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L’articolo 21 dello Statuto di Roma

2.1 Lo Statuto di Roma e il principio di legalità come riserva di legge

2.1.2 L’articolo 21 dello Statuto di Roma

Lo Statuto di Roma è permeabile alle applicazioni di norme principiologicche - le stesse, per così dire, che hanno ispirato le Corti Penali precedenti. Questa permeabilità non dovrebbe però compromettere il principio di legalità.

Infatti, forse a causa della bassa densità di alcune norme contenute nello Statuto di Roma (sia quelle incriminanti, come quelle contenute nella Sezione Generale), si è presentata la necessità di regolamentare, nell’articolo 21, le fonti di cui si può aiutare il magistrato internazionale, per rivelare un certo grado di consapevolezza del problema da parte del diritto penale internazionale107.

Così, quando si occupa della normativa applicabile dalla Corte Penale Internazionale, lo Statuto di Roma, nell’articolo 21, fissa una gerarchia di fonti. Per primo, lo stesso Statuto, nonché gli “Elementi Costitutivi dei Crimini” e le “Regole di Procedura e Prova” (queste ultime due fonti a loro volta sotto-ordinate rispetto allo Statuto). In secondo luogo, ove occorra, i trattati applicabili ed i principi e le regole di diritto internazionale, ivi compresi i principi consolidati del diritto internazionale dei conflitti armati. In mancanza, i principi generali di diritto ricavati dalla Corte in base alla normativa interna dei sistemi giuridici del mondo, compresa, ove occorra, la normativa interna degli Stati che avrebbero avuto giurisdizione sul crimine, purché tali principi non siano in contrasto con lo Statuto, con il diritto internazionale e con le norme ed i criteri internazionalmente riconosciuti.

Anche se si afferma nello Statuto di Roma, che la Corte può applicare i principi e le norme di diritto, com’è già stato interpretato da essa in precedenti decisioni.

Questo permette di discutere se la tassatività criminale è messa in rischio dal funzionamento della giurisdizione penale internazionale.

E in effetti, una connessione del citato articolo 21 con gli articoli che si occupano di reati punibili dalla Corte (artt. 5º, 6º, 7º e 8º), in aggiunta alle disposizioni dell’articolo 22, che si occupa della legalità, indurrebbero a immaginare che non ci sarebbe una vera e propria vincolazione ai tipi descritti nello Statuto di Roma. Si noti che i crimini non sono tutti descritti nello Statuto di Roma nella stessa densità e sufficienza

107 Sergio Moccia, “O tribunal penal internacional: os perfis da legalidade”, Revista Brasileira de Ciências

con cui è formulato il crimine di genocidio108.

Sebbene dopo l’articolo 21 nello testo dello Statuto di Roma ci siano gli articoli dedicati al principio di legalità, è necessario affrontare il problema di ricorrere all’articolo 21, e le sue fonti, per integrare le norme incriminanti, e la possibilità a farlo senza violare il principio di legalità.

L’affrontare questo problema comporta l’analisi dei crimini, come descritti dallo Statuto di Roma, per poi essere in grado di fare un’interpretazione adeguata dell’articolo 21 dello Statuto.

2.1.2.1 Elementi costitutivi dei Crimini

Dato il riconoscimento (o anche la confessione) della vaghezza di alcuni dei termini utilizzati per tipificare i reati (come vedremo più avanti), lo Statuto di Roma ha previsto, nel suo articolo 9º, l’elaborazione di un documento denominato “Elementi Costitutivi dei Crimini” (Elements of Crimes) al fine di assistere la Corte (sia per l’eterogeneità dei suoi membri, sia a causa della vaghezza di alcuni termini previsti dallo Statuto) nell’interpretazione delle fattispecie penali previste negli articoli 6º, 7º e 8º dello Statuto di Roma109.

Infatti, non essendo possibile, durante i lavori della Conferenza Diplomatica di Roma, raggiungere una specificazione degli elementi costitutivi delle fattispecie penali incluse nello Statuto di Roma, la soluzione concordata è stata quella di lasciare la descrizione di questi elementi a carico di una Commissione Preparatoria, responsabile per la preparazione del documento in separato, dopo la Conferenza.

