1.3. Terzo itinerario: Letteratura, spazio e sentieri che si biforcano
1.3.4. Secondo cammino: Forme spaziali
La nozione di spatial form applicata al testo letterario è stata introdotta da Joseph Frank nel suo omonimo saggio del 1945, e può estendersi a tutti i casi in cui la categoria dello spazio è adottata per ridimensionare il ruolo della temporalità e i rapporti di causalità facendo riferimento a un preciso modello formale tra unità testuali non adiacenti – rinviando così a meccanismi compositivi quali il montaggio, la
170 Sandra Cavicchioli, «Spazio, descrizione, effetto di realtà», in Sorrentino (ed.), Il senso dello spazio
cit., p. 20.
frammentazione e la giustapposizione di linee narrative parallele. Concetto per sua natura metaforico, sia perché non strettamente riferito alla dimensione della spazio ma a un “network of analogical or oppositional relations perceived by the mind”172, sia perché applicabile anche al di fuori del campo della narrativa, la forma spaziale presuppone l’adozione di una prospettiva sincronica, necessaria per conseguire una percezione simultanea dei diversi elementi che compongono questi schemi formali.
In aggiunta al suo senso principale e originario, la nozione di “forma spaziale” può assumere un significato più ampio, relativo non tanto alla disposizione e alla comprensione sincronica degli eventi narrativi, ma a un più concreto influsso della spazialità reale e della sua rappresentazione finzionale sulla struttura e lo stile del testo letterario. Esemplare è il concetto di “cronotopo”, concepito da Michail Bachtin verso la fine degli anni Trenta del Novecento e da lui stesso definito “categoria della forma e del contenuto”173. Il cronotopo bachtiniano non si limita infatti al solo riconoscimento dell’“interconnessione sostanziale dei rapporti temporali e spaziali dei quali la letteratura si è impadronita artisticamente”174, ma costituisce ciò che essenzialmente determina la forma del racconto, i generi e le varietà letterarie. I cronotopi, oltre ad avere un significato raffigurativo (in essi il tempo e gli elementi astratti del romanzo acquisiscono concretezza, poiché si materializzano in precisi spazi), possiedono anche e soprattutto un significato di intreccio (questi spazi di coagulazione della dimensione temporale e delle idee agiscono come veri e propri “distributori di narratività”175, poiché allacciano e sciolgono i nodi del racconto). Nella sua celebre riflessione sul significato e la natura del cronotopo, Bachtin prende in esame alcune varietà del romanzo europeo, da quello greco fino a quello cavalleresco e rabelesiano, per individuare al loro interno i cronotopi che ne guidano gli aspetti formali e lo sviluppo narrativo. Sebbene ogni immagine letteraria sia potenzialmente cronotopica, risultato di una dimensione statico- spaziale trascinata nella serie temporale del racconto, è infatti possibile riconoscere,
172 Ryan, «Space» cit., par. 21, n.p.
173 Bachtin, «Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo» cit., p. 232. 174 Ivi, p. 231.
175 L’espressione “distributori di narratività” è coniata sulla locuzione “rédistributeur de narrativité”
utilizzata da Philippe Hamon in relazione all’atto di immaginazione da cui origina ogni oggetto architettonico: “Incarnazione di una narratività preliminare, l’edificio ne permette ugualmente la riattivazione ulteriore, svolgendo perciò la funzione di ridistributore di narratività, di shifter di narratività: da essa imposto, a sua volta la impone”, in Philippe Hamon, Esposizioni. Letteratura e
architettura nel XIX secolo, Bologna, CLUEB, 1995, p. 36. In questo contesto si fa invece riferimento al
ruolo svolto all’interno del testo letterario dai singoli nuclei cronotopici, i quali, discriminando lo spazio, ne cadenzano e organizzano le storie.
nell’ambito di un’opera o di una singola varietà del genere romanzesco, alcuni cronotopi onnicomprensivi o dominanti sugli altri.
