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Cv II VII 4 [3] Nel commento alla prima canzone del prosimetro, Voi che ‟ntendendo il terzo ciel

La Consolatio philosophiae nelle opere di Dante

2.2 Confronti cert

2.2.3 Cv II VII 4 [3] Nel commento alla prima canzone del prosimetro, Voi che ‟ntendendo il terzo ciel

movete, accingendosi a trattarne la «litterale sentenza» della seconda parte, Dante

richiama il principio scolastico secondo cui «le cose deono essere denominate da l‟ultima nobilitade de la loro forma», ciò che per l‟uomo consiste nell‟uso della ragione, cifra specifica della sua vita ed «atto de la sua più nobile parte». Il tradimento della propria vocazione all‟atto razionale riduce l‟uomo alla schiavitù dei sensi che pertiene alle bestie, secondo un assunto teorico che si avvale di una esemplare citazione della fonte tardoantica:

E però chi dalla ragione si parte e usa pure la parte sensitiva, non vive uomo ma vive bestia: sì come dice quello eccellentissimo Boezio: “Asino vive”.

La massima è estrapolata da una celeberrima digressione boeziana intorno alla privazione della dignità umana, conseguente alla condotta viziosa, che rende gli uomini malvagi simili alle bestie. Questo passo della Consolatio, la cui viva reminiscenza Dante manifesta più apertamente in altri luoghi della sua opera73, si conclude con una esemplare rassegna dei vizi e parimenti con l‟indicazione delle singole specie animali alle quali ciascuno dei vizi per allegorica associazione corrisponde. In particolare

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ALFONSI, Dante e la “Consolatio philosophiae” cit., p. 16; sempre intorno all‟influenza di Boezio sulla concezione dantesca della fama mondana cfr. Scheda correlata: Pg XI 100-108 [36].

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l‟accostamento al simbolo dell‟asino spetta agli uomini intorpiditi dalla pigrizia (Cons. IV pr. 3 § 22):

Segnis ac stupidus torpet: asinum vivit.

Nella prosa del Convivio, che teorizza l‟equazione tra l‟uomo che «si parte» dalla ragione e la bestia, l‟influenza boeziana non è circoscritta alla citazione di una massima esemplare, ma concerne più sottilmente l‟impianto dottrinale della esposizione dantesca, modellata sull‟auctoritas filosofica di un passo della Consolatio appena precedente alla già ricordata rassegna dei paragoni tra i vizi e gli animali (Cons. IV pr. 3 §§ 15-16):

Hoc igitur modo, quicquid a bono deficit, esse desistit. Quo fit, ut mali desinant esse, quod fuerant; sed fuisse homines adhuc ipsa humani corporis reliqua species ostentat; quare versi in malitiam humanam quoque amisere naturam. Sed cum ultra homines quemque provehere sola probitas possit, necesse est, ut, quos ab humana condicione deiecit, infra hominis meritum detrudat improbitas; evenit igitur, ut, quem transformatum vitiis videas, hominem aestimare non possis.

Questo caso, al di là dell‟interesse intrinseco, è degno di attenzione perché testimonia una modalità di citazione della fonte tardoantica che ricorre anche in altri passi del

Convivio: qui, infatti, Dante estrapola la sentenza boeziana quasi a proprio uso e

