1.3 Conciliazione necessaria tra lo Statuto di Roma e il diritto nazionale
1.3.2 Norme di attuazione per la cooperazione con la Corte Penale Internazionale
Conforme all’articolo 88 dello Statuto di Roma, gli Stati parte si adoperano per predisporre nel loro ordinamento nazionale procedure appropriate per realizzare tutte le forme di cooperazione con la Corte Penale Internazionale.
Succede che, in Brasile, nonostante lo Statuto di Roma già faccia formalmente parte del suo ordinamento giuridico da settembre 2002, fino a questa data, nulla è stato fatto in relazione all’articolo di cui sopra.
In realtà, solo nel 2008, il Presidente della Repubblica ha inviato al Congresso
151 Corte Costituzionale, Sentenza n. 348/2007. 152 Corte Costituzionale, Sentenza n. 348/2007. 153 Corte Costituzionale, Sentenza n. 73/2001
Nazionale, attraverso il Messaggio nº 700 del 17/09/2008, il Progetto di Legge n. 4038/2008 che "dispone sui crimini di genocidio, definisce i crimini contro l'umanità, i crimini di guerra e crimini contro l'amministrazione della giustizia della Corte Penale Internazionale, che stabilisce norme procedurali specifiche, dispone sulla cooperazione con il Tribunale Penale Internazionale, e altre misure”, fino ad oggi non analizzato dalla Camera Legislativa.
L’Italia, tredici anni dopo la ratifica dello Statuto, ha edito la legge per l’adeguamento alle disposizioni dello Statuto istitutivo della Corte Penale Internazionale: Legge 20 dicembre 2012, n. 237.
1.3.3 L’incompatibilità tra Statuto di Roma e alcuni standard preesistenti
La Corte Penale Internazionale rappresenta un importante passo in avanti, nello scenario internazionale penale, per la tutela e la salvaguardia dei diritti umani, sia dal punto di vista della vittima, sia dal punto di vista dell'autore del reato.
Infatti, prima della Seconda Guerra Mondiale, i responsabili di gravi violazioni dei diritti umani non erano nemmeno accusati nello scenario internazionale. Esisteva una vera e propria irresponsabilità degli agenti dello Stato riguardo agli atti compiuti in nome dei loro Stati. Né internamente, né internazionalmente, gli autori erano puniti.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l'ordinamento giuridico internazionale ha iniziato a preoccuparsi di questi crimini che rimanevano coperti dal manto dell’impunità. Le reazioni sono state troppo impegnate riguardo alla necessità di rispondere alle aggressioni e hanno prodotto Tribunali di vincitori contro i vinti, in un primo momento, e, alla fine del secolo scorso, hanno creato Tribunali specifici e ristretti, con innegabile carica politica (ex-Jugoslavia e Ruanda).
La tutela dei diritti umani da parte di tribunali internazionali, in questo modo, si è dimostrata molto più forte nel produrre sanzioni contro i trasgressori, che nel rispettare gli standard minimi di garanzie, individuali e sistemiche, contro gli imputati nei contenziosi internazionali.
Giacché la certezza delle punizioni si è affermata nell’ordine giuridico penale internazionale, la tutela dei diritti umani da parte della giurisdizione penale internazionale si è evoluta, riguardo alla qualità di prestazione giurisdizionale nel diritto penale internazionale.
La Corte Penale Internazionale rappresenta, quindi, nello scenario attuale, non solo il culmine dell'evoluzione della risposta internazionale ai crimini contro l'umanità in
senso lato, come la situazione attuale della tutela, anche a livello internazionale, di garanzie minime degli accusati di crimini di tale gravità.
L'obiettivo di questo lavoro, però, non è esaltare le qualità del Tribunale Penale Internazionale, come spesso avviene, ma intraprendere un’analisi critica dell’adeguatezza dei progressi compiuti. Si cerca, infine, di verificare se i principi e i postulati dello Statuto di Roma, come sono stati formulati, anche se indiscussi, violano gli standard minimi di protezione degli imputati, già raggiunti negli ordinamenti giuridici di Italia e Brasile.
Lo Statuto di Roma non accetta riserve, ma non si può nascondere l'esistenza di contraddizioni - che possono essere apparenti o transitorie – tra lo strumento internazionale e le garanzie già raggiunte in molti sistemi giuridici, in punti troppo sensibili relative all'evoluzione della legge punitiva.
