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Coordinate teoriche

2.1. Introduzione: Le ragioni di un’indagine geocritica “verticale”

2.1.4. Coordinate teoriche

Ricondurre uno scrittore all’interno di una precisa tradizione letteraria presuppone il riconoscimento, anche parziale, di un certo grado di autoconsapevolezza autoriale in relazione alla propria poetica e alle tecniche narrative utilizzate. In altre parole, sebbene Narayan in nessun caso avrebbe potuto definirsi controrealista nei termini sopraelencati (la teorizzazione di Kanaganayakam risale all’anno seguente alla morte del romanziere), l’adozione formale e non sostanziale del modello letterario della madrepatria e la sua recondita contestazione dovrebbero essere avvenuti, quando non programmaticamente, certamente in modo non accidentale. Ciò nondimeno, Narayan è principalmente conosciuto in sede critica come scrittore genuino e spontaneo, a causa della limpidezza della lingua utilizzata (lontana dal più innovativo inglese di impronta indiana del suo contemporaneo Raja Rao), della futilità e apoliticità delle storie narrate (contrariamente alle denunce e rivendicazioni di cui i romanzi dell’altro celebre contemporaneo Mulk Raj Anand sono saturi), della semplicità dello stile narrativo (assai diverso da quello pirotecnico ed esuberante di molti autori delle generazioni successive, a cominciare da Salman Rushdie) e, non da ultimo, delle sue ripetute dichiarazioni: “I remain unselfconscious about my writing […] when I write, I’m not very clear as to what is coming.”53 Anche se questa pretesa scrittura istintiva e per nulla o poco deliberata è smentita dall’osservazione dei suoi archivi privati, che nell’accumulo di bozze e brutte copie testimoniano la lunghezza e l’accuratezza dell’intero processo creativo54, Narayan

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Narayan si è espresso in diverse occasioni a proposito della libertà che consegue alla creazione di un luogo immaginario, che nel suo caso “would leave one free to meddle with its geography and details as I pleased, without incurring the wrath of any city-father of any actual town or city. I wanted to be able to put in whatever I liked, and wherever I liked”, in R.K. Narayan, «Where is Malgudi», in Krishnan (ed.),

Malgudi Landscapes cit., p. 401.

52 Le Blanc, «R.K. Narayan, méprise occidentale sur une décolonisation littéraire» cit., p. 342. 53 Ram, Ram, R.K. Narayan: The Early Years cit., p. xxxv.

54 “In my profession, I accumulate too much paper; review-cuttings, typescripts, galley proofs,

correspondence which make no sense now, manuscripts in various stages, mementoes of various kinds, all things that should have been dumped into a disintegrator ages ago but weren’t because of a vague irrational thought that they may have value or utility some day”, in R.K. Narayan, «The Winged Ants», in Id., Reluctant Guru cit., p. 46. Molte di queste carte sono ancora consultabili presso i centri archivistici

non ha mai apertamente preso posizione rispetto a una qualsiasi teoria, pratica o corrente letteraria – o, meglio, si è pronunciato a riguardo soltanto in questi termini: “I, for one, am prepared to assert that all theories of writing are bogus.”55 L’avversione per la teoria è talmente profonda da suscitare in lui una patente intolleranza per gli accademici e i ricercatori che si avvicinano alla sua opera, tanto da rivolgere loro sferzanti commenti in più di un contributo saggistico56. Quale tipo di indagine critica sarebbe allora legittimato a condurre lo studioso a cui viene detto che un romanzo “is meant to be read, not worked upon! ‘Working upon’ sounds sinister […] Don’t study, but read, don’t call them works, but stories and novels”57?