consumo, indipendentemente cioè dal contesto della rassegna dei vizi di cui quella sentenza faceva parte nel modello o, meglio, utilizza del più esteso passo boeziano soltanto quella parte che gli sembra conveniente alla economia del proprio discorso tralasciandone altre. Questa ripresa frammentaria del modello ne comporta anche il parziale fraintendimento seppure, sia beninteso, consapevolmente attuato: la massima estrapolata dalla prosa latina si riferiva nel contesto originario ad una esclusiva espressione del vizio umano (il torpore), ove Dante invece se ne serve per rappresentare con sintesi icastica la condizione di bestialità che caratterizza in generale il decadimento della ragione. Sembrerebbe verosimile a questo punto una interpretazione della citazione dantesca come classico esempio di un uso della Consolatio quale repertorio, largamente saccheggiato specialmente nel Convivio, «per qualche massima occasionale»74; ma se si prende in considerazione l‟intero paragrafo che si conclude con la citazione letterale di Boezio, emerge come quest‟ultima riveli, quasi alla stregua di un indizio esplicito, una traccia intertestuale più ampia che lega infatti l‟intero passo dantesco alla teoria intorno alla perdita della condizione umana enunciata nella fonte tardoantica. La sentenza apertamente ricondotta all‟auctoritas latina avverte il lettore

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TATEO, Boezio cit., p. 656, probabilmente sulla scorta dell‟analisi già proposta da ALFONSI, Dante e la

“Consolatio philosophiae” cit., p. 16. In MOORE, Studies in Dante cit., p. 356, il raffronto certo tra il brano dantesco e la fonte boeziana, contrassegnato dalla sigla a, si limita a considerare la sola sentenza di

Cons. IV 3 § 22, tralasciando la vicinanza pure significativa che lega alla prosa del Convivio anche i §§

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circa la derivazione boeziana anche dell‟assunto teorico che quella massima, esemplarmente estrapolata dal contesto originario al di là del significato specifico che vi svolgeva, riassume in forma sintetica. Si può ragionevolmente riconoscere nella ripresa della sentenza boeziana quella tipologia di „citazione metonimica‟, già individuata per altre reminiscenze della Consolatio nell‟opera dantesca75, che evocando in modo esplicito la parte minima di un insieme testuale ne chiama in causa più velatamente gli elementi restanti, l‟intero contesto da cui quella parte minima è estrapolata, secondo una tecnica di „rimandi‟ distinguibile solo per i lettori più avvertiti. D‟altra parte che l‟allusione al passo boeziano non si limiti a rappresentare per Dante la mera citazione di una sentenza, ma condizioni più in profondità la concezione dell‟intero paragrafo del

Convivio, si può evincere dai sintagmi danteschi «vive uomo» e «vive bestia» in cui,

come è stato osservato, l‟impiego dei sostantivi «uomo» e «bestia» alla stregua di accusativi interni svela l‟adozione da parte di Dante del medesimo costrutto sintattico caratterizzante la sentenza «asinum vivit» della fonte boeziana76.

2.2.4 Cv II X 3 [4]

La interpretazione letterale del primo testo metrico del Convivio si concentra sul contrasto che, a partire dal v. 19, oppone i due avversi pensieri in lotta nell‟anima del poeta, lacerata dal dissidio tra la memoria dell‟antico amore (Beatrice) e l‟avvertimento del nuovo (la donna gentile). Il timore, espresso nella forma del discorso diretto dalla stessa anima di Dante in prima persona, di essere ormai vinta dalla presenza di Amore negli occhi della donna gentile (vv. 36-39) provoca la risposta del nuovo «spiritello d‟amore», il quale riprende l‟anima «vile» con una familiarità che lascia presagire la imminente appartenenza di quest‟ultima al nuovo amore per la donna gentile. Nel commento alla sentenza di quella parte del testo in cui parla «lo pensiero nuovo avverso», Dante si sofferma sul primo ammonimento che lo spiritello rivolge all‟anima sbigottita (v. 40: «Tu non se‟ morta, ma se‟ ismarrita»), e si propone di svelare le ragioni di tale smarrimento e del conseguente rimprovero adducendo un passo della

Consolatio nella propria traduzione (II X 3):

75

MEZZADROLI, Dante, Boezio e le sirene cit., p. 34.

