1.3. Terzo itinerario: Letteratura, spazio e sentieri che si biforcano
1.3.2. Primo cammino: Lo spazio della finzione, lo spazio del reale
Il rapporto tra il mondo reale e quello della finzione è già stato ampiamente presentato in tutta la sua sfuggevolezza, dovuta in parte alla ricca molteplicità di approcci e alla conseguente difficoltà di una sua definitiva sistematizzazione in un modello generale condiviso. Ancorché variamente interpretato, questo rapporto sembra essere comunemente accettato nella sua ineluttabilità: “il reale”, infatti, “è sempre il
terminus ad quem della rappresentazione”147. Benché un rapporto di equivalenza tra i diversi mondi sia inconcepibile, la prossimità tra essi può in alcune circostanze rivelarsi così forte da mettere in discussione la solidità delle singole ontologie: esemplare è il caso della Orange County californiana presa in esame da Soja nel saggio Thirdspace, dove lo spazio reale pare rincorrere e financo trasformarsi in uno spazio immaginario –
145
Giuliana Benvenuti, «Il protagonismo dello spazio», in il manifesto, 14 luglio 2009, p. 11.
146 Si fa qui riferimento alla distinzione tra “strategie” e “tattiche” operata da Michel de Certeau; cfr. de
Certeau, L’invenzione del quotidiano cit., p. 15.
o, secondo il neologismo coniato dall’autore, realandimagined148. Inoltre, come ricorda Silvia Albertazzi facendo riferimento all’aneddoto su Kafka raccontato dal narratore delle Brooklyn Follies di Paul Auster, tutte le narrazioni – o almeno quelle ben congeniate – hanno la capacità di creare menzogne in grado di convincere i lettori. In questo modo, i luoghi reali possono essere trasfigurati e sostituiti con spazi intrinsecamente falsi ma che appaiono “veritieri e credibili secondo le leggi della narrativa”149; anche quando riproducono fedelmente la realtà, questi spazi sono però sempre illusori.
La stretta connessione tra reale e finzione mina alle radici la stabilità della geografia come scienza empirica, che sembra piuttosto dimorare all’incrocio tra immaginario e razionalità. Non solo percepita, ma anche concepita e vissuta, la spazialità appare non tanto come una proprietà costitutiva del mondo, connaturata alla dimensione fisica del cosmo, ma, seguendo i dettami della teoria kantiana della conoscenza, si presenta come una categoria propria del soggetto: “l’espace ne devient représentation qu’à partir du moment où son ordre est en partie préfiguré par le sujet connaissant” 150. L’uomo riceve e produce allo stesso tempo l’insieme delle rappresentazioni spaziali: da un lato egli recepisce le impressioni sensibili esteriori, convertendole in idee; dall’altro proietta all’esterno i propri contenuti astratti, prefigurando la realtà materiale. Di conseguenza, i paesaggi fantastici che egli immagina non costituiscono sempre variazioni o dilatazioni del mondo oggettivo: i termini del rapporto tra referente reale e dato finzionale possono infatti essere invertiti, dando luogo a una generazione autonoma di finzioni geografiche che precedono, avviano e simboleggiano i luoghi reali. In quanto terreno di creazione o anticipazione della spazialità materiale, l’immaginazione, “dans certaines limites et à l’intérieur de certaines règles, peut bien être élevée au rang d’un instrument heuristique pour la connaissance de la nature”151.
Le “balle spaziali”152 dei racconti, ovvero le menzogne letterarie creatrici di luoghi, sono storicamente servite secondo Westphal a riempire i vuoti del mondo. In un
148 Sulla natura contemporaneamente reale e immaginaria di Orange County, cfr. Soja, Thirdspace cit.,
pp. 237-279.
149 Paul Auster in Albertazzi, In questo mondo cit., pp. 199-200.
150 Jean-Jacques Wunenburger, «Imagination géographique et psycho-géographie», in Wunenburger,
Poirier (eds.), Lire l'espace cit., p. 404.
