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Il principio di determinatezza delle pene nello Statuto di Roma

2.2 Lo Statuto di Roma e il principio de legalità come tassatività

2.2.2 Il principio di determinatezza delle pene nello Statuto di Roma

Un’altra obiezione allo Statuto di Roma, e forse la più grave nell’ambito del principio di legalità, si riferisce alla mancanza di assegnazione di pene specifiche per ciascuna delle fattispecie previste.

Lo Statuto di Roma, a differenza di quanto preconizzato dal principio di legalità nella determinazione delle pene, si è limitato ad indicare, in generale e al suo limite massimo, le pene applicabili per i crimini previsti in esse189.

187 Ibidem. p. 741.

188 In Brasile, questa interpretazione si chiamerebbe analogica. Infatti, nonostante non sia pacifico, lì si intende che l’interpretazione analogica è quella prevista dalla propria legge, che autorizza sua applicazione ai casi simili. Infatti, una norma, dopo una serie di enumerazione, porta una formulazione generica che deve essere interpretata secondo i casi precedentemente elencati. Opera quindi un effetto interpretativo, non integrativo. Così, nell’interpretazione analogica, l’applicazione al caso simile è inteso e previsto dalla legge. Invece l’interpretazione estensiva consente l’interprete ampliare il campo di applicazione di una norma esistente, estendendo il limite semantico di un vocabolo nel testo giuridico. È quindi nell’assegnare a una determinata disposizione un significato compatibile con il suo significato letterale. In Costa, Limites

constitucionais do direito penal. p. 71.

189 Statuto di Roma Articolo 77

Infatti, una persona alla quale si imputa la pratica di uno dei crimini previsti all’articolo 5º dello Statuto di Roma sarà soggetta ad un certo periodo di detenzione, non superiore a trent’anni o alla pena di ergastolo, quando giustificato dall’estrema gravità del crimine e dalle circostanze personali del condannato. Le pene di multa hanno seguito la stessa via, sono state anche definite in termini generali dallo stesso articolo.

Non ci sono dubbi che, nel scenario internazionale, lo Statuto di Roma, nonostante le critiche al contrario di esso, esprime una rimarchevole evoluzione rispetto alle esperienze di Norimberga e Tokyo.

Infatti, nei tribunali internazionali precedenti alla Corte Penale Internazionale, la determinazione delle pene non era tra le principali preoccupazioni dei rispettivi Statuti, lasciando ai giudici un ampio potere discrezionale nella loro determinazione190. Si pensi ad esempio nell’articolo 27 dello Statuto di Norimberga, che consentiva al Tribunale imporre all’imputato la pena di morte o qualunque altra punizione che intendessi giusta.

Nello stesso modo le convenzioni internazionali della seconda metà del secolo scorso (come quella di prevenzione del genocidio, per esempio) rappresentano un grande passo avanti nel tema perché non contenevano precetto e sanzione, per cui non possono essere considerate vere normative incriminatrici. In effetti, la comunità Internazionale voleva, con queste convenzioni, non tanto stabilire crimini e pene, ma consacrare alcuni principi avvertiti come fondamentali e non esclusivi di uno Stato191.

Già nei Tribunali ad hoc, l’articolo 24 dello Statuto del Tribunale per la ex Jugoslavia e l’articolo 23 dello Statuto del Tribunale per il Ruanda autorizzavano genericamente le Corti Internazionali a determinare, come principale, la pena detentiva (nel duplice senso di reclusione ed ergastolo). Questi dispositivi prevedevano, inoltre, che nel determinare la sanzione, i giudici prendessero in considerazione la prassi delle corti nazionali dell’ex Jugoslavia e di Ruanda.

C’è da tener presente inoltre che gli Statuti dei Tribunali per l’ex Jugoslavia e

Pene applicabili

1. . Fatto salvo l'articolo 110, la Corte può pronunciare contro una persona dichiarata colpevole dei reati di cui all'articolo 5 del presente Statuto, una delle seguenti pene:

a) reclusione per un periodo di tempo determinato non superiore nel massimo a 30 anni;

b) ergastolo, se giustificato dall'estrema gravità del crimine e dalla situazione personale del condannato. 2. Alla pena della reclusione la Corte può aggiungere:

a) un'ammenda fissata secondo i criteri previsti dalle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove. b) la confisca di profitti, beni ed averi ricavati direttamente o indirettamente dal crimine, fatti salvi i diritti di terzi in buona fede.

