TERZO CAPITOLO
L’INCIDENZA DELL’ETERODETERMINAZIONE DELLA POLITICA-ECONOMICA SUL RUOLO DEI PARLAMENT
1. Il ciclo di bilancio quale elemento per comprendere la contitolarità dell’indirizzo politico
1.1. L’articolo 81 della Costituzione: il percorso verso la riforma
La necessità di una fusione tra potere politico e regolamentazione dell’intervento statale nell’economia, dà alcune indicazioni circa l’originaria formulazione dell’articolo 81296: la disposizione in questione, risultando, dunque, avalutativa,
poiché non condizionata dal perseguimento di un determinato valore, sfuggiva alle regole di bilanciamento con le altre norme costituzionali, non perché ad esse gerarchicamente sovraordinato, ma perché lo stesso si limitava a descrivere il meccanismo e la procedura attraverso il quale lo Stato poteva portare avanti le sue politiche. Più che oggetto di bilanciamento, la norma in questione era strumento con il quale valorizzare diritti sociali e interessi costituzionalmente rilevanti.
In ossequio a quanto detto precedentemente e con l’intenzione di individuare gli elementi caratterizzanti il bilancio statale, è opportuno esaminare il contenuto
294 Ivi, pp. 42 ss.
295 Così A. Sciortino, Il governo tra tecnica e politica: le funzioni, op. cit., p. 24.
296 Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.
Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.
110
dell’originaria formulazione dell’articolo 81 Cost. e le sue evoluzioni nel corso degli anni.
Com’è noto, la disposizione approvata in Assemblea Costituente, non riportava alcuna menzione relativa al principio del pareggio del bilancio. Come si vedrà in seguito, molti sostengono che già in origine la norma contenesse una implicita limitazione, intesa come vincolo sostanziale alle politiche di spesa, relativa alla possibilità di ricorrere all’indebitamento sul mercato, considerato strumento straordinario. Tale limitazione sarebbe da ricollegare all’originario quarto comma dell’articolo 81 che rappresenterebbe la naturale estensione del vincolo del pareggio di bilancio, e che, se letto in quest’ottica, imporrebbe una reinterpretazione anche del divieto di istituzione di nuovi tributi o nuove spese con la legge di bilancio297.
Si ritiene di non aderire a tale impostazione, se non altro perché, la stessa, non riesce a spiegare l’assenza di un esplicito riferimento al principio del pareggio del bilancio nella Carta Costituzionale, né l’assenza di una disposizione giuridicamente vincolante che sanzioni l’eventuale mancato raggiungimento della parità tra entrate e spese. Ci si rifarà, dunque, ad una diversa prospettazione della formulazione originaria che sia più attinente al testo costituzionale: dal combinato disposto del terzo e del quarto comma si evince un chiaro riferimento all’obbligo di copertura delle iniziative di spesa contenute nelle “altre leggi”, ma non in quella di bilancio298;
l’obbligo di copertura previsto dal quarto comma non appariva volto alla stabilità finanziaria dello Stato, ma sembrava piuttosto diretto a impedire al Parlamento di porre in essere iniziative, non concordate con il Governo, che intaccassero le linee guida in materia economica, da quest’ultimo approvate e confermate con la legge di bilancio299.
297 A. Brancasi, La disciplina costituzionale del bilancio: genesi, attuazione, evoluzione, elusione, in
AA. VV, Costituzione e pareggio di bilancio, Napoli, Jovene, 2012.
298 Il Governo ben avrebbe potuto prevedere saldi negativi di bilancio, salvo la successiva
approvazione del Parlamento.
299 Interessante è stata la posizione espressa in sede di dibattiti in costituente da Einaudi circa la
formulazione dell’art. 81 Cost. (II Sottocommissione 24 ottobre 1946 in seno alla II Sottocommissione, in www.camera.it): precisava, infatti, che storicamente non si potesse parlare di potere d'iniziativa in materia finanziaria riservato alla prima Camera, ma solo di priorità, da parte della stessa, nell'esame delle leggi finanziarie. Esprimendo, in particolare, le proprie perplessità sulla opportunità di limitare al Governo l'iniziativa in materia di bilancio, negandola ai membri delle due Camere. L'esperienza aveva dimostrato, infatti, che fosse pericoloso riconoscere alle Camere tale iniziativa, perché, mentre una volta erano esse che resistevano alle proposte di spesa da parte del
111
La ratio dell’articolo sarebbe, in sintesi, rinvenibile, nell’assunzione di responsabilità da parte del potere esecutivo, nei confronti del potere legislativo, in sede di determinazione della politica economica e, conseguentemente, da ricollegare ad uno specifico riparto di poteri tra Governo e Parlamento, in materia finanziaria e di bilancio, che consenta un processo decisionale in grado di dare «adeguata ponderazione a istanze di diversa matrice ed in potenziale conflitto tra loro»300.