Una prima possibilità coincide con l’attenersi alle dichiarazioni di Narayan, rinunciando a cercare nella sua narrativa ogni ulteriore traccia di pensiero o filosofia riconoscibile e limitandosi a operare una lettura sommaria e superficiale. Un esempio in questo senso è offerto dall’analisi di V. Lakshmanan, che a partire dall’estraneità rispetto alla teoria manifestata dall’autore nei suoi saggi e interventi pubblici sostiene che egli sia uno scrittore “consolante”, indifferente alle implicazioni politiche ed estetiche del suo narrato, e riceve acriticamente i suoi racconti senza interrogare le ragioni e i significati delle caratteristiche formali che li contraddistinguono, giungendo ad affermare che “pigeonholed structure, apolitical theme, and abrupt closure are the impasses that Narayan had to countenance because of his defiance to theory.”58 Al contrario, negli anni più recenti e nonostante Narayan, l’identificazione delle peculiarità della forma e del modo narrativo adottati hanno portato i critici a indagare i propositi che soggiacciono alla sua opera, l’ideologia che la pervade e l’interazione che essa instaura con il reale. In questo modo, taluni sono riusciti a oltrepassare i “foregrounded domestic issues”, o, meglio, a leggere attraverso essi, comprendendoli come “another way of looking at politics”59; altri hanno intrapreso una lettura “against the grane of the

Howard Gotlieb Archival Research Center (Boston University) e Harry Ransom Center (The University of Texas at Austin).

55 Id., Under the Banyan Tree and Other Stories, London, Penguin, 1987, p. vii.

56 Cfr., tra gli altri, «The Writerly Life»: “[…] the man who really puts me off is the academician who

cannot read a book for the pleasure (if any) or the pain (in which case he is free to throw it out of the window). But this man will not read a book without an air of biting into it. I prefer a reader who picks up a book casually”, in Id., A Writer’s Nightmare cit., p. 200.

57

R.K. Narayan, manoscritto senza titolo, in R.K. Narayan Collection, HGARC, Box 11, Folder 1.

58 V. Lakshmanan, «Ignoring Theories: Experiencing R.K. Narayan», in MS Academic, I, 1, 2010, pp. 17-

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narrative”60 capace di trascinare le opinioni critiche dominanti all’interno di un dibattito originale dove i romanzi dell’autore emergono come “ideological fictions”61.

Quando l’oggetto di studio è un aspetto circoscritto ma polivalente come la geografia dei romanzi diventa inevitabile, nel corso della ricerca, sondare l’intenzione che informa l’opera dello scrittore, con l’auspicio di arrivare a comprendere la sua peculiare visione e le implicazioni che da essa derivano. Le topografie narrative, invero, costituiscono sempre “other worlds, since they are brought into being through acts of composition and can never offer unmediated access to an external social reality”62. Nel caso di Narayan, conoscere le caratteristiche e la natura composita della geografia “altra” di Malgudi significa allora capire la mappa cognitiva centrale al suo progetto letterario, e il modo migliore per procedere a una simile indagine è forse attraverso le coordinate teoriche e le linee metodologiche proposte dalla geocritica. In primo luogo essa offre infatti la possibilità di risolvere il problema della posizione incerta di Malgudi – oscillante, come si è visto, tra le convenzioni del realismo e le eccezioni del controrealismo – a partire dal presupposto sul quale tale disciplina si fonda, ovvero un “parametro ‘realista’”63 – e non realistico – che riconosce la problematicità e l’instabilità propria del referente e riadatta il concetto di mimesi in direzione dei mondi possibili. Il riferimento alle nozioni elaborate in seno alla teoria dei fictional worlds sarà poi particolarmente utile, o perfino necessario, dal momento che il centro delle storie consiste in un luogo immaginario inserito in un mondo narrativo più complesso sospeso tra invenzione e referenzialità. Secondariamente, l’invito della geocritica a esaminare in una prospettiva interdisciplinare i possibili intertesti con i quali le opere narrative che condividono uno stesso orizzonte geografico entrano in dialogo agevolerà l’affioramento della proposta di Narayan, che non si concretizza mediante un intervento diretto e manifesto nei confronti della realtà ma nell’interazione dinamica tra letterario ed extra-letterario, colti nel loro reciproco rapporto di influenza e scambio.