Serve quindi il documento in questione per assegnare coerenza e aggiornare le descrizioni tipiche degli articoli 6 a 8 dello Statuto, molti di cui formulate in termini generali e, in alcuni casi, senza nemmeno avere uno strumento per servire come punto di riferimento, come è il caso dei crimini contro l’umanità.

Così, nell’interpretazione e nell’applicazione degli articoli 6, 7 ed 8 dello Statuto, i giudici internazionali potranno valersi del documento “Elements of Crime”, adottato dall’Assemblea degli Stati Parte e nel quale vengono illustrati gli aspetti peculiari

108 In questo senso, Sergio Moccia ( Ibidem.) per cui il crimine di genocidio sembra essere la disposizione che suscita meno problemi interpretativi.

109 Allo stesso modo, lo Statuto di Roma ha previsto, nell’articolo 51, la preparazione di un documento denominato Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove, al fine di specificare le norme dello Statuto di Roma, tra l’altro, sull’amministrazione della Corte, sull’ammissibilità dei casi, sulla procedura giudiziaria in sé e sulla partecipazione delle vittime.

e specifici di ciascuno dei comportamenti criminalizzati.

Il documento in questione (Elementi Costitutivi dei Crimini) a differenza dello Statuto di Roma, nonostante la sua densità, non soltanto non passa l’esame del Potere Legislativo domestico, ma anche, per la sua approvazione, sono sufficienti i voti favorevoli dei due terzi dei membri dell’Assemblea degli Stati Parte110.

Così, la vaghezza e l’ambiguità di alcuni termini utilizzati nello Statuto di Roma, insieme all’Elementi costitutivi dei Crimini che non hanno lo stesso grado di legittimazione dello Statuto, possono generare conflitti.

In effetti, gli Elementi costitutivi dei Crimini, il cui uso per l’interpretazione delle fattispecie penali dello Statuto di Roma è stato previsto dall’articolo 21, non solo possono non rappresentare la volontà dello Stato Parte (che, per esempio, potrebbe essere stato contrario alla sua approvazione), come andare contro la comprensione espressa dal Potere Legislativo nazionale, riguardo una particolare fattispecie penale, al momento dell’analisi dello Statuto di Roma, al fine di consentirne la ratifica.

Ancora peggio. Uno Stato può, al fine di regolamentare meglio lo Statuto di Roma, promulgare una legge che, nonostante coerente con i termini dello Statuto di Roma, sia contraria agli “Elementi Costitutivi dei Crimini”.

E in questi casi, sarà la Corte internazionale autorizzata a riconsiderare un caso, giudicato a livello nazionale, per essere in disaccordo con i termini in cui sono compresi ed applicati i dispositivi previsti nello Statuto di Roma e dettagliati nel documento “Elementi Costitutivi dei Crimini”? Può la Corte Penale Internazionale non tener conto del processo nazionale avvenuto, prendendolo per negazione della giurisdizione, per esempio, perché è in disaccordo con i termini in cui sono tradotti e intesi, a livello nazionale, le fattispecie penali previste nello Statuto di Roma?

La risposta, secondo me, tende ad essere negativa, anche per motivi del carattere non obbligatorio degli Elementi costitutivi dei Crimini, pur non essendo negli presente la stessa riserva costante al documento Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove riguardo l’inapplicabilità sulle giurisdizioni nazionali111.

110 Ai sensi dell’articolo 9º dello Statuto di Roma, quel documento, non vincolante, verrebbe formalizzato dopo l’approvazione della maggioranza dei due terzi dei membri dell’Assemblea degliStati Parte.

111 International Criminal Court. Rules of Procedure and Evidence. Explanatory note:

“The Rules of Procedure and Evidence of the International Criminal Court do not affect the procedural rules for any national court or legal system for the purpose of national proceedings.”

