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È, dunque, indiscusso l’assunto secondo il quale la Costituzione, per quanto riguarda i principi che devono governare i processi di produzione e distribuzione della ricchezza, fa proprio un modello di “economia mista”.

L’esame delle disposizioni costituzionali che regolano i rapporti economici, così come il loro inquadramento nel sistema di garanzie e limiti contenuto nella stessa Costituzione italiana, pongono il giurista, in primo luogo, dinanzi alla scelta di un approccio interpretativo sistematico al fine di inquadrare ogni disposizione costituzionale nella configurazione generale della forma di Stato e di governo.

Come autorevolmente sostenuto «Gli enunciati costituzionali in cui le questioni della democrazia incrociano quelle del potere economico sono molteplici e trasversali e si sviluppano come in una sorta di crescendo musicale. Il testo costituzionale, infatti, si apre subito con l’esplicita qualificazione dell’Italia quale “Repubblica democratica, fondata sul lavoro” (art. 1, co. 1, Cost.) e propone fin dall’evocazione dei suoi

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princìpi fondamentali il ripetuto triplice accostamento della sfera “politica, economica e sociale” (artt. 2 e 3, co. 2, Cost.)»53.

Nella definizione della disciplina dei rapporti economici54 , in particolare,

l’attenzione dei padri costituenti si volse su temi che maggiormente incidevano sulle relazioni politico sociali di allora (con particolare riguardo al lavoro e ai diritti dei lavoratori, alla previdenza sociale, proprietà agraria ecc.55). Si è sottolineato che il

contesto politico che ha preceduto i lavori dell’Assemblea Costituente era caratterizzato da una tradizione liberale prefascista (tra cui, tra gli esponenti di spicco, ritroviamo Einaudi), «che si erano mantenuti estranei, e anzi sempre critici, nei confronti della evoluzione in senso dirigistico della politica economica nazionale»56.

53 In tal senso M. Benvenuti, Democrazia e potere economico: la “forma” del primato costituzionale,

seconda versione provvisoria della relazione dell’A. al XXXII Convegno Annuale AIC, in

www.associazionedeicostituzionalisti.it, cui si aggiunge «nella sua parte I, la struttura economica è disciplinata dall’intero titolo III, dove si ritrovano dodici densissimi articoli, e viene altresì conformata sul piano dei doveri costituzionali, con particolare riferimento al concorso delle spese pubbliche e ai caratteri del sistema tributario (art. 53 Cost.). Nella sua parte II, il tema qui trattato investe quanto meno la disciplina costituzionale del bi- lancio (art. 81 Cost.), l’istituzione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (art. 99 Cost.), il riparto della potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni (in particolare, l’art. 117, co. 2, lett. e, Cost., ma non solo, viste le plurime incidenze sulla dimensione economica sia di molte delle materie costituzionalmente enumerate, sia degli ulteriori ambiti competenziali regionali desumibili a silentio), la disciplina delle funzioni amministrative (art. 118, co. 1, Cost.) e delle attività di inte- resse generale (art. 118, co. 4, Cost.), l’autonomia finanziaria degli enti territoriali (art. 119 Cost.), nonché la libera circolazione tra le Regioni (art. 120, co. 1, Cost.)».

54 In particolare si sottolinea che non è mancato un ampio dibattito in dottrina sulla possibilità di

configurare la disciplina dei rapporti economici come una vera e propria “Costituzione economica” e chi, invece, ha prediletto una lettura in chiave interpretativa sistematica (anche alla luce degli altri Titoli della Carta costituzionale) della stessa. A titolo esemplificativo si ricordano i lavori di N. Irti,

L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, Laterza, 1998, e criticamente M. Luciani, Economia nel diritto costituzionale, in Dig. Disc. Pubb., Vol. V, Torino, Utet, 1990; G.C. Spattini, Ascesa e declino (eventuale) della nozione di “Costituzione economica” (nell’ordinamento italiano e in quello comunitario), in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2005, pp. 1579 ss.; R. Miccù, Costituzionalizzare l’economia all’epoca della crisi, in Quad. pluralismo, 1996; nonché, per una disamina approfondita

degli aspetti legati all’intervento statale in materia economica, A. Pisaneschi, Dallo Stato regolatore

allo Stato imprenditore. E ritorno?, Torino, Giappichelli, 2009.

55 Si vedano in tal senso i lavori della III Sottocommissione 26 luglio e 9 settembre 1946, sino alla

loro chiusura il 26 ottobre 1946.

