Sommario: 1 L’effettivo tramonto delle Assemblee elettive?; 2 Gli strumenti a disposizione del Parlamento per “incidere” in materia
1. L’effettivo tramonto delle Assemblee elettive?
Dall’analisi delineata nel capitolo precedente si è potuto evincere che, a seguito del processo di integrazione europea, il disegno istituzionale posto in essere ha fatto perno (in particolare in materia economica) sul Sistema Europeo delle Banche Centrali e sulla Banca Centrale Europea, nella convinzione (illusoria) che la cessione di sovranità a livello monetario avesse potuto garantire il consolidamento dell’Unione Economica e Monetaria e, al contempo, una conseguente integrazione a livello politico396.
La crisi economico-finanziaria, che ha investito anche l’eurozona a partire dal 2008, ha aperto la strada a scenari diversi, in particolare ad una maggiore attenzione al controllo dei bilanci al fine di evitare disavanzi eccessivi397.
In tale scenario gli Stati membri hanno comunque conservato una sovranità in materia di bilanci che potrebbe sembrare apparente, dati i vincoli imposti dal Patto di Stabilità e Crescita, dal successivo Fiscal Compact, quali argini a presunte irresponsabilità dei decisori politici più inclini a ridurre le entrate ed aumentare le spese.
Il quadro è reso complesso anche con riguardo al sistema europeo di indirizzi di politica economica su cui si fonda il coordinamento delle politiche di bilancio, contenuti in un documento (Broad Guidelines for Economic Policies)398, a carattere
informale, non legislativo, che sfugge al controllo del Parlamento europeo. Anche in
396 Per una disamina degli aspetti legati (in via generale) al processo di integrazione europea e alle sue
“ricadute” sul sistema parlamentare nazionale, si vedano (a titolo esemplificativo) F. Balaguer Callejòn, Il Trattato di Lisbona sul lettino dell’analista. Riflessioni su statualità e dimensione
costituzionale dell’UE, in A. Lucarelli-A. Patroni Griffi (a cura di), Dal Trattato costituzionale al Trattato di Lisbona, Napoli, ESI, 2009; C. Tucciarelli, Forma di governo nazionale ed UE al termine della XV legislatura: il ruolo del Parlamento italiano, in www.forumcostituzionale.it; W. Sleath, The
role of the National Parliaments, in G. Amato-H. Bribosia-B. De Witte (a cura di), Genèse et destinée de la Constitution européenne, Bruxelles, Bruylant, 2007; L. Gianniti, Il ruolo dei Parlamenti nazionali dopo il Trattato di Lisbona: un’opportunità o un problema?, in F. Bassanini-G. Tiberi (a
cura di), Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, II ed., Bologna, Il Mulino, 2010. C’è chi ha parlato anche di euro quale “dispositivo inducente”, nella speranza della “realizzazione automatica di un noto brocardo: dove c’è Stato c’è moneta e dove c’è moneta c’è
Stato”, in tal senso F. Merusi, Il sogno di Diocleziano. Il diritto nelle crisi economiche, Torino,
Giappichelli, 2013, p. 19.
397 Come si è avuto modo di delineare nel capitolo precedente. 398Consultabile in
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questo caso dimostrando una minore rilevanza di tale istituzione rispetto al Consiglio Europeo o Commissione399.
Quanto, poi, ai Parlamenti nazionali, i meccanismi di riforma volti a favorire un controllo dei bilanci nazionali anche a livello europeo, come si è avuto modo di vedere nel capitolo precedente, anche in virtù del Reg. 472/2013 «sia nella approvazione del bilancio che nel varo dei programmi di riequilibrio predisposti dalla Commissione, […] hanno spazi decisionali rigorosamente circoscritti e l’unica arma che possono brandire per sottrarsi alla vigilanza europea è la bocciatura del bilancio, che nei regimi parlamentari determina inevitabilmente la caduta del governo con tutti gli effetti a cascata sul piano nazionale (crisi politica, scioglimento anticipato, nuove elezioni) ed europeo (attivazione dell’assistenza finanziaria e sostanziale “commissariamento” del paese sussidiato)»400.
Senza poter, in questa sede, ripercorrere tutte le riforme introdotte sul piano europeo al fine di porre rimedio alle asimmetrie indotte dagli squilibri finanziari e macroeconomici, si ritiene utile sottolineare che, come emerge anche in dottrina401,
anche a livello europeo si è registrata una marginale rilevanza dell’Assemblea parlamentare; da ciò si fa discendere che la «verticalizzazione delle procedure di sorveglianza multilaterale e l’irrigidimento del coordinamento delle politiche di bilancio non fanno che accentuare anche le differenze di poteri decisionali delle assemblee rappresentative».
