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Cv IV XIII 10-14 [11] Approdato alla dimostrazione che le ricchezze sono «dannose» per i loro possessori,

La Consolatio philosophiae nelle opere di Dante

2.2 Confronti cert

2.2.11 Cv IV XIII 10-14 [11] Approdato alla dimostrazione che le ricchezze sono «dannose» per i loro possessori,

Dante individua due argomenti a sostegno della propria tesi: il primo consiste nella «cagione di male», il secondo nella «privazione di bene» che sono insite nella «loro possessione» (Cv IV XIII 10). Entrambe queste «ragioni» vengono argomentate sulla scorta delle auctoritates classiche e, specialmente, trovano conferma nella citazione di tre luoghi boeziani164, dai quali emergono esemplarmente le conseguenze rovinose determinate in ogni caso dal possesso di ricchezze (Cv IV XIII 10-14):

Cagione è di male (scil. la possessione delle ricchezze), ché fa, pur vegliando, lo possessore timido e odioso. Quanta paura è quella di colui che appo sé sente ricchezza, in camminando, in soggiornando, non pur vegliando ma domrendo, non pur di perdere l‟avere ma la persona per l‟avere! Ben lo sanno li miseri mercatanti che per lo mondo vanno, che le foglie che ‟l vento fa menare, li fa tremare, quando seco ricchezze portano; e quando senza esse sono, pieni di sicurtade, cantando e sollazzando fanno loro cammino più brieve. E però dice lo Savio: «Se voto camminatore entrasse ne lo cammino, dinanzi a li ladroni canterebbe». E ciò vuol dire Lucano nel quinto libro, quando commenda la povertà di sicuranza, dicendo: «Oh sicura facultà de la povera vita! oh stretti abitaculi e masserizie! oh non ancora intese ricchezze de li Iddei! A quali tempii o a quali muri poteo questo avvenire, cioè non temere con alcuno tumulto, bussando la mano di Cesare?». E quello dice Lucano, quando ritrae come Cesare di notte a la casetta del pescatore Amiclas venne, per passare lo mare Adriano. E quanto odio è quello che ciascuno al possessore de la ricchezza porta, o per invidia o per desiderio di prendere quella possessione! Certo tanto è che, che molte volte contra la debita pietade lo figlio a la morte del padre intende: e di questo grandissime e manifestissime esperienze possono avere li Latini, e da la parte di Po e da la parte di Tevero! E però Boezio nel secondo de la sua Consolazione dice: «Per certo l‟avarizia fa li uomini odiosi». Anche è privazione di bene la loro possessione. Ché, possedendo quelle, larghezza non si fa, che è vertude ne la quale è perfetto bene e la quale fa gli uomini splendenti e amati ; che non può essere possedendo quelle, ma quelle lasciando di possedere. Onde Boezio nel medesimo libro dice: «Allora è buona la pecunia, quando, transmutata ne li altri per uso di larghezza, più non si possiede».

164

172

La prima parte di questo brano culmina nella citazione di un passo boeziano, in cui la Filosofia mette in guardia il proprio allievo dalle insidie che scaturiscono dalla „roba‟ ed elogia al contrario la povertà come condizione di vera quiete (Cons. II pr. 5 § 34):

Tu igitur, qui nunc contum gladiumque sollicitus pertimescis, si vitae huius callem vacuus viator intrasses, coram latrones cantares.

