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Crocevia: Intersezioni tra spazio e letteratura

1.3. Terzo itinerario: Letteratura, spazio e sentieri che si biforcano

1.3.1. Crocevia: Intersezioni tra spazio e letteratura

La fabbricazione di mondi narrativi non risponde a un semplice passatempo linguistico. Sebbene il richiamo della teoria letteraria alle pratiche combinatorie123 che sovrintendono alla costruzione dei mondi faccia apparire i testi quasi come il prodotto di un gioco di mattoncini assemblabili, e nonostante la stessa esperienza del lettore all’interno dei territori della finzione sia stata rapportata alle forme del gioco

121 Italo Calvino, «I livelli della realtà in letteratura», in Id., Una pietra sopra, Milano, Mondadori, 2002,

pp. 376-377.

122

Vladimir Nabokov, Lezioni di letteratura, Milano, Garzanti, 1992, p. 35, citato in Bertoni, Realismo e

letteratura cit., p. 112.

123 Si fa qui riferimento ai ways of worldmaking descritti da Goodman nel suo omonimo saggio; cfr. in

infantile124, la fabulazione è riconosciuta come funzione antropologica della specie umana, atto comunicativo e conoscitivo che permette la trasmissione dell’esperienza e l’attribuzione di significato al mondo abitato. L’impulso narrativo è così primigenio e universale che è possibile sostenere insieme al paleontologo Stephen Jay Gould che “we are storytelling creatures and should have been named Homo narrator […] rather than the often inappropriate Homo sapiens”125. L’uomo non crea però solamente universi della parola; egli è infatti artefice del suo stesso mondo, agendo più precisamente sulla dimensione della spazialità attraverso pratiche e rappresentazioni: “we are, and always have been, intrinsically spatial beings, active participants in the social construction of our embracing spatialities”126. Homo narrator, quindi, ma allo stesso tempo anche homo

spatiator: un uomo che racconta e che cammina, non tanto per abbandonarsi a un

errabondo vagabondare (come indica l’accezione prevalente del termine latino

spatiator), ma per attuare quelle “pratiche urbane” attraverso le quali lo spazio si

organizza e si realizza, concretamente in forma di geometrie e traiettorie e simbolicamente in forma di racconti e leggende127. Se è dunque possibile affermare che i luoghi sono, o quantomeno raccontano, storie128, si può allo stesso tempo sostenere che i racconti costruiscono luoghi e implicano necessariamente un mondo dotato di estensione spaziale. Così, secondo Ryan, è sempre possibile proiettare le vicende narrate su un palcoscenico immaginario, anche quando non compaiono precise informazioni spaziali e l’estensione dell’intreccio è ridotta alle dimensioni minime esemplificate da Forster: “The king died, and then the queen died of grief”129. Questo esempio è tuttavia sintomatico della tradizionale secondarietà accordata alla dimensione spaziale rispetto a

124 Si fa qui riferimento alla teoria del make-believe elaborata da Walton; cfr. Walton, Mimesis as make-

believe cit.

125 Stephen Jay Gould, «So Near and Yet So Far», in The New York Review of Books,20October 1994,

p.26.

126 Soja, Thirdspace cit., p. 1. 127

Sulle “retoriche podistiche” che presiedono alla spazialità urbana, cfr. il capitolo “Camminare per la città” in de Certeau, L’invenzione del quotidiano cit., pp. 143-167.

128 È ancora de Certeau a riconoscere che “[i] luoghi sono storie frammentarie e ripiegate, passati sottratti

alla leggibilità da parte di altri, tempi accumulati che possono dispiegarsi ma sono là piuttosto come racconti in attesa e restano allo stato di scarti, di simbolizzazioni incistate nel dolore o nel piacere del corpo”; cfr. ivi, p. 165. Silvia Albertazzi, prendendo a prestito le parole del narratore del film Dopo

mezzanotte di Davide Ferrario, ricorda invece che “[f]orse sono i luoghi che raccontano le storie nella

maniera giusta”; cfr. Silvia Albertazzi, In questo mondo: ovvero quando i luoghi raccontano le storie, Roma, Meltemi, 2006, p. 10.