In quest’ottica e, privo di vincoli relativi al pareggio di bilancio, ha comunque agito lo Stato italiano sin dal 1948. Fino alla fine degli anni Settanta, infatti, due erano i metodi di finanziamento delle spese autorizzate in deficit che consentivano di ripartire le esternalità negative tra l’aumento del debito pubblico e l’incremento della spinta inflazionistica: il ricorso ai mercati finanziari e l’acquisto di titoli del debito pubblico da parte della Banca d’Italia. È in questo periodo che si cominciano a ricercare ipotesi di aggiustamenti legislativi mirati a coordinare e governare la spesa pubblica. Un primo tentativo in tal senso si ha proprio nel 1978, con l’approvazione della legge n. 468, che istituiva la cd. Legge finanziaria.
La legge finanziaria fu pensata come strumento che affiancasse la legge di bilancio e garantisse l’obbligo di copertura finanziaria, mediando, cosi, l’eccessiva rigidità del bilancio tradizionale. Il suo obbiettivo originario era legato al porre in essere la cd “manovra di bilancio”301 ed era composta da un contenuto necessario ed uno
eventuale: il primo comprendeva l’indicazione del livello massimo del ricorso al mercato finanziario, la fissazione dell’importo degli accantonamenti da inserire nei fondi speciali, nonché, in presenza di spese pluriennali, la determinazione della spesa complessiva prevista e di quella gravante sull’esercizio finanziario in corso; il secondo, invece rilevava maggiormente sotto il profilo politico poiché prevedeva espressamente che la legge finanziaria potesse superare i limiti previsti dal terzo comma dell’art. 81 Cost. attraverso integrazioni e modifiche a disposizioni di legge incidenti sul bilancio, in modo che le entrate e le uscite si conformassero agli obiettivi di politica economica perseguiti dall’esecutivo. Tale previsione, definita
Governo, negli ultimi tempi era avvenuto che proprio i deputati, per rendersi popolari, proponessero spese senza nemmeno rendersi conto dei mezzi necessari per fronteggiarle.
300 D. De Grazia, Crisi del debito pubblico e riforma della Costituzione, in IANUS, n.7/2012.
301 N. Lupo, Costituzione e bilancio. L’articolo 81 della Costituzione tra attuazione, interpretazione e
112
esplicitamente dalla dottrina come esempio di “lex in fraudem constitutionis”302,
rappresentava una palese elusione del dettato costituzionale, teso a rendere la seduta parlamentare di approvazione del bilancio, un momento in cui adeguare le spese e le entrate alle molteplici istanze provenienti dalle differenti forze politiche.
Incapace di essere un reale strumento di contenimento dei disavanzi, la Legge finanziaria finì per diventare il contenitore di ogni tipo di norma accolta in conseguenza di accordi e compromessi casuali a causa dei quali la dimensione del disavanzo definitivamente approvato, da passare poi in bilancio, risultava sempre maggiore della cifra proposta dal governo303. Questa prassi proseguì per tutti gli anni
Ottanta. Solo nel 1988, dopo che nel 1981 le politiche di deficit spending subirono un duro colpo304 con la legge n. 362, recante “Nuove norme in materia di bilancio e di contabilità dello Stato”, con la quale si tentò di porre un freno agli inconvenienti
sopra descritti. La legge in questione rimodulava l’intero contenuto della legge finanziaria incidendo sia sugli elementi necessari che la componevano, che su quelli eventuali: riguardo ai primi sottoponeva tutte le sue parti, anche l’istituto dei fondi speciali, all’obbligo di copertura, dovendo, queste, rientrare nell’ambito dei limiti posti dal Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF)305. Gli
oneri correnti dovevano essere coperti attraverso nuove disponibilità finanziarie derivanti dalla stessa legge finanziaria o da provvedimenti collegati, senza incidere sul risparmio preesistente; veniva, inoltre, perfezionato il raccordo tra le previsioni della legge finanziaria e le previsioni pluriennali di spesa; la determinazione del livello massimo del ricorso al mercato finanziario veniva lasciata alla legge finanziaria, ma subordinata al rispetto dei saldi-obiettivo individuati in altra sede, in occasione dell’approvazione parlamentare del DPEF. Riguardo al contenuto eventuale della legge finanziaria, la legge del 1988, ripristinava l’originario divieto di introdurre nuove imposte, tasse e contributi, nonché nuove e maggiori spese,
302 G. Bognetti, Costituzione e bilancio dello Stato. Il problema delle spese in deficit, in Nomos, n.
3/2008.