Il brano della Consolatio è però, a sua volta, apertamente ispirato ad alcuni versi di Giovenale (Sat. X 19-22)165, coincidenza che ha indotto alcuni commentatori (in particolare Scherillo)166 ad ipotizzare che in Cv IV XIII 12, anziché il testo boeziano, Dante citasse direttamente quello del poeta satirico e, quindi, che attribuisse a quest‟ultimo l‟appellativo di «Savio». Nel conflitto delle interpretazioni questa posizione è rimasta pressoché isolata e la maggiornza degli studiosi ha difeso l‟ipotesi di una dipendenza dalla Consolatio167, che diversi indizi suggeriscono di condividere. La congettura di una citazione diretta da Giovenale è stata rifiutata con argomenti risolutivi da Moore168: questi, seguito da Paratore169, ha osservato innanzitutto che a rigore il titolo di «Savio» si addice al filosofo tardoantico più che al poeta satirico, sebbene l‟uso del medesimo appellativo in altri luoghi danteschi non consenta di escludere a priori che con tale epiteto Dante alludesse nel Convivio proprio a Giovenale in quanto „poeta‟, ed anzi potrebbe essere addotto come ragionamento a sostegno di questa ipotesi 170. D‟altra parte lo studioso inglese ha evidenziato come dal punto di vista sintattico la citazione dantesca corrisponda più da vicino al passo boeziano, sia per la ripresa della forma condizionale del periodo (il dantesco «se… entrasse» ricalca il boeziano «si… intrasses») che, come ribadisce Quaglio, invece «non ha riscontro nel passo di Giovenale»171, sia per il mantenimento dell‟ordine delle parole (il boeziano «vacuus viator» si riflette nell‟omologo dantesco «voto camminatore», mentre nel testo di Giovenale le stesse parole sono disposte in iperbato «vacuus… viator»), che trova riscontro nel giudizio di Murari, secondo cui la traduzione del Convivio riproduce con

165

«Pauca licet portes argenti vascula puri, / nocte iter ingressus gladium contumque timebis / et motae ad lunam trepidabis harundinis umbras: / cantabit vacuus coram latrone viator».

166

Cfr. SCHERILLO, Alcuni capitoli cit., p. 504.

167

Per un quadro esaustivo del dibattito scaturito intorno a questo tema cfr. il commento di VASOLI, ad

loc.

168

Cfr. MOORE, Studies in Dante cit., pp. 257-258, 284.

169

Cfr. PARATORE, Giovenale cit., p. 199.

170

Secondo la concezione dantesca, infatti, i poeti partecipano della Sapienza divina che ispira la loro arte e per questa identificazione tra poesia e sapienza essi meritano l‟appellativo di „saggi‟: «It should be admitted, however, that this expression il Savio is applied two or three times to Virgil in the Divina Commedia, and once to Statius, Purg. XXXIII. 15, and to both together, Purg. XXIII. 8. Also in the Vita Nuova (§ XX. Son. X.) to Guido Guinicelli, and to the „five great poets‟ collectively in Inf. IV. 110. This perhaps somewhat weakens the force of the first argument» (MOORE, Studies in Dante cit., p. 257 n. 2).

171

A.E. QUAGLIO, Appendice di aggiornamento alla seconda edizione del commento al Convivio di Busnelli e Vandelli pp. 373-576: 574.

173

sostanziale fedeltà il testo della Consolatio172. Ancora Quaglio, sulla scorta di Moore, giudica poco convincente l‟eventuale silenzio di Dante intorno al nome di Giovenale173

, vista la propensione dell‟autore «a spiegare la propria cultura, rimandando direttamente alle fonti»; mentre, qualora si accolga l‟ipotesi della dipendenza boeziana, lo studioso osserva la più trasparente decifrabilità dell‟appellativo «Savio» poiché, «data la vicinanza con altri passi rinvianti a Boezio, può essere che il poeta abbia lasciato al lettore riferire l‟allusione al celebre amato filosofo»174

. A conferma della ipotesi boeziana va ricordata l‟ennesima osservazione di Moore, che gli studi successivi hanno tralasciato ma che, per le implicazioni culturali, costituisce un indizio persino più significativo di altri: nel proemio al canto XI del Paradiso dell‟Ottimo commento, infatti, il verso di Giovenale (Sat. X 22) viene citato come testimonianza dell‟elogio della «povertade», ma anziché al legittimo autore l‟esegeta ne assegna la paternità a Boezio. Questa attribuzione confermerebbe indirettamente la tesi di una dipendenza boeziana per la citazione del Convivio, non solo perché la testimonianza dell‟Ottimo è contigua, sia sul piano cronologico sia sul piano culturale, a quella dantesca175, ma, in particolare, per la profonda conoscenza del Convivio che il commentatore rivela in molti luoghi, citandone spesso alla lettera ampi stralci (peraltro preziosi per la qualità della lezione, utile a sanare gli errori e le lacune diffusamente presenti nell‟archetipo). La competenza dell‟Ottimo in materia del prosimetro dantesco, infatti, autorizza a postulare che il commentatore conoscesse bene la citazione di Cv IV XIII 12 e che a quest‟ultima