190 Emanuela Fronza, “Le sanzione”, in La corte penale internazionale: organi, competenza, reati,

processo, org. Flavio Argirò, Giorgio Lattanzi, e Vito Monetti (Giuffrè Editore, 2006), 493–542. p. 500

per il Ruanda, seguendo una tradizione influenzata dalla common law, prevedevano una separazione tra la pronuncia rispetto la responsabilità penale e la definizione vera e propria della pena, che sarebbe pronunciata in un momento successivo, sulla base del sistema giuridico domestico192.

Tuttavia, le indicazioni circa i criteri per la determinazione delle pene erano scarse. Quindi, oltre a fare riferimento alla prassi nazionali dei due paesi coinvolti (tenendo in mente anche che in Ruanda era possibile l’applicazione da parte delle corti nazionali, della pena di morte), gli Statuti avevano come parametri per l’individuazione delle pene la gravità del fatto e circostanze generiche aggravanti e attenuanti.

Pertanto, l’assenza di una disciplina minima sulle pene portò a rafforzare la discrezionalità dei Tribunali ad hoc che nel rifiutarsi di elaborare criteri generali vincolanti193, hanno finito per produrre una giurisprudenza talvolta incoerente, poiché basata su casi concreti e non in linee generali194.

Va notato che il problema della determinazione delle pene è già stato oggetto di lavori preparatori per l’elaborazione dello Statuto di Roma. La Relazione della Commissione di Diritto Internazionale delle Nazioni Unite sul progetto di Codice di Crimini contro la Pace e la Sicurezza dell’Umanità, del 1996, già dichiarava che spetterebbe allo Stato, nell’attuare le regole del Codice sulla propria legislazione interna, determinare la pena per ogni fattispecie penale. Inoltre, per quanto riguarda il diritto internazionale, la Commissione ha dichiarato che non sarebbe fondamentale che l’individuo conosca in anticipo la pena, poiché di fronte a crimini di questa natura, bastava conoscerli come previsti, e sarebbe da aspettarsi pena di estrema gravità195.

192 Cfr. Ibidem. p. 504-6.

193 International Tribunal for the Prosecution of Persons Responsible for Serious Violations of International Humanitarian Law Comimitted in the Territory of the Former Yugoslavia since 1991. Appeals Chamber. Case n. IT-95-17/1-A. (21/07/2000) :

238. The Prosecutor submits that, while there is no existing penal regime, it would be appropriate for the Appeals Chamber to set out sentencing guidelines which should be applied, based on the functions and purposes of sentencing in the legal system of the Tribunal. Without questioning the possible utility of such guidelines, the Chamber considers it inappropriate to establish a definitive list of sentencing guidelines for future reference, when only certain matters relating to sentencing are at issue before it now. Thus, the Appeals Chamber will limit itself to the issues directly raised by this appeal”

Cfr. Ibidem. p. 517. 194 Cfr. Ibidem. p. 516.

195 International Law Comission. Draft Code of Crimes against the Peace and Security of Mankind with commentaries (1996). Article 3. Commentary (7):

It is, in any event, not necessary for an individual to know in advance the precise punishment so long as the actions constitute a crime of extreme gravity for which there will be severe punishment. This is in accord with the precedent of punishment for a crime under customary international law or general principles of law as recognized in the Judgment of the Nürnberg Tribunal and in article 15, paragraph 2, of the International Convenant on Civil and Political Rights.

In questo contesto, non c’è dubbio che lo Statuto di Roma innova nel stabilire espressamente il principio di legalità delle pene, come previsto all’articolo 23, per, di conseguenza, stabilire, nella Parte VII dello Statuto, un elenco delle sanzioni possibili di essere imposte dalla Corte. Così è che potrà la Corte Penale Internazionale imporre la reclusione per un periodo non superiore a 30 anni oppure, se giustificato dall’estrema gravità del crimine e dalla situazione personale del condannato, l’ergastolo196, inoltre, in via accessoria, dell’ammenda e la confisca dei profitti, beni ed averi ricavati direttamente o indirettamente dal crimine197.

Lo Statuto di Roma innova anche nel prevedere, all’articolo 78, alcuni criteri che i giudici internazionali devono attenersi nel specificare il quantum della pena, come la gravità del crimine e le circostanze personali del condannato198.

