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2.1. Introduzione: Le ragioni di un’indagine geocritica “verticale”

2.1.3. Controrealismo

I limiti e i pericoli di una lettura mimetica tetragona che presuppone un rapporto di simmetria tra il mondo finzionale e quello reale si possono riscontrare nell’analisi dell’opera di Narayan compiuta da V.S. Naipaul, scrittore trinidadiano di origine indiana naturalizzato inglese. In India: A Wounded Civilization (1977), secondo libro della trilogia saggistica dedicata alla realtà contemporanea indiana, Naipaul coinvolge Narayan all’interno di una più ampia interrogazione del presunto staticismo che pervade la cultura del paese, incapace di pensare dinamicamente la propria identità e quindi costretto a un costante ritorno a una tradizione e a una religione tanto idealizzate quanto inadatte a interpretare le esigenze del tempo presente. La prima parte del volume, dove si concentra la critica allo scrittore, si apre con alcune riflessioni suscitate dalla visita alle vestigia della capitale dell’antico e glorioso regno Vijayanagar, le rovine del cui tempio sono ancora frequentate da numerosi pellegrini, per i quali “Vijayanagar is not its terrible history or its present encompassing desolation […] To the pilgrims Vijayanagar is its surviving temple. The surviving destruction is like a proof of the

30 Cfr. in ordine: S. Krishnan, «Editor’s Introduction», in S. Krishnan (ed.), Malgudi Landscapes: The

Best of R.K. Narayan, New Delhi, Penguin, 1992, p. xii; James M. Fennelly, «The City of Malgudi as an

Expression of the Ordered Hindu Cosmos», intervento presentato all’American Academy of Religion International Region Conference, 1978; Chelva Kanaganayakam, Counterrealism and Indo-Anglian

Fiction, Waterloo, Ontario, Wilfrid Laurier University Press, 2002, p. 20; Mohammad Ejaz Alam, R.K. Narayan and the Inhabitants of Malgudi, New Delhi, Rajat Publications, 2005, p. 151.

31 R.M. Varma, Major Themes in the Novels of R.K. Narayan, New Delhi, Jainsons Publications, 1993, p.

virtue of old magic […] Life goes on, the past continues. After conquest and destruction, the past simply reasserts itself.”32 Una prima discrepanza tra la percezione di Naipaul del suo paese di origine e la visione dell’India che pervade gli scritti di Narayan si può ravvisare attraverso il confronto con la descrizione dello stesso luogo presente nel già citato The Emerald Route: laddove il primo vede “present squalor” e “slum”, il secondo prova “great admiration” per sculture e affreschi definiti “magnificent”, e la desolazione di cui parla Narayan non ha niente a che fare con lo squallore che invade l’occhio di Naipaul, ma con un senso di profonda afflizione per la capitolazione del regno e per il “needless vandalism perpetrated by an invader”33.

Naipaul non conosceva l’opera di viaggio di Narayan (i due volumi sono in effetti coevi), ed è dunque all’interno dei romanzi che egli rileva quella difformità rispetto al reale – o, bisognerebbe dire, rispetto alla sua versione del reale, necessariamente diversa in quanto espressione di un punto di vista “esogeno”34, e comunque soggettiva – che costituisce a suo parere il problema centrale della narrativa dello scrittore indiano. Narayan, indipendentemente dalle riconosciute qualità artistiche, sarebbe colpevole di avere raggirato i lettori, e tra loro anche Naipaul, caduto nella trappola di una narrazione formalmente realistica che presenta tuttavia un’India notevolmente lontana da quella realtà, “cruel and overwhelming”, con cui il viaggiatore viene concretamente a contatto. Scrittore anch’egli, Naipaul è ovviamente consapevole che Malgudi è un territorio immaginario, “a creation of art and therefore to some extent artificial, a simplification of reality”; nondimeno, quella “qualche misura” di artificialità si rivela più grande di quanto le convenzioni del genere e del modo narrativo adottato non lascino pensare, e lo costringe a riconsiderare il valore di veridicità dei romanzi, “less the purely social comedies I had once taken them to be than religious books, at time religious fables, and intensely Hindu.”35 Secondo Naipaul la visione ideologica promulgata dai romanzi di Narayan non sarebbe allora che una delle molteplici espressioni di quel retrivo ripiegamento su un passato mitico che costituisce il rifugio indiano da un presente che si confronta e si infrange con la modernità.

