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Terzo cammino: Lo spazio nel racconto

1.3. Terzo itinerario: Letteratura, spazio e sentieri che si biforcano

1.3.5. Terzo cammino: Lo spazio nel racconto

Percorrere il paesaggio narrativo nella sua estensione e testualizzazione significa da un lato calarsi nell’ambiente dove i personaggi del racconto vivono e si muovono, verificandone i confini, sfiorandone gli oggetti, sperimentandone le condizioni di vita e facendosi sospingere dalla dimensione temporale che lo sottende187; dall’altro,

183 Id., «Spatial Form in Modern Literature: An Essay in Three Parts», in The Sewanee Review, LIII, 4,

1945, p. 653.

184

Franco Moretti, «Spazio e stile, geografie dell’intreccio e storie del Terzo», in Sorrentino (ed.), Il

senso dello spazio cit., p. 69. Il saggio riprodotto nel volume di Sorrentino riunisce alcuni passaggi del

lungo saggio di Moretti Atlante del romanzo europeo. 1800-1900 (Torino, Einaudi, 1997); i capitoli da cui sono tratti i brani pubblicati in Sorrentino sono: Interludio teorico: I. Spazio e stile (pp. 43-51),

Interludio teorico: II. Geografia dell’intreccio (pp. 74-77), e Interludio teorico: III. Storie del Terzo (pp.

109-114).

185 Ivi, p. 76 (corsivo originale).

186 Cfr., a partire dal suo stesso titolo, il saggio di Silvia Albertazzi In questo mondo: ovvero quando i

luoghi raccontano le storie, cit.

187 Cfr. i parametri che secondo Sabine Buchholz e Manfred Jahn caratterizzano lo spazio narrativo, in

Sabine Buchholz, Manfred Jahn, «Space in Narrative», in Herman, Jahn, Ryan (eds.), Routledge

adottando una prospettiva più elevata rispetto alle trame dell’intreccio, equivale a determinare i modi particolari in cui questo spazio si dispone agli occhi del lettore, individuando la funzione e l’eventuale significato simbolico delle forme di tale presentazione.

Lo spazio interno ai racconti analizzato in sede narratologica si organizza, secondo Marie-Laure Ryan, in una successione di spatial frames (le immediate vicinanze degli eventi narrati) racchiusi entro un setting (l’ambiente sociale, storico e geografico che circoscrive l’intero testo e nel quale le diverse azioni hanno luogo). L’insieme delle diverse cornici spaziali formano lo story space (lo spazio rilevante per l’intreccio, che consiste nella somma dei luoghi percorsi dai personaggi nel corso delle loro azioni – gli spatial frames – e dei loro pensieri – le località menzionate nel testo che non fungono come teatro di eventi), il quale a sua volta contribuisce a costruire il

narrative o story world (lo spazio del racconto concepito all’interno dell’immaginazione del lettore come un insieme coerente, ontologicamente compatto ed esistente come autonoma entità geografica, sebbene finzionale). Il mondo considerato “reale” dai personaggi della finzione e i diversi mondi controfattuali che essi fabbricano sotto forma di credenze e ipotesi, speranze e paure, sogni e fantasie costituiscono infine il narrative universe188.

Il modello proposto da Ryan recupera e in parte modifica la terminologia precedentemente impiegata da Ruth Ronen, per la quale il concetto di frame rinvia a precise località che coincidono con le espressioni testuali che direttamente (attraverso esplicita descrizione) o indirettamente (attraverso la descrizione di oggetti inseriti nel luogo o che ne costituiscono i confini) costruiscono il paesaggio immaginario. Il setting, invece, rappresenta l’insieme dei luoghi che formano il “centro topologico” del racconto, e riunisce le sole cornici che appaiono centrali e “reali” all’occhio dei personaggi. Ronen avanza poi una triplice classificazione dei frames, suddividendoli in base al loro grado di immediatezza rispetto alle vicende narrate (si distinguono frames che compongono il setting e frames secondari, distanti o inaccessibili), al loro grado di realtà, e alle loro proprietà (ogni frame è costituito da caratteristiche materiali – quali forma, dimensione, colore, funzione, ecc. – e da caratteristiche che rimandano alla

natura delle situazioni che si verificano al loro interno – che possono essere convenzionali, stereotipate, o non convenzionali, singolari)189.

Analisi di questo tipo, indubbiamente finalizzate all’esplorazione delle caratteristiche e del ruolo della dimensione spaziale dei testi ma che rischiano nondimeno di mostrare lo spazio come mero incrocio di piani e volumi, possono essere affiancate da prospettive dalla matrice più marcatamente antropologica, che esaminano cioè lo spazio diegetico a partire dalla sua relazione con il soggetto umano. Gianfranco Rubino introduce per esempio una tassonomia degli spazi raffigurati che distingue tra espace humanisé e

espace non humanisé: il secondo, che ricorre con minore frequenza, è alla base del

cosiddetto “roman de la nature, peuplé de communautés peu nombreuses et très pauvres en bâtiments”190, che, per non ricadere in un grado zero di narratività, sposta l’azione verso l’interiorità dei solitari protagonisti, o verso soggetti diversi dai personaggi tradizionali – come gli animali o i fenomeni naturali. Lo spazio umanizzato è invece quello che prevale, non solo nel tessuto del nostro mondo, ma, di riflesso, anche all’interno di romanzi e racconti. Il suo apogeo è rappresentato dalla città, luogo per eccellenza del culturale, dell’abitato e del costruito, e all’interno del quale si annodano e sciolgono gli intrighi. Offrendo un vasto campionario di tipi umani e situazioni, la città possiede una notevole “puissance d’affabulation”, tanto che “[o]n serait même tenté de se demander s’il peut y avoir au vingtième siècle du romanesque véritable en dehors de l’atmosphère métropolitaine”191.