In questo studio, quindi, ci indirizzeremo sulla prestazione della giurisdizione penale internazionale nello Statuto di Roma, sui valori cristallizzati (i) il principio di legalità (articoli 22 al 24 e 77 all’80 dello Statuto di Roma); (ii) l’imprescrittibilità (articolo 29 dello Statuto); (iii) la consegna di nazionali e l’ergastolo (articoli 58 e 77 dello Statuto); e, infine, iv) le inosservanze delle immunità e prerogative previste dal diritto interno (articolo 27 dello Statuto).
Come si è visto, non sono poche le domande che sorgono. Inoltre, molti dei valori e principi coinvolti corrispondono alle garanzie dei cittadini, affermate nei trattati internazionali e nelle costituzioni nazionali. L’evoluzione, quindi, del sistema penale internazionale manca di analisi necessaria delle regole dello Statuto di Roma, affinché il corretto funzionamento della Corte Penale Internazionale non sia ostacolato dal problema di compatibilità con i diritti e le garanzie già raggiunti dal diritto penale nell’ordine giuridico interno.
CAPITOLO II
IL PRINCÍPIO DI LEGALITÀ NELLO STATUTO DI
ROMA E L’EVENTUALE INCOMPATIBILITÀ CON IL
DIRITTO NAZIONALE
Una delle prime critiche contro lo Statuto di Roma e, di conseguenza, alla istituzione stessa e al funzionamento della Corte Penale Internazionale riguarda il pieno rispetto del principio di legalità, come inteso dai paesi che seguono il Civil Law1.
Infatti, già 800 anni fa si affermava nella Magna Carta:
39. Nullus liber homo capiatur, vel imprisonetur, aut disseisiatur, aut
utlagetur, aut exuletur, aut aliquo modo destruatur, nec super eum ibimus, nec super eum mittemus, nisi per legale judicium parium suorum vel per legem terre2.
Secondo la concezione attuale, il principio di legalità è un’esigenza di tipo politico-garantista, tipico della cultura liberale, al fine di proteggere l’individuo da un uso arbitrario della potestà punitiva3.
Le sanzioni applicate nella sfera penale, di solito, comprimono o addirittura annichilano i beni del più alto rango. La libertà individuale arriva al limite costrittivo di un ergastolo. Per i sistemi penali che accettano la pena di morte, anche la vita – l’esistenza del soggetto stesso – è eliminabile dalla legge penale.
La forza sanzionante del Diritto Penale, di conseguenza e per prudenza,
1 Anche se compreso con sfumature diverse, Jeremy Bentham aveva già descritto il principio nullum crimen
sine lege come la garanzia che nessuno può essere perseguito per un reato che non sia previsto come tale
in un determinato paese, pena la violazione della libertà garantita dal contrato sociale e protetta dal diritto penale. Anche la Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1798, nel caso Calder v. Bull ha detto che qualsiasi legge che criminalizza un fatto dopo il suo avvenimento è una pratica illegale. In Lincoln, Jennifer, “Nullum Crimen Sine Lege in International Criminal Tribunal Jurisprudence. The problem of the residual category of crime”, [s.d.]. p. 137.
2 39. Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, multato, messo fuori legge, esiliato o molestato in
alcun modo, né noi useremo la forza nei suoi confronti o demanderemo di farlo ad altre persone, se non per giudizio legale dei suoi pari e per la legge del regno.
3 Ex plurimis Mauro Catenacci, Legalità e tipicità del reato nello statuto della Corte penale internazionale (A. Giuffrè, 2003). p. 99.
dovrebbe essere gestita come ultima ratio tra le possibili risposte alla cattiva condotta4. Inoltre, la loro esistenza stessa è coinvolta da meccanismi di precauzione, di natura formale, destinati a metterla lontano dalla facile e semplice gestione da coloro che hanno il potere 5.
In questo contesto si pone il principio di legalità (nullum crimen, nulla poena
sine lege), che svolge proprio questa funzione. Pertanto, esprime il divieto di punire un
qualsiasi fatto che, al momento della sua commissione, non sia espressamente previsto come reato dalla legge e con pene che non siano espressamente stabilite dalla legge6.
