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Quinto cammino: La geocritica

1.3. Terzo itinerario: Letteratura, spazio e sentieri che si biforcano

1.3.7. Quinto cammino: La geocritica

La nascita della geocritica si data tra la fine del Novecento (grazie alla realizzazione, nel giugno 1999, del convegno La Géocritique Mode d’Emploi tenutosi all’università di Limoges) e l’inizio del nuovo millennio (con la successiva pubblicazione degli atti nel marzo 2000). Tale collocazione temporale, ancorché incidentale, si presenta altamente simbolica, poiché rivela fin dal principio alcuni tratti

207 Albertazzi, Lo sguardo dell’altro cit., p. 85.

208 Sul modello identitario rizomatico, cfr. l’adozione da parte di Édouard Glissant della nozione di

rizoma concepita da Deleuze e Guattari: “Gilles Deleuze et Félix Guattari ont critiqué les notions de racine et peut-être d’enracinement. La racine est unique, c’est une souche qui prend tout sur elle et tue alentour; ils lui opposent le rhizome qui est une racine démultipliée, étendue en réseaux dans la terre ou dans l’air, sans qu’aucune souche y intervienne en prédateur irrémédiable. La notion de rhizome maintiendrait donc le fait de l’enracinement, mais récuse l’idée d’une racine totalitaire. La pensée du rhizome serait au principe de ce que j’appelle une poétique de la Relation, selon laquelle toute identité s’étend dans un rapport à l’Autre” ; in Édouard Glissant, Poetique de la relation, Paris, Gallimard, 1990, p. 23.

distintivi della nascente prospettiva critica: da un lato il suo concepirsi come erede di una lunga e articolata serie di riflessioni teoriche che investono il rapporto tra letteratura e spazio; dall’altro il suo proporsi quale elemento di novità all’interno del campo della critica letteraria. In quanto “science des espaces littéraires” la géocritique muove infatti da un preciso insieme di presupposti teorici, rispetto ai quali si pone in continuità o dissonanza; è provvista di un oggetto di studio specifico, ovvero le rappresentazioni artistiche (ma non solo) dello spazio; ed è artefice di un metodo tanto originale e innovativo quanto duttile, come indica il suo procedere ancora oggi, dopo oltre dieci anni di pratica geocritica, sotto forma di “tâtonnement”, brancolamento209.

La metodologia geocritica si inserisce come elemento “terzo” all’interno di una dialettica oppositiva tra una concezione superficiale del realismo in letteratura – che vorrebbe quest’ultima al servizio della realtà esterna, della quale dovrebbe fornire una descrizione o riproduzione quanto più esatta – e le angustie di uno strutturalismo “testolatra” per il quale “il n’y a pas de hors-texte”210. Non è un caso che nel saggio fondante Géocritique. Réel, fiction, espace (2007) Bertrand Westphal scelga di collocare la sua proposta critica in posizione di equidistanza rispetto ai macro-modelli individuati da Doležel in relazione alla teoria dei mondi finzionali, che ai loro estremi coincidono da un lato con la dottrina mimetica (esempio di modello a un solo mondo), dall’altro con quella strutturalista (esempio di modello a mondi molteplici)211. Muovendosi con agilità attraverso le diverse proposte teoriche e raccordando il dibattito relativo ai mondi della finzione a quello sulla rappresentazione letteraria dello spazio, Westphal risolve tale aporia avanzando implicitamente un’ipotesi “mista” che sancisce la connessione tra reale e finzionale ma contemporaneamente ribadisce la loro eterogeneità. Il rapporto che lega queste due istanze assume così l’aspetto di una soglia dalla doppia natura metonimica e metaforica, enfatizzando allo stesso tempo sia la contiguità, sia l’autonomia e la differenza ontologica tra spazi letterari e mondo di riferimento.