In effetti, il documento “Elementi Costitutivi dei Crimini”, nonostante sia guida per l’interpretazione delle fattispecie penali da parte della Corte, non può essere utilizzato per valutare l’adeguatezza dell’attuazione nazionale. Gli manca il carattere di obbligo e di legittimità, nel parametro del principio di riserva legale, una volta adottato senza alcun intervento del Legislativo nazionale. In altre parole, lo Statuto di Roma non trasferisce automaticamente la sua legittimità al documento “Elementi Costitutivi dei Crimini”.

Eppure, tuttavia, non vi è ancora nella giurisprudenza della Corte Penale un caso in cui questo è stato discusso.

2.1.2.2 Il crimine di guerra nello Statuto di Roma

Il crimine di guerra, nella forma come previsto nello Statuto di Roma, mette anche in discussione il principio di legalità. La definizione dei crimini di guerra comporta termini che portano in qualche modo vaghezza e remissioni importanti.

Infatti, lo Statuto di Roma, quando tratta di crimini di guerra, usa espressioni come “grande sofferenza”, “grave pregiudizio” e “necessità militare”. Questi elementi coinvolgono la discussione della legalità più sull’aspetto della tassatività.

Il punto più complesso, però, sta nelle clausole generali di remissione ai trattati (articolo 8º, 2, a e c) ed ai principi e consuetudini internazionali (articolo 8º, 2, b e e). Infatti, i dispositivi citati si trovano così descritti:

Articolo 8 Crimini di guerra (...)

2. Agli effetti dello Statuto, si intende per «crimini di guerra»:

a) gravi violazioni della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, vale a dire uno dei seguenti atti posti in essere contro persone o beni protetti dalle norme delle Convenzioni di Ginevra:

(...)

b) Altre gravi violazioni delle leggi e degli usi applicabili, all’interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati internazionali, vale a dire uno dei seguenti atti:

(…)

c) In ipotesi li conflitto armato non di carattere internazionale, gravi violazioni dell’articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, vale a dire uno degli atti di seguito enumerati, commessi contro coloro che non partecipano direttamente alle ostilità, ivi compresi i membri delle Forze Armate che hanno deposto le armi e coloro persone che non sono in grado di combattere per malattia, ferite, stato di detenzione o per qualsiasi altra causa: … http://www.icc- cpi.int/en_menus/icc/legal%20texts%20and%20tools/official%20journal/Documents/RPE.4th.ENG.08Feb1 200.pdf

e) Altre gravi violazioni gravi delle leggi e degli usi applicabili, all’interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati non di carattere internazionale, vale a dire uno dei seguenti atti:.

Il problema della remissione non è grave se ci rendiamo conto che l’elenco dello Statuto è numerus clausus.

Tuttavia, se si comprendere che l’elenco è soltanto esemplificativo, si consente indebitamente la tipificazione di altri crimini di guerra da trattati e, peggio ancora, da consuetudini internazionali, che potrebbe configurare la violazione del principio di legalità112.

Pertanto, assumendo essere l’elenco di condotte vietate esemplificativo e coniugando le clausole di remissione a trattati e costumi con quanto previsto all’articolo 21, che riguarda, come si è visto, le fonti applicabili, si arriva facilmente alla conclusione che lo Statuto di Roma alla fine ha ammesso, almeno per quanto riguarda i crimini di guerra, la formulazione di norma penale incriminatrice non solo da trattati internazionali (che da solo non rappresenta un’eresia se il cittadino imputato appartiene ad uno Stato firmatario del trattato oppure se ha commesso crimine nel territorio di uno Stato firmatario del trattato), come da consuetudini internazionali.

Tale ragionamento, tuttavia, che può essere ben acetato da paesi di Common Law e dalla più antica giurisprudenza penale internazionale, alla fine indebolisce notevolmente il principio di legalità come riserva di legge. Questa esegesi dovrebbe essere evitata in modo che non ci sia un passo indietro in quello che può essere considerato uno dei più grandi progressi dello Statuto di Roma: la creazione di fonte del diritto positivo per il diritto penale internazionale.