egli si rifacesse implicitamente nel proemio a Pd XI, differenziandosi però dalla citazione dantesca per avere reso esplicita la attribuzione della sententia latina (paradossalmente riportata in questo caso nella versione giovenaliana originale, mentre la traduzione del Convivio, corredata dalla attribuzione più generica di «Savio», dipende quasi ad litteram dal passo boeziano). Che per la citazione del verso di Giovenale e, soprattutto, per la assegnazione di quest‟ultimo a Boezio, l‟Ottimo si rifacesse proprio all‟esempio del Convivio, e quindi riconoscesse dietro l‟epiteto di «Savio» l‟autore della

Consolatio, si desume più sicuramente dalla chiosa a Pd XI 67-69:

…O sicura facultà della povera vita! o stretti focolari! o doni delli Dii non ancora conosciuti! A quali templi, o a quali cittadi potè questo addivenire, che per neuno romore avesse paura,

172

Cfr. MURARI, Dante e Boezio cit., p. 249.

173

«As Dante elsewhere cites Juvenal by name, why should he not do so here, if he was aware that he was quoting him?» (MOORE, Studies in Dante cit., p. 258).

174

QUAGLIO, Appendice di aggiornamento cit., p. 574.

175

«L‟autore è un fiorentino […] contemporaneo di Dante e a lui tanto vicino da averlo conosciuto. […] La contiguità con il poeta si conferma anche per le competenze sulle opere dantesche e per la precocità delle stesse» (S.BELLOMO, Dizionario dei commentatori danteschi. L‟esegesi della Commedia da Iacopo

174

picchiando la mano di Cesare? Allora la porta fu aperta; Cesare disse: o giovane, aspetta maggiori cose che li tuoi temperati desiderii, e sciampia le tue speranze, se tu seguitando li miei comandamenti mi porti in Italia ec. Comprendere puoi che Amiclas non ebbe paura di Cesare: Cantabit vacuus coram latrone viator ec. «Haec ait Boethius»176.

Qui il verso del vacuus viator, ancora attribuito a Boezio, è preceduto dalla citazione dell‟episodio lucaneo di Cesare e Amiclas (Phars. V 527-531), ricordato sempre in Cv IV XIII 12 a proposito della spensierata beatitudine destinata a coloro che non dispongono di alcuna ricchezza mondana. L‟accostamento del passo lucaneo alla citazione boeziana, riproponendo nella glossa lo stesso quadro delle auctoritates tradotte nel Convivio, assicura che l‟Ottimo commentatore aveva attinto a quell‟opera lo spunto per la citazione giovenaliana, fornendo al contempo, con la sicura identificazione del «Savio» con Boezio, una chiosa implicita al passo del Convivio177.

Ancora alla dimostrazione che il possesso di ricchezze è «cagione di male» si deve la seconda citazione boeziana di Cv IV XIII 13 («Per certo l‟avarizia fa li uomini odiosi»), che traduce, con una modulazione del testo di partenza che mira alla sintesi didascalica, una sententia pronunciata dalla Filosofia circa il discredito che l‟avarizia, al contrario della generosità, procura agli uomini (Cons. II pr. 5 § 4)178:

Divitiaene vel vestrae vel sui natura pretiosa sunt? Quid earum potius, aurumne ac vis congesta pecuniae? Atqui haec effundendo magis quam coacervando melius nitent, si quidem avaritia semper odiosos, claros largitas facit.

La terza citazione boeziana di Cv IV XIII 14 («Allora è buona la pecunia…»), questa volta impiegata a sostegno della tesi che il possesso di ricchezze è anche «privazione di bene», è estrapolata dal paragrafo successivo della Consolatio, fonte privilegiata in questo capitolo del Convivio che ne costituisce quasi una sorta di „commento continuo‟ (Cons. II pr. 5 § 5):

Quodsi manere apud quemque non potest, quod transfertur in alterum, tunc est pretiosa pecunia, cum translata in alios largiendi usu desinit possideri.