209 Cfr. Jean-Marie Grassin, «Pour une science des espaces littéraires», in Bertrand Westphal (ed.), La

géocritique mode d'emploi, Limoges, Pulim, 2000, p. I e VI.

210 “[P]er sintetizzare la sua lunga storia, penso che il credo strutturalista si possa riassumere nella

laconica formula di Jacques Derrida: non esiste alcun testo esterno, non c’è niente fuori dal testo”, in Westphal, «La geocritica, un approccio globale agli spazi letterari» cit., p. 119.

211 Sulla categorizzazione di Doležel, cfr. il precedente paragrafo (in particolare, i sottoparagrafi “Teoria

Le modalità di interazione tra le rappresentazioni narrative dello spazio e il reale sono eterogenee, ma possono essere comprese secondo Westphal all’interno di una schema tripartito – conformemente al verificarsi di rapporti di consenso omotopico, di interferenza eterotopica, o di excursus utopici. Il consenso omotopico concerne relazioni fondate sulla presenza all’interno dei testi di espliciti riferimenti al referente attuale che segnalano al lettore di essere in presenza “non tanto [di] una costruzione ex nihilo, bensì [della] riconfigurazione di un realema”212. La rappresentazione finzionale non corrisponde tuttavia a una riproduzione fedele e asettica: se è vero che le relazioni omotopiche contribuiscono sovente a ingenerare confusione e sembrano condurre verso una sovrapposizione acritica di libro e mondo, la finzione rivela piuttosto “i possibili fuggiti nelle pieghe del reale […] attualizza delle nuove virtualità inespresse che possono così interagire”213 con esso. Il rischio di incorrere in una “illusione referenziale” è minimo o nullo nei casi di interferenza eterotopica, nei quali l’autonomia tra i mondi si manifesta in modo pressoché assoluto. La precaria connessione tra referente e rappresentazione è regolata da sei diverse strategie: giustapposizione (ovvero il collegamento di spazi omotopici rispetto al reale, ma tra loro incongrui); interpolazione (l’introduzione di uno spazio privo di referente entro i confini di un mondo conosciuto); sovrimpressione (la creazione di uno spazio eccentrico a partire dalla combinazione di spazi familiari); attribuzione erronea (l’attribuzione di proprietà impossibili a luoghi conosciuti)214; transnominazione (quando, sul modello dell’un-

naming postcoloniale, il legame nominale che intercorre tra la rappresentazione spaziale

e il referente viene respinto, lasciando lo spazio narrativo in sospeso tra adesione omotopica al realema e confutazione eterotopica); e anacorismo (quando il contesto temporale immaginario entro il quale lo spazio rappresentato è inserito differisce dalla cornice storica propria della sua controparte reale)215. Infine, gli excursus utopici riguardano tutte quelle narrazioni che, “pur senza essere utopiche nel senso classico del termine, sarebbero omotopiche se rimandassero a un referente conosciuto del mondo

212 Westphal, Geocritica cit., p. 144. Sulla nozione di realema (“‘items of reality’ that a semiotic system

recognises and admits to its repertoire”), cfr. Brian McHale, «Realeme», in Herman, Jahn,Ryan (eds.),

Routledge Encyclopedia of Narrative Theory cit., p. 486.

213 Westphal, Geocritica cit., p. 146. 214

Juxtaposition, interpolation, superimposition e misattribution sono le “strategies for constructing/deconstructing space” proprie della narrativa postmoderna individuate da Brian McHale. Cfr. Brian McHale, Postmodernist Fiction, London and New York, Routledge, 1989, pp. 45-49.

reale o eterotopiche se giocassero con quel referente, ma che di fatto non sono né l’una né l’altra cosa perché invece designano uno spazio non referenziato in un contesto “realista” a sua volta privo di referente”216.

