaucer‟s Commentator: Nicola Trevet and the „Boece‟, ivi, pp. 83-166.

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soggiorno fiorentino del frate domenicano proprio negli anni in cui attendeva alla stesura delle chiose boeziane e della conseguente privilegiata circolazione locale che queste poterono vantare sin dai loro esordi (ca. 1300)179.

Proprio in ambito fiorentino vede la luce entro il primo trentennio del XIV secolo il volgarizzamento di Alberto della Piagentina che, come testimonia la qualità della tradizione manoscritta, ebbe da subito una larghissima diffusione180: l‟opera, conosciuta come Il Boezio, venne certamente allestita intorno al 1322 a Venezia, dove l‟autore rimase prigioniero fino a morirvi nel 1332181. Il lungo soggiorno nella città lagunare avrebbe consentito ad Alberto di rifarsi ad una redazione veneta della Consolatio risalente al XIII secolo182, ma non c‟è dubbio che la scelta di tradurre Boezio maturi nell‟autore fiorentino alla luce dello straordinario favore, di cui il prosimetro aveva goduto nel capoluogo toscano già alla fine del Duecento, collocandosi quindi nel solco della „fortuna‟ che negli ultimi decenni aveva contraddistinto la ricezione della

Consolatio in area centrosettentrionale. Questo legame culturale con le più profonde

origini italiane del mito boeziano è ravvisabile sin dalla scelta formale della terzina, adottata da Alberto per la traduzione delle parti metriche (il volgarizzamento infatti mantiene intatto l‟impianto del prosimetro) come nella scelta simbolica di citare nel prologo versi del Paradiso e richiamare costantemente brani del Convivio, opera avvertita come il più esplicito tributo dantesco a Boezio. Il panorama delle traduzioni toscane trecentesche è completato da un volgarizzamento anonimo in prosa, sia del testo boeziano sia di svariate glosse latine riconducibili ad ambiente domenicano, dipendente dal commento di Trevet e riportato da quattro codici (Città del Vaticano, BAV, Vat. Reg. 1971, XIV-XV sec.; Firenze, Bibl. Ricc. 1609, fine XIII - inizio XIV sec.; Berlino,

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Come è stato giustamente osservato (BLACK-POMARO, „La Consolazione della filosofia‟ cit., p. 86), la bibliografia relativa ai volgarizzamenti italiani di Boezio è rimasta a lungo ferma alla pionieristica edizione di Alberto della Piagentina (C.MILANESI, Il Boezio e l‟Arrighetto. Volgarizzamenti del buon

secolo riveduti sui codici fiorentini, Firenze, Barbèra, 1864) per essere aggiornata oltre un secolo più tardi

dai contributi di due studiosi tedeschi: O.LÖHMANN, Boethius und sein Kommentator Nicolaus Trevet in

der italienischen Literatur des 14. Jahrhunderts, in P. SCHWEIGLER, Bibliothekswelt und

Kulturgeschichte. Eine internationale Festgabe für Joachim Wider zum 65. Geburtstag dargebracht von seinen Freunden, München, Verlag Dokumentation, 1977, pp. 28-48; T. RICKLIN, «…Quello non

conosciuto da molti libro di Boezio». Hinweise zur „Consolatio Philosophiae‟ in Norditalien, in HOENEN

and NAUTA,Boethius in the Middle Age cit., pp. 267-285; lo studio dei volgarizzamenti italiani della Consolatio si avvale inoltre del recente S. ALBESANO, «Consolatio philosophiae» volgare:

volgarizzamenti e tradizioni discorsive del Trecento italiano, Heidelberg, Universitatsverlag Winter,

2006.

180

Oltre alla già ricordata edizione di Milanesi si veda: Severino Boezio. „Della filosofica Consolazione‟

nel volgarizzamento di Alberto Fiorentino, a cura di E.FALQUI, Roma, Colombo, 1947; Il Boezio e

l‟Arrighetto nelle versioni del Trecento, a cura di S.BATTAGLIA, Torino, UTET, 1929.

181

C.SEGRE, Volgarizzamenti del Due e Trecento, Torino, Einaudi, 1953, p. 286.

182

G.BERTONI, Alberto della Piagentina, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Società Grafica Romana, 1960, vol. I, pp. 747-748.