76

«Poiché sull‟Asinum vivit di Boezio sono foggiate le frasi „vive uomo‟ e „vive bestia‟, in esse „uomo‟ e bestia‟ saranno da considerare quasi accusativi interni, quale è l‟Asinum del latino di Boezio e l‟Asino della versione dantesca „Asino vive‟, e propriamente nel senso di „vita umana‟ e „vita bestiale‟ (cfr. Inf., XXIV 124» (commento di BUSNELLI e VANDELLI, ad loc.): l‟osservazione si deve a B. NARDI, Alla

illustrazione del «Convivio» dantesco, in «Giornale storico della letteratura italiana», XCV (1930), pp.

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Dice adunque, continuandosi all‟ultime sue parole: Non è vero che tu sie morta; ma la cagione per che morta ti pare essere, si è uno smarrimento nel quale se‟ caduta vilmente per questa donna che è apparita: - e qui è da notare che, sì come dice Boezio nella sua Consolazione, «ogni sùbito movimento di cose non aviene sanza alcuno discorrimento d‟animo» -; e questo vuol dire lo riprendere di questo pensiero.

Il brano riportato da Dante è la traduzione pressoché letterale di una sentenza boeziana estrapolata dalla prosa iniziale del II libro del prosimetro tradoantico, in cui la Filosofia, prima di annunciare al proprio discepolo la somministrazione di un rimedio «molle atque iucundum» per i suoi affanni, gli rimprovera di avere condannato la mutevolezza della fortuna solo dopo che questa gli aveva voltate le spalle. Lo smarrimento temporaneo della serenità occorso a Boezio è dovuto, secondo che decreta la Filosofia, allo stravolgimento dell‟animo provocato dall‟improvviso mutamento (Cons. II pr. 1 § 6):

Verum omnis subita mutatio rerum non sine quodam quasi fluctu contigit animorum; sic factum est ut tu quoque paulisper a tua tranquillitate descisceres.

La traduzione del brano latino offerta da Dante non ha mancato di suscitare alcune osservazioni, segnatamente in margine alla emendazione proposta da Karl Witte per il testo del Convivio77: la apparente divergenza tra il lemma boeziano «mutatio» ed il corrispettivo dantesco «movimento» induceva infatti l‟editore tedesco a correggere la traduzione congetturando la lezione «mutamento», corrispondente ad litteram al lemma boeziano, in luogo del meno calzante «movimento», pure univocamente attestato dalla tradizione manoscritta. Le edizioni successive, giudicando irricevibile la correzione di Witte, hanno ripristinato la lezione testimoniata dai codici con le motivazioni ragionevolmente addotte da Busnelli e Vandelli78, che possono essere ancora specificate. Se è vero che non si può essere certi del testo di Boezio usato da Dante, si deve preliminarmente precisare che, stando all‟edizione della Consolatio offerta da Bieler, nessuno dei più autorevoli codici boeziani collazionati attesta per il lemma interessato lezioni diverse da «mutatio». Non è ammissibile, dunque, secondo l‟ipotesi adombrata da Busnelli e Vandelli, che la versione del Convivio dipenda da un testo boeziano diverso da quello vulgato, nel quale in luogo di «mutatio» Dante si imbattesse in un lemma che, in ragione di un significato diverso e più prossimo a quello della versione toscana, autorizzasse la traduzione nel volgare «movimento». Pur non essendo

77

K.WITTE, Saggio di emendazioni al testo dell‟Amoroso Convivio di Dante Alighieri, in «Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti», XXVII (1825), pp. 204-218.

78

«Questa („movimento‟) è la lezione concordemente attestata dai codici, né Dante aveva l‟obbligo di tradurre ad litteram, né siamo certi del testo di Boezio da lui usato. Del resto la versione dantesca di

mutatio con movimento è filosoficamente esatta, secondo la teoria aristotelica» (commento di BUSNELLI e VANDELLI, ad loc.).