Le modalità proposte da Westphal sembrerebbero presupporre l’esistenza di un reale stabile e uniforme rispetto al quale i mondi finzionali si pongono a distanza variabile. In verità, la geocritica procede proprio dalla messa in discussione di questa apparente fissità attraverso l’adozione di una concezione dinamica che – da Lefebvre a Foucault, da de Certeau a Soja – vede lo spazio come la risultante dell’interazione tra i diversi agenti sociali che lo attraversano – e lo vivono, simbolizzano, praticano e alterizzano. In questo modo, la letteratura non si trova più costretta entro i ruoli antitetici di specchio del reale o creatrice di finzioni, ma può essere legittimamente considerata come “una delle varianti che codeterminano la spazialità, una componente attiva della produzione dello spazio” 217. Rivelando la manchevolezza propria di quegli studi critici edificati su modelli dialettici che mettono in relazione un mondo reale che si vuole determinato e conchiuso con mondi possibili pensati come variazioni subordinate e deformanti, la geocritica ha come obiettivo l’esplorazione degli interstizi “trialettici” di un mondo

plausibile218, ed è finalizzata alla ricognizione dei modi attraverso i quali la finzione fornisce una dimensione immaginaria alla spazialità e in ultima istanza modifica lo spazio reale. Per osservare un concreto e felice esempio di indagine geocritica conviene rivolgersi al più recente studio di Westphal Le monde plausible. Espace, lieu, carte (2011), dove le rappresentazioni finzionali delle terrae incognitae d’oltremare (in questo caso trattasi perlopiù di carte geografiche, atlanti e mappamondi, ma anche narrazioni odeporiche e testi letterari) addirittura precedono i referenti geografici, inventando luoghi che fungono da “laboratori del possibile” a beneficio di un reale nascituro che su di essi, a posteriori, si modellerà.

La metodologia elaborata da Westphal si articola attorno ad alcuni concetti fondamentali che presiedono a quattro diversi approcci alle rappresentazioni spaziali, seguendo una linea di discendenza teorica che coinvolge le riflessioni sulla

216 Ivi, pp. 154-155.

217 Benvenuti, «Il protagonismo dello spazio» cit., p. 11.

218 Secondo Westphal è proprio “la marge de liberté qui subsiste entre les rigueurs statiques et mornes du

monde au singulier et l’engagement erratique que requiert la fréquentation des mondes possibles qu’il faut investir. Peut-être qu’entre une singularité surmontée et une pluralité intégrée un autre monde existe. Ce serait un monde oscillatoire [...] un monde tout juste plausible”; in Bertrand Westphal, Le monde

trasformazione dello spazio elaborate in campo filosofico e sociologico (Lefebvre, Foucault, Deleuze e Guattari), i mondi possibili della parola (Goodman, Walton, Pavel, Doležel), gli studi dei geografi della cultura e della postmodernità (Soja, Cosgrove, Gregory) e i discorsi minoritari e di genere (Bhabha, Spivak, Anzaldúa). In primo luogo, la geocritica si propone come approccio “geocentrato”, ossia rivolto a uno “spazio di rappresentazione globale”219 e non a un unico autore o a una singola opera: lo sguardo non si muove dunque dal luogo allo scrittore (secondo una prospettiva “egocentrata”), ma dallo scrittore – o dagli scrittori – al luogo, avviando una “analysis, focused on understanding a given place (through the problematics of representation) rather than studying a given set of representations (through the thematics of place)”220. In secondo luogo, la geocritica presenta una vocazione interdisciplinare che, come dimostrato dalla selezione eterogenea dei suoi precursori teorici, punta a infrangere le strettoie dei domini artistici e delle affinità consolidate da una pratica comparatistica operante nel precinto delle forme d’arte mimetica (mettendo in comunicazione la letteratura con il cinema, la fotografia, la pittura, ecc.) al fine di accogliere il contributo proveniente dalle scienze umane e sociali, e perfino da quelle cosiddette “dure”221. Più che di interdisciplinarità sembrerebbe allora possibile parlare di transdisciplinarità: l’affabulazione è infatti considerata “coestensiva a ogni scrittura […] indipendentemente dal [suo] genere”222 e la collaborazione tra discipline non si compie solo a livello tematico ma anche concettuale, metodologico ed epistemologico, contribuendo all’ampliamento del complesso delle fonti sulle quali lavorare. Le ultime nozioni – che più direttamente guidano le quattro dinamiche critico-analitiche – sono quelle di spazio-temporalità, trasgressività e referenzialità, ognuna delle quali dà il nome a un capitolo del magnum opus di Westphal ma che si potrebbero compendiare complessivamente nel seguente assunto: la geocritica si rivolge a uno spazio esaminato attraverso lo studio delle sue molteplici e difformi rappresentazioni, ciascuna delle quali