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Staatsbibl., ital. Fol. 174, perduto, prima metà XIV sec.; Roma, Bibl. Acc. Naz. dei Lincei, Cors. 44 D 18, pisano, del 1393). Di ambiente settentrionale sono altri due volgarizzamenti del XIV secolo: una versione veneta in prosa (Verona, Bibl. Com. 212, fine XIV sec.; Perugia, Bibl. Com. Augusta, Fondo Vecchio L 66 1-7, veneziano, XIV sec.; Firenze, Bibl. Naz., Magl. II III 131, frammento, XIV sec.) ed una versione genovese, che si rifà alla tradizione vernacolare d‟oltralpe ed in particolare a Jean de Meung (Genova, Bibl. delle Missioni Urbane, n. 46, XV sec.). Più tarde sono infine le traduzioni del senese Grazia di Meo di Grazia, datata al 1343, e del frate domenicano Giovanni da Foligno, sicuramente posteriore e databile entro la metà del XIV secolo183.

Fin qui si è illustrata la ben nota tradizione volgare della Consolatio nel Trecento italiano, essendo intenzionalmente tralasciate le acquisizioni degli studi più recenti, che hanno rintracciato le origini di questo genere di testi, almeno per la Toscana, già alla fine del XIII secolo. Se si escludono ipotesi fantasiose, circolanti tra XVIII e XIX secolo, circa una presunta traduzione della Consolatio realizzata da Brunetto Latini184, che pur annoverando Boezio tra i suoi principali modelli letterari non ne volse mai l‟opera in volgare, di grande interesse è invece la notizia di uno sconosciuto volgarizzamento tardo duecentesco attribuito al fiorentino maestro Giandino da Carmignano185. Il testo, tràdito da un codice della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (Pluteo XXIII dext. 11, di mano toscana databile alla metà del XIV secolo), è in prosa e traduce soltanto i carmi boeziani interrompendosi al libro III metro 11: dal secondo libro e fino alla fine del terzo la traduzione è accompagnata da ampie glosse di commento, che nel quarto libro si limitano al carme 3 sulla vicenda di Circe e dei compagni di Ulisse, mentre non si rinviene nessuna traccia di traduzione per il quinto libro. L‟anonimo utilizzatore del codice, passivo e fedele copista della traduzione volgare (di cui attribuisce la paternità a Giandino)186, si dimostra invece attivo estensore di chiose marginali in latino che, affiancandosi ad altre glosse interlineari di contenuto linguistico e grammaticale, sembrano riconducibili al commento aristotelico di Trevet. Accanto al rinvenimento della preziosa versione Giuseppina Brunetti ha avuto il merito di chiarire con argomenti convincenti l‟identità del suo misterioso autore, che pare coincidere con l‟altrettanto oscuro destinatario di un componimento di Dino Compagni,

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TRONCARELLI, Boezio cit., p. 326.

184

H.F.STEWART, Boethius. An essay, New York, B. Franklin, 1974, pp. 232-234 (ristampa dell‟edizione del 1891).

185

G.BRUNETTI,Guinizzelli, il non più oscuro Maestro Giandino e il Boezio di Dante, in L.ROSSI e S. ALLOATTI BOLLER, Intorno a Guido Guinizzelli, Alessandria, Edizioni dell‟Orso, 2002, pp. 155-191.

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«Questi versi sono volgariçati per questo modo per lo maestro Giandino da Carmignano grande maestro in filosofia» (BML Pl. 23 dext. 11, f. 4r).

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La „ntelligenza vostra, amico, è tanta, riportato dal codice Vaticano latino 3214, 150v-

151r², n. 143 con la rubrica: «Questo sonetto mandò Dino Compagni di Firenze a maestro Giandino». Il testo lirico si caratterizza per il lessico filosofico e l‟intenzione speculativa, che lo pongono in una chiara relazione intertestuale con componimenti di segno analogo quali Ancor che l‟aigua per lo foco lassi di Guido delle Colonne e la dantesca Amor, che movi la tua vertù dal cielo ed inoltre allude, al v. 12 («per vostro scritto mostrate certezza»), ad una non meglio precisata opera (presumibilmente filosofica) di Giandino, talmente nota nella Firenze di Dino Compagni da poter essere citata con sicurezza nel contesto di una corrispondenza lirica. L‟identificazione proposta non si basa soltanto sulla generica affinità delle competenze scientifiche che accomuna il destinatario del componimento ed il traduttore/commentatore della Consolatio sul terreno della filosofia naturale, ma tiene conto di una chiosa a c. 26r del codice laurenziano, che trattando del metro 8 del libro II giunge, diversamente dal commento che accompagna l‟anonimo volgarizzamento del Vaticano Reginense 1971, ad affermazioni sull‟amore come lotta di contrari assimilabili al contenuto della quaestio posta da Compagni187. L‟autonomia esegetica delle glosse di Giandino rispetto al commento del codice Reginense si deve, secondo la studiosa, alla peculiarità della fonte impiegata dal maestro fiorentino che, al contrario del più tardo anonimo Reginense, non è identificabile con il commento di Trevet bensì con le Glosae super Boetium di Guglielmo di Conches, come puntuali confronti testuali dimostrano. L‟importanza di questa scoperta è sottolineata dalla sua stessa autrice, secondo la quale il ritrovamento della versione di Giandino è prezioso non solo per l‟intrinseco valore culturale ma anche perché «testimonia la presenza nella Toscana del Duecento del commento di Guillaume, presenza che per quanto confermata da alcuni altri indizi, non si potrebbe accertare attraverso la tradizione manoscritta latina superstite»188. A riprova dell‟ipotesi identificatoria vengono infine ricordati i Sillogismi di maestro Giandino da