Poiché attraversano e organizzano i territori del vissuto quotidiano, ne esplorano le capacità affabulatorie e selezionano e congiungono tra loro i luoghi tramutati in parole e frasi, i racconti si rivelano veri e propri “percorsi di spazi”, o meglio “esperienz[e] dello spazio”192. La narrazione non si limita infatti a riprodurre il mondo sensibile, ma lo pratica, lo trasforma e lo struttura, mettendo alla prova una geografia prestabilita i cui confini vengono a un tempo fissati e trasgrediti e la cui conformazione è continuamente scomposta e nuovamente assemblata. Il racconto è assai più che una semplice descrizione: esso è un “atto culturalmente creativo”, che possiede “un potere distributivo e una forza performativa (fa ciò che dice)”193. Esaminare la testualizzazione

189 Cfr. Ruth Ronen, «Space in fiction», in Poetics Today, VII, 3, 1986, pp. 421-438. 190

Rubino, «Espaces naturels/espaces culturels dans le roman français du XX ͤ siècle» cit., p. 184.

191 Ivi, p. 186.

192 de Certeau, L’invenzione del quotidiano cit., pp. 173-174. 193 Ivi, p. 183.

dello spazio, ovvero le “various techniques of space presentation”194 messe in campo all’interno del testo letterario, diventa quindi fondamentale ai fini di un discorso esauriente sulla spazialità dell’opera, perché permette di cogliere maggiormente la funzione e il significato della sua dimensione spaziale. Tra le possibili tecniche di presentazione dello spazio Ryan menziona gli effetti di zooming, relativi all’aumento e alla riduzione della distanza tra la posizione dell’osservatore e la collocazione sulla scena degli eventi narrati – che possono per esempio essere posti in primo piano o confinati sullo sfondo. A un livello superiore, che non concerne cioè la descrizione delle singole scene ma il criterio generale di presentazione delle informazioni spaziali del testo, si ravvisano due principali strategie: “the map”, ovvero la rappresentazione panoramica dello spazio, che può seguire tanto la prospettiva incorporea di uno sguardo neutro e divino quanto la soggettiva e arbitraria visione dall’alto del narratore o del personaggio; e “the tour”, ovvero la rappresentazione dinamica dello spazio a partire da un punto di vista mobile e interno alla scena195. L’organizzazione dello spazio narrativo non rappresenta comunque una prerogativa esclusiva dell’autore: i lettori ordinano a loro volta le informazioni spaziali ricevute entro una mappa cognitiva, un modello mentale costruito dinamicamente nel corso della lettura e a più riprese consultato per orientarsi nel mondo immaginario.

La disposizione dello spazio, con le sue gerarchie e divisioni, è inoltre rivelatrice delle intenzioni del racconto. Le opposizioni che sorgono a partire dalla segmentazione del territorio finzionale – quali quelle tra alto e basso, conosciuto e sconosciuto, qui e altrove, città e campagna – e i lineamenti del mondo immaginario sono infatti sovente investiti di una dimensione simbolica. L’abbondanza e la percorribilità del paesaggio indiano su cui si muove il giovane Kim dell’omonimo romanzo di Rudyard Kipling sono per esempio sintomatici della vastità del potere imperiale britannico e del suo latente disagio nei confronti di un ambiente esorbitante e potenzialmente intrattabile, mentre le “trame domestiche” vissute dalla Fanny Price austeniana e la polarità che si stabilisce tra la tenuta di Mansfield Park e la casa natale di Portsmouth sono allusive

194 Ryan, «Space» cit., par. 27, n.p.

195 Cfr. ivi, par. 28-29, n.p. Ryan trae questa distinzione dal saggio di Charlotte Linde e William Labov

«Spatial Networks as a Site for the Study of Language and Thought» (in Language, 51, 1975, pp. 924- 939). Allo stesso saggio fa riferimento anche de Certeau, per i quali le descrizioni “del tipo «mappa»” o “del tipo «percorso»” oscillano fra i termini di una alternativa: “o vedere (è la conoscenza dell’ordine dei luoghi), o andare (sono azioni spazializzanti). [La descrizione] presenta un quadro («c’è»…) o organizza dei movimenti («entri, attraversi, volti»…)”; in de Certeau, L’invenzione del quotidiano cit., p. 178.

dell’intero processo coloniale e del sistema di valori a esso associato196. Se il racconto è, come sosteneva de Certeau, un “percorso nello spazio”, esso è allora anche un “percorso nel senso”197, vale a dire un cammino di esplorazione di un significato che la rappresentazione spaziale rende manifesto.