Da questo principio, nell’evoluzione del Diritto Penale, deriva dunque una nozione formale del crimine 7, che deve essere ritenuto tale soltanto se previsto dalla
4 Corte Costituzionale Sentenza 487, de 1989
D’altra parte, il sistema penale delineato dalla Costituzione tende ancor oggi, come meglio si chiarirà in seguito, a ridurre la quantità delle norme penali, e, così, a concentrare queste ultime nella sola tutela, necessaria (ultima ratio) di pochi beni, significativi od almeno “importanti”, per l’ordinato vivere sociale. (…)
…attuale inflazione della normazione penale. Quest’ultima che, come s’evince dalla Costituzione e come si sottolineerà oltre, dovrebbe esser ridotta al minimo indispensabile al raggiungimento (attraverso l’incriminazione di gravi modalità di lesione di beni costituzionalmente significativi od almeno socialmente rilevanti) delle elementari condizioni del vivere democratico, è divenuta “ipertrofica”. Se gran parte della materia contravvenzionale fosse, attraverso razionali, ben programmati interventi legislativi, “trasposta” dal diritto penale al diritto amministrativo, i problemi in discussione verrebbero in nuce risolti od almeno notevolmente semplificati.
Corte Costituzionale, Sentenza 282, del 1990
La verità è che alla garanzia, della quale l’art. 25, secondo comma, Cost. è pregnante espressione, non è estraneo il tentativo di riduzione degli illeciti penali secondo il principio vigente, che considera il sistema penale quale estrema ratio di tutela dei beni giuridici.
Corte Costituzionale, Sentenza 364, del 1988
Il principio di “riconoscibilità” dei contenuti delle norme penali, implicato dagli artt. 73, terzo comma e 25, secondo comma, Cost., rinvia, ad es., alla necessità che il diritto penale costituisca davvero la estrema ratio di tutela della società, sia costituito da norme non numerose, eccessive rispetto ai fini di tutela, chiaramente formulate, dirette alla tutela di valori almeno di “rilievo costituzionale” e tali da esser percepite anche in funzione di norme “extra-penali”, di civiltà, effettivamente vigenti nell’ambiente sociale nel quale le norme penali sono destinate ad operare.
5 Ex plurimis Catenacci, Legalità e tipicità del reato nello statuto della Corte penale internazionale. p. 100-101.
6 Ferrando Mantovani, Diritto penale: parte generale (CEDAM, 2013). p. 3; Francisco de Assis Toledo,
Princípios básicos de direito penal, 5. ed. 8.tiragem. -- (São Paulo: Saraiva, 2000). p. 21
7 A differenza della nozione formale del crimine, c’è la legalità sostanziale (o materiale), nel senso che al fine di costituire un reato, si dovrebbe ritenere i fatti socialmente pericolosi, anche se non espressamente previsti dalla legge. Così, secondo questa comprensione, sono punibili le azioni socialmente pericolose anche se non espressamente criminalizzate dalla legge e viceversa, non sono punibili le azioni espressamente criminalizzate dalla legge se non socialmente pericolose. Mentre la legalità formale risulta collegata alla esigenza della certezza, la legalità sostanziale è legata alla esigenza di giustizia. Nel periodo tra le due guerre, la legalità formale viene criticata e la legalità sostanziale guadagna spazio, in particolare nella Russia Sovietica e nella Germania nazionalsocialista. Infatti, in Russia, si fa riferimento alla coscienza rivoluzionaria del giudice l’atto di stabilire gli atti criminali, che si conclude con il Codice Penale del 1922, che si basa sulla concezione materiale del reato, che comprende tutto il comportamento pericoloso per l’ordinamento socialista e che impone al giudice, come corollario logico, poter utilizzare l’analogia per punire azioni socialmente pericolose in assenza di una norma incriminatrice. Questa comprensione è durata fino agli anni ‘50, quando viene recuperato il principio di legalità e viene vietato l’uso dell’analogia e la retroattività del diritto penale, mantenendo il valore pratico della nozione materiale di reato solo in favore del convenuto.
legge. Ne consegue quindi che non sarà azione penalmente punibile quelle non espressamente prevedute come reato dalla legge, anche se antisociali. Allo stesso modo sono punibili azioni previste come reato dalla legge, anche se socialmente non sono pericolose o dannose8.