219 Id., «La geocritica, un approccio globale agli spazi letterari», in Sorrentino (ed.), Il senso dello spazio

cit., p. 123.

220 Eric Prieto, «Geocriticism, Geopoetics, Geophilosophy, and Beyond», in Robert T. Tally Jr. (ed.),

Geocritical Explorations: Space, Place, and Mapping in Literary and Cultural Studies, New York,

Palgrave Macmillan, 2011, p. 21.

221 Una simile ibridazione dell’apparato teorico e metodologico in seno a una critica spaziale pienamente

letteraria è rinvenibile nell’introduzione che fa da sfondo concettuale al volume di Giancarlo Alfano

Paesaggi, mappe, tracciati. Cinque studi su Letteratura e Geografia (Napoli, Liguori, 2010), dove

l’autore recupera nozioni provenienti dalla matematica e dalla fisica (coordinate, punti, linee, curve, vettore, flusso, campo, energia e entropia) e ne sfrutta le valenze euristiche.

è dotata di una propria dimensione temporale che non deve essere ignorata; l’insieme delle rappresentazioni agisce sul mondo referenziale, la cui natura non si mostra più stabile e univoca ma eccentrica e polisemica.

Il primo dei quattro orientamenti portanti che una compiuta analisi geocritica dovrebbe includere corrisponde alla multifocalizzazione, che in linea con il succitato principio di trasgressività ha come obiettivo la moltiplicazione dei punti di vista sullo spazio. Opponendosi all’incompletezza dello sguardo singolare e monocratico alla base di ogni studio “egocentrato” (promotore di semplificazioni generalizzanti e stereotipiche223), l’ottica geocritica si distingue per vivacità e complessità e si esprime “all’interno di una tassonomia con tre variabili di base” dove il punto di vista, “inteso come la relazione tra lo spazio di riferimento e l’osservatore”, è di volta in volta “endogeno, esogeno o allogeno”224. La ricerca dovrebbe dunque fondarsi su una trama di testi ampia ed eterogenea e stabilire se la prospettiva espressa da ciascuna delle opere considerate è di tipo interno – ovvero legata a una visione autoctona dello spazio –, esterno – improntata all’esotismo –, o se è altra, “terza” – nei casi in cui il luogo osservato non è né familiare, né totalmente estraneo. In questo modo, qualora lo studio dei singoli casi sia seguito da una riflessione critica sull’interazione tra essi, la reticolazione multifocale può garantire “il (pacifico) confronto delle differenti alterità, ma anche il superamento dell’alterità stessa in seno a uno spazio diventato finalmente comune”225. La seconda dimensione è quella della polisensorialità: essendo “la percezione […] veicolata dall’insieme dei sensi”, è proprio la capacità e l’attività sensoriale che “permette all’individuo di aderire al mondo. Essa contribuisce alla strutturazione e alla definizione dello spazio”226. Se i sensi sono intrinsecamente geografici, pare possibile esplorare la relazione che lega i soggetti al mondo intraprendendo un itinerario critico che consideri simultaneamente la spazialità delle diverse percezioni visive, sonore, tattili e perfino olfattive o gustative;

