La ricostruzione di una categoria giuridica discussa
3. L’indirizzo politico: il problema della sua definizione e l’apporto della dottrina Gli studi del periodo antecedente la Costituzione del
3.4. L’indirizzo politico “alla prova” della Costituzione.
Come si avrà modo di meglio approfondire nel secondo capitolo, i problemi si pongono in ordina all’inquadramento dell’attività di indirizzo (da cui si fa discendere anche una critica all’istituto in esame) sono strettamente riconnessi all’assetto ordinamentale delineato dai costituenti.
Va sin da subito rilevato che la nostra Carta non dedica ampio spazio all’istituto, il quale è sussumibile dalla lettura in combinato disposto di articoli che si riferiscono, a loro volta, ad altri istituti.
Per meglio precisare, ci si riferisce in primo luogo all’art. 95 Cost. (nei periodi in cui si dispone che “Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale
del governo […]” ed ancora, “Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri”); in secondo
luogo all’art. 94 Cost. (in cui non è fatto espressa menzione della locuzione indirizzo politico ma, come avremo modo di meglio chiarire in seguito, “Il Governo deve
avere la fiducia di entrambe le Camere”); ed ancora, l’art. 49 Cost. (“Tutti i cittadini
atti», come sostenuto da G. U. Rescigno, Le convenzioni costituzionali, Padova, CEDAM, 1972, p. 100 ss. e anche da F. Bassi, op.cit., p. 64 ss. «Il concetto di indirizzo politico tenderebbe così inutilmente ad unificare proprio ciò che il diritto vuole e deve distinguere. L’indirizzo politico come attività unificante è nozione realistica, che esprime un punto di vista suscettibile di produrre conoscenze utili, ma irrilevante giuridicamente nel senso che è intrinsecamente contraddittorio con il significato del diritto come tecnica per separare ed equilibrare attraverso pesi e contrappesi, sul piano del dover essere il potere politico», come ricostruito da M. Dogliani, voce Indirizzo politico, op. cit., p. 247. Da ciò ne conseguiva una lettura dell’indirizzo in chiave, ancora una volta “esistenziale”. Concezione che è stata seguita da G. Guarino, Il Presidente della Repubblica italiana, in Riv. Trim.
Dir. Pubb., 1951, p. 932; G. Cuomo, Unità e omogeneità del governo parlamentare, Napoli, Jovene,
1957, p. 162 ss.; L. Paladin, La potestà legislativa regionale, Padova, CEDAM, 1958, p. 262 ss.; W. Leisner, La funzione governativa di politica estera e la separazione dei poteri, Milano, Giuffré, 1960.
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hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”). Non occorre fare riferimento solo
a queste tre disposizioni, perché in linea di principio anche nella parte sui “principi fondamentali” e sull’ordinamento regionale sarebbero individuabili delle disposizioni funzionali a ricostruire la nozione e le modalità di estrinsecazione dell’indirizzo politico stesso.
Da quanto premesso consegue che le teorie precedentemente menzionate non hanno perduto di valore per spiegare l’indirizzo politico anche dopo l’approvazione della Carta repubblicana.
In particolare, riferendoci alle posizioni “normative”, vi sono rientrate anche quelle interpretazioni che hanno negato la funzione direttiva del governo, collocandola nel Parlamento, con particolare riguardo ai partiti politici. In particolare è possibile riferirsi a coloro i quali, a partire dalla riflessione del Duverger124, hanno posto
maggiormente l’accento sul ruolo dei partiti nello studio della forma di governo. La realtà del sistema politico-partico, “trasfusa” nelle disposizioni costituzionali si è posta, secondo una nota e importante linea di pensiero, nei termini seguenti: «la storia dei governi della Repubblica italiana è storia dei governi di coalizione o di governi costituitisi in attesa e per consentire che si determinassero le condizioni politiche per la formazione di governi di coalizione»125.