Il termine introdotto da Bachtin può essere inoltre utilizzato fuori dal campo della narrativa in riferimento ai rapporti tra lo spazio e il tempo concreti: la nozione di “doppio cronotopo” da cui prendeva le mosse la spazializzazione di Friedman riguarda infatti la relazione tra i cronotopi storici reali (quelli occupati dall’opera-libro, o vissuti dall’autore e dal lettore) e i cronotopi letterari (che originano dal mondo attuale e che ne raffigurano i rapporti spazio-temporali). Sebbene il confine tra i due mondi – e tra questi due grandi universi cronotopici – sia secondo Bachtin rigoroso e inequivocabile176, esso non è invalicabile. Invero, il mondo reale e il territorio finzionale sono intimamente legati e percorsi da una costante influenza reciproca che si compie all’interno di un particolare cronotopo creativo: “l’opera e il mondo in essa raffigurato entrano nel mondo reale e lo arricchiscono, e il mondo reale entra nell’opera e nel mondo in essa raffigurato sia nel processo della sua creazione, sia in quello della sua vita successiva, cioè nel costante rinnovamento dell’opera nella percezione creativa degli ascoltatori- lettori”177. Nonostante il concetto di cronotopo sia un “multifaceted concept that escapes sharp definition” e la sua estrema versatilità sia stata oggetto di accuse178, esso rappresenta a tutt’oggi il più celebre e importante esempio di critica letteraria declinata in senso spaziale. A confronto, la nozione di spatial form concepita da Joseph Frank (di pochi anni successiva alla teorizzazione bachtiniana) si rivela forse maggiormente definita, eppure incapace di cogliere il nesso che lega la spazialità reale alla forma letteraria.
Lo studio di Frank muove dall’indagine sulle leggi dell’estetica compiute da G.E. Lessing nel saggio Laokoon (1766). Secondo Lessing, la forma estetica non consiste in
176 Bachtin mette in guardia il critico dal compiere inammissibili confusioni metodologiche: questo
confine netto “[n]on bisogna mai dimenticarlo, non bisogna confondere, come si faceva e ancora a volte si fa, il mondo raffigurato col mondo raffigurante (realismo ingenuo), l’autore-creatore dell’opera con l’autore-individuo (biografismo ingenuo), il ricrescente e rinnovante ascoltatore-lettore di diverse (e numerose) epoche con il passivo ascoltatore-lettore del proprio tempo (dogmatismo della comprensione e della valutazione)”, in ivi, p. 401.
177 Ibid.
178 John Pier ricorda che il concetto elaborato da Bachtin è stato criticato da Tzvetan Todorov, che nel suo
saggio Mikhaïl Bakhtin: le principe dialogique (Paris, Seuil, 1981) denuncia la sua esitazione tra universali trans-storici e generi legati al contesto storico; e da Michael Riffaterre, che nel suo scritto
Chronotopes in Diegesis (in Calin Andrei Mihailescu and Walid Hamarneh (eds.), Fiction Updated: Theories of Fictionality, Toronto, University of Toronto Press, 1996, pp. 244-256) viene ritenuto troppo
generico per l’analisi narratologica. Cfr. John Pier, «Chronotope», in Herman, Jahn, Ryan (eds.),
un insieme di caratteristiche esteriori derivanti da regole auree e canoni artistici di necessaria applicazione, ma è prodotta dalla relazione tra la natura del singolo medium artistico e le condizioni della percezione umana. In altre parole, l’arte crea la sua forma estetica a partire da se stessa, dai propri limiti e dalle proprie potenzialità: le arti plastiche sono così necessariamente spaziali, poiché l’aspetto visibile degli oggetti è più adeguatamente rappresentato attraverso simultanee relazioni di giustapposizione; la letteratura è invece intrinsecamente temporale, perché si realizza linguisticamente attraverso l’immissione delle parole nel tempo e ha come oggetto l’azione nel suo divenire. Frank osserva però che la poesia modernista a lui contemporanea sembra applicare un metodo opposto a quello identificato da Lessing, perché sostanzialmente spaziale, ovvero fondato sull’abbandono della logica temporale consecutiva a favore della giustapposizione sincronica delle immagine poetiche, che richiedono di essere colte non in una sequenza di tempo, ma simultaneamente nello spazio. Nei Cantos di Ezra Pound (1917-1972) e nella Waste Land di T.S. Eliot (1922), entrambi esemplari in questo senso, “the meaning-relationship is completed only by the simultaneous perception in space of word-groups which, when read consecutively in time, have no comprehensible relation to each other”179. Sebbene una forma spaziale pura sia conseguibile solo a livello teorico – dal punto di vista della realizzazione letteraria, anche nei succitati poemi modernisti sembra infatti possibile riconoscere elementi della struttura diacronica convenzionale –, essa è all’opera non solo nel campo della poesia, ma anche in quello della narrativa. A dimostrazione di ciò, Frank si sofferma su alcuni esempi romanzeschi, come l’episodio del comice agricole che occupa l’ottavo capitolo della seconda parte di Madame Bovary (1856), nella quale si assiste all’adozione da parte di Flaubert di una forma spaziale conseguita attraverso l’arresto del flusso narrativo e lo spostamento dell’attenzione sulle relazioni tra i diversi piani della scena, giustapposti tra loro a prescindere dal progresso del racconto; o come l’Ulysses di James Joyce (1922), che, rispondendo alla volontà dell’autore di fornire una rappresentazione unificata della città di Dublino, chiede al lettore di essere decifrato “in exactly the same manner as he reads modern poetry – continually fitting fragments together and keeping allusions in mind until, by reflexive reference, he can link them to their
179 Joseph Frank, «Spatial Form in Modern Literature: An Essay in Two Parts», in The Sewanee Review,
complements”180. Anche la Recherche proustiana (1913-1927), benché costituisca un’indagine sul tempo, obbliga secondo Frank il lettore a confrontarsi con scene disgiunte che ritraggono i personaggi in momenti diversi della loro vita e che consentono di percepire il passaggio del tempo solo attraverso la loro giustapposizione: “To experience the passage of time, Proust learned, it was necessary to rise above it, and to grasp both past and present simultaneously in a moment of what he called ‘pure time’. But ‘pure time’, obviously, is not time at all – it is perception in a moment of time, that is to say, space”181. Infine, Nightwood di Djuna Barnes (1936), completamente estraneo alla tradizionale struttura romanzesca, prende forma a partire dall’interrelazione spaziale di immagini, frasi e paragrafi accostati indipendentemente dal principio di sequenzialità narrativa182.