56 Cfr. P. De Carli, Costituzione e attività economiche, Padova, CEDAM, 1978; L. Gianniti, Note sul

dibattito alla Costituente sulla “costituzione economica”, in Diritto Pubblico, 2000 secondo cui «Le scelte prese a ridosso della costituente, la graduale liberalizzazione del commercio estero e del credito (marzo 1946) e l’ammissione dell’Italia alle istituzioni di Bretton Woods (2 ottobre 1946)» rappresentavano (con particolare riguardo a quest’ultima), «una vera e propria scelta “costituzionale”

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Senza entrare nel dettaglio delle posizioni dottrinali circa l’opportunità o meno delle scelte politiche di quegli anni57, risulta utile sottolineare che la «debolezza storica del

capitalismo privato italiano rendeva necessario un ruolo di supplenza della mano pubblica» anche e soprattutto attraverso l’apporto di enti pubblici già presenti nel nostro ordinamento, quale l’IRI, ritenuti «indispensabili per mobilitare il risparmio e perseguire politiche di sviluppo del sistema economico»58.

Se, tuttavia, da un lato risultava necessario tracciare forme di intervento dello Stato in materia economica, dall’altro ogni ipotesi di “programmazione” venne del tutto respinta (con il consenso anche delle stesse organizzazioni politiche e sindacali della sinistra); così, dunque, iniziarono e si svilupparono i lavori in costituente59.

La Costituzione italiana ha, dunque, tracciato un progetto che pone particolare attenzione all’eliminazione delle diseguaglianze materiali e culturali che impediscono la pari dignità sociale; in particolare delineando un ruolo attivo della politica e dello Stato per permettere che tutte le attività pubbliche e private convoglino verso tale obbiettivo.

Dalla trama della disciplina costituzionale emergono una serie di indicazioni generali che fungono da direttrici anche per le altre norme: in primo luogo la centralità del principio lavorista60 quale strumento non solo di sostentamento ma anche di piena

affermazione della personalità del singolo61; in secondo luogo, «la funzione

redistributiva quale condizione di destinazione della ricchezza prodotta sia essa pubblica che privata che si rende evidente nella funzionalizzazione dei beni, delle attività economiche e delle fonti di energia al raggiungimento di benessere e di utilità che marcava l’adesione ad un sistema aperto e stabile di scambi […]; un provvedimento che fece dell’Italia il paese con il più basso grado di protezionismo “esterno” in Europa».

57 Secondo P. Saraceno, Intervista sulla ricostruzione 1943-53, Roma-Bari, Laterza, 1977, p. 15 e ss.

trionfo di una visione radicalmente liberista, secondo altri frutto di teorie economiche ormai obsolete e sorpassate, M. De Cecco, La politica economica durante la ricostruzione in Italia 1943-1950, in S. J. Woolf (a cura di), La ricostruzione, Roma-Bari, Laterza, 1974 p. 291 ss.

58 Secondo quanto rilevato da L. Gianniti, Note sul dibattito alla Costituente, op. cit.; che, a sua volta

richiama F. Barca, Compromesso senza riforme nel capitalismo italiano, in F. Barca (a cura di), Storia

del capitalismo italiano, Roma, Donzelli, 1997.

59 Per meglio approfondire gli aspetti legati ai dibattiti in senso alla III Sottocommissione e, in

particolare alla proprietà agraria, ai monopoli e al credito si veda L. Gianniti, op. cit., passim.

60 In tal senso si richiama M. Benvenuti, Lavoro (principio costituzionale del), in Enc. Giur., Torino,

UTET, 2009, nonché Id., Democrazia e potere economico: la “forma” del primato costituzionale, op.

cit.

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sociale o generale»62. Del resto, l’intero tessuto costituzionale è caratterizzato da

un’’“intensa socialità”63, a sua volta espressiva della “profonda socialità che

caratterizza la persona stessa”64, da intendersi quale “naturale aspirazione a

collegarsi spiritualmente con i propri simili”65, e si caratterizza come un principio

fondamentale anche e soprattutto in ordine alla lettera dell’art. 2 Cost. Ecco perché, qualora la realtà economico-sociale risulti contraddistinta da eccessive diseguaglianze, in linea con il disposto dell’art. 3, II c., Cost., “l’ordinamento sociale

va modificato per adeguarlo all’ordinamento giuridico, per rendere questo coerente, per eliminare ogni contraddizione”66.

