Sommario: 1 Alle origini della titolarità parlamentare in materia di indirizzo politico; 1.1 La centralità del binomio Parlamento-Governo;
3. L’inevitabile “commistione” tra tecnicismo e politica: esito atteso o causa del problema?
Poste queste premesse, ai fini dell’indagine si ritiene utile evidenziare un ulteriore elemento involutivo che ha determinato una contrazione delle funzioni parlamentari in materia di indirizzo politico economico: la commistione tra tecnicismo e politica. Si è, infatti, accennato (nei paragrafi 2 e seguenti) che tra le ragioni che hanno determinato un rafforzamento dei poteri dell’esecutivo in materia economica determina una forte pregnanza dell’elemento “tecnico” sulle scelte politiche.
Tale problema non è di poco conto e non è estraneo alla riflessione giuridica: già parte della dottrina ha sottolineato se la tecnica e la politica si pongano in su di un piano dualista o di polarità. Se, dunque, la relazione tra tecnica e politica sia di opposizione (o reciproca esclusione) o se vada affrontata in termini di complementarietà281.
279 Cfr. C. Martini, La riforma dell’amministrazione centrale: un documento e due provvedimenti, in
Giornale di dir. amm, n. 8/2008.
280 S. Bigazzi, op. cit., p. 22.
281 In tal senso R. Balduzzi, Introduzione, in G. Grasso (a cura di) con la collaborazione di R. Perrone,
Il governo tra tecnica e politica, Atti del Seminario Annuale dell’Associazione “Gruppo di Pisa”,
Como, 20 novembre 2015, Napoli, Editoriale Scientifica, 2016, pp. 1 ss., secondo cui l’eventuale complementarietà/polarità rileverebbe perché «ciascuno dei due poli, pur essendo limitato e avversato dal polo contrario, trova in quest’ultimo ragion d’essere e fondamento costitutivo, in quanto l’uno non potrebbe esistere senza l’altro e viceversa». Cfr., a tal proposito anche A. Sciortino, Il governo tra
tecnica e politica: le funzioni, op cit., p. 10, secondo cui «tra le due componenti – tecnica e politica –
non vi è a priori un rapporto di conflittualità o di sfida che la prima lancia alla seconda erodendo o sfilacciando il tessuto democratico delle società contemporanee». Diverso è stato, invece, l’approccio
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Inevitabile il richiamo al pensiero dello studio francese L. Favoreau, che aveva coniato l’espressione «politique saisie par le droit»282, ovvero il difficile
inquadramento della decisione politica (per sua natura discrezionale) in rapporto all’importanza derivante dai vincoli ed esigenze del sistema delle fonti che rappresentano limiti di carattere (almeno prevalentemente) tecnico.
Come sottolineato da attenta dottrina283, infatti, la questione del ricorso ai tecnici in
politica è molto risalente e si è riproposta in varie epoche storiche, posto che ieri come oggi, assumere delle decisioni di governo ha implicato “competenza”.
Soprattutto in ambito economico, tale connubio trova fondamento anche nelle ideologie neoliberali: «il potere economico, infatti, per legittimarsi ha bisogno di vestire gli abiti del potere neutro e di presentarsi come portatore di verità scientifica»; “potere neutro” che solo la tecnica potrebbe rivestire. Non può negarsi, allora, che, il mercato condizioni sotto diversi aspetti l’organizzazione del potere divenendo «fulcro di un sistema di pensiero che diventa tecnica di governo […]» e «specularmente, il ruolo della tecnica subisce una trasformazione, da confine della politica (ciò di fronte a cui la politica si deve arrestare) a strumento con cui il potere si legittima e si rafforza, eludendo i meccanismi della responsabilità»284.
Accanto a questo condizionamento tecnico-giuridico della politica, l’avanzamento progressivo e crescente dell’interdipendenza e della globalizzazione ha comportato ulteriori conseguenze; in particolare gli “impulsi” che promanano a livello europeo, sintetizzabili nell’esigenza di avere finanze sane, rappresenterebbero la «premessa per il corretto primato della politica e, insieme, come condizione per l’attivazione del modello economico sociale scritto nei Trattati stessi, quello cioè di un’economia sociale di mercato altamente competitiva»285.
Il problema emerge in maniera evidente quando la componente “tecnica” è così pervasiva da incidere anche sui fini dell'azione politica, sconfinando nella cd.
tecnocrazia o tecnodemocrazia, volta ad indicare quella «forma oligarchica di potere
di G. Volpe, Il costituzionalismo del Novecento, Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 245 ss., il quale si pone contro l’invasione, l’invasività e la pericolosità dell’invasione da parte della tecnica.
282 L. Favoreu, La politique saisie par le droit. Alternances, cohabitation et Conseil constitutionnel,
Paris, Economica, 1988.
283 A. Sciortino, Il governo tra tecnica e politica: le funzioni, op. cit., p. 11.
284 Per approfondire tali rilievi e citazioni si rinvia a M. Cuniberti, L’organizzazione del governo tra
tecnica e politica, op. cit., p. 47 e bibliografia straniera richiamata.