303 Ivi, p. 25.
304 Fu vietato l’acquisto diretto, da parte della Banca d’Italia, dei titoli del debito pubblico italiano di
nuova emissione, a meno che non vi fosse un’espressa autorizzazione legislativa.
305 Quest’ultimo, approvato annualmente entro il 15 maggio, conteneva la valutazione degli andamenti
reali dei precedenti esercizi e degli eventuali scostamenti rispetto alle linee programmatiche, e fissava tutti i principali obiettivi di politica economica del Governo, riferiti non al singolo anno finanziario ma all’intero bilancio pluriennale (su base triennale).
113
facendo salve solo alcune ipotesi espressamente previste dalla legge stessa. Con le “Nuove norme in materia di bilancio e di contabilità dello Stato”, al Presidente dell’Assemblea veniva affidato il potere di stralcio delle disposizioni non inerenti all’oggetto della legge finanziaria; veniva inoltre introdotto un particolare regime di ammissibilità degli emendamenti che escludeva, a prescindere che gli stessi fossero stati presentati dal Parlamento o dal Governo, le disposizioni in contrasto con gli obblighi di copertura. Il tentativo operato della riforma era diretto a rendere la legge di bilancio e la legge finanziaria più aderenti al dettato costituzionale306.
Una successiva modifica all’impianto del sistema relativo alla materia del bilancio arrivò nel 1999 con la legge n. 208 recante “Disposizioni in materia finanziaria e contabile”. La normativa, annullando molte delle prescrizioni della riforma precedente, estese nuovamente il potere di modificare la legge finanziaria, ripristinandone alcuni dei contenuti originari transitati nel collegato di sessione, e ridando, così, spazio all’approvazione di leggi finanziare dai contenuti più disparati. Con il peggiorare del quadro politico, l’assenza di un quadro normativo che fosse in grado di porre un freno alla patologica espansione della spesa pubblica, fu necessario procedere attraverso un ulteriore intervento legislativo. Il d.l. n. 194 del 2002, cd. decreto “taglia-spese” intervenne sul contenuto necessario delle leggi di spesa e sui meccanismi di vigilanza ad esse collegati. Uno di questi consisteva nell’attribuzione al Ministro dell’Economia e delle Finanze di un potere diretto di inibitoria di tutte le spese eccedenti i limiti legislativamente approvati. Parte della dottrina, molto critica nei confronti del provvedimento in questione, sostiene che lo stesso abbia alterato i rapporti tra Parlamento e Governo, sbilanciandoli verso l’esecutivo, e ritiene la normativa non in linea con la natura previsionale dei bilanci, nonché deresponsabilizzante nei confronti della classe politica parlamentare che, rassicurata dalla possibilità di inibitoria successiva, finiva per quantificare in maniera poco rigorosa gli oneri derivanti dall’attuazione delle leggi sostanziali.
306 Dal 1992 Governo e Parlamento introdussero la prassi di un terzo disegno di legge, il c.d.
“collegato di sessione”, che aveva lo scopo di supplire alla limitata portata operativa della legge finanziaria: nel collegato di sessione confluirono tutti i contenuti tipici delle leggi finanziarie, così come erano state approvate prima della riforma del 1988, anche se sempre in maniera limitata, considerato l’obbligo di rispettare i saldi ed i vincoli determinati in sede di approvazione del DPEF. Mediante l’instaurazione di tale prassi, si operò, in realtà, un passo indietro rispetto alla riforma del 1988. In tal senso, A. Brancasi, op. cit.