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in discussione la libertà dai vincoli di una resa necessariamente letterale, che secondo i commentatori doveva marcare nell‟uso dantesco le traduzioni volgari dei testi latini, il passo in questione testimonia in effetti una resa quasi pedissequa dell‟originale passo della Consolatio. Come si evince dalle osservazioni di Massimiliano Chiamenti limitatamente a questo caso, il rapporto tra l‟«ipotesto» (o testo di partenza) boeziano e l‟«ipertesto» (o testo di arrivo) dantesco, pur caratterizzandosi per alcuni passaggi che «non sono del tutto trascurabili» (traslazione lessicale da «fluctu» a «discorrimento»79; il passaggio dal plurale «animorum» al singolare «animo»; la normalizzazione dell‟iperbato «fluctu… animorum»; l‟equivalenza, tutt‟altro che sorprendente, tra «contigit» e «avviene»; e, naturalmente, la sostituzione di «mutatio» con «movimento»), appare sostanzialmente lineare, non consente cioè di registrare nel volgarizzamento alterazioni sostanziali del testo latino di partenza80. Se si considera che questa, come la maggior parte delle traduzioni di passi della Consolatio rilevabili nelle opere dantesche81, è stata considerata dallo stesso Chiamenti nel novero delle trasposizioni „modulate‟ che, essendo vincolate relativamente all‟originale, tendono in direzione della lingua di arrivo per discostarsi, almeno formalmente, dalla lingua di partenza, non è problematico ammettere che il brano del Convivio in questione manifesta un discreto grado di fedeltà verso l‟auctoritas che traduce e che i segni dell‟attualizzazione linguistica pertengono esclusivamente l‟ambito delle poche scelte formali alternative rispetto all‟originale. Non ci sono dunque elementi interni al testo per congetturare che in questo caso Dante intendesse travisare il valore semantico della lezione boeziana «mutatio», tanto più che questo lemma, specialmente se impiegato entro un registro filosofico, poteva essere avvertito dal traduttore medievale proprio nella accezione di «movimento», come un passo di Tommaso d‟Aquino, già ricordato da Busnelli82 e ripreso a proposito da Felicina Groppi83, testimonia:

79

Al v. 60 della canzone Le dolci rime d‟amor ch‟i‟ solia un‟altra occorrenza del lemma «discorrimento» è forse riconducibile al boeziano «fluctu» (l‟ipotesi è formulata nel commento di Barbi e Pernicone alle

Rime della maturità e dell‟esilio).

80

M.CHIAMENTI, Dante Alighieri traduttore, Firenze, Le Lettere, 1995, p. 107.

81

Nelle opere dantesche sono in totale 17 i passi classificati da Chiamenti come esplicite traduzioni della

Consolatio (cfr. ivi, pp. 215-216): Cv I XI 8 <Cons. III pr. 6 § 6; Cv II VII 4 <Cons. II m. 5 27-30 e IV pr. 3 § 19; Cv II X 3 <Cons. II pr. 1 § 6; Cv III I 10 <Cons. II pr. 1 § 15; Cv III II 17 <Cons. III m. 9 vv. 6-8;

Cv IV XII 4 <Cons. II m. 5 vv. 27-30; Cv IV XII 7 <Cons. II m. 2 vv. 1-8; Cv IV XIII 12 <Cons. II pr. 5 § 34; Cv IV XIII 13 <Cons. II pr. 5 § 4; Cv IV XIII 14 <Cons. II pr. 5 § 5; If V 121-123 <Cons. II pr. 4 § 2;

Pg XXXIII 112-114 <Cons. V m. 1 vv. 2-4; Pd I 74 <Cons. II m. 8 vv. 15, 29-30; Pd II 133-135 <Cons.

III m. 9 vv. 13-14; Pd VII 64-66 <Cons. III m. 9 vv. 1-6; Pd XXII 1 <Cons. I pr. 2 § 4.

82

Cfr. il commento di BUSNELLI e VANDELLI, ad loc.

83

F. GROPPI, Dante traduttore, Roma, Orbis catholicus Herder, 1962, p. 131: la sezione dedicata alle traduzioni dantesche di passi boeziani è piuttosto scarna e prende in esame separatamente nove versioni del Convivio (pp. 130-134) e due della Commedia (p. 179).