32

V.S. Naipaul, India. A Wounded Civilization, New York, Vintage, 2003, p. 5.

33 Narayan, The Emerald Route cit., p. 65. 34 Cfr. Westphal, Geocritica cit., p. 178 e passim.

Indipendentemente dall’analisi che Naipaul ne fa conseguire, condizionata da una rigida disposizione mimetica, il riconoscimento della contraddizione, in Narayan, “between his form, which implies concern, and his attitude, which denies it”36, ovvero tra l’adozione degli stilemi e dei topoi di un romanzo impegnato nell’esplorazione oggettiva del reale e una narrazione che si svincola dalle restrizioni del referente per ricrearlo soggettivamente o ideologicamente, rappresenta il punto di partenza per una riflessione sul rapporto tra opera e mondo. Una possibile risoluzione di questo dissidio comporta la svalutazione del legame tra testo ed extratesto: Narayan figurerebbe così come un imperfetto e tardivo erede dell’estetismo, concependo l’opera d’arte come mondo immaginario ermeticamente sigillato rispetto al reale e finalizzato unicamente al raggiungimento di piacere estetico37. Una risposta contraria torna invece a percorrere le vie del realismo, modificandone però la natura e riconsiderandone i caratteri: Narayan si adopererebbe per la creazione di un “realismo sincretico” che accoglie in sé una dimensione fantastica e meravigliosa38; similmente, il suo tentativo di raffigurazione di una totalità organica, compiuto attraverso l’immissione di materiale mitico e leggendario nel regno del discreto e del quotidiano, condurrebbe alla creazione di un “realismo mitico”39.

Una proposta di più ampio respiro teorizzata da Chelva Kanaganayakam, studioso originario di Sri Lanka, inserisce l’opera di Narayan entro una specifica tradizione sviluppatasi nel campo della letteratura indiana in lingua inglese parallelamente alla corrente realista: il “counterrealism”, che annovera, oltre a Narayan, scrittori dissimili quali G.V. Desani, Anita Desai, Zulfikar Ghose e Salman Rushdie e che, pur esprimendosi in forma diversa in ognuno di essi, può sommariamente qualificarsi come “experimental fiction” che “works on the assumption that there is a hiatus between the real world and the fictive universe.”40 Nel caso di Narayan questo iato tra rappresentazione artistica e mondo rappresentato si manifesta a partire dalla scelta

36 V.S. Naipaul, An Area of Darkness, New York, Vintage, 2002, p. 232.

37 Secondo Sudesh Mishra, Narayan “is concerned primarily with imparting comic pleasure (vasa) at the

expense of le realisme”; in Sudesh Mishra, «R.K. Narayan: The Malgudisation of Reality», in McLeod, A.L. (ed.), R.K. Narayan: Critical Perspectives, New Delhi, Sterling Publishers, 1994, p. 87.

38 Cfr. Claudine Le Blanc, «R.K. Narayan, méprise occidentale sur une décolonisation littéraire», in

Revue de littérature comparée, 303, 2002, pp. 323-342.

39

Cfr. Fawzia Afzal-Khan, «R.K. Narayan: The Realm of Mythic Realism», in Id., Cultural Imperialism

and the Indo-English Novel: Genre and Ideology in R. K. Narayan, Anita Desai, Kamala Markandaya, and Salman Rushdie, University Park, PA, Pennsylvania State University Press, 1993, pp. 27-58.