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che si alimenta prevalentemente della specializzazione e delle competenze tecniche del suo apparato burocratico»286; determinando una “contrazione” della politica a
favore della “tecnica” con l’illusione, per la prima, di essere in grado di fissare obiettivi e determinare la politica nazionale, quando in realtà è la seconda a delinearne inevitabilmente i contorni287. D’altro canto, anche sul fronte delle scelte
dei tecnici possono evidenziarsi problemi nel momento di interpretazione degli obiettivi che l’organo politico ha individuato288.
Solo, infatti, cercando di contemperare un giusto “equilibrio” tra la componente tecnica e politica il risultato dei contenuti (anche dei prodotti normativi) potrebbero porsi a garanzia del buon governo289 (si pensi, ad esempio, anche al caso del CIPE
nella componente tecnica sopra richiamata).
L’incidenza, dunque, della tecnica ha investito sempre più le funzioni governative, modificando gli equilibri della nostra forma di governo, tanto che oggi non è più possibile immaginare che il processo di decisione pubblica, e la determinazione dell’indirizzo politico, possa svolgersi senza il supporto delle necessarie competenze specialistiche che, come sottolineato in dottrina, dovrebbero comunque «essere gestite o meglio “governate” politicamente». Questo perché tali conoscenze, in quanto specialistiche (dunque per loro natura frazionarie) necessitano di essere inserite in un progetto più ampio che sia in grado di definirne i fini ultimi; ed anche perché le scelte tecniche potrebbero essere innumerevoli e, quindi, il processo di selezione tra le stesse dovrebbe spettare alla politica290.
Ciò rileva, in particolar modo, per alcuni settori della politica governativa, tra i quali quello economico, nel quale da un lato sono richieste maggiori competenze tecniche e specialistiche, dall’altro sono quelle destinate ad avere un’incidenza rilevante sul corpo sociale; proprio per tale motivo richiedono un momento di “sintesi” a livello politico.
286 Cfr. M. Duverger, Giano: le due facce dell’Occidente, Milano, Edizioni di Comunità, 1973, p. 42;
A. Sciortino, op. ult. cit., p. 13 ss.
287 Si richiama J. Ellul, L’illusion politique, Paris, Table ronde, 2004, pp. 44 ss.
288 Si veda D. Mone, Qualità normativa tra tecnocrazia ed effettività della democrazia
rappresentativa, Napoli, Jovene, 2010, pp. 133 ss.
289 Pur con la persistenza di “zone d’ombra”, come rilevato da A. Sciortino, op. ult.. cit., p. 18. 290 In tal senso A. Sciortino, Il governo tra tecnica e politica: le funzioni, op. cit., p. 10.
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Infatti, da misure apparentemente tecniche e adottate da istituzioni non sempre politiche (a livello sovranazionale) derivano risvolti politici che investono l’economia dei Paesi interessati. La normativa economica europea ha inciso (ed incide) su ambiti di competenza degli Stati membri che ne limitano la sovranità e condizionano l’elaborazione delle politiche in materia economica spettanti al binomio Parlamento-Governo nazionale. Basti pensare alle riforme introdotte nel tempo in materia di equilibrio di bilancio, come si avrà modo di approfondire nel capitolo successivo.
Questi nuovi scenari determinano inevitabilmente dei mutamenti del nostro assetto ordinamentale a costituzione invariata; in particolare, proprio nelle democrazie parlamentari, caratterizzate da una rivendicazione di poteri di controllo sull’indirizzo politico economico e finanziario governativo da parte dei Parlamenti.
Il ruolo di questi ultimi, infatti, risulta notevolmente ridimensionato e ciò determina ripercussioni anche sul piano della qualità della democrazia; l’esigenza della codeterminazione (Parlamento-Governo) dell’indirizzo politico-finanziario, si pone, infatti, come fondamentale ai fini di un corretto contemperamento tra diritti sociali e politiche di equilibrio di bilancio.
Dunque, la stretta ed inevitabile commistione (da intendersi dunque in termini di complementarietà “virtuosa”) tra tecnica è politica si ritiene essere causa ed esito
atteso del progressivo sbilanciamento in seno ad organi governativi e sovranazionali
dell’indirizzo politico statuale, anche in parte economico.
Si avrà modo di dimostrare che tale assetto non postula necessariamente un “tramonto definitivo” delle funzioni parlamentari in tale ambito ma, al contrario, può aprire nuovi e diversi scenari di riflessione.
Oggetto dell’ultimo capitolo, infatti, sarà la possibilità di riconoscere alle Camere nazionali un ruolo di controllo e indirizzo attraverso il coinvolgimento delle Commissioni parlamentari competenti per il bilancio, nonché attraverso l’attività dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) e di altri organi ausiliari del Governo e del Parlamento.
Come sottolineato, infatti, anche in dottrina, «se da un lato gli strumenti di
governance economica assottigliano gli spazi della politica ed immettono non pochi
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prestazioni che l’Unione europea esige dai governi, che sfatano oltretutto l’equivoco di una politica economica e finanziaria statale eterodiretta, equivoco che peraltro ha fatto comodo ai governi per scaricare la responsabilità a livello europeo di politiche di austerità»291.
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