È per questo motivo che poi entra in gioco il circuito democratico e con esso le forme e i limiti della determinazione dell’indirizzo politico.

La nostra Costituzione non ha voluto imporre modelli astratti, men che meno in ambito economico, offrendo la possibilità alla politica (che sia in grado e abbia interesse) di servirsi dei suoi “strumenti” per assicurare il progresso dei singoli e dell’intera comunità67, fornendogli un percorso entro il quale muoversi.

Si è così sostenuto che “l’ordinamento economico italiano” vanta di un duplice aspetto: “un’astensione ad osservare ed una funzione da esercitare”68; si astenga

dall’imporre un particolare modo di produzione ma «pretendendo dal modo di produzione dominante di accettare la sua soggezione ad un tipo di Stato il cui ruolo, costituzionalmente ridefinito si riconverte in funzione sociale»69.

Tale duplice aspetto si accompagna nella stessa Carta all’individuazione stessa della sede decisionale, deputata a “fronteggiarsi” con la continua mutevolezza di queste dinamiche; tale sede consiste, naturalmente, nel Parlamento, luogo depositario della

62 In tal senso F. Angelini, Costituzione ed economia al tempo della crisi, in rivista AIC, n. 4/2012. 63 Sentenza C. Cost. del 13 dicembre 1988, n. 1088.

64 Sentenza C. Cost. del 28 febbraio 1992, n. 75. 65 Sentenza C. Cost. del 26 maggio 2017, n. 122.

66 In tal senso M. Benvenuti, Democrazia e potere economico, op, cit.; cfr. anche L. Basso, Giustizia e

potere, in Dem. Dir., 1971, p. 568; Id., Il diritto al lavoro nella Costituzione, in F. Livorsi (a cura di), Stato e Costituzione, Venezia, 1977, p. 130; G. Volpe, L’ingiustizia delle leggi, Milano, 1977, p. 284;

M. Dogliani, Interpretazioni della costituzione, Milano, 1982, p. 67.

67 Cfr. M. Luciani, Unità nazionale e struttura economica, in Annuario AIC 2011, Napoli, Jovene e

M. Benvenuti, Democrazia e potere economico, op. cit.

68 G. Ferrara, Costituzione e revisione costituzionale nell’età della mondializzazione, in Scritti in on.

Di G. Guarino, Padova, CEDAM, 1998, Vol. 2, p. 256.

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rappresentanza ex art. 67 cost. e organo chiamato a sostanziare le numerose riserve di legge di cui anche la disciplina costituzionale dell’economia risulta caratterizzata (artt. 41, c. 3; 42, c. 2, 3 e 4; 43 e ss.)70.

70 Si richiama a tal fine l’illuminante relazione di M. Benvenuti, Democrazia e potere economico, op.

cit., nonché “contra”: L. D’Andrea, Democrazia e potere economico: la “forma” del primato costituzionale, seconda versione provvisoria della relazione dell’A. al XXXII Convegno Annuale

AIC, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, secondo cui “Nella lunga ricostruzione offerta da

Marco Benvenuti non mi sembra affiorare in alcun momento (se non marginalmente ...) il riconoscimento di un ruolo positivo giocato al riguardo dall’autonoma determinazione degli attori privati del processo economico: nell’impostazione seguita dal relatore le libertà economiche sono qualificate come “ineliminabili, piuttosto che inviolabili”; si direbbe che esse nel disegno costituzionale siano quasi “sopportate”, se non addirittura francamente subite”; l’A. predilige, dunque, una lettura della Costituzione che privilegi la lettura delle libertà economiche come valori costituzionalmente tutelati. Si può tuttavia rilevare che non per forza lo Stato dovrà porsi in contrasto con il privato, ma al contrario, la dimensione pubblico-privata (soprattutto in materia economica) può fondersi, dando maggiore pregnanza al modello di “economia mista” cui i nostri padri costituenti sono approdati; lo Stato, infatti, può essere un partner fondamentale del settore privato, addirittura un partner più audace, poiché disposto a prendersi rischi che le imprese non intendono assumersi. In termini analoghi e nella medesima prospettiva cfr. M. Mazzucato, Lo Stato innovatore. Sfatare il mito

del pubblico contro il privato, Roma-Bari, Laterza, 2013, p. 10; M. Mazzucato e M. Jacobs (a cura

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