114
Da ultimo non si può non menzionale la l. n. 196 del 2009 con la quale si sostituisce la legge finanziaria con la legge di stabilità. Quest’ultima, unitamente alla legge di bilancio costituisce, la nuova manovra di finanza pubblica: ciò che si è detto circa la funzione della legge finanziaria, ben può valere per quella di stabilità. La legge di stabilità si presenta più aderente alla sua funzione: il suo contenuto è circoscritto al contenuto c.d. tipico della legge finanziaria, rappresentato dalle disposizioni determinanti gli equilibri finanziari generali. Questa riduzione di contenuto spiega, poi, il nomen juris dell’atto: la legge è stata concepita come strumento per individuare i mezzi idonei a perseguire gli obiettivi finanziari stabiliti in sede di programmazione307. Alla restrizione di contenuto della legge di stabilità è
corrisposto un ampliamento di contenuto della legge di bilancio, dato che si presta a due considerazioni: in primo luogo, sul piano relazionale, sembrerebbe essere suffragata la tesi che vedeva nella legge finanziaria un atto normativo prossimo alla legge di bilancio, anziché alla legislazione sostanziale. Alla restrizione del contenuto dell’uno corrisponde l’estensione del contenuto dell’altro atto. In secondo luogo, il legislatore del 2009, nell’ampliare l’ambito decisionale della legge di bilancio, ha implicitamente riconosciuto il carattere sostanziale della legge di bilancio.
Si è detto che la legge di bilancio è legge in senso tecnico, la cui competenza è limitata e quindi lo è anche la sua capacità normativa. Si è sostenuta la tesi, parzialmente differente da quella prevalentemente accolta in dottrina, secondo cui il vincolo che deriva dalla legge di spesa nei confronti della legge di bilancio è da intendersi nel senso che, salvi eccezionali casi, la legge di bilancio può rinviare o ridurre una spesa, anche se la legge sostanziale la definisce esattamente nel quantum. Tra la legge di bilancio e la legislazione di spesa vi è un rapporto di competenza e non di forza normativa, e questo spiega l’incapacità della legge di bilancio di abrogare una legge sostanziale. Invece, la norma della l. n. 196 menzionata impone
307 A questo proposito, basti osservare che l’art. 11, l. n. 196 del 2009, prevede che la legge di stabilità
contiene, in positivo, norme esclusivamente tese a realizzare effetti finanziari con decorrenza nel triennio considerato dal bilancio pluriennale; e, in negativo, che l’atto de quo non può contenere norme di delega o di carattere ordinamentale ovvero organizzatorio, né interventi di natura localistica o micro settoriale, come, invece, era previsto per la legge finanziaria.
115
di rileggere, parzialmente, questo rapporto, in chiave di forza e non più solo di competenza308.
Prima di trattare della riforma costituzionale approvato con legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che ha profondamente innovato la materia, è opportuno tracciare le linee direttive che hanno portato alla modifica della Costituzione, le cui radici sono da rinvenire, in grande parte anche nell’influenza che le norme europee hanno avuto sul diritto nazionale.
1.2. L’influenza europea sulla riformulazione dell’art. 81 Cost.
Trattando di norme europee in materia di economia e finanza, è doveroso parlare della cd. Costituzione economica europea309. Quest’ultima, con riferimento specifico
ai Trattati, definisce gli ambiti entro i quali le autorità, centrali e locali, esercitano i propri poteri. Nella nozione di Costituzione Economica Europea, vanno ricondotti tre contesti specifici: una Costituzione del mercato unico, una Costituzione monetaria e una Costituzione finanziaria310.
La Costituzione del mercato unico raggruppa le norme fondamentali della disciplina del mercato: concorrenza, mercato unico, libertà economiche, iniziativa economica pubblica nel mercato europeo; la Costituzione monetaria comprende, invece, la politica monetaria e il controllo su tutti quei fenomeni in grado di influenzare la moneta, la vigilanza sulle banche e l’organizzazione dei mercati finanziari; la Costituzione finanziaria, infine, raccoglie in sé le politiche di bilancio, intese in senso ampio, nei suoi vari aspetti di finanza comunitaria, politiche fiscali, politiche macroeconomiche di spesa, finanze nazionali e rapporto tra risorse e risultati nel quadro delle politiche di stabilità e di crescita311. Ciascuna di queste macro aree
corrisponde a frazioni di sovranità degli Stati e dell’Unione che, nel caso della
308 L’art. 23 cit. riconosce alla legge di bilancio, solo in via eccezionale, la possibilità di modificare la
legislazione di spesa vigente, al fine di realizzare e conseguire gli obiettivi finanziari programmati.
309 Si veda, per una trattazione analitica, A. Lucarelli, Scritti di diritto pubblico europeo
dell’economia, op. cit.
310 G. Di Plinio, La Costituzione economia nel processo costituente europeo, in Diritto Pubblico
Comparato ed Europeo, n.1/2004.