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Principio di tassatività delle fattispecie nello Statuto di Roma

2.2 Lo Statuto di Roma e il principio de legalità come tassatività

2.2.1 Principio di tassatività delle fattispecie nello Statuto di Roma

Non vi è dubbio che, in occasione della Conferenza di Roma, gli Stati hanno cercato di contemplare il principio di tassatività e determinatezza delle fattispecie, tanto che hanno enunciato all’articolo 22, secondo comma, che “La definizione dei crimini è interpretata tassativamente e non può essere estesa per analogia”.

Anche l’articolo 5 dello Statuto di Roma indica questa opzione quando viene considerata essenziale, insieme alla previsione del crimine, la sua definizione precisa. Questo se vede nella seconda parte del dispositivo, secondo il quale l’esercizio della giurisdizione riguardo la aggressione è subordinata ad una norma che definisca il crimine164.

Inoltre, l’elenco dei comportamenti previsti agli articoli 6º, 7º e 8º dello Statuto di Roma fornisce una prima impressione che lo Statuto di Roma è stato esauriente nella classifica dei reati.

Tuttavia, una lettura iniziale delle fattispecie penali può suggerire una certa vaghezza e indeterminatezza di alcune figure criminali. E tale vaghezza può anche essere giustificata dal fatto che lo Statuto è uno strumento che cerca di conciliare le garanzie del

163 Mantovani, Diritto penale. p. 746.

Diritto Penale sostanziale con le caratteristiche particolari degli impegni politici coinvolti nell’elaborazione dei trattati internazionali165

Inoltre, il carattere multilaterale dello Statuto trova nell’incertezza di alcuni aspetti un modo di costruire consensi possibili, anche se può sembrare che questo venga fatto a scapito di norme minime di garanzia di ciascuno degli Stati coinvolti.

Argomenti di questo genere possono spiegare i termini dello Statuto, ma non li giustifica. Infatti, neanche gli interessi sovranazionali coinvolti nell’elaborazione di un trattato possono sacrificare il principio di legalità, il quale nel proteggere la libertà individuale, è anche espressione della dignità umana.

Infatti, essendo la sanzione penale la risposta più violenta che l’ordinamento può assegnare ad un individuo, è essenziale che l’arbitrio venga allontanato per quanto possibile. La risposta giudiziale per le violazioni dei diritti umani non può essere in sé anche una violazione dei diritti umani.

E nel caso dello Statuto di Roma non c’è modo di chiudere gli occhi ad una certa astrattezza e genericità di alcune delle fattispecie penali descritte (nonostante siano innegabili i progressi compiuti rispetto le fattispecie penali previste nello Statuto del Tribunale di Norimberga166). Questo diventa estremamente grave a causa della possibilità della Corte di prendere aiuto dagli “Elementi Costitutivi dei Crimini”, dai trattati, dai principi e dalle abitudini internazionali (come previsto dall’articolo 21 dello Statuto di Roma), non sempre condivisi.

Si veda, nello Statuto di Roma, il crimine di genocidio167, di cui tratta l’articolo 6º. Per quanto riguarda la formulazione di un tale crimine – nonostante forse sia il genocidio la fattispecie penale che comporta meno critiche – la descrizione della condotta

165 Moccia, “O tribunal penal internacional”. p. 208.

166 Annalisa Ciampi, “I caratteri generali della competenza della Corte”, in La corte penale internazionale:

organi, competenza, reati, processo, org. Flavio Argirò, Giorgio Lattanzi, e Vito Monetti (Giuffrè Editore,

2006), 67–76. p. 81:

per quanto riguarda le definizioni dei crimini contenute negli artt. 6-8 dello Statuto di Roma, il primo dato da mettere in evidenza à il loro carattere assai articolato, in particolare si raffrontate con quelle – estremamente laconiche – contenute nello Stattuto del Tribunale di Norimberga.