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Oportet omnem mutationem esse motum vel terminum motus qui est successivus84

In aggiunta a questa preziosa attestazione si consideri che, secondo alcuni lessici latini, il lemma «mutatio», reso da Dante come «movimento», implica tra i suoi primi significati proprio quello di „spostamento‟, essendo deverbale di „muto‟, la cui accezione propria è quella di „muovere dal posto, spostare‟ e che solo in senso traslato acquisisce il significato di „mutare, cambiare‟85

: è verosimile, pertanto, l‟ipotesi che il lemma «movimento» venisse avvertito quasi come „interscambiabile‟ con il latino «mutatio» e al più prescelto perché meglio aderente del termine boeziano alla sensibilità linguistica di Dante, traduzione „modulata‟ cioè sull‟uso della lingua di arrivo.

La vicinanza del passo dantesco a quello boeziano non si esaurisce nelle affinità semantiche della traduzione ed è forse più netta di quanto sia stato evidenziato fin qui: al di là della citazione letterale della fonte, in un raffronto tra la prosa della Consolatio e quei versi della canzone Voi che ‟ntendendo che hanno suggerito all‟autore nella parte autoesegetica il richiamo all‟auctoritas tardoantica si possono rintracciare analogie contestuali. Il ricordo del passo della Consolatio, infatti, è funzionale alla spiegazione del v. 40 («Tu non se‟ morta, ma se‟ ismarrita»), nel senso che, per stessa ammissione di Dante, chiarisce il significato del rimprovero che lo «spiritel d‟amor gentile» rivolge all‟anima smarrita del poeta («e questo vuol dire lo riprendere di questo pensiero»). La pertinenza del passo della Consolatio rispetto al contenuto dei versi danteschi risiede innanzitutto nella medesima circostanza di rimprovero che caratterizza il dialogo da cui esso è tratto: come fa lo spiritello nei confronti dell‟anima di Dante per la sua erronea congettura di essere morta (vv. 36-41), così nei paragrafi precedenti a quello citato nel

Convivio la Filosofia riprende Boezio per essersi lagnato della volubilità della Fortuna

(Cons. II pr. 1 §§ 2-5). Inoltre la seconda parte del paragrafo boeziano, che nella traduzione del Convivio non viene riportata ma che completa il senso della citazione dantesca, consiste nella spiegazione da parte della stessa Filosofia degli effetti di smarrimento che sono stati provocati nell‟animo di Boezio dall‟improvviso mutamento del suo stato («sic factum est ut tu quoque paulisper a tua tranquillitate descisceres »): seppure nella modalità sintetica imposta dalla forma poetica, il secondo emistichio del v. 40 («ma se‟ ismarrita») esprime in termini analoghi alla delucidazione proposta a Boezio dalla Filosofia il chiarimento che lo spiritello indirizza all‟anima di Dante,

84

TOMMASO D‟AQUINO, Summa contra Gentiles, l. 2, c. 17.

85

«MUTATIO, ōnis, f. 3 (muto) actus mutandi, conversio, motus» (Lexicon Totius Latinitatis, ab AEGIDIO FORCELLINI lucubratum (VI Tomi), (Padova, Gregoriana), Bologna, Forni, 1965, Tomo III, p. 320; seconda ristampa anastatica della quarta edizione, Patavii, typis Seminarii, 1864-1926, con le appendici aggiunte alla prima ristampa anastatica del 1940).