129 Cfr. Marie-Laure Ryan, «Space», in Hühn, Peter et al. (eds.), the living handbook of narratology,

Hamburg, Hamburg University Press, par. 2, n.p. URL: hup.sub.uni-hamburg.de/lhn/index.php?title= Space&oldid=8 88.

quella temporale: l’intreccio minimo forsteriano sembra infatti non potere prescindere dall’esplicitazione dello sviluppo delle azioni nel tempo (ovvero da quel “then” che insieme cadenza e lega le due scene del racconto), laddove l’assenza di qualsiasi riferimento ai luoghi della storia sembra rispondere alla concezione di uno spazio come semplice accessorio, superfluo scenario decorativo che ogni lettore può autonomamente figurarsi.

Sebbene nel corso del ventesimo secolo la spazialità sia stata pienamente riconosciuta dalle scienze umane come coordinata fondamentale dell’esperienza e si sia così assistito, nel campo degli studi culturali, alla conseguente riconfigurazione delle metodologie di indagine, la teoria e la critica letteraria sono state tra le più tardive a “consacrare tempo allo spazio e […] fare spazio allo spazio-tempo”130. Nei primi decenni del Novecento prevale ancora la dimensione temporale, grazie anche alla profonda influenza del pensiero filosofico di Bergson, e lo spazio è o ignorato, ridotto a mero contenitore di eventi che si succedono nel tempo, o strumentalmente utilizzato quale campo metaforico che fornisce immagini attraverso le quali descrivere la struttura, l’organizzazione e lo stile delle opere narrative (esemplare è la “house of fiction” tratteggiata da Henry James nella prefazione al terzo volume della New York Edition contenente il suo romanzo The Portrait of a Lady). Per una più consapevole riflessione sul significato della dimensione spaziale in letteratura bisognerà attendere la fine della prima metà del secolo, quando Michail Bachtin elabora il concetto di “cronotopo” (nel saggio scritto tra il 1937 e il 1938 intitolato Le forme del tempo e del cronotopo nel

romanzo) e Joseph Frank introduce la nozione di spatial form (all’interno delle tre parti

che compongono lo studio del 1945 Spatial Form in Modern Literature). Nonostante la formulazione bachtiniana possa essere considerata come “il momento di massima apertura di credito allo spazio cui abbia assistito il Novecento della critica”131 e la proposta di Frank rappresenti un rovesciamento radicale della concezione estetica leibniziana a favore del riconoscimento della natura spaziale delle opere letterarie, queste due teorizzazioni non mancano di mostrare i propri limiti: il cronotopo, per stessa ammissione di Bachtin132, vede il tempo prevalere sullo spazio, al quale infonde

130 Westphal, Geocritica cit., p. 42. 131

Giulio Iacoli, «Il critico e le dense trame del mondo. Ritrovare La production de l'espace di Henry Lefebvre», in La società degli individui,35,2009, pp. 145-146.

132 “Si può dire senza ambagi che il genere letterario e le sue varietà sono determinati proprio dal

senso e misura; la spatial form di Frank, come rileva Ryan, costituisce invece una nozione prevalentemente metaforica, estensibile al di fuori del precinto della letteratura “to any kind of design formed by networks of semantic, phonetic or more broadly thematic relations between non-adjacent textual units”133. Solo a partire dagli anni Sessanta vengono formulate più ampie e sistematiche teorie umanistiche e letterarie, quali la poétique de l’espace di Gaston Bachelard (1957), l’imagologia di Hugo Dyserinek (1966)134, la geopoetica di Kenneth White (a partire dalla fine degli anni Settanta)135 e, più recentemente, l’ecocritica136. Lo spatial turn continua tuttavia a caratterizzare soprattutto il campo degli studi culturali: sul finire dello scorso secolo la teoria letteraria non ha infatti ancora interamente ripensato la sua portata e le sue prospettive critiche alla luce del riordinamento ontologico ed epistemologico tra spazialità, storicità e società. Persistono così approcci di retaggio strutturalista, che considerano lo spazio come specifica coordinata testuale, o, al contrario, ricerche che spostano la relazione tra opere narrative e luoghi sulla linea di congiunzione tra testo ed extratesto, analizzando il legame tra spazi rappresentati e spazi biografici dell’autore; si assiste inoltre all’estensione metaforica della categoria spaziale, che viene applicata in sede di indagine letteraria giungendo a promuovere la creazione di mappe e cartografie che si dimostrano tuttavia incapaci di rivelare altro dalla semplice possibilità di congiunzione semantica tra spazi e testi137.