167 Statuto di Roma Articolo 6

Crimine di genocidio

Ai fini del presente Statuto, per crimine di genocidio s'intende uno dei seguenti atti commessi nell'intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, e precisamente:

a) uccidere membri del gruppo;

b) cagionare gravi lesioni all'integrità fisica o psichica di persone appartenenti al gruppo;

c) sottoporre deliberatamente persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da comportare la distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo stesso;

d) imporre misure volte ad impedire le nascite in seno al gruppo;

criminale manca ancora per la soggettività di alcuni dei suoi termini. In effetti, richiede cura la chiarificazione, per esempio, di che cosa sarebbe un “grave” pregiudizio mentale o fisico, previsto al punto b.

Ora, sia in Brasile che in Italia, il crimine di lesione corporale, per esempio, è graduato e condannato in base alla gravità della lesione. Il Codice Penale porta i parametri con cui si può affermare se si tratti di lesione corporale lieve o grave168.

Lo Statuto di Roma, tuttavia, non fornisce i parametri di base in modo da poter trattare come “grave” una data lesione, spettando alla Corte la costruzione di un tale concetto.

Nel caso dei crimini contro l’umanità, già nell’articolo 7º appare l’indeterminatezza nel concetto di crimine “commesso nell’ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili”.

Non c’è dubbio che una tale formulazione delle fattispecie penali non è quella desiderabile, poiché può generare certa insicurezza giuridica.

Tuttavia, anche se non desiderabile, è troppo esagerato capirla inapplicabile

168 Codice Penale Brasiliano. Lesione corporale

Art 129. Offendere l’integrità corporale o la salute degli altri: Pena - detenzione di tre mesi a un anno.

Lesioni fisiche di natura grave § 1. Se risulta:

I - incapacità di svolgere normali attività per più di trenta giorni; II – pericolo di vita;

III - debilità permanente di un membro, un senso o una funzione; IV - Accelerazione di parto:

Pena - reclusione da uno a cinque anni. § 2. Se risulta:

I - L’inabilità permanente al lavoro; II - malattia incurabile;

III - perdita o distruzione di un membro, un senso o una funzione; IV - deformazione permanente;

V - aborto:

Pena - reclusione da due a otto anni. Lesioni fisiche seguita da morte

§ 3. Se risulta la morte e le circostanze evidenziano che l’agente non ha voluto il risultato, ne ha preso il rischio per produrlo:

Pena - reclusione da quattro a dodici anni.

Codice Penale Italiano.

La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni:

1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni;

2) se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo.

La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva: 1) una malattia certamente o probabilmente insanabile;

2) la perdita di un senso;

3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella;

perché non risponde al principio di determinatezza169. Questo perché, in un caso concreto può il magistrato, per motivi ragionevoli, indicare gli elementi che caratterizzano la gravità (o meno) della lesione, o il carattere esteso e sistematico dell’attacco contro la popolazione civile170.

In effetti, l’analisi riguardo il rispetto del principio di determinatezza deve essere fatta non solo valutando isolatamente “il singolo elemento descrittivo dell’illecito, ma raccordandolo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa si inserisce. L’inclusione nella formula descrittiva dell’illecito penale di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero — come nella specie — di clausole generali o concetti ‘elastici’, non comporta un parametro costituzionale evocato, quando la vulnus descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice — avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca — di stabilire il significato di tale elemento, mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato.” 171

La densità minore dell’espressione normativa generale impone maggiore densità nella espressione della norma individuale, la sentenza.

Inoltre, l’uso di elementi normativi (di carattere giuridico o extragiuridico) è ricorrente nei sistemi penali nazionali, non essendo di per sé motivo per delegittimarli o rimuoverli la validità.

Merita più attenzione, tuttavia, riguardo la tassatività, i crimini contro l’umanità, in particolare la clausola di chiusura su gli altri atti inumani.