Il fatto che lo Statuto di Roma può essere ritenuto, in materia di pene, un testo molto più avanzato rispetto ai suoi predecessori, non nasconde, però, la portata della discrezionalità data alla Corte nella determinazione della pena, forse troppo per un organo che cerca appunto realizzare diritti umani.

Infatti, l’assenza di previsione nello Statuto di Roma di parametri minimi e massimi della pena per ognuno dei crimini, cioè, l’assenza di qualsiasi collegamento vincolante tra la fattispecie penale astratta e la pena correlata, è innegabilmente un deficit secondo gli standard più elevati di comprensione del principio di legalità199, perché relega alla Corte, discrezionale e caso per caso, la possibilità di scegliere, in un caso concreto, tra l’ergastolo e una pena detentiva temporanea.

E questa discrezionalità nel determinare le pene può essere estremamente dannosa alla sicurezza giuridica, ancora di più davanti il silenzio dello Statuto di Roma riguardo la finalità della pena. Inoltre, la previsione generica delle pene applicabili, come fatta nello Statuto di Roma, non stabilisce una gerarchia alla riprovabilità delle condotte. Davanti a questo e tenendo presente che la ratio del principio di tassatività delle pene è limitare la discrezionalità, principalmente del giudice, resta difficile da

196 Art. 77, primo comma, dello Statuto di Roma. 197 Art. 77, secondo comma, dello Statuto di Roma.

198 Nel Regolamento Processuale, a sua volta, che ha lo stesso deficit di legittimità degli Elementi Costitutivi dei Crimini, sono previsti altri criteri per la determinazione della pena, come l’ampiezza del danno causato, il grado di partecipazione, l’età, il livello di istruzione e la situazione sociale ed economica del reo.

199 Balmaceda, “Aplicação direta dos tipos penais do estatuto do Tribunal Penal Internacional no Direito Interno”. p. 170.

accettare, a priori, la legittimità di un sistema omesso rispetto la misura edittale della pena in rapporto alle singole figure legali del reato.

Inoltre, anche se il legislatore nazionale fissi pene specifiche per ciascun dei crimini previsti dallo Statuto di Roma, al fine di ridurre il deficit di tassatività – che sarebbe un comportamento altamente desiderabile – rimarranno ancora problemi. Questo perché tali limiti domestici non raggiungono la Corte Penale Internazionale (art. 80 dello Statuto di Roma), che resterà, per forza dello Statuto, in grado di esercitare il suo ampio margine di discrezionalità nella determinazione delle pene.

Così, e prendendo in prestito i fondamenti solitamente invocati per rifiutare le richieste di estradizione verso paesi in cui si ammette la pena di morte, la mera cooperazione con le autorità estere che non osservano i principi di base in temi di beni e valori fondamentali per l’ordinamento interno (come la tassatività delle pene) rappresenterebbe attuazione incostituzionale per violazione del principio di non discriminazione (articolo 3º della Costituzione Italiana e articolo 5º della Costituzione brasiliana)200. Questo argomento potrebbe quindi essere utilizzato per giustificare il rifiuto di consegnare un individuo alla Corte Penale Internazionale, garantendo alla persona (anche se straniera) la tutela di questi diritti inviolabili dell’uomo (tra i quali, la conoscenza previa della pena applicabile).

Questo, tuttavia, non sembra essere il modo migliore per risolvere il problema. Infatti, non si può escludere che forse a causa dell’eterogeneità delle concezioni giuridiche e culturali degli Stati Parte, sia stato necessario trasferire ai giudici della Corte Penale Internazionale questo compito di gradazione della gravità delle condotte, senza rappresentare necessariamente un deficit di garanzia dal punto di vista dell’imputato.

Infatti, non riuscendo a formulare a priori tutti questi giudizi, e consapevoli della storicità della Corte Penale Internazionale, i redattori dello Statuto di Roma alla fine si fidano della qualità tecnica e dell’intelligenza giuridica dei giudici penali internazionali per il compito di trovare il punto ottimale.

Quindi, per contrastare la discrezionalità nella determinazione delle pene, si presenta il dovere di fondamentazione delle condanne, trasferendosi ai giudici dunque una responsabilità doppiamente qualificata: legittimare le loro sentenze e la giurisdizione

200 Corte Costituzionale, Sentenza n. 54/79.

penale internazionale stessa.

