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Sommario: 1 Alle origini della titolarità parlamentare in materia di indirizzo politico; 1.1 La centralità del binomio Parlamento-Governo;

1. Alle origini della titolarità parlamentare in materia di indirizzo politico economico

2.1. La “nuova” figura del Ministro di Economia e Finanza

2.1.1. Le variabili “autodeterminate”

Il ministero dell’economia e delle finanze è stato oggetto di un ciclico processo di fusione e divisione che ne ha determinato la struttura e le funzioni.

Storicamente, l’impostazione cavouriana prevedeva la gestione delle entrate e delle spese in capo al Dicastero delle Finanze. Fu avvertita però ben presto l’esigenza di ridurre il forte potere pervenuto nelle mani di quest’unico dicastero, per tale motivo questo venne scisso e fu istituito il Ministero del Tesoro. In capo al primo rimasero le

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funzioni inerenti la gestione delle imposte, al secondo furono attribuite quelle relative alla contabilità, al patrimonio e al tesoro.

Questo equilibrio si mostrò tuttavia ben presto precario; le competenze furono con De Stefani ricondotte nelle mani del Ministero delle Finanze; dopo circa venti anni, in piena seconda guerra mondiale, il Ministero del Tesoro fu di nuovo ricostituito. Negli anni successivi, su proposta di Luigi Einaudi, fu creato un nuovo dicastero, il Ministero del Bilancio. Seguì un periodo di proposte di riordino e riunificazione dei ministeri economici; solo all’inizio degli anni ‘90 ha avuto inizio una reale riforma volta a riorganizzare la pubblica amministrazione, in particolare con le “Leggi Bassanini” relative alla ripartizione delle funzioni tra i vari livelli di Governo. Il processo che ha condotto alla strutturazione dell’attuale Mef è scindibile in due diverse fasi: la prima, anni 1996/1997, conclusasi con la definitiva unione tra il Ministero del Tesoro e del Bilancio, sotto la responsabilità del Ministro Ciampi; la seconda, conclusasi con la successiva fusione con il Ministero delle Finanze.

Questa ristrutturazione ha preso le mosse dalla riforma generale che ha interessato l’organizzazione del Governo; in particolare, il d.lgs. 300/99, oltre alla rivisitazione delle strutture parte del Ministero del Tesoro-Bilancio, ha promosso la fusione dell’allora Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica con il Ministero delle Finanze, creando così il Mef.

Con la riforma, peraltro caratterizza da una consistente incertezza nella definizione e nell’organizzazione del nuovo assetto ministeriale, è emerso come la scelta di intensificare le decisioni di finanza pubblica in un unico attore, da un lato si è allineata agli schemi europei, in cui è presente un unico interlocutore con tale sede; dall’altro, ha intrinsecamente comportato un aumento del “potere” imputabile al Mef e, in parte, il conseguente affievolimento dei poteri in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri244.

Ciò è stato determinato anche da una riorganizzazione interna al Ministero stesso e da alcune sue attuali componenti245.

244 In questi termini e per approfondire l’evoluzione storica del dicastero, si richiama il lavoro di S.

Bigatti, Il ruolo istituzionale del Ministero dell’Economia e delle Finanze alla luce della crisi

economico-finanziaria, in Federalismi.it, 01/2017.

245 L’organizzazione attuale del Mef, come prevista dall’art 23 del d.lgs. 300/99, è parte della più

ampia riforma dell’organizzazione del Governo ai sensi della l. 59/97. Al vertice del ministero si colloca il Ministro e le strutture con esso direttamente cooperanti: viceministri, sottosegretari di Stato,