223

La parzialità dei punti di vista espressi dai precedenti approcci alla spazialità letteraria si rivela secondo Westphal soprattutto sul piano dei personaggi e tradisce atteggiamenti culturali etnocentrici (specialmente eurocentrici e orientalisti): “In most approaches, one is supposed to watch and another has to be watched, according to a model that turns out to be more entomological than ontological. A subject called “One” observes an object called “Other”, taking note of characteristics that seem to delineate the outlines of his or her strangeness. The “exotic” frame is the result of a naïve attempt to rationalize strangeness and to integrate it into something that may be mastered. Traditionally, “One” is a Westerner and “Other” is not”; in Bertrand Westphal, «Foreword», in Tally (ed.), Geocritical Explorations cit., p. xii.

224 Id., Geocritica cit., p. 178. 225 Ivi, p. 180.

viceversa, si può scegliere di seguire una singola traccia per arrivare alla definizione (o, in pieno spirito geocritico, all’approssimazione) di un peculiare “paesaggio sensoriale”227. Uno studio polisensoriale di un luogo può essere condotto secondo un criterio multifocale, osservando per ciascuna percezione le sue diverse angolazioni endogene, esogene o allogene, contribuendo in questo modo a una più ampia riflessione sul grado di stereotipia e di esotismo delle rappresentazioni. Le due dinamiche, multifocale e polisensoriale, possono poi essere inserite in una cornice spazio-temporale complessa, dando forma a un approccio stratigrafico fondato sulla consapevolezza che “lo spazio esiste soltanto nella verticale costantemente riattivata dei suoi strati temporali”228. L’eterogeneità temporale delle percezioni spaziali si esprime in primo luogo a livello diacronico: i punti di vista sullo spazio, anche quelli circoscrivibili entro una comune isotopia identitaria, non sono mai inamovibili ma soggetti a cambiamenti nel corso del tempo. La varietà stratigrafica si manifesta inoltre nelle pieghe sincroniche dello spazio-tempo: un comune “istante di spazio” (ovvero uno stesso cronotopo, inteso in senso più fisico, minkovskiano-einsteiniano che letterario, bachtiniano) può infatti assumere valenze temporali diverse a seconda dei soggetti percipienti. Riattivando gli strati temporali che soggiacciono alla superficie apparentemente omogenea dello spazio viene dunque sancita “quella che Ernest [sic] Bloch chiamava la Ungleichzeitigkeit, un’asincronia generalizzata, la non-contemporaneità del tempo storico”229. Alla polifocalità, polisensorialità e policronia che qualificano l’approccio geocritico alla spazialità letteraria segue e si aggiunge la politestualità – o, più precisamente, l’intertestualità. La molteplicità di punti di vista che dipendono o dalle posizioni degli individui rispetto allo spazio rappresentato (multifocalità), o dalle percezioni sensoriali interessate (polisensorialità), o dalla dimensione temporale associata all’esperienza spaziale (stratigrafia) può essere colta compiutamente solo in una prospettiva intertestuale, ovvero fondando l’analisi su un complesso di testi quanto più ampio possibile. Occorre nondimeno ricordare che “l’intertestualità non è appannaggio

227 Così, per esempio, le prime ricerche su “paesaggi sensoriali” non visivi furono consacrate a

soundscapes e smellscapes; cfr. Raymond Murray Schafer, The Tuning of the World, New York, A.A.

Knopf, 1977, e John Douglas Porteous, «Smellscape», in Progress in Human Geography, IX, 3, 1985, pp. 356-378, citati in Westphal, Geocritica cit., pp. 184-186.

228 Ivi., p. 170. 229 Ivi, p. 196.

esclusivo di passeggiate fatte nei soli boschi narrativi”230: le traiettorie che attraversano e strutturano lo spazio reale sono sì costituite da parole della scrittura, ma anche da voci e immagini e, in linea con l’ottica interdisciplinare di cui si è già riferito, da riflessioni elaborate in campi non letterari.

