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La ricostruzione di una categoria giuridica discussa

3. L’indirizzo politico: il problema della sua definizione e l’apporto della dottrina Gli studi del periodo antecedente la Costituzione del

3.2. segue: La teoria “esistenziale”

L’impostazione descritta nel paragrafo precedente è, dunque, definita “normativa”99,

poiché concepisce l’indirizzo politico come una determinazione di fini (in termini prescrittivi giuridicamente apprezzabili, quella del Mortati, o solo politicamente efficaci, quella del Crisafulli) che rappresentano il prius rispetto all’attività posta in essere dagli organi costituzionali, nell’esercizio delle rispettive funzioni. Così che, secondo parte della dottrina100, si è costruita la legittimazione per il c.d. “Stato

discrezionale”, nel quale tutto ciò che è considerato avente natura giuridica e che appartenga alla sfera del diritto, abbia lo scopo di affermare i fini politici del regime101.

Tuttavia seguendo tale impostazione, lo Stato sarebbe apparso come un «involucro vuoto e servente, utile solo ad attribuire alle determinazioni della politica la “forma” del diritto»102. Alla luce di tali premesse, alla teoria “normativa” dell’indirizzo

politico, si è contrapposta la teoria cd. “esistenziale”103.

Secondo l’impostazione in parola, l’indirizzo politico avrebbe una valenza meramente terminologica e costituirebbe il risultato di una ricostruzione ex post, sulla base delle risultanze dell’attività degli organi costituzionali, degli atti da questi adottati, contestualmente considerati nella loro pluralità ed alla luce delle loro interazioni, giuridicamente rilevanti. L’idea di fondo è chiara: non esisterebbe un indirizzo precedentemente preordinato rispetto agli atti giuridici estrinsecazione di

98 In questi termini M. Dogliani, Indirizzo politico, in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, Vol.

VIII, Torino, UTET, 1993, p. 245.

99 T. Martines, voce Indirizzo politico, in Enciclopedia del diritto, XXI, Milano, Giuffré, p. 145. 100 E. Fraenkel, Il doppio Stato. Contributo alla teoria della dittatura, Torino, Einaudi, 1983. 101 Si veda M. Dogliani, op.cit., p. 246.

102 Ivi, p. 246 ss.

103 Ascrivibile nelle sue prime formulazioni a C. Lavagna, Contributo alla determinazione dei

rapporti giuridici tra capo del governo e ministri, Roma, Edizioni Universitarie, 1942; cfr. anche P.

Ciarlo, op. cit. p. 43 e P. A. Capotosti, Accordi di governo e presidente del consiglio dei ministri, Milano, Giuffré, 1975, p. 15.

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esso; è, dunque, un concetto attraverso il quale si cerca di leggere dei dati preesistenti. Quindi, prima vengono formati ed adottati determinati atti giuridici, da parte degli organi costituzionali sulla base di competenze attribuite dalla legge; solo in un secondo momento, gli atti così individuabili potranno essere logicamente correlati tra loro attraverso il concetto di indirizzo politico, al fine di poter rilevare ed evidenziare il loro significato politico comune e coerente. In questo modo, l’indirizzo politico rileva come elemento unificante, volto a concatenare in sequenza degli atti dotati di autonoma, compiuta efficacia e rilevanza giuridica, che contribuiscono a definire “quell’esito finale”, valutabile ex post, che non è altro che l’indirizzo politico perseguito104.

L’idea di cui si è fatto portatore il Lavagna, rispetto alla posizione del Mortati e del Crisafulli, rappresenta quindi una terza posizione rispetto alle altre già delineate, non ponendosi come “forma di compromesso” rispetto ad esse; al contrario, va inquadrata in una “diversa obiettivizzazione della finalità insita alla ricerca giuridica”.

Un impianto teorico che, quindi, ha contrapposto ad una formula dell’indirizzo politico come principio di validità ed efficienza giuridica, l’opposto principio “della

dissociabilità fra il presupposto politico e la validità autonoma della normazione giuridica”105.