Bachtin, «Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo», in Id., Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 2001, p. 232.

133

Ryan, «Space» cit., par. 21, n.p.

134 “[C]aposaldo della metodologia comparatistica”, gli studi imagologici esaminano in prospettiva

interdisciplinare i processi di formazione dell'immagine dell'Altro all'interno dei testi letterari, rilevando a un tempo gli “eterostereotipi” sull'Altro e i rispettivi “autostereotipi” del sé; cfr. Manfred Beller, «Imagologia», in Michele Cometa, Dizionario degli studi culturali, Meltemi, Roma 2004, pp. 225-230.

135 La géopoétique si configura come una “teoria-pratica” che investe transdisciplinarmente i campi del

sapere al fine di elaborare, in modo volutamente asistematico ma forse eccessivamente confuso, “une pensée, une vision, une expression concernant le rapport entre l’être et la terre”; cfr. Kenneth White, «De la géopoétique. Exploration, expérience, écriture», in Jean-Jacques Wunenburger, Jacques Poirier (eds.),

Lire l'espace, Bruxelles, Éditions Ousia, 1996, pp. 269-286, e il sito internet www.geopoetique.net.

136 Nato tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta nel continente nordamericano,

l’ecocriticism può essere sommariamente definito come lo studio delle relazioni tra la letteratura e il mondo inteso non come insieme di relazioni sociali, ma come ecosfera, ambiente fisico; cfr. Cheryll Glotfelty, «Introduction: Literary Studies in an Age of Environmental Crisis», in Cheryll Glotfelty, Harold Fromm (eds.), The Ecocriticism Readers: landmarks in literary ecology, Athens, University of Georgia Press, 1996, pp. xv-xxxvii.

137

“The ‘mapping’ of this and the ‘cartographies’ of that, and the landscape or city as ‘text’, promised to reveal new dimensions of spaces and texts but ultimately failed to do any more than indicate that each was ‘a bit like’ the other”, in Miles Ogborn,«Mapping Words», in New Formations, 57, 2005-2006, p. 145.

Diversamente da questi tre orientamenti critici, che favoriscono una visione statica del rapporto tra spazio e letteratura (poiché riducono il primo a costante testuale, a referente stabile extratestuale o a metafora), le prospettive metodologiche che prevalgono nel nuovo millennio guardano allo spazio e alle opere narrative in parallelo, non fermandosi all’apparente distanza tra queste due dimensioni ma evidenziando la tensione dinamica che intercorre tra esse, perché “dove vi è parallelismo vi è giocoforza una relazione […] anche due rette parallele, pur non incrociandosi mai, sono situate una rispetto all’altra”138. La genealogia di questi nuovi approcci può essere fatta risalire, secondo Ogborn, alle interpretazioni marxiste del postmodernismo che convergono in alcuni studi geografici e letterari a partire dalla fine degli anni Ottanta, dove si sostiene che la trasformazione contemporanea della natura del tempo e dello spazio “[is] not so much represented in literature (or cinema) but manifest there just as it might be manifest in the shape of the city or the experience of post-Fordist production regimes”139. Anziché fermarsi al solo studio della rappresentazione letteraria dei referenti spaziali, le più recenti metodologie di indagine sono piuttosto interessate alla geografia storica materiale dei testi o alla congiunzione tra il significato delle opere letterarie e gli spazi narrati. Al primo indirizzo rispondono le ricerche sulla materialità dell’oggetto libro (che prendono in considerazione le sue caratteristiche fisiche, i sistemi di produzione e le geografie di distribuzione) e le analisi delle pratiche spaziali che presiedono all’approccio del lettore ai testi narrativi (che riservano particolare attenzione alle modalità di lettura e alle attività performative tramite le quali i libri prendono vita e acquisiscono significato). Il secondo indirizzo è invece perseguito dagli studi rivolti all’individuazione di un’estetica formale condivisa da testi e spazi (seguendo il modello in nuce di de Certeau, è per esempio possibile tracciare un immaginario urbano che si esprime contemporaneamente e analogamente attraverso il reticolo delle parole scritte sulla pagina e i movimenti dei corpi nella città) e da quelle prospettive critiche che muovono dall’idea che spazi e testi siano produzioni culturali, costruzioni sociali che si influenzano reciprocamente (e che pertanto considerano ciò che affiora dall’opera letteraria come “la risultante di un processo discreto di decifrazione dello spazio stesso nei contesti storici che lo inquadrano e lo definiscono, di analisi delle pratiche spaziali

