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1.5 La Consolatio nella letteratura medievale prima di Dante

1.5.1.3 Pier Damian

La „fortuna‟ letteraria del prosimetro boeziano, che può dirsi ininterrotta dal principio alla fine del X secolo207, si estende con analoga continuità all‟XI, durante il quale tracce significative del modello tardoantico si ravvisano soprattutto nelle opere di Pier Damiani e Ildeberto da Lavardin. Sebbene non manchino anche per questo secolo testimonianze „minori‟ della influenza della Consolatio come modello agiografico nella letteratura monastica, l‟interesse di Troncarelli si è concentrato sulla complessa personalità di Pier Damiani (ca. 1007-1057) e sull‟utilizzo controverso del famoso prosimetro che questi sperimentò in alcuni dei suoi testi più taglienti verso quel pericolo per la vita ascetica dei monaci che vedeva rappresentato dagli allettamenti del mondo e dalle lusinghe della cultura profana208. Il motivo conduttore della vasta produzione dell‟eremita camaldolese, che si compone di molti Sermones, numerose

Epistolae (in 8 libri), alcune Vitae di santi e svariati opuscoli di contenuto teologico,

204

MURARI, Dante e Boezio cit., p. 172.

205

RATHERI VERONENSIS, Praeloquiorum libri sex, PL 136, 145A-344C.

206

Sia per le opere di Liutprando sia per quelle di Raterio si veda in generale G.VINAY, Alto Medioevo

latino, Napoli, Liguori, 1978, pp. 377-432.

207

Per l‟ultimo scorcio del X secolo Murari (Dante e Boezio cit., pp. 172-173) segnala reminiscenze della

Consolatio sia nella Vita di S. Cadrea (ca. 982), che in un punto si rifarebbe alla descrizione boeziana

della Filosofia, sia nella prefazione ai sei drammi della monaca Rosvita di Gandersheim (935-975), autrice anche di otto poemetti agiografici, nei quali il primato accordato al tema del martirio potrebbe rivolgere la ricerca delle fonti letterarie anche in direzione del prosimetro tardoantico.

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risiede nella polemica contro l‟immoralità della Chiesa contemporanea e nella condanna dei classici e dei filosofi pagani, a suo dire colpevolmente tollerati negli ambienti ecclesiastici e responsabili del traviamento spirituale in cui incorrono i monaci dediti a siffatte letture. Tra gli auctores che compongono il bersaglio polemico di Pier Damiani ha certamente titolo di essere annoverato Boezio, divulgatore privilegiato nel Medioevo latino di quella filosofia platonica che nell‟incipit dell‟opuscolo Ad Leonem eremitam viene duramente respinta come modello di sapienza antitetico alla semplicità intellettuale della vita ascetica209; eppure il caso di Pier Damiani è stato giustamente invocato come tipico esempio della «attrazione conflittuale» che nei primi secoli del Medioevo ha avvicinato ai testi del filosofo romano anche i suoi più accesi detrattori, condizionati da quel modello di scrittura filosofica che pure rifiutavano nei contenuti, fino al punto di servirsene come imprescindibile punto di riferimento per l‟adozione di una forma linguistico-letteraria adatta alla materia teologica e morale dei loro scritti210. La forte tensione etica che connota l‟opera di Pier Damiani nasce probabilmente da un conflitto culturale irrisolto tra il linguaggio filosofico pagano ed il tentativo di codificare un lessico cristiano indipendente dai modelli classici e capace di affermare, in luogo delle menzogne della filosofia, la verità della teologia: l‟esegesi carolingia aveva tuttavia acquisito al patrimonio culturale del cristianesimo altomedievale sia la lingua sia il paradigma simbolico ed allegorico offerti da quel modello di scrittura filosofica rappresentato dalla Consolatio alla cui influenza quasi inconsapevole Pier Damiani, anche per il suo culto giovanile delle lettere apertamente dichiarato, non poteva sottrarsi. Tra gli esempi di „prestiti‟ boeziani più convincenti si può annoverare un brano del De perfectione monachorum, nel quale l‟autore condanna l‟interesse mondano dei monaci per la letteratura pagana servendosi delle medesime parole utilizzate dalla Filosofia contro le Muse poetiche che, colpevoli di avere alleviato i mali di Boezio con vani allettamenti, venivano definite «scenicas meretriculas» (Cons. I pr. 1):

