1.2. Secondo itinerario: In cammino attraverso mondi
1.2.4. Arrivo: Letteratura e realtà
Il punto di arrivo di questo itinerario sembra essere meno un traguardo e più un vicolo cieco. Il cammino attraverso il dibattuto e polimorfo territorio della teoria letteraria dei mondi possibili costringe infatti a fronteggiare un dedalo di percorsi che intersecano le caratteristiche dei mondi narrativi, le posizioni sulla loro natura ontologica e le versioni dello statuto logico del discorso finzionale, senza tuttavia riuscire a raggiungere una meta, un’organizzazione definitiva e perentoria. Ciò che emerge è piuttosto l’ambivalenza specifica del rapporto tra il mondo reale e i mondi di invenzione, un rapporto fecondo e inscindibile (è sempre possibile rilevare aree di intersezione tra la finzione e il reale) ma mai univoco, totalizzante o aproblematico. Se, come afferma Bertoni, “[n]on ha alcun senso, in effetti, dire che un romanzo rappresenta (copia, imita, descrive…) il mondo reale, per il semplice fatto che il mondo rappresentato non preesiste all’atto stesso della rappresentazione, all’atto testuale che lo istituisce”, il mondo narrativo, a prescindere dalle relazioni di accessibilità che lo legano al reale, si configura come mondo “altro”, eterocosmo, “un mondo unico, irripetibile, […] portato all’esistenza da quell’atto doppiamente creativo che è il rapporto tra l’autore e il suo lettore” 114. La posizione dell’opera d’arte ricorda allora lo statuto liminare dello specchio foucaultiano: simultaneamente utopico ed eterotopico il secondo
112 Cfr. Ryan, «Possible-Worlds Theory» cit., p. 448. 113 Cfr. Ronen, Possible worlds in literary theory cit., p. 171.
(perciò escluso ma allo stesso tempo inserito nello spazio reale); connessa ma contemporaneamente indipendente dal calviniano “mare dell’oggettività” la prima. L’autonomia del testo narrativo non è però sinonimo di semplice distacco dal mondo attuale, ma segnala piuttosto il suo potenziale creativo: se in parte la letteratura è espressione della realtà, in parte essa “aggiunge qualcosa alla realtà che prima non c’era, e, nel farlo, crea la realtà, ma una realtà che molte volte non è materiale o percettibile immediatamente”115. Anziché come uno specchio, il mondo di finzione sembra allora operare come una camera obscura116: non dunque una riproduzione intesa come ripetizione dei fatti della realtà, ma una ri-produzione, una nuova fabbricazione che muove da questi, li ricompone immaginativamente e li organizza entro un mondo originale. L’autore di un testo letterario non è un semplice interprete, ma un vero e proprio demiurgo: egli non offre una visione del mondo, ma un mondo; non sa, ma immagina. Sfugge al “carcere del realismo” ed esplora liberamente territori sconosciuti che originano dal reale, traggono linfa dall’immaginazione e ritornano al reale per aggiungervi qualcosa di nuovo: crea, insomma, “dei complementi verbali al mondo”117. L’efficace formula dello scrittore Carlos Fuentes richiede però di essere circostanziata: è infatti necessario chiarire cosa si intende quando si parla di realismo. Se questo termine rinvia genericamente al rapporto tra il testo di finzione e il mondo reale è possibile affermare che tutti i mondi narrativi sono più o meno realistici. La netta distinzione tra numeri reali e numeri immaginari operabile nel campo della matematica sembra essere infatti inammissibile in letteratura, perché non esiste narrativa completamente svincolata dal rapporto con il reale. Anche la narrativa di genere (fantascienza, fantasy, horror) costruisce un universo finzionale il cui mondo di riferimento è quello attuale: un reale raccontato in forma di metafora. Domandarsi “che cos’è il non realismo” è allora sempre di più “una domanda che non porta da nessuna parte”118. Questo uso del termine “realismo” rappresenta però solo una delle due possibili macro-declinazioni del concetto, quella cioè che intende il realismo come categoria universale, costante mimetica che attraversa nel tempo e nello spazio ogni
115 Carlos Fuentes, Geografia del romanzo, Milano, Il Saggiatore, 2006, p. 17 (corsivo mio).
116 Cfr. John Barth, «How to Make a Universe», in Id., The Friday Book. Essays and other nonfiction,
Baltimore, The John Hopkins University Press, 1984, p. 21.