Sono indicati come corollari del principio di legalità: (i) nullum crimen, nulla
poena sine lege praevia; (ii) nullum crimen, nulla poena sine lege scripta; (iii) nullum crimen, nulla poena sine lege stricta; (iv) nullum crimen, nulla poena sine lege certa.
L’idea di lex praevia esprime il divieto di edizione di leggi retroattive che fondamentino o aggravino la punibilità per un determinato reato. Il termine lex scripta evoca il divieto della fondamentazione o aggravamento della punibilità dalla applicazione di altre fonti come usi o giurisprudenza. La nozione di lex stricta riporta al divieto alla fondamentazione o all’aggravamento della punibilità per analogia (analogia in malam
partem). Già il termine lex certa esplicita il divieto di edizione di fattispecie penali
indeterminate9.
In sintesi, si può affermare che il principio di legalità si articola in quattro sotto-principi, vale a dire: (i) la riserva di legge, (ii) il divieto di analogia, (iii) la tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie e (iv) l’irretroattività della legge penale10. Questi quattro sotto-principi si rivolgono a piani diversi: fonti del diritto penale (i e ii); formulazione delle norme penali (iii); e validità temporale delle norme penali (iv).
Così il principio di legalità porta al Diritto Penale due importanti attributi di garanzia: legittimità e certezza.
Il principio di legalità svolge una funzione di legittimazione in quanto, richiedendo una norma proveniente dal Parlamento riguardo alla materia penale,
Già in Germania, con una parziale riforma della legislazione, il Codice Penale liberale del 1871 si è trasformato in un codice totalitario, essendo sostituito nel 1935, il principio del nullum crimen, nulla poena
sine lege da una nuova formula secondo la quale verrà punito non soltanto quello che commette un’azione
dichiarata espressamente punibile dalla legge, ma quello che merita la punizione secondo il pensiero fondamentale di una legge penale e secondo lo sono i sentimenti del popolo. Le analogie in bonam e in
malam partem sono espressamente considerate come il mezzo per raggiungere una punizione. Con la caduta
del regime nazionalsocialista, subito la Commissione alleata di controllo, nel 1946, abroga la norma in questione, tornando al testo originale. Nonostante il principio di legalità sostanziale è stato utilizzato in regimi totalitari, il fatto è che una tale concezione del reato tende a garantire una difesa sociale più efficiente, e si deve sempre tenere in mente che Stati di lunga tradizione democratica, come i paesi scandinavi e la stessa Inghilterra, non prevedono espressamente il divieto di uso dell’analogia. D’altra parte, ci sono nella storia Stati autoritari addetti al principio di legalità formale, come la Spagna franchista e Portogallo salazariano. Quindi ciò che conta non è la proclamazione o meno del principio, ma la finalità garantista o autoritaria che attraverso di esso si vuole raggiungere. Mantovani, Diritto penale. p. 7-10.
8 Ibidem. p. 4.
9 Toledo, Princípios básicos de direito penal. p. 22.
s’impedisce che una minoranza imponga, tirannicamente, la loro politica criminale sulla società. Vi è quindi una ratio democratica nel principio di legalità.
Allo stesso tempo, il principio di legalità serve a dare notorietà e sicurezza riguardo quello che sarà oggetto di sanzione penale. L’esigenza di una legge per definire un reato costringe la potestà punitive solo nei casi espressamente previsti dal legislatore. Il margine di dubbio riguardo alla riprovabilità penale di un comportamento è preclusa dalla azione del Potere Legislativo. Vi è quindi una ratio di certezza nel principio di legalità11.
Il principio di legalità penale, mentre protezione del cittadino di fronte al potere punitivo dello Stato, è rivolto sia allo Stato-legislatore sia allo Stato-giudice. Il primo deve essere tecnico, razionale, obiettivo, preciso, esatto e attento nella definizione dei reati. Il secondo non esercita la giurisdizione penale fuori dai binari definiti dalla legge.
Nella Costituzione brasiliana, il principio di legalità è espressamente elencato tra i diritti e le garanzie fondamentali, nell’articolo 5º, commi XXXIX e XL, che recita come segue:
“XXXIX – non c’è reato senza una legge precedente a definirlo, né una pena senza una precedente istituzione legale”
“XL – la legge penale non retroagirà, se non per beneficiare il convenuto.”