Ne consegue, quindi, lo sforzo necessario e raddoppiato di fondamentazione delle sentenze, avendo la Corte il compito di differenziare le condotte e la loro riprovabilità, così come adeguare le pene e l’effettività della giurisdizione penale internazionale alla fase evolutiva dei diritti umani, alla riprovabilità delle condotte e alla sufficienza delle risposte per affermazione di tutti i diritti umani.

C’è da sottolineare che questo ragionamento è ancora rafforzato dall’adozione, in modo espresso nello Statuto di Roma, del principio di proporzionalità. Pertanto, l’assenza della previsione delle pene non significherebbe l’assenza, totale e assoluta, di criteri guida per la sua applicazione, dal momento che lo Statuto di Roma stesso indica il principio di proporzionalità come vettore per l’applicazione della pena nel caso concreto. È quindi in questo senso che l’articolo 78.1 dello Statuto di Roma201 ha stabilito, come criterio per la determinazione della pena, la gravità del reato e le circostanze personali del condannato per, in seguito, prevedere espressamente la possibilità di ricorso per il motivo della pena essere stata stabilita sproporzionalmente al crimine commesso (art. 81.2.a dello Statuto di Roma202) e la possibilità della Camera d’Appello modificare la decisione impugnata attraverso costatazione di essere la pena sproporzionata (art. 83.3 dello Statuto203).

Così, fare lo Statuto di Roma compatibile con il principio di tassatività delle pene non è un compito semplice, nonostante si dimostri fattibile per la proporzionalità delle pene e la maggiore necessità di fondamentare le decisioni.

Inoltre, non si può non osservare che qualsiasi gradazione delle pene, fatte dallo Statuto di Roma, avrebbe influenzato o addirittura impedito altre sanzioni previste

201 Statuto di Roma

Articolo 78 Determinazione della pena

1. Nel determinare la pena, la Corte tiene conto, secondo le Regole Procedurali e di ammissibilità delle Prove di elementi quali la gravità del reato e la situazione personale del condannato.

202 Statuto di Roma Articolo 81

Appello contro la sentenza di condanna o la determinazione della pena …

2.a) Il Procuratore o il condannato possono, secondo le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove,

impugnare la pena pronunziata, per via di mancanza di proporzione fra la stessa ed il crimine; 203 Statuto di Roma

Articolo 83 Procedura d'appello

3. Se, nell'ambito di un appello contro una condanna, la Camera d'appello constata che la pena è sproporzionata rispetto al crimine, essa può modificarla secondo il capitolo VII.

domesticamente, nonostante le disposizioni dell’articolo 80 dello Statuto204. In realtà, l’imputato potrebbe sempre mettere in discussione l’imposizione di ergastolo a livello nazionale, se, per una medesima condotta lo Statuto di Roma prevedesse pena massima di 20 anni.

Un altro argomento possibile per superare un’eventuale incompatibilità dello Statuto di Roma con il principio di tassatività delle pene (nonostante quello indicato sopra) non è negare che lo Statuto della Corte Penale Internazionale viola il principio di legalità, ma evitare il più possibile l’attuazione della Corte Penale Internazionale, con impegno finché la giurisdizione domestica sia efficiente e sufficiente.

Così, una delle vie principali per questa efficienza e sufficienza della giurisdizione domestica è l’assunzione, da parte dei Paesi firmatari dello Statuto di Roma, di una politica criminale per i crimini di guerra, contro l’umanità, aggressione e genocidio in basi universali. Cioè, nel stabilire il carattere universale della giurisdizione domestica per questi crimini, gli Stati giudicherebbero nella propria giurisdizione i criminali e quindi non avrebbero bisogno di consegnare i sospetti alla Corte Penale Internazionale o discutere la legittimità delle pene possibili di fronte agli standard domestici di legalità e bassa discrezionalità giudiziale.

Nonostante l’adozione del principio di universalità della giurisdizione nazionale possa servire per attenuare alcuni inconvenienti che coinvolgono la violazione del principio di legalità dallo Statuto di Roma, questo non esclude il rischio, sempre presente, di avere, nei paesi che adottano il sistema accentrato ed astratto di sindacato di costituzionalità205, la questione sottomessa al controllo dell’organo giudiziario competente.