In effetti, lo Statuto di Roma, nel rapportare le condotte che, una volta praticate

169 Corte Costituzionale, Sentenza n. 122/1993:

Sebbene sia auspicabile che la determinazione del precetto e della sanzione risulti nel modo più chiaro e inequivoco da norme di non disagevole lettura, non da ogni incertezza o difetto di rigore formale può peraltro desumersi la violazione del principio di legalità. Infatti, anche in materia di comminatoria penale, quando si presentino ‘siffatte evenienze è compito dell'interprete attuare il procedimento ordinario di interpretazione.

Ciò che conta è che nel dettato normativo, pur attraverso un'analisi ermeneutica che può risultare di minore o maggiore difficoltà, siano rinvenibili elementi sufficienti per l'individuazione del precetto e della sanzione. 170 Corte Costituzionale, Sentenza n. 34/1995:

Non può infatti essere imposto al legislatore il medesimo coefficiente di specificazione di ogni singolo elemento del reato, né può essere certamente escluso a priori il ricorso ad espressioni indicative di comuni esperienze o a termini presi dal linguaggio comunemente usato (sentt. n. 31 del 1995, n. 122 del 1993, n. 475 del 1988, n. 79 del 1982), se la descrizione complessiva del fatto-reato consente al giudice una operazione ermeneutica non esorbitante dall'ordinario compito interpretativo a lui affidato (ex plurimis, sentt. n. 203 del 1991, n. 475 del 1988 cit., n. 49 del 1980, n. 188 del 1975, n. 20 del 1974, n. 133 del 1973); il che consente, in via di principio, il ricorso a figure di reati cosiddetti a forma libera, o l'inserimento di elementi normativi o di clausole generali nelle fattispecie penali.”

nel contesto di un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile, costituiscono crimini contro l’umanità, porta alla fine la seguente clausola generica: “k) Altri atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale.”

Pertanto, si può sostenere che una tale classificazione non risponderebbe al principio di tassatività della legge penale, perché non trova nelle condotte previste sui dispositivi precedenti un minimo legame di somiglianza.

Ora, è noto che il legislatore, nella formulazione delle fattispecie penali, può ricorrere all’uso di indicazioni meramente indicative e esemplificative.

Infatti e come affermato dalla stessa Corte Costituzionale italiana, “il principio in virtù del quale nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge (art. 1, Cod. pen.) non è attuato nella legislazione penale seguendo sempre un criterio di rigorosa descrizione del fatto. Spesso le norme penali si limitano a una descrizione sommaria, o all’uso di espressioni meramente indicative, realizzando nel miglior modo possibile l’esigenza di una previsione tipica dei fatti costituenti reato. In taluni casi le norme penali, nella determinazione del fatto punibile, si avvalgono di indicazioni estensive (es.: artt. 600, 601, 602,705,708, 710, ecc. Cod. pen.), ovvero anche, come appunto nella norma impugnata, di indicazioni esemplificative, più o meno numerose, le quali a un certo punto si chiudono con espressioni come ‘e simili’, ‘e altri simili’, ‘e altri analoghi’.” 172

E in tali casi, il compito dell’interprete non è applicare la norma per analogia ai casi non previsti da questa, ma attuare la procedura ordinaria di interpretazione, anche se con l’obiettivo di inserire un caso in una fattispecie molto ampia e di non facile delimitazione. E questo, secondo la Corte Costituzionale, si tratta d’interpretazione, non di applicazione analogica173.

Si verifica che solo se ammette l’uso di tali clausole di chiusura quando le condotte previste in un determinato dispositivo non presentano eterogeneità di indicazioni esemplificative, cioè quando è presente un preciso criterio di identificazione delle attività simili a quelle espressamente indicate174.

E dalla lettura dell’articolo 7 dello Statuto di Roma, in cui sono previste, per

172 Corte Costituzionale, Sentenza n. 27/1961. 173 Corte Costituzionale, Sentenza n. 27/1961. 174 Corte Costituzionale, Sentenza n. 120/1963.

esempio, le condotte di tortura, deportazione, sparizione forzata e crimini sessuali, sarebbe possibile sostenere l’assenza, tra di esse, della necessaria omogeneità per legittimare la clausola di chiusura in questione, prevista al punto (k).