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In particolare, il principale dipartimento del Mef è la Ragioneria generale dello Stato, ritenuta il fulcro del potere del Dicastero dell’Economia: è l’unica autorità in grado di incidere sul potere del Governo di decisione di spesa in modo generale, nonché nella preliminare fase, laddove, la c.d. “apposizione del bollino”246 risulta il

principale strumento di influenza nelle scelte di spesa pubblica247. Trattasi in

particolare di una sorta di avallo dato dall’amministrazione finanziaria al definitivo passaggio dell’atto al Governo, Consiglio dei Ministri e relativa Presidenza. Parallelamente a questo ampio potere, la Ragioneria generale dello Stato ne detiene un altro, ovvero quello rinvenibile nella precisa e puntuale conoscenza dei c.d. “cordoni della borsa”248; la Ragioneria è infatti l’unica in grado di disporre di dati

contabili e conoscenze economico-finanziarie, cosicché tutti gli altri soggetti dell’ordinamento sono costretti a rifarsi a tali conoscenze. Per di più, alla luce del processo di integrazione europea, la Ragioneria generale dello Stato è stata investita di ulteriori adempimenti relativi al rispetto dei rigorosi vincoli del patto di stabilità, ricoprendo il ruolo di “tutore finanziario”249 del sistema ammnistrativo.

uffici di diretta collaborazione e OIV. I viceministri – così come previsto ai sensi dell’art 10 co. 3 della l. 400/1988 - dispongono di deleghe relative ad un'intera area di competenza o di una o più strutture dipartimentali o di più direzioni generali, oltre a vedersi riconosciuta la possibilità di partecipare alle sedute del Consiglio di ministri per riferire in relazione a questioni loro delegate. I secondi, sempre in base all’art. 10 comma 3 della l. 400/88, collaborano con il Ministro ed esercitano i compiti loro delegati. In più, possono intervenire alle sedute delle Camere e delle Commissioni parlamentari e rispondere ad interrogazioni e interpellanze. Ne emerge chiaramente la strategicità della loro nomina, nonché la loro responsabilità, solidale con il Ministro e con l’intera compagine governativa, nei rapporti con l’assemblea parlamentare sul piano più strettamente politico. Per quanto concerne gli uffici di diretta collaborazione con il ministro, anche in questo caso è forte la commistione tra profili tecnici e politici. Di rilievo è in particolare la posizione di mediazione che svolge il gabinetto del Ministero tra vertice politico e funzioni amministrative. Oggi, il d.p.r. 227/2003 regolamenta tali uffici, con soluzioni organizzative ereditate dagli apparati soppressi degli ex tre dicasteri ma adattate alla mutata fisionomia dell’amministrazione. Per approfondire tali aspetti si rinvia a S. Bigatti, op. ult. cit., pp. 6 ss.

246 Purtuttavia, non essendo prevista in forma specifica alcuna disposizione normativa, non parrebbe

riconducibile ad alcun vincolo giuridico in senso stretto; almeno in linea teorica la “bollinatura” potrebbe anche non essere apposta. La prassi ha però totalmente avallato questo potere dell’amministrazione: nessun atto privo di “bollinatura” è mai giunto agli uffici del Quirinale.

247 Cfr. E. D’Alterio, Finanza pubblica e amministrazione: “Verifiche” e “Bollino” della Ragioneria

generale dello Stato, in Riv. trim. di dir. pubb., n. 4/2016, pp. 1009 ss; S. Cassese, Finanza e amministrazione pubblica, in Riv. Trim. di dir. pubb. n. 3/1974, pp. 962 ss;

248 Cfr. S. Bigatti, op. cit., p. 11.


249 E. D’Alterio, Finanza pubblica e amministrazione: “Verifiche” e “Bollino” della Ragioneria

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Da ultimo, anche la recente riforma della legge di contabilità e finanza pubblica pare rafforzare ulteriormente il ruolo cruciale della Ragioneria generale dello Stato: di fatto il Mef è stato messo nelle condizioni di avere a disposizione dati ancora più preziosi riguardanti l’andamento della finanza pubblica; ancora, il passaggio della legge di bilancio dalla forma c.d. “formale” a “sostanziale” comporta, anche se in via indiretta, un’estensione della procedura di “bollinatura”. Da ultimo, sono state ulteriormente arricchite le disposizioni riguardanti la copertura finanziaria delle leggi che, in base all’art. 17 della l. 196/2009, rendono la procedura molto più articolata. Da questa breve panoramica esposta, si possono, dunque, evincere i motivi che, a livello ordinamentale interno hanno condotto ad un mutamento di equilibrio tra Parlamento e Governo nell’ambito della determinazione dell’indirizzo politico economico.