Nella terza parte del suo saggio, Frank, in linea con il pensiero del critico e poeta inglese T.E. Hulme, sostiene che la forma estetica non è una realtà immutabile, intrinsecamente temporale o spaziale, ma muta a seconda della relazione di armonia o disarmonia che intercorre tra l’uomo e la natura. Applicando al campo della letteratura (come auspicato da Hulme) la classificazione di Wilhelm Worringer – per il quale lo stile naturalistico nelle arti plastiche (vale a dire la tridimensionalità) ricorre nei periodi storici di equilibrio tra uomo e mondo circostante, mentre lo stile non-naturalistico (ovvero la bidimensionalità) contraddistingue i periodi di disequilibrio –, Frank afferma che i romanzi e le liriche moderniste accentuano il valore dello spazio, e quindi la piattezza, la non-profondità degli eventi nella storia, perché sono espressione di uno stato di tensione tra l’individuo e la natura. La poetica modernista si sottrae dal flusso temporale che caratterizza il mondo attuale per adottare una forma spaziale: “past and present are seen spatially, locked in a timeless unity which, while it may accentuate
180 Ivi, p. 234.
181 Ivi, p. 239. L’analisi di Frank sull’opera di Proust potrebbe essere descritta prendendo a prestito le
seguenti parole di Gaston Bachelard: “La memoria – è strano! – non registra la durata concreta, la durata nel senso bergsoniano. Non è possibile rivivere le durate abolite, si può solo pensarle, pensarle sulla linea di un tempo astratto privo di ogni spessore. Attraverso lo spazio, nello spazio, rinveniamo i bei fossili della durata, concretizzati da lunghi soggiorni. L’inconscio soggiorna, i ricordi sono immobili, tanto più solidi quanto più e meglio vengono spazializzati. Localizzare un ricordo nel tempo è una preoccupazione da biografo […]. Per la conoscenza dell’intimità, più urgente della determinazione delle date è la localizzazione spaziale della nostra intimità”, in Bachelard, La poetica dello spazio cit., p. 37.
182 Cfr. Joseph Frank, «Spatial Form in Modern Literature: An Essay in Three Parts», in The Sewanee
surface differences, eliminates any feeling of historical sequence by the very act of juxtaposition”183.
La sola denominazione “spaziale” della forma narrativa non è sufficiente a garantire l’effettiva esplorazione delle interconnessioni tra spazio reale e letteratura: come si è già detto, la nozione di Frank è infatti sostanzialmente metaforica. Al contrario, Franco Moretti mette in evidenza il legame tra scelte stilistiche e posizione geografica: “lo spazio agisce cioè sullo stile […]. Spazio e figure sono intrecciati, e anzi: le figure dipendono dallo spazio”184. Questa teorizzazione, che si riavvicina al cronotopo bachtiniano e a quella che Moretti definisce la sua “impalcatura segreta” – ovvero la Morfologia della fiaba di Vladimir Propp (1928) –, propone, in luogo della relazione bidimensionale tra stile e intreccio, una triangolazione che colloca al suo vertice la dimensione dello spazio, che determina i racconti e influenza i generi letterari (tanto che anche la morfologia proppiana si rivela piuttosto una “topografia”, perché le varie funzioni della fiaba sono sempre vincolate a spazi specifici). In conclusione, secondo Moretti “ogni spazio determina, o quanto meno incoraggia, un diverso tipo di
storia”185; altrimenti detto, prendendo a prestito le parole di Silvia Albertazzi, “i luoghi
raccontano le storie”186.