Carmignano, conservati nel codice Panciatichiano 67 della Biblioteca Nazionale di

Firenze, ove si citano le medesime auctoritates cui, per la mediazione di Alberto Magno, si rifà indirettamente Dino Compagni nel componimento indirizzato a maestro Giandino: questi, conclude la studiosa, dovrà essere senz‟altro identificato con il volgarizzatore del manoscritto laurenziano ed annoverato nella schiera dei «filosofanti», alle cui «disputazioni» negli stessi anni Dante, stimolato dalla consolazione della lettura di Boezio, portava a compimento il proprio apprendistato filosofico (Convivio II XII 2-

187

BRUNETTI,Guinizzelli, il non più oscuro maestro cit., pp. 168-170.

188

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8)189. Il ritrovamento della versione di Giandino si offre pertanto allo studio del rapporto tra Dante e la Consolatio innanzitutto attestando con certezza la presenza e la circolazione di quest‟ultima a Firenze, dove evidentemente veniva letta, tradotta e commentata con profondità di giudizio e a diversi livelli di destinazione; inoltre consentendo di individuare, attraverso l‟esercizio del confronto testuale, i temi e le

auctoritates ugualmente utilizzate dal volgarizzatore e dal poeta, ovvero di riconoscere

con maggiore precisione che in passato le fonti della ricezione di Boezio nella Firenze di fine Duecento. Di questa procedura metodologica la studiosa fornisce una testimonianza esemplare: il raffronto tra la chiosa in volgare di Giandino al carme 6 del libro III della Consolatio e la chiosa latina di Guglielmo di Conches al medesimo passo boeziano, oltre a dimostrare una volta di più la dipendenza testuale del commento di Giandino da quello di Guglielmo (del quale costituisce una traduzione piuttosto fedele), consente inoltre di ravvisare una significativa analogia testuale tra la citazione di un passo di Giovenale (Sat. VIII 20) prodotta dal maestro di Chartres («ut ait Iuvenalis: Sola est et unica virtus nobilitas»)190 ed un analogo riferimento al poeta satirico latino presente nella Monarchia (II III 4: «et iuxta Iuvenalem: Nobilitas animi sola est atque unica virtus»)191. In questo caso il confronto dei testi di Dante e di Giandino con il commento di Guglielmo consente l‟individuazione di una fonte esegetica comune ai due autori fiorentini: infatti sia Giandino sia Dante riproducono abbastanza fedelmente la chiosa di Guglielmo, mentre ad esempio il volgarizzatore anonimo del Vaticano Reginense 1971, che si rifà sistematicamente alle glosse di Trevet ed attinge quindi ad un altro ramo della tradizione esegetica della Consolatio, commenta lo stesso luogo boeziano diversamente da Giandino né riproduce il passo di Giovenale secondo le stesse modalità testuali seguite da Dante (che infatti, come detto, si rifà all‟esempio di Guglielmo e, anche per evidenti ragioni cronologiche, non certamente al modello di Trevet)192. Un simile esempio pare sufficiente a mostrare l‟incidenza della mediazione

189

Ad un «maestro Giandino da Carmignanola» allude Giovanni Villani nella Cronica (libro VIII, c. XCV) accomunandolo al francescano Arlotto da Prato, ministro provinciale di Toscana negli anni 1282- 1285: un indizio ulteriore del contesto e dei protagonisti degli studi filosofici ai quali contemporaneamente Dante si accostava.

190

GUILLELMI DE CONCHIS, In Consolationem, III m. 6 v. 1 [3-5].

191

Per il testo della Monarchia mi avvalgo dell‟Edizione Nazionale della Società Dantesca Italiana a cura di P.G. RICCI, Verona, Arnoldo Mondatori Editore, 1965, p. 176. È stato inoltre notato (DANTIS

ALAGHERII, De Monarchia libri III, recensuit L.BERTALOT, Ginevra, Olschki, 1920, ad loc.) che il verso di Giovenale così come viene riportato da Dante nel passo della Monarchia, ovvero con l‟aggiunta di «animi», compare già nel Moralium dogma philosophorum (PL 171, 1043B), compilazione didattico – morale del XII secolo che, già attribuita a Gualtiero di Chatillon, viene ormai ricondotta con sicurezza a Guglielmo di Conches, il quale quindi anche per una via diversa dalla occorrenza delle Glosae potrebbe avere ispirato la citazione dantesca.