Così mancando quella cornice razionalmente unitaria per condurre la Corte nella sua attività ermeneutica, ci troveremmo di fronte ad una vera analogia legis175, generalmente vietata negli ordinamenti giuridici del civil law.

Nonostante la qualità di queste critiche, ci sono argomenti disponibili per cercare di salvare l’articolo 7º dello Statuto di Roma.

In un primo momento, c’è da ricordare che la condotta di “altri atti inumani” costituisce una fattispecie penale che è sempre stata inserita negli Statuti delle precedenti Corti Penali Internazionali, come ipotesi residuale di chiusura per includere, tra i crimini contro l’umanità, tutte quelle gravi violazioni di diritti umani fondamentali, che, nonostante la sua gravità e ricorrenza, non sono stati specificati nello Statuto176.

Così, mentre l’articolo 6 (c) dello Statuto del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga rapportava l’espressione “altri atti inumani” accanto a omicidio, sterminio, riduzione in schiavitù e deportazione177, segnando il valore meramente esemplificativo dell’elencazione, l’articolo 5 (i) dello Statuto del Tribunale Internazionale per l’ex Jugoslavia e l’articolo 3 (i) dello Statuto del Tribunale Internazionale per Ruanda rapportava la categoria degli “altri atti inumani” dopo i crimini di omicidio, sterminio, riduzione in schiavitù, deportazione, imprigionamento, tortura, stupro e persecuzione per motivi politici, razziali o religiosi, il che “consentendo all’interprete un arbitrio pressoché illimitato nell’individuazione delle condotte incriminate, non appare rispettosa delle garanzie sottese al principio di legalità” 178.

E in effetti, il crimine in questione (“altri atti inumani”) è sempre stato problematico perché, in assenza di indicazioni sulla struttura della fattispecie, conferiva una discrezionalità all’interprete che facilmente potrebbe trasformarsi in arbitrio. Infatti, è stato attraverso questa finestra che sono stati considerati atti inumani: l’inflizione di

175 Catenacci, Legalità e tipicità del reato nello statuto della Corte penale internazionale. p.80/81. 176 Stefano Mancini, “I crimini contro l"umanità”, in Diritto penale internazionale, org. Enrico Mezzetti, 2o ed, vol. II - Studi (Torino: Giappichelli, 2010), 315–88. p. 384.

177 Tale modello descrittivo è stato ripreso dall’art. 5-c dello Statuto del Tribunale Militare Internazionale per l’estremo Oriente e dal Principio VI-c dei Principi di diritto internazionale riconosciuti dallo Statuto e dalla sentenza del Tribunale di Norimberga, essendo che quest’ultimo ha utilizzato la coniugazione “o” invece di “e” per collegare l’espressione “altri atti inumani” alle altre ipotesi di crimini contro l’umanità. In Esposito, Gentile, e Trapasso, “I Crimini contro l’umanità”., p. 738/739

gravi lesioni fisiche o mentali179, attacchi alla dignità della persona180, il trasferimento forzato delle persone181, i crimini sessuali diversi dallo stupro182, e la sparizione forzata delle persone183.

Pertanto, non si può non vedere, nello Statuto di Roma, un’innegabile progresso, perché li sono stati previsti, come fattispecie autonome, alcuni comportamenti che prima erano considerati criminali da costruzione giudiziaria perché classificati come “altri atti inumani” 184.

Non fosse abbastanza, si deve tener presente che lo Statuto di Roma, a differenza dei precedenti statuti normativi, ha previsto la categoria di “altri atti inumani” in modo molto più analitico185.