L’autore giunge a tale conclusione facendo leva sul combinato disposto degli artt. 3 e 49 Cost. da cui discenderebbe il principio di eguale partecipazione alla determinazione dell’indirizzo politico di «tutti» come «somma aritmetica», attraverso la mediazione dei partiti politici, necessari per permettere il «concorso effettivo dei cittadini alla determinazione della politica nazionale»126.
124 In particolare, tra la copiosa attività del giurista e politologo francese si richiama M. Duverger, Le
partis politiques, Parigi, A. Colin, 1951.
125 Secondo G. Ferrara, Il Governo di coalizione, Milano, Giuffré, 1973, pp. 1 ss., la forma di governo
parlamentare è «quanto mai esposta alle modulazioni che la realtà politica può imporgli di
assumere».
126 Ivi, pp. 9 ss.; a ciò va aggiunto (pp. 49 ss.) che il principio proporzionale diventa una «necessità
istituzionale» che deriva da ragioni storiche e sociali. L’esperienza repubblicana dimostrerebbe la
«impossibilità strutturale di utilizzare il principio maggioritario come soluzione al problema della formazione della maggioranza e del governo al livello di scelta elettorale», così che nel contesto multipartitico italiano, «l’obiettivo reale di ogni partito non è la conquista del potere, ma la partecipazione ad esso».
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La conseguenza è che la politica nazionale quale «rappresentazione che i partiti esprimono delle istanze politiche della collettività», è la matrice dei possibili indirizzi politici: l’indirizzo è decisione, destinata a tradursi in atti concreti, «politica per derivazione, per contenuto, per scopo»127.
Evidentemente il principale strumento attraverso il quale concorrere alla determinazione della politica nazionale non potrebbe essere che l’accordo di coalizione, per meglio conciliare la medesima importanza che riveste ciascun partito con la regola della maggioranza, imposta dall’esigenza di fare delle scelte, secondo un disegno coerente di fini. L’indirizzo politico che ne consegue poggia, dunque, su un «supporto organizzativo», «precostituito»128.
Non è necessario indagare se quest’interpretazione, e le numerose varianti che si sono susseguite per precisarne129 o aggiornarne l’impianto130, “si presti ad
127 Ivi, pp. 39 ss.
128 In tal senso A. Morrone, op. cit.; in particolare si vuole qui sottolineare un passaggio nella lettura
che l’A. dà al pensiero del Ferrara, laddove si sottolinea che: «La coalizione tra partiti, nelle ipotesi combinatorie ovvero nelle «formule» possibili in ragione degli interessi sociali e dei programmi politici di ciascun partito, non diventa un «superpartito», perché ogni forza politica man- tiene la propria identità e la posizione di parità rispetto agli altri soggetti coalizzati. Anche se la coalizione «non ha dignità formale», ne costituisce «sintomo» la formazione del governo. La fiducia è la «esternazione» di un indirizzo politico, «figura progettuale» di ciò che «è stato già deciso», come «scelta determinata e concreta»). Se tutto questo non bastasse, a rafforzare la natura fondativa e determinativa dell’indirizzo politico incarnata dai partiti politici, mediante la coalizione di governo, stanno le caratteristiche strutturali del patto di coalizione, vera e propria «figura negoziale del nostro diritto costituzionale»: 1) le clausole di dissoluzione, affidate alla «incontrollata» «signoria» di ciascun partito; 2) la distribuzione e l’individuazione dei Ministeri ai vari partners, secondo le trattative dei partiti; 3) l’indirizzo politico, fissato nel programma di governo, approvato formalmente dal Consiglio dei ministri e oggetto della fiducia, ma la cui «base», le cui «linee fondamentali», la cui «sostanziale struttura è oggetto delle trattative tra i partiti», e contenuto della funzione affidata all’incaricato Presidente del consiglio dei ministri».