192

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esegetica di Guglielmo di Conches sulle modalità di ricezione della Consolatio da parte di un traduttore come Giandino e di un poeta del calibro di Dante, gettando ulteriore luce sul contesto culturale e sulla biblioteca filosofica in cui quest‟ultimo maturava le proprie letture boeziane verso l‟ultimo decennio del XIII secolo a Firenze193

.

Qualche anno più tardi la stessa Brunetti pubblicava l‟esito (parziale) di uno studio introduttivo all‟edizione del volgarizzamento della Consolatio, in cui il testo rinvenuto nel manoscritto laurenziano viene sottoposto ad un confronto sistematico con la versione anonima riportata da due codici della Biblioteca Riccardiana di Firenze che rispondono alle segnature 1609 e 1003194. Il testo trasmesso dal primo di questi esemplari veniva giudicato già da Milanesi come il più antico, certamente anteriore alla versione di Alberto della Piagentina e databile tra la fine del XIII e l‟inizio del XIV secolo: la lingua presenta inoltre tratti pisani, che hanno indotto Castellani a ricondurre a tale origine geografica sia il copista sia, molto probabilmente, l‟autore del volgarizzamento. Il Riccardiano 1609 tramanda una versione in prosa della Consolatio che, a differenza di quella trasmessa dal testimone laurenziano ed attribuita a maestro Giandino (interrotta, come detto, al carme 11 del libro III), traduce tutte le prose ed i metri boeziani e non presenta glosse né in volgare né in latino. Il testo tràdito dal più tardo Riccardiano 1003 (seconda metà del XIV secolo; latore nella prima parte del commento all‟Inferno di Iacopo della Lana) è, come notava già Milanesi, il medesimo del precedente, dal quale si distacca però per alcune differenze sostanziali: la veste linguistica è fiorentina (pur con taluni settentrionalismi); la traduzione è incompleta, arrestandosi alla prosa 12 del libro III (non comprendendo dunque il carme 12); attorno alla versione volgare del testo boeziano si distende un fitto commento che per buona parte riprende quello trasmesso dal codice laurenziano, a sua volta ispirato alle glosse di Guglielmo di Conches. Il quadro illustrato consente alla studiosa di approdare all‟ipotesi che il testo dei tre manoscritti sia il medesimo seppure riportato «in modalità differenti», mantenendo cioè nel solo laurenziano l‟attribuzione all‟autore originario ed il rapporto con il latino e presentandosi nei due esemplari riccardiani secondo una successiva diffrazione: BRF 1609 è infatti più antico e completo, BRF 1003 è invece molto affine a BML pl. dext. 11 perché ne presenta il medesimo volgarizzamento (fino alla fine del III

193

Si tenga presente che il manoscritto laurenziano testimone del volgarizzamento di maestro Giandino proviene dal fondo del convento fiorentino di Santa Croce, luogo per molti versi fecondo di suggestioni dantesche: G.BRUNETTI-S.GENTILI, Una biblioteca nella Firenze di Dante: i manoscritti di Santa Croce, in E.RUSSO, I testimoni del vero. Su alcuni libri in biblioteche d‟autore, Roma, Bulzoni, 2000, pp. 21-55.

194

G.BRUNETTI, Preliminari all‟edizione del volgarizzamento della „Consolatio philosophiae‟ di Boezio

attribuito al maestro Giandino da Carmignano, in P.RINOLDI e G.RONCHI , Studi su volgarizzamenti

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libro) in una veste fiorentina, trasmettendone pure le glosse in volgare assenti invece nel testimone pisano. L‟ipotesi conclusiva, aperta comunque a nuove acquisizioni, pone una originaria traduzione della Consolatio tardo duecentesca (BML pl. dext. 11) che anche nel corredo delle glosse volgari e latine marginali rivela la competenza filosofica del suo autore, identificato da un copista attendibile nell‟altrimenti noto maestro Giandino da Carmignano; in seguito, ma dopo poco vista la datazione alta di questo testimone (BRF 1609), lo stesso testo sarebbe stato integrato e concluso approdando ad una versione aggiornata anche sul piano linguistico con tratti chiaramente pisani; il terzo esemplare (BRF 1003) testimonierebbe lo stadio ultimo di questa trasmissione che approda ad un testo più vicino alla versione originaria, sebbene l‟esteso commento in volgare evidenzi una lectura della Consolatio complessivamente meno attenta195.