dell’inglese, lingua che gli permette di accedere a una comunità di lettori internazionale (britannica prima, americana e mondiale poi)41 ma che, come si deduce dalle affermazioni dei suoi narratori, nella migliore delle ipotesi non è padroneggiata e nella peggiore è completamente sconosciuta ai personaggi dei romanzi. Pur evitando di entrare nell’annoso ma non di meno importante dibattito sull’opportunità, le ragioni e le conseguenze della scelta della lingua in cui scrivere42, è possibile riconoscere l’adozione dell’inglese – e di un inglese maggiormente limpido e genuino di quello assai più sperimentale adoperato in molta letteratura indiana anglofona – come il primo dei fattori che compromettono la trasparenza alla base del modo mimetico, a causa della sua più o meno forte estraneità rispetto al materiale indigeno narrato. Il romanzo realistico propriamente detto possiede inoltre uno specifico orizzonte di attesa che interessa un insieme di “assumptions about people, property, and religion, its faith in liberal humanism and its need for consolidation”43 appartenente a una determinata cornice storica, geografica e culturale; nell’India tardo-coloniale il suo sviluppo è stato quindi inevitabilmente problematico, perché ha costretto lo scrittore nativo a confrontarsi con una forma narrativa aliena, veicolo di una dottrina individualistica non rispondente alla realtà sociale del suo paese, che generalmente inibiva ogni possibilità di scelta individuale. In verità, se tale forma si è radicata in territorio indiano non è a causa di un trapianto forzato: “A form cannot be superimposed upon a culture which lacks the appropriate conditions to sustain its growth. […] The realistic novel was able to come into existence because the tension between individual and society had acquired a certain intensity. Had this tension not existed, narrative fiction may have continued to retain

41 L’avventura editoriale di Narayan è cominciata, attraverso l’intercessione di Graham Greene, con la

casa editrice londinese Hamish Hamilton; anche negli anni seguenti, pur con editori diversi – tra i quali Macmillan, Methuen e Heinemann –, i suoi romanzi hanno sempre debuttato sul mercato librario della capitale britannica. Dalla metà degli anni Cinquanta lo scrittore ha poi assistito alla crescente circolazione delle sue opere e a una sempre maggiore popolarità della sua persona in territorio statunitense, grazie anche a una serie di frequenti viaggi e permanenze in loco di breve-media durata. Nel corso degli anni i suoi libri sono stati tradotti in oltre quaranta lingue.

42 Narayan ha più volte espresso le sue posizioni rispetto alla questione linguistica, dichiarandosi sempre

“an unashamed champion of the English language” (in «English language in India», 11 ottobre 1953, in R.K. Narayan Collection, HGARC, Box 8, Folder 39). Sullo stesso argomento, cfr. anche «Thoughts on English», in The Hindu, 1 February 1953, n.p., in ibid.; «English in Bharat», in The Hindu, 2 February 1958, n.p., in R.K. Narayan Collection, HGARC, Box 5, Folder 6; «Toasted English», in Id., Reluctant

Guru, Hind Pocket Books, Delhi, 1974, pp. 54-57; «English in India», in Id., A Story-Teller’s World. Stories, Essays, Sketches, New Delhi, Penguin, 1990, pp. 20-23.

qualities associated with the epic or romance”44. I profondi cambiamenti sociali occorsi durante il periodo coloniale permisero al romanzo realistico di diffondersi e prosperare, tanto da diventare nel ventesimo secolo il genere e il modo narrativo per eccellenza della letteratura indiana, sia in inglese che in lingue bhasha45. Nell’ambito della produzione letteraria anglofona, tuttavia, il divario tra il contesto di produzione e ambientazione delle opere e quello di circolazione dell’oggetto libro – divario che si produsse sul crinale della lingua inglese e della sua plurima appartenenza: coloniale, nazionalistica e internazionale – acuì le scivolosità intrinseche alla narrazione realistica di marca indiana. Secondo Meenakshi Mukherjee la distanza dai propri lettori e l’incertezza rispetto alla loro provenienza geografica e culturale conduce tutt’ora questi scrittori a una “greater pull towards a homogenisation of reality, an essentialising of India, a certain flattening out of the complicated and conflicting contours, the ambiguous and shifting relations that exist between individuals and groups in a plural community”46; allo stesso tempo, questa pulsione essenzializzante e questa “angoscia dell’indianità” colpiscono specularmente gli stessi lettori e studiosi occidentali, per i quali spesso “these works take on a metonymic – and often essentialist – dimension”47 (come dimostrano le letture di Malgudi come microcosmo o quintessenza dell’India precedentemente riferite). In questo modo la “semplificazione della realtà” di cui parlava Naipaul aumenta, la fedeltà al referente diminuisce e il romanzo realistico- mimetico, che pure conosce una importante e distinta tradizione nel campo della letteratura indo-inglese, rivela le sue peculiarità e le sue limitazioni.