Per quanto attiene agli aspetti più propriamente legati al rapporto tecnica-politica, cui tale dicastero soggiace, si rinvia al paragrafo 3. Basti qui aggiungere che è evidente, come si è avuto modo di evidenziare nei paragrafi precedenti, come sia mutata nel tempo, al mutare dell’organizzazione del Ministero stesso, anche il rapporto all’interno del Consiglio dei Ministri.

Si è detto infatti che, differentemente dall’impianto cui mirava la l. 400/1988, ovvero attribuire maggiore rilevanza al Presidente del Consiglio dei Ministri quale coordinatore e promotore dei lavori, la normativa successiva è risultata scarna soprattutto con riguardo al rafforzamento dei processi decisionali250 e dando seguito

ad esiti diversi251. A ciò va aggiunta la cd. “svolta maggioritaria” del 1993, poiché

modificandosi il sistema elettorale il ruolo del Presidente si è accresciuto sempre di più.

Nonostante queste variabili “autodeterminate”, «l’equilibrio dei rapporti endogovernativi si basa, oggi come in passato, sulla stabilità politica all’interno del governo e altresì sul rilevante ruolo che è giocato dalle scelte di politica economica»252. È proprio in tale ambito che è possibile rinvenire un’involuzione dei

poteri del premier a vantaggio del Ministro di Economia e Finanza. Infatti, con

250 In particolare si veda A. Pajno – L. Torchia (a cura di), La riforma del governo, op. cit.

251 Si è sottolineato, dando seguito ad un incremento dell’attività normativa governativa a danno

dell’organo legislativo con conseguente rafforzamento del Premier.

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l’entrata in vigore delle l. 303/1999 che ha condotto all’unione dei diversi dicasteri sotto un unico Ministro si è creata una figura ministeriale particolarmente forte e in grado di influenzare notevolmente l’operato dell’intero Consiglio dei Ministri253.

In particolare, tanto più l’asse Presidente del Consiglio-Ministro dell’economia è solido, tanto più tende a relegare in secondo piano gli altri ministeri. In modo particolare, questa tendenza si accentua poichè il Mef gode di una componente tecnica più elevata degli altri dicasteri e di una maggiore legittimazione politica del Primo Ministro; ciò, tuttavia, non è pacifico in dottrina. Si distinguono, infatti, le posizioni di coloro i quali ritengono che nel caso in cui il Presidente del Consiglio goda di una forte legittimazione politica questa tende ad influenzare positivamente il rafforzamento del ruolo Mef254; e, al contrario, coloro i quali ritengono che i

condizionamenti di carattere sovranazionale o internazionale abbiano fatto assumere un peso determinante al Mef in modo assoluto, incidendo negativamente sulle prerogative del Presidente del Consiglio il quale assume piuttosto la veste di mediatore tra le diverse istanze dei componenti dell’Esecutivo, invece che di determinatore di indirizzi unitari255. In linea più generale quest’ultima criticità è

riconducibile alla crisi della collegialità del Governo e segnatamente al fallimento del tentativo, operato con la l. 400/88, di valorizzare il delicato equilibrio tra principio collegiale e funzione di direzione affidata al Presidente del Consiglio; «ne deriva che in un bilanciamento così precario, in cui la stabilità del Governo si regge sulla base di rapporti fiduciari tra il Premier, ministri, viceministri, nonché sottosegretari e dirigenti tecnici, il Mef è divenuto il principale interlocutore, nonché attore in grado di influenzarne le decisioni»256.

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