Così, per quello che riguarda i comportamenti che violano le consuetudine internazionale, dovrebbe lo Statuto di Roma prevederli in modo esaustivo, al fine di evitare indebite ampliamenti e creazioni giurisprudenziali. Per quanto riguarda l’uso di trattati per densificare i crimini di guerra, non vedo gli stessi danni al principio di legalità. In effetti, non si dovrebbe essere richiesto dal diritto penale internazionale più di quanto richiesto del diritto penale comune. La figura nelle norme penali in bianco è una contingenza che capita al legislatore, premuto per non riuscire a produrre un precetto pienamente determinato113. Nel caso dello Statuto di Roma, non ci sarebbe violazione

112 Come appunta Sergio Moccia, il rinvio si riferisce a una cinquantina diverse di fattispecie del diritto di guerra, in parte sovrapposte ai crimini contro l’umanità (per esempio, la violenza carnale, la schiavitù sessuale, la prostituzione forzata). Tuttavia, lo Statuto non indica come procedere in caso di convergenza delle varie fattispecie di questo genere. Moccia, “O tribunal penal internacional”. p. 220

della legalità una volta che il riferimento sarebbe fatto ad altri trattati, di stesso livello gerarchico. Inoltre, ci sono nello Statuto di Roma stesso elementi sufficienti che caratterizzano il genere degli atti incriminati, lasciando ad un’altra norma la possibilità di regolare qualche specificità dei precetti.

Si dovrebbe solo precisare che, in crimini di guerra, assumendo come autorizzato il completamento della norma incriminatrice da trattati internazionali, il cittadino imputato o il comportamento praticato deve mantenere, in qualche modo, rapporto con il trattato in questione. Quindi, o lo Stato di nazionalità dell’imputato o lo Stato in cui è stata commessa la condotta deve essere firmatario del trattato che verrà utilizzato per integrare la fattispecie penale.

2.1.2.3 Una possibile lettura dell’articolo 21 dello Stato di Roma

Come detto, l’articolo 21 prevede una apertura a fonti normative esterne allo Statuto di Roma, motivo per cui si può domandare se questa apertura non rappresenta un affievolimento del principio di legalità o, quantomeno, una “vistosa contraddizione tra norme”114.

Questo perché, da una parte, fa credere lo Statuto aver codificato, in modo esplicito, il principio di legalità penale; e d’altra parte, non solo permette ai giudici internazionali di ricorrere all’estensione analogica ed alla fonte consuetudinaria, come consente loro di cercare, nei sistemi giuridici del mondo, i principi generali del diritto, dando loro una vera e propria funzione creativa di diritto.

Comunque, possono queste fonti menzionate all’articolo 21 estendere la sfera punibile o addirittura competere per determinarla?

“In questo senso si è ritenuto che non contrasti col principio della riserva la funzione integrativa svolta da un provvedimento amministrativo, rispetto ad elementi normativi del fatto, sottratti alla possibilità di un'anticipata indicazione particolareggiata da parte della legge, quando il contenuto d'illecito sia peraltro da essa definito (come accade, ad esempio, per gli elenchi delle sostanze psicotrope e stupefacenti contenuti in un decreto ministeriale, correlati ad un divieto i cui essenziali termini normativi risultano legalmente definiti). In ipotesi di questo tipo, infatti, l'alternativa sarebbe quella di rimettere al giudice l'interpretazione dell'elemento normativo; ma ciò determinerebbe un significativo scadimento di certezza conseguente alle inevitabili oscillazioni applicative.

Risulta del pari compatibile col principio della riserva di legge l'ipotesi in cui il precetto penale assume una funzione lato sensu sanzionatoria rispetto a provvedimenti emanati dall'autorità amministrativa, quando sia la legge ad indicarne presupposti, carattere, contenuto e limiti, di modo che il precetto penale riceva ‘intera la sua enunciazione con l'imposizione del divinieto’ (Corte Cost., sentenza n. 113 del 1972).

… È piuttosto onere del legislatore determinare con precisione il tipo di provvedimento cui la tutela si riferisce, consentendone l'individuazione sicura e fissandone i presupposti, in modo d'assicurare un efficace controllo incidentale di legalità.

Resta in ogni caso ferma, sul piano della comminatoria penale, la necessità che ‘sia soltanto la legge (od un atto equiparato) dello Stato a stabilire con quale sanzione debba essere repressa la trasgressione dei precetti che vuole sanzionati penalmente’ (Corte Cost., sentenza n. 26 del 1966).”