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classificandone gli erronei timori come esito dello smarrimento in cui versa. Sebbene l‟autoesegesi del Convivio non dipani esplicitamente la ragione dello sbigottimento dell‟anima del poeta (da individuarsi, come per Boezio, nel mutamento improvviso delle cose), poiché si limita ad illustrare il significato letterale del primo emistichio del v. 40 («Tu non se‟ morta»), che questo smarrimento dipenda dal «subito movimento di cose» può essere comunque implicitamente arguito dalla traduzione del passo boeziano poco prima riportata, tenendone presente però quella ultima parte che Dante non restituisce e che l‟autore tardoantico aveva deputato ad una ulteriore funzione di chiarimento, successiva al momento del rimprovero vero e proprio, e ripetuta nel

Convivio solo nel testo della canzone.

L‟affinità contestuale tra i versi danteschi e la prosa boeziana investe, più in generale, la funzione „propedeutica‟ che in entrambi i passi il motivo del „rimprovero‟ svolge nei confronti del successivo riscatto che attende i due protagonisti: sia «lo riprendere» rivolto dallo spiritello all‟anima di Dante, sia l‟ammonimento che la Filosofia destina al proprio allievo costituiscono, infatti, il preludio ad una fase, inedita per il protagonista, caratterizzata dal nuovo apprendistato filosofico. Questa iniziazione alle dottrine filosofiche, se nella Consolatio si traduce allegoricamente nella somministrazione di delicati rimedi per l‟infermo Boezio, in soccorso del quale dopo il richiamo iniziale viene invocato l‟ausilio della retorica e della musica (Cons. II pr. 1 § 7); nel Convivio, dopo essere stata adombrata nelle parole dello spiritello a seguito del rimprovero (vv. 43-52), essa occupa una parte considerevole della esposizione allegorica di questa canzone, ove è riassunta nell‟incontro di Dante con la filosofia «là dov‟ella si dimostrava veracemente, cioè nelle scuole delli religiosi e alle disputazioni delli filosofanti» (Cv II XII 7; scheda 6). La concomitanza delle circostanze autobiografiche della canzone dantesca con il contenuto della prosa boeziana, da cui è stata estrapolata la traduzione riportata nell‟autocommento, non si limita dunque alla mera citazione di un‟auctoritas, giudicata funzionale al chiarimento di un singolo segmento testuale particolarmente delicato, ma si estende più in generale ad un recupero implicito della stessa esperienza autobiografica di Boezio e, segnatamente, di quell‟incontro di lui con la Filosofia, ammantato di un velame allegorico consono alla sensibilità critica di un lettore medievale. In altre parole dietro questo raffronto può essere riconosciuta una testimonianza emblematica di come talvolta per Dante la citazione puntuale di una fonte (quale, in questo caso, la breve sentenza boeziana nell‟ambito dell‟autocommento alla canzone) implichi in realtà una adesione più

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organica, in un certo senso complessiva, al modello che viene citato, la cui capacità di influenza sull‟ipertesto si dilata nella percezione del lettore che in quet‟ultimo consideri unitariamente tutti gli indizi, riconducibili ad una comune traccia intertestuale (che in questo caso rinvia a Cons. II pr. 1), ravvisabili in prossimità del passo in cui la dipendenza dall‟ipotesto appare esplicita per la presenza della citazione diretta. Che il valore „indiziario‟ della citazione dantesca suggerisca implicazioni intertestuali profonde e che il concetto boeziano ripreso nel commento del Convivio debba essere ritenuto addirittura «al fondo del concepimento della canzone» è, in effetti, la pertinente osservazione di Tateo, il quale non solo giudica il testo allegorico di Voi che ‟ntendendo (databile alla fine del 1293 e, quindi, anteriore al disegno del Convivio) come «il primo documento dell‟esperienza boeziana» maturata da Dante negli anni successivi alla morte di Beatrice, ma sostiene che la stessa canzone «fosse in realtà costruita sull‟esperienza del De Consolatione», come la citazione del testo di Boezio, strategicamente collocata in sede di commento, testimonierebbe86. Anche in questo caso, come si è già visto (Cv II

VII 4: scheda 3), si dovrebbe rilevare nella citazione boeziana una connotazione „metonimica‟.

2.2.5 Cv II XII 2 [5]