Hi porro fastidientes ecclesiasticae disciplinae peritiam et saecularibus studiis inhiiantes, quid aliud quam in fidei thalamo coniugem relinquere castam et ad scenicas videntur discendere prostitutas211.

L‟adozione del modello boeziano al fine di rappresentare la condanna di quella

sapientia pagana, di cui pure la trattazione della Consolatio rappresentava per il monaco

eremita un caposaldo esemplare, è forse la migliore testimonianza della generale

209

«Platonem latentis naturae secreta rimantem respuo» (PETRI DAMIANI, Liber qui appellatur Dominus

vobiscum ad Leonem eremitam, PL 145, 232C).

210

«L‟aspetto più paradossale dei rapporti tra Boezio ed i suoi detrattori è la facilità con cui essi ricorrono alle sue stesse parole» (TRONCARELLI, Boethiana aetas cit., p. 116).

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contraddizione che investe la ricezione medievale del patrimonio culturale degli antichi, più che rigettato assimilato in una forma „ideologicamente‟ accettabile: sicché l‟invettiva di matrice platonica che Boezio nell‟incipit del prosimetro rivolge contro i falsi piaceri della poesia elegiaca si offre alla risemantizzazione operata da Pier Damiani che, mantenendone immutato lo schema, traduce l‟immagine originaria nella ortodossa rappresentazione del conflitto tra la fede e la falsa filosofia. Ancora più schietta appare la funzione di modello allegorico che la Consolatio riveste in un passaggio del De Fide

Catholica ad Ambrosium, ove l‟identificazione boeziana delle cure intellettuali della

Filosofia con i medicamenta somministrati al protagonista malato viene riproposta da Pier Damiani per rappresentarvi simbolicamente la natura benefica del proprio insegnamento:

Et saepe plus eorum nobis medicamenta proficiunt qui nostri languoris incommodum per assidua familiaritatis contubernium recognoscunt212.

Il modello tardoantico può addirittura fornire al lettore cristiano suggestioni per una riscrittura in chiave mistica del motivo del nosce-te-ipsum, centrale nel dialogo tra Boezio e la Filosofia e ravvisabile più scopertamente nel monito rivolto da quest‟ultima all‟allievo affinché si affranchi dallo stato di miseria spirituale in cui versa a causa delle proprie sventure (Cons. I pr. 6). Un brano della cosiddetta Lode della vita eremitica di Pier Damiani denuncia al cospetto della fonte boeziana sia il debito concettuale verso le teorie platoniche del ritorno dell‟anima alla propria origine e della contemplazione dell‟universo, sia il debito formale verso il simbolismo linguistico impiegato dall‟autore della Consolatio per tradurre gli stessi contenuti speculativi in immagini allegoriche:

Tu das… ut homo mundo corde Deum conspiciat, qui suis involutis tenebris, seipsum prius ignorabat. Tu hominem ad suum facis redire principium et de exilii eiectione ad antiquae dignitatis revocas celsitudinem. Tu facias ut homo in mentis arce constitutus, cuncta sub se videat terrena defluere, semetipsum quoque in ipsarum labentium prospiciat decurione transire213.

La scrittura di Pier Damiani, intrisa di una tensione morale e di uno spiritualismo funzionali alla propria destinazione monastica, fa ampiamente ricorso alla parola laica di Boezio annettendone motivi simbolici i quali, come la liberazione della vista mentale dalle tenebre dell‟ignoranza che con le proprie nubi di lacrime accecano gli occhi dello spirito, sono ispirati persino ad alcuni tra i luoghi più controversi del prosimetro quale in questo caso il platonizzante carme 9 del libro III; l‟adozione del modello filosofico ne comporta l‟adesione ad esso anche sul piano stilistico – letterario: «il lessico boeziano –

212

PETRI DAMIANI, De Fide Catholica ad Ambrosium, PL 145, 20 C.