117 Fuentes, Geografia del romanzo, p. 18.
118 Paolo Cognetti, «Note sulla narrativa del reale», in Materiali, 4: Libri di realtà: la funzione mimetica
mondo di finzione. Così concepito, il realismo trascende i confini tra i generi, le poetiche e le scuole letterarie e si estende a tutto l’ambito della letteratura. Esiste tuttavia anche un’altra accezione, un realismo in senso stretto che fa riferimento a una tendenza letteraria geograficamente e cronologicamente circoscritta (l’Europa tra gli anni Trenta e Novanta dell’Ottocento), legata a un preciso genere narrativo (il romanzo), a movimenti e scuole (come il Naturalismo o il Verismo), e con una sua tradizione e interpreti paradigmatici (da Balzac a Verga, da Trollope a Tolstoj). L’opera realista propriamente detta sarebbe allora niente più che il codificato riflesso di una
tranche de vie, una rappresentazione fedele e concreta della realtà che attiva
un’enciclopedia finzionale integralmente coincidente con la dotazione epistemica attuale del lettore. Questa concezione, tuttavia, è oltremodo riduttiva e discutibile: “[l]’idea che il testo realista aspiri davvero a una confusione mimetica, a una sorta di convergenza asintotica con il mondo reale, sostituendosi più o meno subdolamente a esso, non è altro che un’astrazione ideologica, un idolo polemico che non potrebbe reggere la prova di un unico, effettivo riscontro testuale”119. Il romanzo, infatti, sotto la sua pretesa oggettività nasconde sempre una soggettività120. Esso appare sì oggettivo agli occhi del lettore, che entra all’interno del mondo narrativo in qualità di spettatore non coinvolto, praticandone, come davanti a una statua, la sua tridimensionalità, la sua concretezza; ma è allo stesso tempo un universo soggettivo, creazione personale (ma non privata) che vive della fantasia dell’autore, il quale sovrintende a tutte le sue caratteristiche. Metaforicamente, il romanzo assume la forma di un caleidoscopio all’interno del quale è possibile guardare per scorgere la realtà, che si rivela tuttavia illusoria, un universo pienamente fantastico.
I mondi della finzione letteraria devono quindi essere avvicinati tenendo in considerazione sia il rapporto che essi instaurano con il reale, sia la loro alterità ontologica. Posta al centro di questa relazione, allo scopo di regolare gli attraversamenti dal mondo reale all’universo della finzione e viceversa, è collocata la barriera dell’“Io scrivo”. Emblematica di questa simultanea e antitetica connessione e indipendenza, questa affermazione è ancorata al soggetto empirico dell’universo di esperienza attuale
119
Bertoni, Realismo e letteratura cit., p. 111.
120 «[…] the novel is the world itself, the whole world of society, in which the individual fares. It is the
objective world subjectivised, an objective slice of subjective reality», in Christopher Caudwell, Romance
(“Io”), ma al tempo stesso rappresenta il primo livello di realtà dell’universo della parola scritta (“scrivo”). La “realtà” non è dunque prerogativa del solo mondo terreno: se da un lato è possibile osservare e discutere le condizioni del rapporto tra l’opera e la realtà extratestuale (i “livelli di verità” del testo), dall’altro si possono esaminare i diversi livelli di realtà letteraria interni all’opera. Questi due aspetti sono intimamente connessi, ma non possono essere confusi: “[p]uò darsi che tra l’universo della parola scritta e altri universi dell’esperienza si stabiliscano delle corrispondenze di vario genere e che tu sia chiamato a intervenire col tuo giudizio su queste corrispondenze, ma il tuo giudizio sarebbe in ogni caso sbagliato se leggendo tu credessi d’entrare in rapporto diretto con l’esperienza d’altri universi che non siano quello della parola scritta”121. Da un lato, quindi, la realtà (qualsiasi cosa essa voglia dire); dall’altro la
realtà dei livelli, l’unica conosciuta dalla letteratura. Una letteratura che, anche quando
si colloca maggiormente in prossimità rispetto al mondo dell’esperienza concreta, de- realizza il reale senza tuttavia dare luogo a una menzogna, ma creando piuttosto un interstizio immaginativo di alterità: “tra il lupo del grande prato e il lupo della grande frottola c’è un magico intermediario: questo intermediario, questo prisma, è l’arte della letteratura”122.