151 Ivi, p. 414.
152 Si gioca qui con il senso dell’omonimo titolo italiano di un film parodico di Mel Brooks del 1987
tempo in cui la terra era ancora vergine e disseminata di spazi bianchi, il ricorso alla fabulazione rispondeva a un tentativo di arginare l’estensione dell’ignoto e di padroneggiare il favoloso e la paura a esso associata: così il mito greco, che crea poeticamente una cornice spaziale stabile e a misura d’uomo; così le narrazioni coloniali, che scaturiscono da quelle stesse “glories of exploration” in cui si perde il giovane Marlow conradiano, ossessionato dai “many blank spaces on the earth” che sono a un tempo “delightful myster[ies]” e “place[s] of darkness”153. Al contrario, l’epoca attuale, surmoderna secondo la definizione di Marc Augé, conosce un eccesso di spazio che si manifesta in campo narrativo attraverso l’onnipresenza del referente extratestuale: “[a]ll’ancora-vuoto di Omero è susseguito il troppo-pieno della geografia letteraria postmoderna”154, che se da un lato sembra costringere le maglie dell’immaginazione, dall’altro è tuttavia percorsa da una pulsione liberatoria che assume le forme di uno svuotamento, di un’erosione di questa pienezza attraverso la creazione di nuovi spazi che forzano il perimetro del mondo conosciuto e si disimpegnano rispetto alle costrizioni imposte dal referente attuale. Questi spazi “altri” possono collocarsi a grande distanza dalla realtà – come avviene nel caso dei mondi fantastici o di fantascienza –, ma possono anche essere apparentemente contigui o pienamente inseriti all’interno del mondo reale, costituendo veri e propri luoghi eterotopici che esplorano e danno forma a nuove virtualità dell’esistenza.
Le regioni immaginarie che si aprono all’interno della geografia reale consentono al lettore di proiettare i contenuti della conoscenza e della pratica spaziale concreta entro un universo fantastico; lo spazio della finzione cessa dunque di apparire come una terra remota, sconosciuta e potenzialmente minacciosa, e l’effetto di spaesamento è massimamente ridotto. Secondo Georges Thinès il più fortunato esempio di creazione di un mondo narrativo dove realtà e fantasia si rivelano inseparabili è rappresentato dal Wessex, la regione immaginaria in cui sono ambientate le principali opere di Thomas Hardy, che si estende sulla superficie di sei contee storiche dell’Inghilterra sudorientale. Questa complessa costruzione geografica, elaborata attraverso un meccanismo di trasformazione dei luoghi reali in località finzionali che conservano tuttavia un evidente legame con la toponimia attuale, non solo permette al lettore una maggiore opportunità di identificazione e di riconoscimento, ma conferisce allo scrittore la possibilità di
153 Joseph Conrad, Heart of Darkness, London, Penguin Books, 1994, pp. 11-12. 154 Westphal, Geocritica cit., p. 118.
mettere in gioco, nell’atto della creazione immaginaria, il proprio mondo interiore e la propria esperienza vissuta: “Le fait de rebaptiser des lieux proches garantit leur éloignement et favorise leur manipulation imaginaire, tout en préservant le concret du souvenir et la sécurité intime qui s’y attache” 155. La prossimità tra la finzione e il reale, messa in evidenza dal realismo descrittivo applicato al trattamento dello spazio, rischia nondimeno di ingannare il lettore e il critico, che possono erroneamente interpretare i racconti come cronache obiettive di precisi agglomerati e di avvenimenti concreti. Esemplare in questo senso è la decisione di Alberto Manguel e Gianni Guadalupi di escludere dalla loro trattazione sui luoghi immaginari quelle località come il Wessex di Hardy, la Yoknapatawpha di William Faulkner e il Barchester di Anthony Trollope che costituiscono, secondo loro, delle semplici maschere della realtà, dei travestimenti pseudonimi che “esistono”: “they can indeed be visited and are mapped in the real world, […] the authors looked upon real landscapes and installed on these landscapes their visions: the characteres, the actions, [are] imaginary – not the places”156. Tale impostazione metodologica si rivela oltremodo superficiale: i luoghi letterari non sono mai genuine rappresentazione dello spazio reale. In accordo con la più articolata metodologia che sostiene la simile categorizzazione compiuta da Anna Ferrari157, i paesaggi immaginari devono piuttosto essere colti in bilico tra identità e diversità rispetto al mondo concreto, senza dimenticare però che essi non sono mai “totalmente altri”, né possono in alcun modo vantare una “corrispondenza precisa” all’interno di una qualsiasi carta geografica.
Una pratica interpretativa che metta in comunicazione la letteratura e il mondo può definirsi, secondo Susan Stanford Friedman, “spazializzata”. Applicando la spazializzazione della parola promossa da Julia Kristeva158 all’intero campo della
155 Georges Thinès, «La description des géographies imaginaires»,in Wunenburger, Poirier (eds.), Lire
l'espace cit., p. 215.
156 Alberto Manguel, Gianni Guadalupi, «Foreword», in Id., The Dictionary of Imaginary Places, New
York, Macmillan Publishing Co., 1980, n.p. Gli stessi curatori, in verità, riconoscono la problematicità implicita in una scelta così categorica; essi precisano infatti: “here our definition of ‘imaginary’ grew diffuse”, in ivi.
157 Cfr. l’introduzione dell’autrice al Dizionario dei luoghi letterari immaginari, Milano, Utet, 2007, pp.
vii-xiii.