Muovendo dalla consapevolezza che il realismo “is not a value in literature, but one of the many modes that narrative fiction can adopt”48, l’orientamento controrealistico identificato da Kanaganayakam coinvolge un insieme eterogeneo di proposte che, appurato il divario tra lettori e contenuto della narrazione, ovvero tra lingua e realtà, si propongono non già di ignorarlo – al modo dei realisti – ma di esplorarlo creativamente. In R.K. Narayan ciò si tradurrebbe nell’introduzione di un ingrediente immaginativo

44 Meenakshi Mukherjee, Realism and Reality: The Novel and Society in India, Delhi, Oxford University

Press, 1985, p. 99.

45 Il termine di origine sanscrita bhasha (lingua, linguaggio) è utilizzato da Meenakshi Mukherjee per

indicare tutte le lingue indiane diverse dall’inglese; cfr. Id., «The Anxiety of Indianness: Our Novels in English», in Economic and Political Weekly, XXVIII, 48, 1993, p. 2607.

46 Ivi, p. 2608.

47 Kanaganayakam, Counterrealism and Indo-Anglian Fiction cit., p. 15. 48 Mukherjee, Realism and Reality cit., p. 98.

che si rivela solo in trasparenza ma che pervade la narrativa di un senso di artificio, consentendogli a un tempo di incorporare le convenzioni della scrittura referenziale senza tuttavia sottoporsi alle sue istanze ideologiche. Affrancato dalle costrizioni del referente e dal vincolo di una rappresentazione mimetica, egli può così dare origine a un’illusione del reale, rispecchiando solo in parte Mysore, Madras, l’India del sud o l’intera India a lui contemporanea e creando piuttosto un mondo finzionale con caratteristiche fisiche e norme etiche che rispondono al suo ideale privato. Il controrealismo di Narayan – che non è “anti-realismo”, giacché, come si è precedentemente osservato, rispetta tutte le convenzioni formali del modo realistico- mimetico – consiste allora nell’istituzione di un mondo parallelo che, almeno in superficie, pretende di essere reale. Questa “curious combination of the fictive and the referential”49 è possibile grazie a un’attenta selezione del materiale che compone il paesaggio immaginario: oggetti importati, surrogati e di invenzione sono organizzati e armonizzati in modo da circonvenire le strettoie del referenziale senza abbandonare la connessione con il reale, trasmettendo l’immagine di un mondo verosimile permeato da una visione soggettiva che contempla solo selettivamente le contingenze dell’India coloniale e postcoloniale. Come più di un critico ha rilevato e lo stesso Naipaul suggerito, Malgudi non raffigura la molteplicità dell’esperienza indiana, ma offre al lettore una visione dell’esistenza di stampo brahmanico (lo stesso Narayan appartiene a questo varna50, come suggerisce il titolo Iyer associato al suo nome), e ciò è confermato sia dall’appartenenza castale dei protagonisti delle storie, sia dalla loro concentrazione abitativa, circoscritta entro un’area che osserva le regole di purezza di questo specifico gruppo sociale.

In conclusione, il rapporto che si stabilisce tra Narayan e il contesto tamil e carnatico di produzione da un lato, il contesto internazionale e anglofono di ricezione dall’altro, e il mondo narrativo di Malgudi muove in direzione di un controrealismo che, ereditando e insieme trasgredendo le norme del canone realistico occidentale e permettendo allo scrittore una massima libertà creativa che gli consente di collocarsi

49 Kanaganayakam, Counterrealism and Indo-Anglian Fiction cit., p. 32.

50 Il termine sanscrito varna fa riferimento alle quattro ampie classi sociali dei sacerdoti (brahmani), dei

governanti e dei guerrieri (kshatriya), dei mercanti e degli agricoltori (vaishya) e dei servi (shudra) su cui si basa il sistema delle caste, ulteriormente complicato dalle divisioni nelle centinaia di jati, i gruppi di nascita che definiscono la posizione di un individuo all’interno della società; cfr. Vasudha Narayanan,

contemporaneamente dentro e fuori dalle circostanze del mondo reale51, si tramuta in una strategia di resistenza e costituisce “ce qu’on peut appeler une décolonisation littéraire”52.