176

L‟Ottimo commento della Divina Commedia. Testo inedito di un contemporaneo del poeta, a cura di A. TORRI, Pisa, Capurro, 1827-1829, 3 voll. (ediz. anastatica, con prefazione di F. MAZZONI, Sala Bolognese, Forni, 1995), Pd XI 67-69.

177

La genesi dell‟errore di attribuzione commesso dall‟Ottimo, che riconosce a Boezio il verso giovenaliano originale, riconduce sempre più certamente a Cv IV XIII 12, se inoltre si considera che lo stesso Guido da Pisa nelle Expositiones, note all‟Ottimo nella versione volgare della prima redazione, riporta il medesimo verso attribuendolo però correttamente a Giovenale: «Et in hoc felicior est pauper quam dives, qui nullo in animo onere pregravatur. De quo Iuvenalis: “Cantabit vacuus coram latrone viator”» (GUIDO DA PISA‟s Expositiones et glose super Comediam Dantis or Commentary on Dante‟s

Inferno, a cura di V.CIOFFARI, Albany, N. Y., State University of New York Press, 1974, If I Expositio 52-54): l‟erronea attribuzione dell‟Ottimo non è pertanto attestata nella più antica esegesi della Commedia (a parte Guido da Pisa, dal quale l‟Ottimo avrebbe potuto ricavare la corretta attribuzione, anche Pietro Alighieri, proprio nella chiosa a Pd XI 64 ss., avrebbe riportato in seguito quel verso assegnandone a Giovenale la paternità), ciò che contribuisce a spiegarne la causa piuttosto come una reminiscenza del

Convivio.

178

Cfr. in particolare Scheda correlata: If VII 7-54 [30]; ma per il tema della imperfezione delle ricchezze mondane si vedano, inoltre, Schede correlate: Cv IV XII 3-7 [10]; Pg XIV 86-87 [38]; Cv IV XI 8 [75].

175

In merito alla traduzione dantesca di questo passo sono state osservati la sostantivazione del verbo nella trasposizione di «largiendi usu» in «per uso di larghezza»179 ed il mantenimento, ascrivibile ad un atteggiamento „latineggiante‟, dell‟originale «pecunia» anche nella resa volgare180

, fenomeni comunque riconducibili ad un quadro di complessiva fedeltà rispetto al testo di partenza.

Secondo quell‟uso „metonimico‟ delle citazioni già illustrato, in grado di evocare al di là delle dipendenze apertamente espresse ulteriori correlazioni intertestuali, in questo caso, fra le due traduzioni riportate in Cv IV XIII 13-14, Dante sembra rifarsi implicitamente al testo boeziano anche nell‟incipit del paragrafo 14, recuperando quelle parti di Cons. II pr. 5 § 4 che, come si è visto, erano state omesse per esigenza di sintesi nel paragrafo 13. Il riferimento alla «larghezza» come virtù che «fa gli uomini splendienti e amati» riecheggia, infatti, l‟espressione boeziana «claros largitas facit»; così come l‟impiego di due gerundi strumentali correlati per rappresentare l‟unica condizione di vantaggio proveniente dalle ricchezze («non… possedendo quelle, ma quelle lasciando di possedere») ricalca anche sintatticamente, a parte l‟inversione semantica dei due verbi, l‟analoga costruzione boeziana («haec effundendo magis quam coacervando»). Sebbene non assurgano al rango di citazioni esplicite, questi esempi testimoniano ulteriormente, ove fosse necessario, l‟elevato grado di dipendenza della trattazione di questo capitolo del Convivio dalla dottrina e dallo stile del modello boeziano, ben distinguibile dal vasto novero di fonti mediolatine variamente evocate in proposito dai commentatori e che non può essere ridotto ad una mera funzione di repertorio di sentenze morali.

2.2.12 Mn I IX 3 [12]