158 “[F]or Kristeva, spatialization constitutes the text as a verbal surface or place in which both space and
time, synchrony and diachrony, function as coordinates for textual activity. […] She graphs these intersections by identifying the text’s ‘three dimensions or coordinates’ as the writing subject, the addressee, and exterior texts”, in Susan Stanford Friedman, «Spatialization: A Strategy for Reading Narrative», in Narrative, I, 1, p. 13.
narrativa ed elaborando la nozione del doppio cronotopo bachtiniano159, la studiosa americana propone una strategia ermeneutica basata sull’intersezione di due coordinate: un asse narrativo orizzontale, relativo ai movimenti lineari dei personaggi nel tempo e nello spazio del racconto; e un asse narrativo verticale, relativo al tempo e allo spazio occupato dallo scrittore e dai lettori. Pensare la letteratura in termini spaziali significa enfatizzare la natura interattiva dei processi narrativi, adottando un approccio relazionale che lega il testo al suo contesto di produzione e ricezione e che permette di individuare le “political resonances that traverse the text […] interlocking narratives of race, gender, class, ethnicity, sexuality, religion, and so fort – stories, in other words, that reproduce, subvert, and otherwise engage with the dominant and marginalized cultural scripts of the social order”160. Le strategie interpretative di Kristeva prima e Friedman poi fanno appello al campo semantico dello spazio per descrivere metaforicamente letture relazionali non necessariamente finalizzate all’interrogazione del dato spaziale in letteratura; nondimeno, pare possibile “spazializzare” la spazialità dei racconti, ovverosia mettere in comunicazione i luoghi immaginari (il succitato asse orizzontale) con quelli del mondo reale (asse verticale) al fine di rivelare quello spazio “terzo” che emerge negli interstizi tra spazi rappresentati e spazi di rappresentazione. Il fatto letterario acquista così un potenziale euristico aggiuntivo, e si dimostra imprescindibile anche in sede di ricerca geografica.
La letteratura costituisce un oggetto di studio fondamentale per il “geografo umanista”161, che può scorgere in essa le preferenze, le conoscenze, le pratiche ambientali e le geografie personali di un soggetto finzionale che almeno in parte rappresenta l’individuo del mondo attuale. Il rapporto tra “fatto e finzione, geografia e letteratura” genera secondo Fabio Lando cinque approcci generali ai testi narrativi162. Una prima modalità di studio verte sull’esame del contenuto geografico-descrittivo dei racconti, al di là di qualsiasi considerazione di ordine estetico: è possibile così
159 “[N]ell’articolazione delle opere dell’età moderna si prendono in considerazione sia i cronotopi del
mondo raffigurato, sia quelli dei lettori e dei creatori delle opere, cioè si compie l’interazione del mondo raffigurato e di quello raffigurante. Quest’interazione si svela con grande chiarezza anche in alcuni momenti compositivi elementari; ogni opera ha un principio e una fine […] ma questi principi e queste fini si trovano in mondi diversi, in cronotopi diversi, che non possono mai fondersi o identificarsi e che nello stesso tempo sono correlati e indissolubilmente legati tra loro”, in Bachtin, «Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo» cit., p. 402.
160
Friedman,«Spatialization» cit., p. 17.
161 Cfr. Fabio Lando (ed.), Fatto e finzione. Geografia e letteratura, Milano, ETAS Libri, 1993, pp. 3-4. 162 Cfr. ivi, pp. 1-16, nonché le introduzioni alle cinque parti del volume (pp. 19-24, 107-114, 181-190,
confrontare direttamente le regioni reali con quelle finzionali, e utilizzare il dato letterario nel tentativo di determinare la personalità, l’individualità dei luoghi descritti. Secondariamente, è possibile avvicinare romanzi, racconti e poesie “per comprendere le basi territoriali della soggettività umana […]. In altri termini, la forza della letteratura sarebbe quella di sapere ben amalgamare l’oggettività (fattuale-geografica) con la soggettività (culturale-umana): due elementi che appunto attraverso di essa si completano trasmettendoci quello che viene in genere definito […] il senso del
luogo”163. Le opere narrative possono poi essere interpretate come testimoni di quel processo di fissazione culturale tramite il quale l’uomo imprime i propri valori sul territorio, trasformandosi in vero e proprio creatore di spazio. Il processo di territorializzazione rende a loro volta evidenti quei legami interiori che connettono gli individui al paesaggio, che da landscape fisico si trasforma in inscape, paesaggio della mente percorso da sentimenti soggettivi di topofilia o topofobia, radicamento o alienazione. Infine, il testo letterario può essere letto come documento sociale all’interno del quale si riflette la conoscenza e la coscienza territoriale di un’intera società.