Solitamente si afferma, quindi, che da un singolo enunciato (il contenuto nel comma XXXIX), può estrare oltre al principio della riserva legale, i principi di tassatività (come esigenza di definizione del reato e della determinazione della pena) e di autorità (obbligo di essere la legge incriminatrice e la pena previste in precedenza alla pratica della condotta12), avendo nel comma XL, il principio di retroattività della legge penale più favorevole.
Nel sistema italiano, il principio di legalità possiede anche fondamento costituzionale, in questo caso l’articolo 25 della Costituzione Italiana:
“Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.”
Secondo si ritiene, il suddetto articolo 25 della Costituzione prevede non solo
11 Catenacci, Legalità e tipicità del reato nello statuto della Corte penale internazionale. p. 103.
12 Leonardo Luiz de Figueiredo Costa, Limites constitucionais do direito penal (Lumen Juris,
il principio di irretroattività, ma anzitutto il principio della riserva di legge e di tassatività13. Il principio di legalità stabilito dall’art. 25 implica, quindi, una stretta riserva di legge, che postula la specificazione del fatto previsto come reato e l’indicazione della pena14.
Le norme costituzionali in materia penale, oltre a garantire ai destinatari della legge penale la sicurezza di non essere puniti per comportamenti penalmente irrilevanti, svelano la funzione di orientamento culturale e di determinazione psicologica. “Non è, infatti, senza significato che il principio di legalità, inteso come ‘riserva di legge statale’ sia espressamente costituzionalizzato, in sede penale, dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione: trattandosi dell’applicazione delle più gravi sanzioni giuridiche, la Costituzione intende particolarmente garantire i soggetti attraverso la praevia lex scripta. I principi di tassatività e d’irretroattività delle norme penali incriminatrici, nell’aggiungere altri contenuti al sistema delle fonti delle norme penali, evidenziano che il legislatore costituzionale intende garantire i cittadini, attraverso la ‘possibilità’ di conoscenza delle stesse norme, la sicurezza giuridica delle consentite, libere scelte d’azione.” 15
Lo status costituzionale del principio di legalità non è soltanto un’ampliazione di questa garanzia, ma una conseguenza della definizione costituzionale del principio della separazione di poteri. Dà tuttavia luogo alla costituzionalizzazione del Diritto Penale e le sue molteplici implicazioni.16
Quindi si può dire che la Costituzione italiana, come quella brasiliana, accoglie una concezione di reato sostanziale-formale: non meramente formale, e non del tutto sostanziale. Il reato è quello che è definito dalla legge, in conformità con la Costituzione, compreso sia gli aspetti formali sia i valori costituzionali. Nelle parole di Ferrando Mantovani17:
“Per la costituzione italiana è reato il fato previsto come tale dalla legge, retroattivamente, in forma tassativa, materialmente estrinsecantesi nel mondo esteriore, offensivo di valori costituzionalmente significativi, causalmente e psicologicamente attribuibile al soggetto, sanzionato con pena proporzionata, astrattamente, innanzitutto alla rilevanza del valore tutelato e, concretamente, anche alla personalità dell’agente, umanizzata e tesa alla rieducazione del
13 La Corte Costituzionale ordinariamente utilizza i termini “tassatività” e “determinatezza” come sinonimi, salvo casi eccezionali in cui ne fa distinzioni per motivi di precisione. V. Sentenza n. 247, del 1989; e Sentenza n. 96, del 1981.
14 Corte Costituzionale, Sentenza n. 79/1982. 15 Corte Costituzionale, Sentenza n. 364/1988
16 V.g. Franco Bricola, Teoria generale del reato. Estratto dal «Novissimo digesto italiano» (UTET, 1974). 17 Mantovani, Diritto penale. p.21 ss
condannato; sempreché la pena sia necessaria per l’inadeguatezza delle sanzioni extra-penali a tutelare tali valori.”
Nel caso italiano, c’è anche da ricordare la Convenzione Europea dei Diritti Umani del 1950 e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, del 2000, le quali conferiscono un più grande spessore al principio di legalità18:
Convenzione Europea dei Diritti Umani: “Art. 7 – Nulla poena sine lege
1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.
2. Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili.”
Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea:
“Art. 49 - Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene 1. Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima.
2. Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un’azione o di un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni.
3. Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato.”
Questa fondamentazione più che legale alla definizione dei reati apre il campo penale a nuovi giudizi di controllo e convalida della legislazione penale. Si presentano