Infatti, tra l’abolizione della fattispecie degli “altri atti inumani” per la loro ampiezza indesiderata, e la loro mera ripetizione senza ulteriori riflessioni, sulla scia dei documenti internazionali che lo precedono, lo Statuto di Roma ha preferito una posizione mediana: “pur di scongiurare indesiderati vuoti di tutela, non si è rinunciato del tutto all’incriminazione, ma si è preferito precisare che gli ‘altri atti inumani’, oltre a possedere un ‘carattere analogo’ ai crimini contro l’umanità, devono provocare un determinato evento, e cioè una ‘grande sofferenza’ ovvero una ‘grave lesione all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale’.” 186

Così, si può dire che non è il carattere analogo della condotta che dovrebbe essere sottolineato, ma la conseguenza della condotta, una volta che il non valore della fattispecie è rivolto all’evento, implicito in tutti gli altri crimini contro l’umanità e relativo all’inflizione di una “grande sofferenza” o di una “grave lesione all’integrità fisica o alla

179 I.C.T.Y., The Prosecutor v. Blaskic, (IT-95-14-T), cit., §§ 239 ss.; I.C.T.Y., The Prosecutor v. Kupresic, (I.C.T.Y.-95-15-T), cit., § 566 apud Mancini, “I crimini contro l"umanità”. p. 385.

180 I.C.T.R., The Prosecutor v. Bagosora et al., (I.C.T.R.-98-41-T), cit., §§ 2218; I.C.T.Y., The Prosecutor

v. Dragomir Milosevic, (I.C.T.Y.-98-29/1-T), Judgmement, 12 dicembre 2007, § 935; S.C.S.L, The Prosecutor v. Fofana and Kondewa, (S.C.S.L.-04-14-T), cit., § 152. apud Ibidem. p. 385.

181 I.C.T.Y., The Prosecutor v. Krajisnic, (IT-00-39-T), cit., §§722-732; I.C.T.Y., The Prosecutor v.

Milutinovic et al, (I.T.-05-87-T), Judgement, 26 febbraio 2009, §171. apud Ibidem. p. 385.

182 I.C.T.Y., The Prosecutor v. Kupresic, (I.C.T.Y.-95-16-T), cit., §566; I.C.T.R., The Prosecutor v.

Kajelijeli, (I.C.T.R.-98-44°-T), cit., §§932ss. apud Ibidem. p. 385.

183 I.C.T.Y., The Prosecutor v. Kupresic et al, (I.C.T.Y-95-16-T), cit., § 566; I.C.T.Y., The Prosecutor v.

Kvocka, (I.T.-98-30/1-T), cit., § 208 apud Ibidem. p. 385.

184 Ibidem. p. 385.

185 V. Esposito, Gentile, e Trapasso, “I Crimini contro l’umanità”. p. 739: “nelle prime esperienze di ‘codificazione’ dei crimini contro l’umanità, infatti, ad un’elencazione, più o meno tassativa, di fattispecie incriminatrice, seguiva la categoria, residuale e tendenzialmente omnicomprensiva, degli ‘altri atti inumani’, in modo da consentire la punizione di quelle azione non espressamente previste da nessuna disposizione, ma ritenute comunque intollerabili.”

salute fisica o mentale”.

Quindi, a differenza di altre fattispecie descritte all’articolo 7º in questione, i redattori dello Statuto di Roma, per quanto riguarda gli “altri atti inumani”, non hanno previsto modi in cui è possibile causare “grande sofferenza” o “grave lesione all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale” 187. Il crimine contro l’umanità sarebbe, dunque, in particolare sulla clausola inserita all’articolo 7 (1) (k), un crimine in forma libera, riguardando al giudice, di fronte a un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile, e facendo uso dell’interpretazione estensiva188, valutare se un determinato comportamento è destinato a provocare “grande sofferenza” o “grave lesione all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale”.

Di conseguenza, l’attenzione dell’interprete, quando fa l’analisi di un caso concreto, dovrebbe voltarsi non tanto al carattere analogo della condotta, ma alla presenza dell’elemento omogeneizzatore, cioè, “grande sofferenza” e “grave lesione all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale”. Questo è il legame che dà l’omogeneità all’insieme delle condotte incriminate dall’articolo 7º e sulla base del quale il giudice può, nell’esaminare un caso specifico, dare l’effettività protettiva dei diritti umani pretesi dallo Statuto di Roma.