138 Westphal, Geocritica cit., p. 133. 139 Ogborn,«Mapping Words» cit., p. 146.

mediante le quali una società secerne il suo spazio”140). È all’interno di questo secondo indirizzo che si inserisce la géocritique di Bertrand Westphal (2007), che, affrontando direttamente la questione della trasformazione dello spazio (di cui Foucault, Lefebvre e Soja rappresentano i presupposti teorici) e ripensando la relazione tra l’oggetto referente inserito nel mondo reale e la rappresentazione artistica che compone il mondo narrativo (sulla base della teoria dei fictional worlds di Pavel), si è recentemente imposta come il tentativo più elaborato di riconfigurazione in senso spaziale di una teoria e di un metodo critico letterari141.

Giunti al secondo decennio del ventunesimo secolo sembra possibile scorgere, nell’ambito degli studi letterari, una sempre maggiore consapevolezza della necessità di delineare una nuova geografia letteraria intesa come campo interdisciplinare in cui “raccordare una trama portante – il delinearsi dello spazio nei testi affrontati, il nesso spazialità-essere che essi configurano e rendono per così dire tangibile, percepibile tra le righe – al tempo che la sottintende e la rende visibile”142 e al rapporto tra materialità, storia e potere – esaminando dunque i modi in cui la geografia, le rappresentazioni e le pratiche spaziali influenzano le forme e gli stili narrativi. Di questa “critical literary geography”, parzialmente percorsa dai singoli approcci letterari alla spazialità ma che ancora deve essere coerentemente organizzata, è possibile individuare insieme a Thacker quattro premesse fondamentali143. In primo luogo, essa deve fare attenzione all’uso di metafore spaziali, che non devono essere né rifiutate, né banalmente sfruttate – correndo il rischio di fare apparire lo spazio come un “empty containers in which all objects or events can be located”144 –, ma coscientemente utilizzate al fine di rivelare la reciproca implicazione di spazi reali e spazi metaforici. Secondariamente, essa deve occuparsi del rapporto tra le rappresentazioni dello spazio e gli spazi di rappresentazione, ovvero tra l’espace conçu e l’espace vecu lefebvriani, le organizzazioni ufficiali dello spazio e le sue concezioni estetiche non ufficiali, lo spazio

140 Iacoli, «Il critico e le dense trame del mondo» cit., p. 147.

141 Cfr. Bertrand Westphal, «La geocritica, un approccio globale agli spazi letterari», in Flavio Sorrentino

(ed.), Il senso dello spazio. Lo spatial turn nei metodi e nelle teorie letterarie, Roma, Armando Editore, 2010, pp. 115-125.

142

Giulio Iacoli, La percezione narrativa dello spazio. Teorie e rappresentazioni contemporanee, Bologna, Carocci, 2008, p. 23.

143 Cfr. Andrew Thacker, «The Idea of a Critical Literary Geography», in New Formations cit., pp. 62-65. 144 Ivi, p. 62.

“pensato, progettato” e quello “immaginato, simbolizzato”145. In terzo luogo, è necessario esplorare la relazione tra spazi di rappresentazione e forme narrative, esaminando sia i modi in cui gli spazi sociali modellano l’architettura del testo letterario (favorendo per esempio l’adozione di finali aperti o di strutture circolari), sia le stesse caratteristiche spaziali della letteratura (come l’impaginazione o i caratteri tipografici adottati). Infine, occorre investigare il ruolo e la frequenza all’interno dei testi di carte e mappe che concorrono a trasformare i luoghi in personaggi della narrazione e guidano il coinvolgimento del lettore nei confronti degli spazi materiali che rappresentano.

Considerata l’assenza di un tragitto univoco e già pienamente strutturato relativo a questa nuova geografia letteraria critica, lo studioso intenzionato a percorrere la relazione tra spazio e scrittura si troverà innanzi a un crocevia da cui si dipanano numerosi cammini. Quelle che seguono rappresentano soltanto alcune rapide incursioni, “tattiche” perché frammentarie e incapaci di cogliere nella sua interezza il rapporto tra letteratura e spazio, eppure “strategiche”146, perché richiedono di tesaurizzare le nozioni acquisite per poterle successivamente ordinare e utilizzare per l’indagine a venire.