129 Ci si riferisce a P. A. Capotosti, Accordi di governo e Presidente del Consiglio dei Ministri,
Milano, Giuffré, 1975, passim; secondo il quale, la formulazione dell’indirizzo politico troverebbe il proprio antecedente nella contrattazione dei partiti politici. L’accordo di coalizione, esclusa la natura normativa e/o contrattuale viene considerato al pari di una «regola convenzionale», produttiva di «oneri politici» per i partiti che lo costituiscono. L’indirizzo politico sarebbe, quindi, «la risultanza di
questo accordo o, per meglio dire, l’essenza d’accordo stesso», che può identificarsi con il contenuto
dell’accordo, che, a sua volta, può mutare nel corso della durata in carica di un governo.
130 In particolare cfr. P. Ciarlo, Mitologie dell’indirizzo politico e identità partitica, Napoli, Liguori,
1988, passim, secondo il quale già con la Costituzione si segna una «sconfitta» della «concezione
forte dell’indirizzo politico» come «determinazione dei fini dello Stato» affidata ad un esecutivo
monocratico, nel contesto di un ordinamento la cui Carta fondamentale si pone essa stessa come fine e riconosce il pluralismo partitico, assicurato dalla proporzionale e dalla logica del compromesso, con conseguente impossibilità di riconosce nel nostro ordinamento costituzionale la concezione normativa dell’indirizzo. In questa prospettiva viene meno il binomio indirizzo di maggioranza (contrapposto a)-
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applicazioni democratiche o a esiti partitocratici”131. Secondo questo filone di
pensiero, che si è fatto strada negli anni Settanta e seguenti del secolo scorso, il contenuto dell’indirizzo politico non coincide con una libera attività di governo. Quest’ultima, infatti, è strettamente riconducibile ad un accordo di coalizione presupposto che, a sua volta, è dotato della “forza d’indirizzo e direzione politica” dell’azione di Governo.
Tale forza “indirizzatrice” dell’accordo di coalizione deriva proprio dal consenso e dalla volontà espressa dai partiti di maggioranza (che, a sua volta, trova fondamento nella partecipazione di tutti i partiti alla determinazione della politica nazionale in virtù del disposto dell’art. 49 Cost.). Sarebbero dunque i partiti la vera fonte di legittimazione dell’indirizzo politico. L’indirizzo politico si configurerebbe come una «realtà compositiva», a cui il governo deve dare forma nelle fasi successive (di attuazione); così che «gestire il patto di coalizione significa, perciò, assicurare il mantenimento ed il consolidamento del rapporto pattizio, e significa dimostrare la validità di questo, eseguendo le prescrizioni che esso contiene, il che coincide con la realizzazione dell’indirizzo politico, nelle forme e nei modi fissati nel patto, secondo le linee esatte che la trattativa ha consentito di disegnare»132. In questo modo, quel
duplice condizionamento in entrata e in uscita dell’indirizzo politico rispetto ai poteri dello Stato, ossia nei confronti di tutti gli organi costituzionali, di cui parlava Mortati, «trova nel sistema politico partitico un principio d’ordine di natura deontologica. Il che presuppone l’esistenza di una razionalità intrinseca nella forma partito e nel sistema dei partiti, una razionalità che giustifica il fondamento di valore ad essi riconosciuto, e la conseguente natura prescrittiva che i rapporti di forza tra i
indirizzo di minoranza, perché «l’indirizzo politico è costituito, dunque, dagli atti degli organi costituzionali in grado di esprimere la distinzione tra le forze politiche: in un contesto di normalità istituzionale, un fine è politico se può essere distinto dagli altri fini, infatti se i fini non si mostrano diversi, non concorrono a determinare la dialettica partitica che contraddistingue la selezione dei governanti».
131 A. Morrone, op. cit., p. 15, poiché secondo l’autore sarebbe empiricamente dimostrabile in
entrambi i casi.
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partiti imprimono all’indirizzo dell’attività di governo»133; prospettiva che sembra
aver accolto anche altra autorevole dottrina134.