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platonico viene piegato agli usi della calda prosa di un mistico»214. Dagli esempi citati appare in tutta la sua evidenza questa ambiguità culturale in cui si dispiega la originale ricezione del testo boeziano da parte di Pier Damiani, propugnatore del rifiuto monastico della sapienza pagana da una parte e però assiduo frequentatore ed emulatore implicito della letteratura classica dall‟altra; il vertice di questa contraddizione latente e mai davvero risolta può essere individuato nella dichiarazione autobiografica del giovanile culto degli autori pagani, rievocato dal mistico in età adulta e dopo l‟ingresso nel chiostro affinché altri sulla scorta del suo pentimento non cadano nel medesimo errore cedendo alle lusinghe esiziali della cultura profana:

Olim mihi Tullius dulcescebat, blandiebantur carmina poetarum, philosophi verbis aureis insplendebant et Sirenes usque ad exitium dulces meum incantaverunt intellectum215.

Pier Damiani dichiara di aver subito un tempo il fascino di Cicerone e delle opere dei poeti, che con la loro dolcezza lo avevano blandito e ne avevano stregato l‟intelletto a guisa di Sirene ingannatrici: quest‟ultima espressione ricalca fedelmente il noto passo della Consolatio (I pr. 1) in cui la Filosofia scaglia contro le Muse poetiche un‟invettiva durissima, di sicuro ben presente all‟autore cristiano che nel De perfectione

monachorum ne rievoca l‟associazione tra le Camene boeziane e delle meretrici da

palcoscenico ed in questo caso ne impiega, con analoga accezione allegorica, l‟identificazione delle stesse Camene con quelle ambigue creature mitologiche che alludono al potere distruttivo dei vani allettamenti della poesia. Dunque, sebbene non ne faccia menzione esplicitamente, qui Pier Damiani si riferisce all‟incipit del prosimetro tardoantico in una duplice prospettiva. L‟autore, che indirettamente accosta l‟opera boeziana a quella di Cicerone assegnando ad entrambe di rappresentare in modo esemplare i piaceri illeciti delle proprie letture giovanili, si presenta come un «Boezio redivivo», vittima al pari del modello dei vani allettamenti procuratigli dai carmina

poetarum dolci e fatali come le voci delle Sirene, simbolo non a caso recuperato da

quella memoria classica che egli intende ora rigettare. D‟altro canto il bersaglio di questa vera e propria retractatio letteraria di Pier Damiani è formato, oltre che da quella di Cicerone, anche dall‟opera di Boezio rifiutata secondo un procedimento per così dire di allegoria metonimica, ovvero attraverso la citazione strategica di un breve frammento ben riconoscibile dal significato antonomastico, rappresentativo dell‟intero testo dal quale è stato estrapolato. Si assiste insomma ad una „emulazione rovesciata‟

214

TRONCARELLI, Boethiana aetas cit., p. 119.

215

PETRI DAMIANI, Anonymi cujuspiam sermo de nativitate salvatori set praeclaris miraculis in ea factis,