A ben vedere, il problema di fondo risulta essere quello evidenziato nel primo capitolo: il rapporto tra Stato e mercato; come infatti sottolineato in dottrina, tanto la stabilità monetaria quanto l’affannosa ricerca per politiche di bilancio virtuose degli Stati membri, «restringono le capacità dell’intervento pubblico nei rapporti economici»402, postulando un governo dell’economia attuabile solo per il tramite del
potenziamento del mercato stesso, al fine di favorire lo sviluppo e la crescita
399 Data l’impossibilità, in questa sede, di poter approfondire tutti gli aspetti legati al funzionamento
delle istituzioni a livello europeo e, in particolare, alle rispettive funzioni in materia economica, si rinvia (a titolo esemplificativo) a G. Strozzi-R. Mastroianni, Diritto dell’Unione Europea. Parte
istituzionale, Torino, Giappichelli, ult. ed.
400 In tal senso A. Zorzi Giustiniani, Parlamento europeo e parlamenti nazionali nella governance
economica e finanziaria europea, in www.nomosleattualitadeldiritto.it, n.3/2015, pp.13 ss.
401 Ivi, pp. 20 ss.
402 In tal senso E. Mostacci, La sindrome di Francoforte: crisi del debito, costituzione finanziaria
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economica403; ciò sul presupposto che le finanze pubbliche degli Stati membri
debbano essere soggette alla logica del mercato, nonché al giudizio dello stesso, anche con riguardo alla gestione del debito pubblico404.
Si tratta di un evidente squilibrio a favore del mercato e a svantaggio dello Stato; se, infatti, lungo l’intricato percorso di integrazione economica e monetaria europea, nonostante la definizione di perimetri diversi d’intervento statale nell’economia a favore di principi concorrenziali, non si è mai posta in discussione la necessità di prevedere (comunque) un governo dei processi economici attuato anche al di là delle logiche di mercato (e volto al soddisfacimento delle istanze politiche e sociali), gli strumenti a ciò preposti sono stati, nella pratica, limitati405.
Dunque la spinta verso una notevole riduzione al ricorso all’indebitamento e principi di stabilità finanziaria rilevano non solo nella misura in cui possono rappresentare dei vincoli a carattere contenutistico per i policy maker nazionali406, ma anche perché in
assenza di un’effettiva integrazione politica e fiscale a livello europeo, tendono a risultare privi di obiettive giustificazioni e slegati dai valori che caratterizzano il
403 Cfr. L. Nuño Gomez, La reforma constitucional en debate, in E. Álvarez Conde-C. Souto Galván
(a cura di), La constitucionalización de la estabilidad presupuestaria, Madrid, IDP, 2012, pp. 281 ss. Invece, più generale, per quanto attiene l’idea di una «sovranità del mercato», si rinvia alle considerazioni di A. Morrone, Teologia economica v. Teologia politica?, in Quad. cost., 2012, pp. 832 ss. nonché ad L. Canfora, Critica della retorica democratica, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 33 ss.
404 Tale circostanza sembra essere confermata anche dalla Corte di Giustizia nella Sent. Pringle C-370
del 27 novembre 2012, in www.eur-lex.europa.eu, nella quale la Corte si è pronunciata a favore della modifica dell’art. 136 TFUE e della compatibilità con il diritto dell’Unione del Trattato che istituisce un meccanismo europeo di stabilità; in particolare, al par. 135, si sottolinea che «il divieto stabilito all’articolo 125 TFUE garantisce che gli Stati membri restino soggetti alla logica del mercato allorquando contraggono debiti, la quale deve spingerli a mantenere una disciplina di bilancio. Il rispetto di una disciplina siffatta contribuisce a livello dell’Unione alla realizzazione di un obiettivo superiore, vale a dire il mantenimento della stabilità finanziaria dell’Unione monetaria».
405 Di questo avviso E. Mostacci, La sindrome di Francoforte, op. cit. pp. 20 ss., secondo cui «la
riduzione della politica finanziaria al funzionamento degli stabilizzatori automatici, la sterilizzazione delle politiche macroeconomiche e la limitazione dell’intervento pubblico in favore dello sviluppo alla promozione della concorrenzialità del mercato e al miglioramento dell’ambiente competitivo nazionale incidono direttamente sulle finalità del governo dei processi economici, a danno di altri obiettivi che pure presentano legami positivi con le performances del sistema, come la distribuzione del reddito e la piena occupazione».