In questo capitolo si esplorerà dunque la connessione tra spazio narrativo e spazio reale, seguendo un movimento critico che, mutuando la terminologia utilizzata da Susan

60 Rosemary Marangoly George, The Politics of Home: Postcolonial Relocations and Twentieth-Century

Fiction, Cambridge, Cambridge University Press, 1996, p. 128.

61 Harveen Mann, «“The Magic Idyll of Antiquated India”: Patriarchal Nationalism in R.K. Narayan’s

Fiction», in ARIEL: A Review of International English Literature, XXXI, 4, 2000, p. 62.

62 Thieme, R.K. Narayan cit., p. 15.

63 Francesco Muzzioli, «Spunti, riferimenti e riflessioni per una “critica spaziale”», in La Libellula, 2,

Stanford Friedman, si potrebbe dire “verticale”, poiché procede dal cronotopo del mondo raffigurato a quello occupato dallo scrittore e dai suoi lettori, dove si compie la pratica significante del testo e si stabiliscono le relazioni con i suoi intertesti. Laddove Friedman individua tre diverse traiettorie di esplorazione, tra loro intrecciate ma separabili in sede critica e concernenti l’aspetto letterario (relativo al genere narrativo), quello storico (relativo alle risonanze politiche e culturali) e quello psichico (relativo alla stratificazione del represso e al suo costante ritorno nelle pieghe del racconto), qui si seguirà unicamente l’indirizzo storico-culturale, considerata l’impossibilità, nell’ambito di un’investigazione del solo elemento spaziale, di rinvenire opere narrative che condividono la stessa geografia immaginaria e non volendo operare letture “egocentrate” nelle quali il discorso sullo spazio confluisce in quello sull’autore. Questo percorso verticale permetterà di raccontare una storia inedita, che non si può rinvenire nel macro-intreccio ordito da Narayan ma che è stata predisposta, sottotraccia, dallo stesso autore; una storia che dipende altresì dalla ricostruzione del lettore, e che quindi è intrinsecamente fluida e non si pretende esaustiva.

La ricostruzione verticale sarà organizzata in tre sezioni, tre livelli di analisi ispirati in qualche misura ai tre aspetti dello spazio sociale lefebvriano e alle tre conseguenti epistemologie. Innanzitutto ci si occuperà del rilevamento fisico del mondo di Malgudi: lo spazio narrativo sarà esaminato nella sua forma oggettiva e materiale, e la sua decifrazione volgerà alla misurazione delle estensioni delle zone che lo compongono e delle loro intersezioni con il reale. In un secondo momento saranno interrogate le rappresentazioni dello spazio extratestuale, ovvero le sue proiezioni concettuali e le relazioni con il potere e l’ideologia che si sono succedute e modificate nel tempo e nel contesto in cui si colloca la produzione di Narayan. Infine si osserveranno i modi in cui lo spazio di rappresentazione che si forma a partire dai romanzi dell’autore interagisce con lo spazio concreto e con quello mentale, appropriandosene, modificandoli e manifestando la sua alterità e novità.

Da ultimo, l’indagine recepisce e accomoda i principi metodologici dell’approccio geocritico: la multifocalizzazione, che, negata a un luogo immaginario singolare come Malgudi (costruito in forma narrativa esclusivamente dal punto di vista del suo autore), si esprimerà nelle varietà endogene ed esogene delle rappresentazioni dello spazio reale; la logica stratigrafica, che doterà di profondità temporale sia il discorso sulla

misurazione del paesaggio narrativo, sia quello relativo ai rapporti tra spazio e potere; e l’intertestualità, che già concerne la macro-opera autoriale grazie all’esame del dato spaziale lungo i quattordici romanzi di Malgudi ma che coinvolgerà anche opere non narrative provenienti da discipline umane e sociali come l’antropologia e l’urbanistica; non si procederà, invece, alla descrizione dei paesaggi sensoriali esperiti dai personaggi.

2.2. Praticando lo spazio narrativo: Mappatura di Malgudi tra finzione e