2.2.2.1 Il rischio d’interferenze della Corte Penale Internazionale a seconda delle

sanzioni applicati dai giudici nazionali

Nonostante l’adozione del principio della giurisdizione universale rappresenti un passo importante per superare le carenze, dallo Statuto di Roma, del principio di

204 Statuto di Roma Articolo 80

Autonomia dell'applicazione delle pene ad opera degli Stati e della legislazione nazionale

Nessuna disposizione del presente capitolo vieta l'applicazione ad opera degli Stati di pene previste dal loro diritto interno, ne l'applicazione della normativa di Stati che non prevedono le pene stabilite nel presente capitolo.

205 Infatti, nel caso brasiliano, lo Statuto di Roma, interiorizzato dal Decreto 4388/2002, può essere sottoposto al vaglio della Corte Suprema, senza che ci sia alcun caso concreto di fondo a tale domanda.

tassatività delle pene nella sua pienezza, non è sufficiente per eliminare i rischi di un’indebita interferenza della Corte Penale Internazionale nelle sentenze nazionali.

Infatti, la tassatività delle fattispecie penali rappresenta anche, sotto una certa luce, una garanzia agli Stati che il trasferimento di una parte della propria sovranità alla Corte Penale Internazionale è limitato solo a quei crimini definiti nello Statuto di Roma.

L’inosservanza di tale principio in termini di definizione delle pene nello Statuto di Roma rappresenta un rischio a questi Stati di indebita intrusione della Corte Penale Internazionale in campo domestico.

Infatti, di fronte all’omissione dello Statuto di Roma sulla definizione delle pene a ciascuno dei crimini che caratterizza, lo Stato Parte, adepto al principio di determinatezza delle pene, dovrà elaborare necessariamente una legge completa, facendo in questa legge il giudizio di gravità della condotta prevista astrattamente.

Questo perché, anche ammettendo l’azione diretta di un trattato internazionale per criminalizzare condotte, come sostenuto in precedenza, la sua attuazione a livello nazionale è subordinata alla completezza della norma (precetto primario e secondario).

E nel caso dello Statuto di Roma, non si verifica tale completezza, una volta che un precetto penale incriminante senza la rispettiva sanzione (adeguatamente delimitata), come si è visto, è norma penale con deficit206, lasciando agli Stati il compito di specificare, nella sfera domestica, le pene applicabili a ciascuno dei crimini portati sullo Statuto di Roma.

E’ vero che l’articolo 80 dello Statuto di Roma disciplina l’autonomia dell’applicazione delle pene ad opera degli Stati e della legislazione nazionale, quando prescrive che “nessuna disposizione del presente capitolo [Capitolo VII – Pene] vieta l’applicazione ad opera degli Stati di pene previste dal loro diritto interno, ne l’applicazione della normativa di Stati che non prevedono le pene stabilite nel presente capitolo”.

Nonostante, c’è ancora da domandare se la Corte Penale Internazionale può, in un caso concreto, comprendere che la pena applicata a livello nazionale è troppo

206 Infatti, la norma in questione si presenta in condizioni peggiori di applicabilità rispetto alle norme penali incomplete o imperfette, che, pur non avendo proprio precetto secondario, rinviano alle sanzioni previste per altri comportamenti. La legge penale incompleta o imperfetta risulta frammentata in più disposizioni che devono essere ricostruite dall’interprete. Così, non viola il principio di legalità. In Brasile, c’è per esempio l’articolo 304 del Codice Penale, che, nel descrivere il crimine di utilizzo di documento falso, si riferisce alla pena attriuita alla falsificazione, contraffazione o alterazione del documento. V. Costa, Limites

blanda, nonostante il Giudiziario locale abbia applicato correttamente la legge nazionale. Cioè, la Corte Penale Internazionale, difronte alla definizione da parte degli Stati di parametri minimi e massimi di pena per ogni crimine, potrà decidere che un processo fatto in questi termini non risponde in pieno alla giustizia e desiderare, di conseguenza, rendere un nuovo processo? Ci sarà nella giurisdizione penale internazionale non solo una possibilità di revisione dei casi decisi domesticamente, ma anche un sindacato sulla sufficienza e la qualità della legislazione nazionale?

Alla luce dell’articolo 80 dello Statuto di Roma, non sarebbe possibile alla Corte Penale Internazionale valutare, con l’obiettivo di attivazione della sua giurisdizione, il risultato finale di un processo portato avanti a livello nazionale considerando solo la pena applicata alla fine.

Infatti, in assenza di limiti minimi nello Statuto di Roma, lo Stato è libero per stabilire, a condizione che sia fatto da una legge generale, astratta e precedente ai fatti da