Le varie nozioni e i quattro orientamenti che ispirano e più concretamente danno forma alla metodologia geocritica sono strettamente collegati tra loro, e, pur nelle loro singolarità, concorrono a definire la peculiarità di questo “approccio globale agli spazi letterari”231, che deve essere “in grado di situare ogni autore in una trama reticolare calibrata su un riferimento preciso, in questo caso il luogo, un luogo sempre oscillante tra le sue molte rappresentazioni e il realema”232. In questo modo, accogliendo l’eredità dei maggiori teorici novecenteschi sullo spazio, la geocritica opera a favore del riconoscimento della pluralità dell’esperienza spaziale, contrastando il rischio di stereotipizzazioni attraverso la promozione di un sistema dinamico di riferimenti condivisi ma multiformi che rende il luogo un “tópos átopos”233.

Nonostante la solidità dell’apparato teorico sul quale è fondata e l’alto interesse suscitato (grazie soprattutto al richiamo alla permeabilità della soglia tra reale e finzione), la geocritica non manca di presentare alcune criticità – circostanza, questa, che in fondo costituisce la cifra stessa del tâtonnement precedentemente menzionato. Il metodo proposto, almeno per come risulta dall’elaborazione originaria avanzata da Westphal, è caratterizzato da una forma ampia e modulabile, ma allo stesso tempo opera selezioni ed esclusioni che si sono rivelate non unanimemente condivise. Giulio Iacoli, per esempio, fa notare come esso sacrifichi non poco “del mondo autoriale come delle tecniche narrative, in particolare quanto concerne la realizzazione del personaggio, per tacere della quarantena in cui incorrono spazi non strettamente geografici […] come gli interni”234; e a questo elenco si potrebbero aggiungere i numerosi luoghi immaginari sprovvisti di referenti geografici che siano capaci di generare catene intertestuali (quali,

230 Ivi, p. 231.

231 Questa definizione figura, quasi in forma di epiteto o commento didascalico, nel titolo di una

conferenza (Geocriticism – A global approach to literary spaces) tenuta da Westphal il 29 marzo 2009 a Harvard University in occasione del convegno annuale dell’American Comparative Literature Association. Il testo della conferenza è stato successivamente pubblicato in traduzione italiana nel volume a cura di Flavio Sorrentino Il senso dello spazio (2009) e costituisce l’introduzione alla raccolta di saggi curata da Robert T. Tally Jr. Geocritical Explorations (2011).

232 Westphal, Geocritica cit., p. 204. 233 Ivi, p. 202.

per esempio, la Longbourn o la Mansfield Park austeniane)235. È tuttavia doveroso notare che il lungo saggio di Westphal, ancorché percorso da un intento distintivo e propositivo, non si concepisce come argomentazione ultima e definitiva; ciò è dimostrato secondo Robert T. Tally Jr, il maggiore interprete statunitense della geocritica, dal costante ricorso a una “tentative or provisional language” che dà voce, nella traduzione italiana, alle tante “sfide” che questo approccio racchiude e si pone, e che si può anche rinvenire nella scelta del termine che conclude l’opera: “‘explore’, because the active exploration – in every sense of the word, for better or worse – of the real and imaginary spaces of literature is the goal of geocriticism. Geocriticism certainly does not provide all the answers, and it is more likely to generate further questions”236. Le “conclusioni molto provvisorie” di cui parla Westphal237 rappresentano quindi l’unico esito possibile per questa impresa insieme critica e metacritica238 soggetta a continui aggiornamenti.

La non-dogmaticità della formulazione geocritica si manifesta nell’eterogeneità delle ricerche promosse da studiosi di diversa provenienza geografica e culturale. A oggi, l’esempio più esteso e compiuto è offerto, ancora una volta, da Bertrand Westphal, che in Le monde plausible mette alla prova il metodo critico da lui elaborato applicandolo