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dell‟auctoritas assunta a modello di riferimento: Pier Damiani recupera lo schema narrativo autobiografico in cui Boezio aveva svolto l‟equazione allegorica tra la poesia e le Sirene «usque ad exitium dulces», ma ne ribalta il contenuto morale scagliando proprio contro il modello pagano, che incarna esemplarmente l‟inganno intellettuale della letteratura classica, quelle stesse armi della perizia retorica e dell‟eleganza stilistica apprese dalla conoscenza approfondita del medesimo modello. A ben vedere, seppur con la debita cautela, si potranno ravvisare in quest‟ultima testimonianza di Pier Damiani alcune suggestive analogie con un già ricordato passo del Convivio II XII 2 (del quale si tratterà più diffusamente in seguito), in cui Dante rievoca le miserie spirituali che lo avevano condotto, all‟indomani della morte di Beatrice, ad accostarsi alla lettura di Cicerone e di Boezio: in effetti una prima affinità tra il mistico dell‟XI secolo ed il più tardo poeta risiede nell‟accostamento (solo implicito nel primo) di questi due autori latini; inoltre va registrato come entrambi gli scrittori medievali rievochino in una prospettiva autobiografica, che ha però le implicazioni di una dichiarazione letteraria, l‟estrazione „classica‟ delle proprie letture giovanili; queste soprattutto hanno infine esercitato sia su Pier Damiani sia su Dante un ruolo di seduzione intellettuale che, se per il primo si riveste della connotazione negativa di tentazione viziosa contenuta tra l‟altro nel riferimento alle Sirene, nel secondo ha significato la consolazione della sapienza antica dagli affanni trascorsi e si è tradotta nell‟interesse giovanile per gli studi filosofici. Lungi dal volere postulare improbabili dipendenze dirette tra questi due autori (sebbene la conoscenza dei testi di Pier Damiani da parte di Dante possa ritenersi molto probabile) 216 e tenendo conto delle abissali differenze tra le prospettive culturali dell‟uno e dell‟altro, soprattutto nei confronti del rapporto con l‟eredità classica contemporaneamente accolta e rifiutata (o, meglio, dotata di nuove funzioni semantiche), resta interessante osservare la coincidenza del nome di Boezio come riferimento esemplare della controversa ricezione della sapienza antica in questi due scrittori dell‟età medievale, che riconoscono nell‟autore della Consolatio (come in Cicerone) una espressione della tradizione classica tanto autorevole da poter influire sull‟apprendistato filosofico e letterario di un autore cristiano. Quella offerta da

216

«A questo proposito, va detto che si sono fatte più volte raccolte di riscontri tra passi di Pier Damiano e di Dante. Ma va precisato, innanzitutto, che mai Dante cita esplicitamente Pier Damiano. Anche se non è impossibile il fatto che Dante, nelle vicende della sua vita errabonda, abbia potuto aver tra mano codici di opere damianee, nonostante la loro limitata tradizione manoscritta, non ci pare che la grande messe di riscontri proposti offra prove perentorie di vere citazioni; e quando un riecheggiamento è proponibile, si può risalire, e perciò non è necessario il tramite, ad Agostino o a Gregorio o ad altre autorità dantesche. Ma Pier Damiano, di là di particolari citazioni, è stato anche presentato come fonte dell‟opera di Dante» (A.FRUGONI, Pier Damiano, santo, in Enciclopedia dantesca cit., vol. IV, pp. 490-491: 491).

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Pier Damiani è tuttavia la testimonianza di un culto boeziano ancora acerbo, che non ha terminato il suo percorso di legittimazione morale verso il traguardo dell‟ortodossia, imponendo così al monaco il rifiuto del modello acquisito in età giovanile, ma dichiarando implicitamente la venerabilità e la forza suggestiva di cui la Consolatio godeva come fonte letteraria già nella prima metà dell‟XI secolo; quasi tre secoli più tardi, quando Dante rivendica il proprio debito culturale verso il capolavoro di Boezio, questo percorso di legittimazione è da tempo compiuto, anche grazie alla decisiva mediazione tra platonismo e cristianesimo attuata all‟interno della Scuola di Chartres, e la Consolatio può essere annoverata secondo il giudizio dantesco nella schiera delle

auctoritates cristiane più venerande, fungendo in modo lecito da modello letterario e da

repertorio di sapienza morale, liberamente dal pregiudizio religioso che ne aveva condizionato la lettura da parte di Pier Damiani e che però non ne aveva del tutto impedito l‟influenza stilistica sugli scritti di lui.