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Multifocalizzazione sullo spazio concepito

2.3. Rappresentazioni dello spazio indiano: Il villaggio e la città

2.3.1. Multifocalizzazione sullo spazio concepito

Il processo di esplorazione dello spazio di Malgudi precedentemente avviato, a un tempo “verticale” (perché muove dal cronotopo della macro-opera al cronotopo dell’autore e dei lettori) e lefebvriano (perché fondato sull’idea di spazio come prodotto sociale contemporaneamente percepito, concepito e vissuto), conduce ora a oltrepassare i confini del mondo narrativo e a interrogare le rappresentazioni dello spazio indiano al quale l’immaginaria cittadina si rivolge. Essendo Malgudi sprovvista di un referente diretto, territorialmente circoscritto e rigidamente designato, ma inserita al centro di un mondo tripartito, l’interazione che essa stabilisce con il reale può essere avvicinata a partire dallo studio delle rappresentazioni delle forme spaziali alle quali i paesaggi narrativi a essa circostanti fanno riferimento e dalle quali essa si differenzia: il villaggio e la città, oggetto delle costruzioni ideologiche sulle quali si fondano il progetto imperiale prima e la nazione indipendente poi. I territori precedentemente individuati all’interno del mondo finzionale – il “distretto” e il “mondo” di Malgudi – sono infatti caratterizzati da una simbolicità non immediata che, recuperando le parole di Cesare Segre sul rapporto tra scrittore ed esperienza, “non rinvia a referenti reali, ma ad una realtà dedotta da una generalizzazione di referenti (e di relazioni tra referenti) affini”133, ovvero alle “categorie referenziali” del villaggio e della città che saranno esaminate in questo paragrafo.

132 Id., Mr Sampath cit., pp. 11-12.

La dialettica tra spazio e potere sarà indagata, in termini di rappresentazione e contro- rappresentazione, a partire dalle idee di villaggio e città elaborate nel corso dell’esperienza coloniale e imperiale britannica nel subcontinente indiano. La geografia dell’India contemporanea, infatti, porta ancora su di sé non solo i segni fisici della dominazione territoriale (basti pensare alle cicatrici – o, meglio, alle ferite – della linea Radcliffe), ma anche le tracce della violenza epistemica operata in tempo coloniale da una madrepatria che si concepisce come unica fonte di intelligibilità sull’Oriente e il cui “life-giving power represents, animates, constitutes the otherwise silent and dangerous space beyond familiar boundaries”134 – spazio in verità abitato da un soggetto nativo costretto a interpretare il proprio mondo attraverso le nozioni e gli strumenti di conoscenza forniti dal colonizzatore. Le diverse, talvolta contrastanti elaborazioni discorsive che si sono succedute nel corso degli oltre trecento anni di dominio inglese – dalla supremazia commerciale della Compagnia delle Indie Orientali alla sovranità politica e amministrativa del British Raj – hanno quindi contribuito a trasformare, di volta in volta, il paesaggio immaginato in geografia reale secondo i parametri congruenti al progetto imperiale. In aggiunta, questo “set of durable ideas” elaborato nel campo dell’orientalismo britannico ha posto ai soggetti coloniali “a set of constraints upon and limitations of thought”135 tale che anche le contro-rappresentazioni che hanno sostenuto in forma teorica il movimento di opposizione anticoloniale e sulle quali si è strutturata la costruzione ideologica della nascente nazione indiana hanno continuato a recare le tracce dell’episteme orientalista. Lo sguardo diacronico adottato, che attraversa due secoli e tre grandi fasi storiche (l’epoca coloniale, la decolonizzazione e l'era postcoloniale), permette così di rivelare le interconnessioni tra i principali modelli ideali di villaggio e città proposti in ambito indiano che informano lo spazio letterario creato da Narayan.

La presente indagine segue una dinamica multifocale in senso geocritico, nella misura in cui si prefigge di descrivere non un’unica visione singolare, ma un’eterogenea, seppure limitata, pluralità di rappresentazioni dello spazio indiano. I punti di vista osservati corrispondono tuttavia meno a sguardi soggettivi e privati e più a concezioni generali condivise all’interno di ampi contesti socio-culturali, e lo spazio di riferimento è ugualmente meno tangibile e conchiuso e più astratto e versatile. In altre parole, se la

134 Said, Orientalism cit., p. 57. 135 Ivi, p. 42.

multifocalizzazione teorizzata da Westphal ha perlopiù a che fare con l’analisi sincronica di distinti sguardi autoriali su precise entità spaziali136, quella messa in pratica in questo contesto è funzionale all’esame diacronico delle interpretazioni della forma e del concetto di villaggio e città che permeano e sostentano il discorso – inteso come luogo della produzione di potere e sapere – coloniale, nazionalista, postcoloniale e antropologico. Inoltre, le nozioni di endogenità ed esogenità dei punti di vista avanzate dalla geocritica sono in questo caso utilizzate in un’accezione ampia: laddove la prima rinvia secondo Westphal alla “visione autoctona e familiare dello spazio, refrattaria a ogni intento esotico” e la seconda è improntata “all’esotismo, è quell[a] del viaggiatore”137, l’ibrida situazione coloniale e postcoloniale non permette di applicare letteralmente queste designazioni alle concezioni spaziali interrogate. Le rappresentazioni elaborate dall’orientalismo europeo e dall’amministrazione coloniale, che saranno definite “esogene” a causa del loro più o meno esplicito intento esotizzante e della continuità ideologica con la madrepatria, potrebbero infatti essere reputate altrettanto “endogene” – ovvero, etimologicamente, nate in casa, indigene – quando prodotte direttamente sul territorio indiano a opera dell’élite imperiale; viceversa, quelle nazionaliste e postcoloniali, “endogene” perché concepite dai leader politici e dagli intellettuali indiani, presentano allo stesso tempo elementi “esogeni” – ovvero provenienti dall’esterno – a causa dell’inconsapevole recupero dei fondamenti ideologici delle rappresentazioni egemoniche orientaliste e imperiali.

In prospettiva, il percorso attraverso lo spazio concettualizzato dell’India rurale e urbana che si compirà nelle pagine seguenti permetterà di individuare il “tessuto reticolare dei punti di vista” che costituisce “una sorta di archi-testo […] di uno spazio referenziale”138, la cui traduzione artistica in forma di villaggi e città appartenenti al distretto e al mondo di Malgudi sarà considerata nel quarto e ultimo paragrafo di questo capitolo al fine di attestare lo status peculiare della cittadina all’interno del paesaggio letterario e in relazione alla sua interazione con il reale.

136 Cfr., per esempio, lo studio di Amy Wells-Lynn sulla parigina rue Jacob attraverso lo sguardo delle

scrittrici Djuna Barnes, Natalie Barney e Radclyffe Hall, in Amy Wells-Lynn, «The Intertextual, Sexually-Coded Rue Jacob: A Geocritical Approach to Djuna Barnes, Natalie Barney, and Radclyffe Hall», in South Central Review, XXII, 3, 2005, pp. 78-112.

137 Westphal, Geocritica cit., pp. 178-179. 138 Ivi, p. 182.