Un’analisi in fretta sul tema può portare ad una risposta affermativa, anche per forza del comma 3 dell’art. 22 dello Statuto di Roma. Questo perché lo Statuto di Roma, dopo di affermare che nessuno può essere punito se la condotta non costituisce, al momento in cui praticata, un crimine soggetto alla giurisdizione della Corte (art. 22 comma 1) e di stabilire i principi di tassatività, il divieto di analogia in malam partem e la chiarezza della fattispecie (art. 22 comma 2), prevede che tale regole non impediscono la qualificazione di un comportamento come criminale secondo il diritto internazionale, a prescindere dello Statuto115.

Questa, tuttavia, non sembra essere la migliore risposta.

In effetti, intendo che né l’articolo 21 né l’articolo 22, comma 3, hanno la pretesa di allontanare lo Statuto e il principio di legalità: solo il fatto dichiarato reato dallo Statuto di Roma può essere punito. Inoltre, l’articolo 22, comma 3, infatti, lontano dal voler presentare alla Corte Penale Internazionale altri crimini che non quelli previsti nello Statuto di Roma, ha solo riservato l’esistenza, in diritto penale internazionale, di un certo numero di altre condotte criminali, nonostante non sottoposte alla Corte Penale Internazionale. Si pensi, ad esempio, che con questo dispositivo, si ha evitato la paralisi di organismi come i Tribunali ad hoc per l’ex Jugoslavia e Ruanda, che operano con altri meccanismi che non lo Statuto di Roma116.

E questa conclusione diventa ancora più evidente quando si nota che gli “Elementi Costitutivi dei Crimini”, gerarchicamente, sono per la Corte Penale Internazionale, ai sensi dell’articolo 21, in un grado superiore a trattati, principi e abitudini internazionali, nonostante lo stesso documento non abbia carattere obbligatorio e vincolante.

Così, l’itinerario dei giudici per vincere una nuova questione giuridica che trovano davanti di un crimine internazionale previsto dallo Statuto inizia dal proprio Statuto e poi parte per l’esauriente documento “Elementi Costitutivi dei Crimini”, stabilito dagli Stati Parte. Nell’ipotesi di insufficienza di questi documenti si deve fare riferimento ai trattati internazionali dedicati al perseguimento di comportamenti che violano l’umanità e la sua dignità, come ad esempio le Convenzioni delle Nazioni Unite che si occupano della prevenzione e repressione del crimine di genocidio117, della tortura

115 Masucci, “Garanzie di legalità nel Diritto Penale Internazionale”. p. 12. 116 Ibidem. p. 12.

ed altri pene o trattamenti crudeli o degradanti118, della protezione contro la sparizione forzata119, della schiavitù120, del traffico di persone e sfruttamento della prostituzione121. Sono anche utili quei trattati e disposizioni rivolte a vietare l’uso di certi mezzi e metodi di combattimento capaci di causare male superfluo o sofferenza inutili e indiscriminata122.

Quindi, l’articolo 21 non rappresenta violazione dei corollari della legalità, per aver eletto lo Statuto altre fonti di creazione del diritto. In effetti, per quanto riguarda la creazione e l’applicazione delle norme incriminatrici, resta inteso che le regole contenute nello Statuto, assistite dalle regole previste negli “Elementi Costitutivi dei Crimini”, rappresentano l’unica fonte di norme penali, visto che, in caso di ambiguità, il principio del favor rei (art. 22.2 dello Statuto) servirà per ridurre, per quanto possibile, la discrezionalità giudiziale.

Pertanto, l’articolo 21 riguarda la ricerca della migliore esegesi e del giusto campo di applicazione della norma prevista nello Statuto di Roma. Non serve a giustificare la creazione di altre fattispecie penali. Il suo scopo è quello di permettere la comprensione più accurata dello scenario in cui sono stati stabiliti i crimini dello Statuto, in modo che la Corte Penale Internazionale non trascuri mai che il risultato ottenuto dalla interpretazione sia conforme ai diritti umani internazionalmente riconosciuti.