406 Limitazioni che, inevitabilmente, si ripercuotono sull’indirizzo politico complessivamente
considerato (e non circoscritto alla sola sfera economica); in tal senso cfr. G. Guarino,
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costituzionalismo democratico degli Stati membri e l’architettura delle Costituzioni del secondo dopoguerra407.
Risulta, allora, evidente che disposizioni europee in materia di bilanci e finanze pubbliche statali se riescono ad ingenerare minori tensioni all’interno dello stesso assetto ordinamentale europeo, data la pluralità e diversità dello stesso408, non
produrranno lo stesso effetto nell’ambito degli ordinamenti nazionali; sul piano europeo infatti, «né il formante normativo, né quello giurisprudenziale sono chiamati a interrogarsi sulle ricadute del diritto europeo in termini e di funzionalità dei processi decisionali nazionali e della strutturazione complessiva – vale a dire politica, economica e sociale – delle collettività nazionali. D’altra parte, lo stesso formante dottrinario è posto nella condizione di approcciare le due sfere giuridiche – nazionale ed europea – secondo i canoni propri di ciascuna di esse»409.
Per tali motivi, le disposizioni europee finisco con il condizionare non solo le disposizioni che potremmo annoverare sotto il nome di Costituzione economica
italiana410, ma anche le strutture portanti del progetto di comunità politica sottese al
disegno costituzionale inteso nel complesso delle disposizioni della Carta411.
407 Sul punto E. Mostacci, op. cit., p. 24, per il quale «il punto è che le innovazioni in materia di
finanza pubblica determinano una sorta di torsione dell’assiologia costituzionale, la cui intensità non può ancora essere definita, in grado di incidere sul livello intrinseco di meritevolezza delle diverse situazioni giuridiche costituzionalmente protette, a beneficio di alcuni diritti di libertà della cui fondamentalità, almeno secondo la Costituzione italiana, si è dubitato e a detrimento delle numerose istanze sociali e distributive che innervano, seppure con intensità non omogenea, le Carte costituzionali di ampia parte dei Paesi europei».
408 Tanto che parte della dottrina ha individuato nell’ordinamento europeo una pluralità di diverse
Costituzioni parziali; a tal proposito si veda K. Tuori, La Constitution économique parmi les constitutions européennes, in Revue Internationale de droit économique, n. 4/2011, pp. 559-599.
409 E. Mostacci, op. cit., p. 24.
410 Seppur con le opportune precisazioni come si è avuto modo di sottolineare nel primo capitolo. La
dottrina, infatti non è concorde nel ritenere che si possa parlare di Costituzione economica in riferimento alle disposizioni della Carta avente ad oggetto la disciplina dei rapporti economico-sociali, data anche l’impossibilità di considerarle come “avulse” dalle altre (alle quali sono inevitabilmente connesse). In tal senso, si rinvia anche a A. Lucarelli, Scritti di diritto pubblico europeo
dell’economia, op. cit., passim, e Id., Per un diritto pubblico europeo dell’economia. Fondamenti
giuridici, in E. Castorina-A. Lucarelli-D. Mone (a cura di), Il diritto pubblico europeo dell’economia, in Rass. Dir. Pubbl. Eur., n. 1/2016.
411 In particolare, sul rapporto tra struttura economica e comunità politica si veda M. Luciani, Unità
nazionale e struttura economica. La prospettiva della Costituzione repubblicana, Relazione al
convegno annuale AIC su Costituzionalismo e Costituzione nella vicenda unitaria italiana, Torino, 28 ottobre 2011, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
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Del resto, si è avuto modo di sottolineare che, principale conseguenza dell’assetto delineato dall’UEM, è stato il “decadimento” dell’istituzione parlamentare e della capacità di quest’ultima di farsi portatrice di istanze e di un deciso indirizzo politico. «Ciò non significa che il problema di un eventuale ingiustificato ricorso al deficit non si ponga. Anzi, i processi politici svolgono appieno la propria funzione nel momento in cui risolvono i conflitti distributivi generati dall’assunzione di finalità pubbliche, senza cadere nella tentazione di rinviare scelte difficili grazie al debito pubblico»412.
Tutti questi profili concorrono, dunque, a determinare un’inevitabile e profonda correlazione tra Stato-mercato e indirizzo politico nella materia considerata. Di qui l’importanza di individuare una via da percorrere che possa conciliare un’integrazione europea (seppur ancora imperfetta) con le esigenze di un governo dei processi economici che la Costituzione ancora è in grado di imporre.
2. Gli strumenti a disposizione del Parlamento per “incidere” in materia