Pur rilevando che l’attività politica è volta a determinare i fini del diritto, Lavagna si è fatto portatore di una chiave di lettura dell’indirizzo politico che avrebbe dovuto avere comunque una sua configurazione formale, così da poter delimitare l’ambito di operatività del governo rispetto agli altri organi costituzionali.

L’indirizzo politico era dunque qualificato non come atto particolare, “sia pure

enucleato da un contesto funzionale”, ma come il comportamento complessivo del

governo, da una prospettiva di unità e coerenza dinamica, che, però, a sua volta andava tenuta distinta dall’indirizzo politico generale dello Stato106.

104 In termini analoghi, M. Dogliani, op. cit., p. 247 ss.

105 In tal senso T. E. Frosini, Mortati e l’indirizzo politico (negli anni Trenta), in T. E. Frosini (a cura

di), Teoremi e problemi di diritto costituzionale, Milano, Giuffré, 2008, pp. 382-383.

106 Per il Lavagna, infatti, è inesatto far coincidere i due menzionati concetti (indirizzo politico del

governo e dello Stato) mentre appare l’opportunità di mantenere quello di indirizzo politico strettamente aderente al campo dell’attività politica e di amministrazione generale degli organi di governo (p. 71) […]. L’indirizzo politico, pertanto, disciplinando la realizzazione degli interessi fondamentali (concreti) dello Stato, deve di necessità aderire perfettamente al regime. In difetto di che – se proprio non si verifica una sua invalidità, dato che esso non è atto giuridico, ma insieme i criteri

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In breve, dall’analisi sommaria condotta sui temi caratterizzanti l’indirizzo politico nel dibattito dottrinale degli anni Trenta del secolo scorso emerge che il rapporto tra diritto e politica deve essere visto nella sua dialettica, tenendo necessariamente conto dei rapporti che intercorrono tra l’uno e l’altra.

Dunque, i costituzionalisti hanno subito nel tempo il fascino e l’influenza di questa categoria ponendosi o in linea con le “traiettorie della matrice” o “contestandone la

validità”. Tuttavia, sia nell’uno che nell’altro caso deve riconoscersi che la dottrina

non è mai riuscita fino in fondo a liberarsi dai “condizionamenti posti nella

riflessione degli Anni Trenta del Novecento”. Si rileva però che le teorie

sull’indirizzo politico, scevre dalle radici storiche a cui sono legate, ruotano necessariamente intorno alla “questione del potere di governo, in senso soggettivo ed

oggettivo”, che ad oggi non può che riguardare qualsiasi organizzazione

costituzionale107; così come non può non “fare i conti” con il principio della

separazione dei poteri così come accolto nelle disposizioni costituzionali108.

Ciò avrebbe dovuto liberare il campo dal “pregiudizio ideologico che ne aveva

giustificato la costruzione”; invece, nella dialettica dottrinale è continuato a pesare

un “peccato d’origine”: «il contesto fascista e il verticismo della dottrina degli anni Trenta, che aveva esaltato – non fondato ex novo, essendo una tendenza naturale anche del regime parlamentare – il primato dell’Esecutivo nell’esercizio della funzione di governo»109.

generali direttivi – può farsi luogo ad una invalidità degli atti che lo segnano e lo realizzano, nonché determinarsi la responsabilità del Capo del governo di fronte alla Corona” (p. 75).

107 In questi termini A. Morrone, op. cit., p. 7, il quale nel seguito della trattazione (p. 11) sottolinea

anche che “Simile qualificazione, che può prestarsi ad usi distorti, non è decisiva. La posizione costituzionale del Capo del Governo è una caratteristica propria del fascismo: il potere di governo invece un’esigenza comune a qualsiasi forma politica”.

108 Per una ricostruzione di questa problematica, con particolare riguardo anche al concetto di potere e

funzione alla luce delle “teorie classiche” sulla separazione dei poteri, si rinvia a G. Grasso e R.

Manfrellotti, Poteri e funzioni dello Stato: una voce per un dizionario di storia costituzionale, in C. Ghisalberti e G. Bianco (a cura di), Costituzionalismo e storia, Torino, Giappichelli, 2007.

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3.3. segue: Gli studi successivi la Costituzione del 1948 e il contributo di T.

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